26.1. Muse

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Tina's POV
1 settembre 1933
( Prime ore del giorno )

Quella era la prova tangibile che stava diventando matta, o che lo sarebbe divenuta di lì a poco. Forse era davvero così folle. Una parte di lei era arrivata a credere all'autenticità di quel poemetto eziologico. Erano le due passate e non riusciva a chiudere occhio da più di mezz'ora. Incapace di non fare altro che rigirarsi fra le coperte, con uno sforzo titanico si era rimessa in piedi e si era avvicinata alla valigia ai piedi del letto, dove aveva scorto un volume seminascosto fra la sua biancheria.

Quatta quatta, si era seduta alla scrivania e, cercando di non fare troppo rumore e non svegliare Newt, lo aveva aperto e aveva iniziato a rovistare fra la sua roba alla ricerca di una pergamena pulita, dove annotare eventuali informazioni. Anche lei era rimasta piuttosto attratta dall'immagine incisa sul dorso della copertina: una maschera, anche se di terracotta.

Il titolo "Idilli" non le diceva nulla, aveva impiegato parecchi minuti a concepirne i caratteri nella sua mente e a decifrare l'iscrizione ai margini in latino. Fortunatamente aveva qualche vecchia reminiscenza.

Ringraziò i pomeriggi trascorsi a decifrare i vecchi volumi scritti latino delle dispense della scuola, nonostante la fatica e le imprecazioni che spesso le erano scappate. Solo dopo aver intuito che cosa celasse il contenuto della prima pagina, suddivisa in due colonne, una in greco antico, forse, e l'altra in latino, si accorse delle note e della traduzione completa a piè di pagina.

Era una traduzione che, però, andava a sua volta convertita e tradotta in linguaggio parlato. Meglio leggere il testo da quei caratteri arcaici, che lei disconosceva, piuttosto che da una lingua che, nonostante le appartenesse, le sembrava del tutto sconosciuta. Una traduzione blanda che non le diceva nulla, ridotta al minimo significato.

«Inglesi!» Sospirò sussurrando, massaggiandosi le tempie.

Perchè dovevano essere tanto complicati?

Urtò con il gomito la penna stilografica che, ruotando su se stessa, atterrò sul pavimento, emettendo un sonoro "Clack". Imprecò, doveva cercare di non fare troppo rumore.

Corresse i refusi, attingendo alle regole lessicali dalla sua memoria, rileggendo più e più volte ciò che aveva tradotto. Non era male, magari era rimasto solo qualche errore, eppure aveva senso, nonostante si trattasse solo di poesia.

Se Lally lo aveva lasciato nella sua stanza, evidentemente lo aveva già letto e desiderava un confronto con lei. Lei non era colta come lei, nonostante Eulalie Hicks, cultrice di incantesimi e sapere, dicesse il contrario.

Con il passare dei minuti, divenne sempre più semplice cogliere il significato nascosto di quelle parole, che rappresentavano una tradizione letteraria senza eguali. Quasi si meravigliò di se stessa, della sua perspicacia. Non poteva essere stata proprio lei...

Nel silenzio assordante della sua mente, una mano le toccò la spalla.

Tina trasalì, si alzò di scatto brandendo la bacchetta. Il movimento del suo corpo fece svolazzare qualche foglio di pergamena, che si sparpagliò sulla superficie di legno.

«Merci Lewis! Newt! Mi hai spaventata!» Squittì, con gli occhi ridotti a fessure.
«Stavo per schiantarti!» Lo scrutò da capo a piedi, cercando di incrociare i suoi occhi, completamente ricoperti dai suoi capelli ribelli.
Newt dovette scostarseli via dal viso per avere una buona visuale, nonostante il sonno lo rendesse molto più impacciato.
«Mi dispiace.» Balbettò lui.
Tina, a quel punto, si lasciò cadere nuovamente sulla sedia e scosse la testa un po' più rasserenata.
«Non importa. Solo... non vorrei schiantare la persona sbagliata.» Gli accennò un sorrisetto.
«Voi auror... andate in giro per casa anche con la bacchetta?»
«No, non tutti almeno. Soltanto io...» ridacchiò, lanciandogli una falsa occhiatina furibonda.

Il suo impaccio era stato sufficiente a creare un trambusto, anche se di lieve entità. Non riusciva a essere ovattata neanche sforzandosi.
«Non volevo svegliarti.» Abbassò lo sguardo, indirizzandolo alla penna che stringeva fra le mani.
Newt scosse la testa, continuando a sorriderle timidamente. La luce da tavolo sulla scrivania rendeva evidente il rossore sulle sue guance.
«Io... dovevo andare al bagno...» divenne ancora più paonazzo «quando mi sono alzato, non ti ho vista, così... ecco, ti ho cercata e... e ti ho trovata qui. È tardi... dovresti essere a letto, a... a dormire! Non sei stanca? Sapevo dalle tue lettere che spesso lavori di notte, ma...»

«Lo so» Sospirò l'auror con un mezzo sorriso «ma sai come sono fatta, quando c'è un caso, ecco... non riesco a fermarmi. E poi, non sto lavorando, o meglio sì, ma... sto leggendo, ecco. Lally voleva avessi questo libro, forse non ci ha trovato nulla di interessante, e forse mi illudo che potrei ricavarci qualcosa io. Ma che cosa mi costa tentare?» Gli mostrò gli appunti e il libro che stava consultando.
Le sarebbe stato molto utile avere un altro paio di occhi in più. Magari lui capiva un po' meglio la traduzione e le avrebbe spiegato eventuali idiomi del suo dialetto.

Newt si sedette accanto a lei, cercando di non fissarla tropo mentre lavorava. Gli piaceva scorgere di tanto in tanto quella ruga di insoddisfazione sulla sua fronte, a dimostrazione della sua incapacità di lasciare un caso irrisolto. Avrebbe fatto di tutto, nelle sue capacità, per dare una soluzione a quell'enigma che, al momento, le sfuggiva.

«Hai...?»
«Forse sì o forse no» si grattò la nuca, prendendo con una mano la tazza di caffè che lui le aveva gentilmente offerto, senza tuttavia distogliere lo sguardo dalle pagine che stava ripassando con lo sguardo.
I suoi occhi vagavano dai fogli volanti che teneva con il gomito alle pagine spiegate del libro, come se stesse accertando di non commettere alcun errore.

Amava vederla lavorare a quel modo. Sembrava esperta, nonostante la sua giovane età.

«Il tuo sorriso sembrerebbe dire il contrario...»
«Può darsi...» sorrise allusiva, con fare complice.
«Sono tutto orecchi!»

Niente poteva sfuggirgli, constatò felice fra sé e sé. Era attento a tutto ciò che faceva, ogni suo minimo gesto, e la cosa non le dispiaceva.

Con mano un po' tremante, un po' timorosa forse di vedersi vanificare i propri sforzi e le proprie intuizioni, Tina gli passò un pezzo di pergamena, dove aveva trascritto dei versi in latino e, a fronte, la traduzione.

«Ecco, questa frase potrebbe sembrare banale, ma... da ragazza ho letto qualcosa a riguardo, sulla mitologia, e credo che ci siano dei dettagli che non possano essere ignorati. Non sono direttamente riconducibili alle maschere, ma c'è qualcosa che mi fa pensare a quell'articolo di giornale che ho trovato negli archivi del macusa. Sai... della ragazza e dell'aquila...»

Ego te quoque, Daphne, et capraium virum parentis,
validus ut Mars, et amabilis ut amor ipse,
virum quem suavibus audimus delectari.
non enim quidquam lingua decens verbum effugit.

A primo impatto Newt non riuscì a capirci un gran che, felicissimo che Tina si fosse presa il disturbo di scrivere anche la traduzione che, ai suoi occhi, continuò ad apparire come un mistero.

«Non riesco a capire...» mormorò, dopo che lei lesse lentamente per la seconda volta i versi.
Era troppo euforico per concentrarsi. Davvero Tina conosceva il latino?

Anch'io ti celebro, Dafni, e il capraio, figlio di un uomo forte,
forte come Marte e amabile come l'amore stesso,
un uomo che sappiamo dilettarsi delle cose dolci.
non vi è parola che sfugga alla sua abile lingua.

E, per quanto si sforzasse di capire, Newt non riusciva proprio a farlo.
«Un pastore?»
«Un uomo» specificò Tina con un sorriso.

alii quidem alios amores, ille autem primus amores
Musa celebravit et sero natus Dafnis.

«Amato dalle muse e lodato come un dio!»
«E...?»
«E se le maschere siano proprio così? Insomma, uomini... ma con doti straordinarie?»

Dafnis autem in Olympum ascendit et sedebat
iuxta Iovem patrem, qui omnibus imperat;
illum autem dilectae mulieres circumdedisse,
Musae, et Aphrodite circa herbas florentes;

«Ci ho riflettuto bene... hanno origini antiche, se ne parla in molte leggende, anche se non direttamente. Esistono, ne abbiamo la certezza, adesso che Grindelwald ha reso a tutti nota la cosa. Ma, mi chiedo, come sia possibile. Un uomo non può vivere per millenni, a meno che non abbia trovato una soluzione perché si renda momentaneamente immortale! Magari dell'elisir di lunga vita o...»
«Del sangue di unicorno!» Rabbrividì Newt, che adesso aveva ben chiaro il suo ragionamento. 
«Magari le maschere non esistono, magari sono solo delle costruzioni apparenti! Magari»
«È solo una copertura. Potrebbero essere dei maghi, o delle creature umanoidi che tentano di confondersi tra la folla. Ecco perchè Aurelius li ritiene tanto pericolosi. Spero solo che non si cacci nei guai.»

«Quali creature conosci? Quali creature sono capaci di nascondersi e assumere sembianze umane?» Ragionò l'auror, voltandosi a guardarlo.

Lasciò cadere la penna e gli appunti nuovamente sulla scrivania, allungando le braccia e accarezzandosi le spalle doloranti. Aveva mantenuto per più di un'ora la stessa posizione, dimenticandosi di sgranchire i muscoli, che adesso le bruciavano.

«Le veela, oppure le sirene... ma non possono stare troppo a lungo fuori dall'acqua. C'è qualche testimonianza riconducibile ai laghi o ai fiumi?»
«No...» rispose istintivamente lei, ma subito dopo si ricordò che la sua memoria avrebbe potuto giocarle un qualche tiro mancino e si bloccò.

In effetti, non aveva molto materiale su cui riflettere. Aveva trovato una singola testimonianza di quell'evento traumatico, e non ricordava che la giovane donna avesse citato, nei suoi presunti "deliri", l'allusione di una distesa acquosa.

«No» ripetè, questa volta un po' più sicura di sé.
«C'è qualcosa che ci sfugge, Newt. Dafni sembra un pastore, rozzo ma dall'aspetto venerabile, sempre sorridente. Quella donna ha detto che quell'uomo le sorrideva, che aveva un sorriso impossibile da dimenticare. Forse è solo poesia e sto sprecando tempo. O forse»

«Quell'uomo lo considera un modello!»
«... lo considera un modello!»

Ripresero a fissarsi, quando quella frase fuoriuscì contemporaneamente dalle loro labbra. Allora pensavano la stessa cosa. Se entrambi avevano avuto la stessa intuizione, non erano del tutto sulla strada sbagliata.

«Magari le maschere stanno cercando di imitare la tradizione! La mitologia... insomma, anche se questo Dafni non indossa una maschera sul volto... interpreta comunque due ruoli diversi! Quello di capraio e poeta, e... quello di una figura divina.»

«Sì.»

Come mai non ci era arrivato prima?

Sembrava tutto così logico, ma allo stesso tempo troppo semplice e intuitivo da capire!

«E poi, anche Dafni è giunto con il suo gregge a mezzogiorno!»
Unì i puntini, continuando a incrociare i suoi occhi cristallini, debolmente illuminati dalla luce lunare.

Newt rimase in silenzio per un attimo, ma subito dopo le sorrise. Sembrava piuttosto sorpreso, piacevolmente sorpreso.
«Che ne pensi? Anche se si tratta solo di poesia, sembra che tutti gli indizi coincidano!» Gli chiese timidamente, un po' timorosa che lui la ritenesse una povera sognatrice. La sua risposta la spiazzò, e non poco.
«Penso che solo tu saresti stata in grado di leggere tra le righe!»
«Ah sì?» Le scappò un piccolo fremito.
«Sì» le sorrise.

Dubitava delle sue capacità. Newt desiderava tanto che lei si vedesse com'era realmente, con la stessa ammirazione che lui stesso le riservava.
«Io non ci avrei mai pensato! Dico davvero!»

Allungò la mano, ma si bloccò a mezz'aria.

Forse sarebbe stato eccessivo accarezzarle la guancia. La ritrasse lentamente e abbassò lo sguardo.

«Credo... che sia arrivata l'ora di andare, o meglio tornare a dormire. Anche per te... non fai altro che sbadigliare.»
Anche lui era abbastanza intuitivo, tanto da capire che non si reggeva in piedi per la stanchezza.
«Ho ancora abbastanza ener-»
Un sonoro sbadiglio le impedì di concludere la frase. Tina si accarezzò il viso per svegliarsi un po' da quel suo torpore, dimenticando di mettere la mano davanti alla bocca.

«Sì» le sorrise il magizoologo, incapace di non darle ragione.
«Credo proprio che dovrò trascinarti!» Inarcò un sopracciglio e Tina ridacchiò lievemente.
«Può darsi.» Sorrise.

Con calma, allungò la braccia per avvolgerle le spalle, invitandola gentilmente ad alzarsi. Le gambe quasi cedettero, piegandosi appena da sole, facendole perdere l'equilibrio.

Considerando i suoi ritmi di lavoro, non poteva non aspettarselo.

«Vuoi che ti accompagni a letto?»

Nonostante la nota di ilarità nella voce, Tina non potè non cogliere quella sfumatura di dolcezza, che le solleticò le labbra.
«Ce la faccio...» ma quando le gambe quasi le cedettero, si lasciò scappare una risatina imbarazzata e incrociò i suoi occhi, prima di abbassare lo sguardo e lasciarsi sfuggire un altro piccolo sbadiglio.
«Sicura?»
«Potrei...»
«Potresti!» Ridacchiò il magizoologo, lasciando che lei si appoggiasse a lui «Forza, zucchina. Torniamo a letto.»

Indossava un pigiama talmente leggero che non le dava volume. Adesso che la stringeva, non protetta dal suo pesante cappotto, poteva notare quanto fosse dimagrita in quegli ultimi mesi. Sembrava molto più fragile rispetto alla prima volta in cui l'aveva vista.

Eppure, Tina Goldstein era una donna, cazzuta.

«Zucchina.» Ripetè l'auror, lasciandosi guidare, sentendo le lacrime pungerle il bordo degli occhi.

Aveva le mani così morbide, la sfiorava come se avesse paura di romperla.

Erano anni che non la chiamavo con quel nomignolo affettuoso, da quando era bambina. L'ultima volta era stata sua madre a metterla a letto, avvolgendole le spalle con un solo braccio.

All'epoca, era più che sufficiente per proteggerla.

Incrociò lo sguardo del mago, che faceva attenzione a non sbattere contro qualche arnese nella stanza.

«Forse è meglio» sospirò.

A lui avrebbe dato privilegio di chiamarla così. Con lui non aveva paura di sentirsi vulnerabile.

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