18.2. 𝗨𝗻 𝗴𝗲𝗹𝗮𝘁𝗼 𝗮 𝗰𝗲𝗻𝘁𝗿𝗮𝗹 𝗽𝗮𝗿𝗸

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Non era male, in effetti. Tutto incredibilmente curato nel minimo dettaglio. I clienti abituali sembravano aver simpatizzato abbastanza ben con il cameriere di turno e il gelatiere, dotato di una rara bellezza...beh, attirava le clienti con la sola forza dei suoi occhi azzurri, in contrasto con la sbarazzina chioma bruna e i ciuffi di capelli un po' più lunghi della classica lunghezza. Le ragazze si perdevano quindi in lunghe e interessanti conversazioni, dimenticandosi perfino di prendere il gelato.

Ovviamente, per Tina valeva l'esatto opposto. Anche Jacob non riusciva a smettere di pensare a lui, non era attratto dal suo fascino...lui stesso lo riteneva un tantino eccessivo. Lui di fascino ne aveva da vendere e poi piaceva anche molto alle persone, ed era il marito di una certa giovane strega che lo trovava alquanto "affascinante".

Non riusciva però a smettere di pensare alla sua agilità, alla velocità incredibile nel versare il gelato nei coni, era giovane e smilzo, se solo avesse usato un po' più le mani e molto meno la lingua... avrebbe sicuramente trovato una ragazza, come Tina, non così "educata", che gli avrebbe fatta pentire questa sua abitudine troppo confidenziale.

E allora si sarebbe pentito.

Aveva un pò calcato la mano con Tina volontariamente, quando avrebbe capito che Newt aveva occhi solo e soltanto per lei? E che era innamorato alla follia...e che ancora non lo sapeva? Neanche lui lo sapeva, era questo il vero problema. Quanti anni poteva avere quel ragazzo, venticinque? Forse avrebbe avuto molto più successo di lui se avesse avuto una pasticceria. Lui amava vedere il sorriso sulla bocca della gente, era per questo se aveva deciso di aprire una pasticceria. E non se ne era mai pentito. Quel locale era piccolo ma era impeccabile, come il suo. Un'esposizione da paura... se ci fosse stata la sua streghetta, probabilmente non sarebbe rimasto più nulla.

«Mah...» dichiarò l'auror, accomodandosi accanto a lui, sulla panchina che avevano occupato poco prima di entrare nel locale, sempre alle spalle di quella quercia e fontana secolare, se non millenaria. Anche questa volta non riuscì a trattenere una risatina.
«Ha ragione... sei una ragazza molto... bellina!» Diede un bel morso al suo cono che iniziava a sciogliersi.

Anche Tina lo seguì a ruota, evitando per un pelo di macchiarsi, mentre di tanto in tanto osservava le code degli scoiattoli muoversi tra un ramo e l'altro, coperti interamente dalla folta chioma lussureggiante degli alberi.
«Magari fosse vero!» Sembrava un po' malinconica, ma Jacob decise di non andare oltre.
Tina non era solita parlare di sé, anzi sapeva che la cosa la infastidiva molto.

Si guardava spesso intorno, pensando a Queenie sola soletta in pasticceria. Aveva detto loro di non sentirsi troppo bene, e l'aveva lasciata li, sapendo che il suo stomaco non le dava pace. In condizioni non del tutto ottimali. Ma lei aveva insistito, gli aveva detto che stava benissimo e lui, ben consapevole che lei gli stesse mentendo, aveva deciso di seguire sua sorella, ignorando le sue labbra piegate in una smorfia di disgusto per via della bile che minacciava di risalire e le mani premute sulle tempie. Lo aveva cacciato dal loro negozietto, spingendolo per la schiena con entrambe le mani, con una tale energia che non si direbbe tipica di una donna in preda ai disagi concessi da quello stato interessante.

Aveva però compensato questo repentino cambio di umore con un caloroso bacio sulle labbra e un altro e un altro, e la tacita promessa che la serata si sarebbe conclusa allo stesso modo. E a dire il vero lui non vedeva l'ora.

«Mangia... si sta sciogliendo.» Le sussurrò.
Tina annuì, in tutta risposta si guardò intorno due volte per assicurarsi che nessuno la stesse osservando, prima di sfoderare la sua bacchetta dalla tasca e puntarla verso il pasticcere.
«Adesso non muoverti, sta fermo... non vorrei doverti rianimare!» proferì autoritaria.
Jacob fissò dapprima lei, poi la punta della sua bacchetta un tantino terrorizzato.
«In In che senso...» i suoi muscoli si irrigidirono di colpo, « Tina?!»

«Glacius!»

Dalla punta della sua bacchetta fuoriuscì una raffica di vento gelido, che lo fece tremare fino alla punta delle orecchie. Con suo grande stupore il gelato, dapprima gocciolante, assunse un aspetto solido, come se fosse stato appena tirato fuori dal congelatore.
Jacob sbattè i denti e si strofinò le mani energicamente cercando di riacquistare un po' di calore, mentre Tina ripeteva l'incantesimo sul proprio cono e sul gelato di Queenie che, ormai, doveva essere divenuto viscoso come l'acqua.

Avevano dimenticato che cosa significasse mangiare il gelato in una giornata così calda, fortunatamente le chiome degli alberi faceva loro da schermo contro il caldo opprimente e il vento torrido che aveva deciso di abbattersi in quella giornata. Ma, nonostante tutto, era alquanto piacevole.

Tutto divenne alquanto strano quando quell'aria leggera smise di accarezzare le foglie degli alberi, quando tutto divenne incredibilmente statico, di contro la dinamicità dei bambini all'orizzonte. Jacob non potè fare a meno di guardarli, mentre giocavano a pallone, mentre di tanto in tanto per qualche sciocco litigio si tiravano i capelli. Quella vista gli strappò un sorriso, erano sempre stati preziosi per lui, i bambini, sempre pronti a donargli un sorriso. Quando ne entrava qualcuno in negozio, non poteva non offrire loro qualcosa e certamente non riusciva a non pensare al piccolo fagottino nel ventre di sua moglie.

Quanti ne avrebbe voluti, se ne avesse avuta l'opportunità almeno una dozzina.

Non si accorse neanche di aver concluso il suo gelato e di essere rimasto con la bocca spalancata, ad assaggiare l'aria. Nella sua mente aleggiavano nuove dolci prospettive, nuovi progetti, nuovi sogni. Li analizzava attentamente, uno per uno, ogni loro piccolo gesto e suono che emettevano. Scattò perfino in piedi quando vide la palla colpire accidentalmente un bambino al petto, pronto a precipitarsi incontro.Tina gli accennò un sorriso, quasi incapace di trovare le parole giuste da dedicare a quel momento, ben consapevole che cosa stesse pensando. Rimase in silenzio, po' per timore di danneggiare quel momento che era solo il suo. Fu lui a rompere quel sacro silenzio.

«So che dovrei vivere giorno per giorno, ma davvero... non vedo l'ora che arrivi quel giorno, anche se mancano ancora cinque mesi. È incredibile quanto tempo impiega il corpo umano a generare un bambino, non credi? Nove lunghi mesi» Sospirò.
«Nove mesi passano subito... sembra solo ieri che sguazzavamo nelle pozzanghere e ora... ora è incinta! Vorrei davvero ucciderti per avermela portata via ma... ma sono contenta, perché l'hai resa così felice!» Gli diede una leggera gomitata, questa volta senza incrinargli le costole. E una carezza sul viso.
«Queenie mi ha detto che cosa avete passato da bambine, mi dispiace.»
«Anche a me.»
«Ma siete cresciute bene. Siete due ragazze in gamba.» Le accennò un sorriso.

La giornata era divenuta tutto d'un tratto un momento per ricordare, anche le cose non del tutto belle.
«Sì, ma è stato difficile.» ammise.

E Jacob non ne dubitava, dopo quello che gli aveva confidato Queenie avrebbe creduto a tutto.

«Siamo... sopravvissute, in qualche modo. Ilvermorny ci ha salvate, è diventata casa, per entrambe... è stato un po' come ritrovare nuovamente il nostro angolino perduto, e poi... beh, ci ha pensato Lally e la sua famiglia.» Sorrise tristemente, non voleva andare troppo nel dettaglio, non sarebbe stata capace, lei che cercava disperatamente di dimenticare.
«É... una scuola davvero pazzesca! È inutile che Newt continua a ripetere quanto la sua cara Hogwarts sia superiore...» fece una smorfia esagerata, riprendendosi subito dopo, «Hogwarts... che nome alquanto banale... non trovi?»
Jacob non riuscì a non ridacchiare, era alquanto orgogliosa della sua casa, della sua scuola, Queenie glielo aveva giusto un tantino accennato... ed era ben orgogliosa di difenderne la reputazione.
«Hm...» proseguì cauto, «A me piace...» Ammise, per poi illuminarsi repentinamente.

Quella discussione gli fece ricordare di avere un amico dall'altro capo del mondo, e gli venne un'idea alquanto brillante. Magari non lo aveva vicino...ma aveva trovato un mezzo per accorciare di molto le distanze. Moriva dalla voglia di rivederlo.
«Che ne pensi se facessimo una foto? Potremmo spedirla a Newt...» propose.

Capì che era d'accordo solo quando la vide tingersi di rosa sulle guance.
Lui non era come gli altri, Newt era... diverso. Un po' eccentrico, forse, ma era il suo migliore amico.
Il fratello che la guerra gli aveva strappato dalle braccia. Era dolce, sincero, ma di amore... non ci capiva una mazza! Oh, le sue povere orecchie!! Che cosa era stato costretto a sentire! Lui e gli occhi di salamandra... anche se quel discorso aveva avuto un certo effetto su di lei, si chiedeva come sarebbe riuscito a conquistarla di questo passo.

Forse aveva un modo tutto proprio per dimostrare il suo amore, in fondo... anche lui non era esattamente un uomo di bel l'aspetto, ma il suo panciotto... aveva avuto un certo "fascino" sulla strega che aveva sposato. Non avevano avuto bisogno di un afrodisiaco o di una pozione d'amore! Lo faceva con la sua infinita bontà e tenerezza, senza alcuna malizia e senza sarcasmo alcuno. Newt era follemente innamorato di Tina, lo sapeva bene, dopo le lunghe ore di conversazioni incentrate solo su di lei.

Ma era così... stupido! Newt Scamander ancora non aveva del tutto compreso di essersi innamorato della più energica strega di New York, ed era l'ora che, una volta per tutte, aprisse gli occhi. O ci avrebbe pensato lui... con le cattive?

«V-va bene...» balbettò lei.
A dir la verità lui era già pronto, con la macchina fotografica ben stretta fra le dita.
«Un sorriso, dolcezza!»

Non le diede neanche il tempo di mettersi in posa, e forse l'aveva anche un po' destabilizzata con quell'appellativo affettuoso, vista l'occhiataccia che gli aveva lanciato.
La luce accecante dell'obiettivo la accecò e la costrinse a chiudere gli occhi, immortalandone il momento.

«Hm... forse è meglio farne un'altra...mi gocciola il naso.» ridacchiò il babbano quando decise di dare una rapida occhiata alla cartina, cercando allo stesso tempo di metterla a proprio agio

«Un'altro sorriso, bellezza!»
Tina gli lanciò un'altra occhiataccia.
«Smettila!» ma non sembrava arrabbiata con lui, forse perché suo cognato aveva il privilegio di alzare un po' il gomito.

Lui era sempre stato rispettoso con lei, e non superava mai i suoi confini.
Questa volta fu abbastanza pronta a vincere il flash della macchina fotografica, anche se era certa che non sarebbe mai stata come desiderava, nonostante si fosse accuratamente passata le dita fra i capelli e l'impronta del pollice in prossimità degli occhi, per cancellare un po' le tracce di trucco sbavato.

Per sicurezza si costrinse a non analizzare la foto. Se l'avesse vista, si sarebbe convinta a non spedirla.

«Perfetta! Sorriso da stampa! Un saluto dall'America dal pasticcere Jacob Kowalski e... occhi di salamandra!» Ridacchiò fragorosamente, guardandola dritta negli occhi.
Nuovamente la vide arrossire. E nuovamente gli diede un'altra spallata bonaria, mentre arricciava le labbra in un sorrisetto furbetto che la sapeva lunga.
«Uhm... sì... lo sapevo che non riuscivi a rimanere indifferente.» Le fece l'occhiolino e le lanciò un sorrisetto complice, a imitazione del suo.
«Io lo so che hai un debole per Newt, non puoi negarlo...» trattenne un singhiozzo.
«Forse...» ammise.
Se ci fosse stata Queenie, tutti i passanti si sarebbero voltati verso di lei sentendo i suoi scleri per tutta la piazza.

Con il passare del tempo Tina aveva notato che i lampioni del parco si stavano alquanto opacizzando, si mise nella tasca il duplicato della foto. La osservò di sottecchi, e dovette ammettere che non era venuta male dopotutto. Forse il trucco era andato via mangiando il gelato, e aveva i capelli un po' gonfi, ma non era male. Non che le importasse, era mai stata particolarmente attenta al suo aspetto.

Ma se l'avesse vista Newt...?

Solite guance arrossate e sorriso timido e impacciato, mentre Jacob sembrava un sultano! Solito sorriso smagliante che sprizzava gioia da tutti i pori. Lui guardava la fotocamera, lei di scorcio.

«Hm... a quanto pare non hai mai fatto troppe foto.» Ridacchiò lui vedendola un po' smarrita, quando la sorprese guardare di nuovo la fotografia.

Lewis... era così... evidente, quindi?

«Sì, hm... qualcuna.» Ammise.
Non aveva mai avuto troppe occasioni per farsi fotografare, « Quelle che abbiamo da ragazze ce le ha scattate Lally. Lei ci tiene molto, ai ricordi.» Gli accennò un sorriso «Anche se... alcune sono davvero pessime! Non era una grande fotografa.»

Con il passare del tempo fortunatamente era migliorata, Lally era forse più il soggetto della foto che la fotografa.

Ispirò profondamente per cacciare via l'ansia.

C'era qualcosa che non andava, lo poteva sentire sulla propria pelle. Il suo alito caldo, adesso, si poteva scorgere rarefatto sotto forma di vapore. La temperatura doveva essersi abbassata notevolmente e quel silenzio tombale la inquietava parecchio, se non fosse stato per Jacob e le sue battutine, probabilmente si sarebbe spaventata.
Sentì l'umidità penetrare i cappotti, così si affrettò a stringerselo ben stretto alla vita, a nascondere le mani gelate nelle tasche. Con quel freddo non vi era più il rischio che il gelato di Queenie potesse sciogliersi. Il parco era ormai deserto, anche i padroni con i cani avevano deciso di tornare a casa.
«Il tuo incantesimo ha funzionato, fa così freddo! Non si scioglieranno più i gelati.» Ridacchiò, era davvero brava!

Tina a quel punto si voltò di scatto verso di lui a guardarlo, e scosse la testa alquanto confusa.
«Cosa?»
«C'è freddo!»
«No, non sono stata io! Non ho cambiato il tempo, l'incantesimo era solo... istantaneo!» Realizzò che c'era davvero qualcosa che non andava, «Non è quel genere di incantesimo...»si affrettò a spiegargli.
«A no?»
«Certo che no!» Sbottò.
Un lampione si spense, e ben presto l'oscurità cadde su di loro.
«Tina...»
La bruna si alzò di scatto, impugnando agilmente la bacchetta.

Troppo silenzio, un silenzio artificiale.

Anche i grilli avevano smesso di cantare, come se fossero stati congelati da qualcuno.

O qualcosa.

Sembrava una folle per come muoveva la testa da una parte all'altra del parco, quasi ossessivamente.

«Tina?»

«Sh!! C'è troppo silenzio!» Cercò di ammutolirlo lei. La sua voce, per quanto appena percettibile, era ben udibile in quella landa desolata, unico suono in quel campo silenzioso.
Ebbe un nodo alla gola.Vento, freddo, ghiaccio. La superficie acrilica dei lampioni ricoprirsi di cristalli di ghiaccio.

No, non era normale.

Un presentimento che la fece tremare. Anche Jacob sembrava alquanto spaesato da quella visione, lui però era molto più confuso di lei, forse ancora un po' estraneo da quel mondo magico.

«Lumos
Quella della bacchetta era adesso l'unica fonte di luce. Eppure continuava a vedere nulla di strano. Jacob dovette scostarsi per evitare che delle stalattiti particolarmente appuntite gli cadessero sulla testa, mentre i margini della panchina, la superficie che non era ancora venuta a contatto con il suo sedere, iniziarono a riempirsi di neve e ghiaccio. In estate? Non ci capiva un accidenti!

«Tina...»
Solo allora lei si voltò di scatto infastidita, incrociando le braccia al petto.
«Jacob, ti avevo chiesto di stare in silenzio, ti avevo chiesto di...» si ammutolì.
Ebbe un violento fremito quando vide chi, o meglio cosa si ergeva a qualche metro di distanza da loro. Ed erano terribilmente vicini. Ad ogni passo sentiva il loro respiro di ghiaccio sul collo.
Quelle figure scheletriche avvolte nei loro logori e altrettanto oscuri mantelli. Incapace di controllarsi, cominciò a sbattere gli occhi, pietrificata mentre Jacob cercava di farla ritornare alla realtà, alquanto confuso dalla sua reazione, visto che all'orizzonte non vi era praticamente nessuno. Non riusciva a fiatare, le parole le erano morte in gola.
«Tina...?»
Sentire pronunciato il proprio nome ad alta voce la fece ridestare, le ricordò che non era responsabile solo della propria vita in quel momento.
Con una rapidità sconvolgente, dopo aver recuperato il sangue freddo, si voltò verso Jacob e lo costrinse ad alzarsi dalla panchina. I suoi pantaloni si erano praticamente incollati sulla superficie ghiacciata.

«In nome di Deliverance Dale... Mercy Lewis... merda!! Jacob, corri!! Alza quel maledetto fondoschiena!!»

Quella parola... Jacob si voltò verso di lei, ignorando l'ansia e il terrore nella voce.

«Tu... c-conosci le parolacce babbane?» Sembrava alquanto colpito, entusiasta a dire il vero, nonostante l'ansia e il terrore della ragazza, accennò un enorme sorriso.
«Ovvio, no? Come farei l'auror altrimenti?»

Lei non aspettò una sua risposta, lo afferrò per il braccio, invitandolo ad affrettarsi a muovere le sue gambe. Nella fretta gli cadde di mano il vassoio con il gelato destinato alla moglie, e prontamente si chinò in un disperato tentativo di raccoglierlo, ancora incapace di giudicare con i propri occhi che cosa stesse succedendo esattamente. Lei lo strattonò ancora più energica. Proprio ora aveva il desiderio di chinarsi a raccogliere le carte e fare e il bravo cittadino?
«Ma... i gelati...» sembrava alquanto dispiaciuto.
«Lascia perdere i gelati!!» Tuonò lei, con la mente offuscata dal panico.
Il rischio era davvero alto! Se l'avessero vista usare la magia addio alla sua rispettabile carriera, ma se non si fosse affrettata ad usarla... sarebbero morti! Due fantocci senza anima! Non era proprio l'alternativa migliore, ovviamente, quella di aspettare i rinforzi. In quel momento non le importava minimamente il Macusa.

«Io non, io non vedo niente!»

Aveva dimenticato che i babbani non potevano vederli.

Che stupida!

«Dissennatori!» Rispose con un filo di voce, «Voi babbani non potete vederli!»
Dovevano essere pericolosi, pensò Jacob, visto che era visibilmente terrorizzata.

«E... e che cosa fanno esattamente?» Prese un respiro profondo.
«Ti risucchiano l'anima dal corpo... per... nutrirsi.»
Nonostante fosse la metà di Jacob cercò di coprirlo, di proteggerlo dall'influenza di quei mostri con il cappuccio come meglio poteva.
«Resta vicino a me, Jacob»
Adesso era terrorizzato come non lo era mai stato, e altro non poteva fare che annuire.
È un'auror, lei è addestrata, è il suo lavoro difendersi con la magia, pensò il pasticcere.
Desiderò smaterializzarsi, anche a costo di vomitarsi addosso. Non si sarebbe più lamentato della... come si chiamava? Smaterializzazione?

«E, e chi si muove!!» Singhiozzò, stringendosi a lei come una palla al piede, quando intravide delle ombre farsi largo nella piazza.

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