Capitolo 2

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Anywhere, anytime

I would do anything for you


I've become what you cannot embrace

Our memory will be my lullaby

Sing me to sleep now

- Alan Walker


Era esausto.

Mettere su la maschera di affabilità che sin da piccolo aveva imparato a costruire non era mai stato un problema per lui, lo aveva sempre aiutato ad avere a che fare con le persone; tuttavia, questa volta era stato costretto a staccare la spina prima del previsto.

Lo sguardo profondo, annacquato dalla tristezza, che Alec gli aveva rivolto mezz'ora fa gli stava ancora scavando nel petto, logorava e corrodeva le pareti del suo cuore, continuamente accusato dalla mente di essere stato troppo espansivo.

Alec stava soffrendo, e la colpa era sua.

Avvicinarglisi sin dal primo momento era stata una reazione istintiva, quasi necessaria. Non ci era voluto molto, dopo il loro primo incontro, affinché divenisse urgente il desiderio di vederlo sorridere senza un motivo specifico. Eppure, adesso, quel sorriso faticosamente ottenuto dopo mesi era stato spazzato via da un semplice gesto di troppo.

Salì l'ultimo gradino e si guardò le mani, immerso nel rimbombo distante del chiacchiericcio di quella festa alla quale non avrebbe mai desiderato partecipare. I suoi occhi si trovarono puntati sulle vere artefici di tutto quello, tremanti, che con pochi gesti avevano avuto il potere di spezzare il fragile equilibrio che teneva Alec vicino a lui. Che teneva Cassie vicino a lui.

La sua fidanzata segreta era un altro paio di maniche, del quale non era ancora riuscito a occuparsi. Aveva accampato scuse su scuse per non incontrarla a scuola o di pomeriggio, aveva ridotto il tempo con lei all'osso di proposito. Come un codardo. O, almeno, gli piaceva pensare che fosse così. La congettura che fosse passata in secondo piano davanti a tutta quella storia con Alec non era contemplabile per Adam, che si sentiva fin troppo menefreghista anche solo a ipotizzarlo. Per quanto ci provasse, non riusciva davvero a provare sensi di colpa nei confronti di Cassandra. L'atto che aveva compiuto verso Alec non aveva avuto secondi fini, non era stato premeditato e la sua intenzione non era stata quella di fare un torto alla propria ragazza. Non l'aveva fatto a quello scopo, ecco.

Perché l'aveva fatto? Più ci rifletteva e più non trovava la risposta, ma quando ricordava il consiglio datogli da Mya gli risultava difficile convincersi di esser stato in errore. La sorella gli aveva detto di seguire il suo cuore, e ciò che era accaduto quel giorno era stato semplicemente frutto del suo volere incondizionato. E di quello di Alec. Di questo era sicuro, non v'era alcun dubbio, bastava come conferma il modo in cui aveva reagito quando...

Accidenti, Adam! si riprese, ricominciando a camminare. Si era ripromesso di non pensarci da quella sera in poi. Alec era sfuggito ai suoi sguardi come fosse un fantasma, ed era evidente che non voleva che gli rivolgesse la parola; che dimenticasse, che facesse finta di niente. Non era nel suo stile fare qualcosa di simile, ma aveva davvero scelta? Aveva scelta adesso che Alec stava annunciando pubblicamente il matrimonio con Mya? Un vero matrimonio, che lo avrebbe allontanato sempre di più...

Il brusio lontano si attenuava man mano che si allontanava dalla scalinata in marmo chiaro per addentrarsi nei corridoi in penombra. Al suo posto, un rumore insolito lo sostituì, attirando l'attenzione di Adam. Sembrava quasi lo strascichio di qualcosa che incedeva in maniera lenta e perpetua, ma alcuni colpi bassi e secchi lo interrompevano ritmicamente.

Affrettò il passo per raggiungere l'angolo, sicuro di distinguerne la fonte, ma proprio un attimo prima di avere la visuale sgombra gli arrivò alle orecchie quella che forse era un'imprecazione non molto sensata, seguita da un suono che pareva a metà tra un singhiozzo e una risata isterica. Riconobbe la voce inconfondibile di Alec nello stesso momento in cui svoltava e lo individuava.

V'era poca luce in corridoio, ma la carente illuminazione faceva comunque risaltare i riflessi biondi sui capelli del ragazzo, che ormai avevano acquisito una lunghezza accettabile. Più volte negli Adam li aveva ammirati desiderando di saggiarne la morbidezza, ma si era sempre trattenuto e, a quanto pareva dagli ultimi risvolti, aveva fatto bene.

Il giovane Callaway era sulla sua sedia, le mani sulle ruote e la postura tendente in avanti, pronta ad avanzare. C'era solo un unico problema: era incastrato tra la parete e una sua colonna, e se non avesse indietreggiato almeno un po' non ce l'avrebbe fatta a proseguire.

Adam rimase fermo nell'attesa che Alec si raddrizzasse e lo identificasse, ma si accorse che quest'ultimo perseverava nel cercare di andare dritto sino a farsi sfuggire qualche debole lamento, a malapena udibile.

«Alec» chiamò ancor prima di realizzare ciò che stava facendo. Non appena udì la sua stessa, insicura voce, si tappò la bocca e si impedì di continuare, ma ormai era tardi, e l'altro l'aveva sentito, a giudicare dalla rigidità che la sua schiena aveva assunto.

Passarono lunghi istanti durante i quali parve dissolversi qualsiasi suono, persino quello dei loro respiri. Poi Alec si voltò lentamente e gli rivolse uno sguardo oscurato dalle tenebre che li circondavano.

Adam era sicuro che l'altro l'aveva ormai scorto, ma il suo desiderio di sentirlo parlare non venne esaudito come sperava. Si ritrovò quindi a dover prendere di nuovo iniziativa. «Che ci fai qui?»

Ci volle ancora qualche ulteriore attimo prima che Alec si riscuotesse dalla sua immobilità e tornasse a dargli le spalle per tentare di avanzare.

«Stavo andando... in camera» biascicò a mezza bocca, e Adam l'attribuì al fatto che non volesse conversare con lui. Ciononostante, rimase comunque a studiare perplesso i movimenti scoordinati del ragazzo. Non sembrava incastrato in una posizione dalla quale era particolarmente difficile uscire, di norma gli sarebbero bastati poche torsioni dei polsi per orientare le ruote nella giusta direzione. L'improvvisa supposizione che non stesse bene lo colse impreparato, mozzandogli il respiro. Senza potersi controllare, si avvicinò ad Alec molto più di quanto lui non gli avesse concesso negli ultimi giorni, e gli prese un braccio per farlo voltare.

«Che fai?!»

Nonostante il buio, a quella distanza ravvicinata fu in grado di scorgere l'espressione vacua sul viso dell'altro, gli occhi arrossati e le gote imporporate. Proprio mentre stava iniziando a preoccuparsi, l'odore inconfondibile del Martini gli pizzicò le narici, e allora ricordò di aver visto il giovane Callaway nel salone delle cerimonie con un bicchiere di quel liquore in mano, giusto una mezz'ora prima.

«Ti accompagno» rispose, appena un po' in ritardo, e fece per posizionarsi dietro la sedia, quando Alec gli strinse forte l'avambraccio. Le sue dita erano ghiacciate, come spesso aveva potuto constatare in passato. Aveva imparato che di rado si scaldavano, come se volessero conservare parte della freddezza che inevitabilmente macchiava l'animo di quel ragazzo.

«Posso andare da solo» farfugliò, poi tornò a concentrarsi sulle ruote come se reputasse terminato quel discorso.

Adam rimase per qualche istante indeciso se aiutarlo o meno, ma quando lo sentì imprecare ancora afferrò i manici della sedia a rotelle e con semplici movimenti tirò fuori Alec dall'angoletto in cui si era bloccato. Spingerlo di nuovo come non gli era più permesso gli arrecò una fitta di nostalgia.

Nonostante le flebili lamentele dell'altro, proseguì fino alla sua stanza senza ascoltare le sue richieste di smettere, le quali si facevano sempre meno incisive. Quando arrivò davanti alla porta che negli ultimi giorni aveva spesso contemplato all'insaputa dell'occupante, esitò solo un secondo, poi spinse la maniglia ed entrò, chiudendo fuori ogni residuo dei festeggiamenti al piano di sotto, come se al buio puro di quel luogo, dove in tante occasioni si era sentito tranquillo, avrebbe potuto scrollarsi di dosso la pesante consapevolezza della serata.

«Non vedo niente» protestò Alec, la cui voce si era fatta sottile, come se non riuscisse più a restare vigile.

«Ecco, ora accendiamo la luce.» D'istinto, le parole gli erano uscite basse e rassicuranti, come molte altre volte gli era successo in presenza di quel ragazzo.

Accompagnato dai borbottii indistinti provenienti dalla bocca del giovane Callaway, lo condusse fino al comodino senza alcuna esitazione e accese l'abat-jour: sebbene la disposizione dell'arredo fosse cambiata da quando lui aveva lasciato la camera al suo ospite, la conosceva come le sue tasche per tutte le volte che era stato lì. Un'altra fitta gli mozzò il respiro nel momento in cui ripensò a quelle serate passate in compagnia del suo nuovo amico. Amico... poteva definirlo ancora così? Cos'era accaduto per l'esattezza tra loro? Si era posto questo quesito più volte negli ultimi giorni, ma non era riuscito a venirne a capo. Sapeva solo che non amava catalogare ed etichettare ogni situazione e ogni relazione. Aveva solo agito come entrambi avevano desiderato, e non credeva di doverla pagare così cara per questo.

«Letto...» biascicò Alec, sporgendosi appena in avanti con un braccio.

Adam lo osservò arrancare fino a capire che non ce l'avrebbe fatta da solo, allora gli si posizionò davanti per tirarlo su, come diverse volte gli era capitato durante la terapia. Non poté fare a meno di domandarsi se il suo paziente avesse continuato a fare esercizi da solo dopo aver iniziato a evitarlo, ma non trovò risposta.

«Ti tiro su, così puoi andare a letto, ok?» lo avvertì, cercando di incrociare il suo sguardo vagante.

Alec corrucciò le sopracciglia in un'espressione a dir poco tenera, malgrado il suo iniziale scopo, ovvero quello di esternare stizza.

«Va' via» replicò, e cercò di allontanarlo usando i palmi come scudo davanti a sé.

Dolcissimo. Scosse forte la testa a quel pensiero e quasi barcollò. Che diavolo gli veniva in mente?

Gli circondò i polsi con delicatezza e glieli riportò a posto senza troppi sforzi. Poi si impegnò a tenere il tono stabile per parlargli con calma. «Ti aiuto solo a stenderti. Dopo me ne vado. Va bene così?»

Ingoiò il nodo all'altezza della gola mentre l'altro focalizzava finalmente le iridi color del ghiaccio su di lui. Si sentì perforato da un freddo intenso, eppure i termosifoni erano accesi e in quella stanza si stava bene. Era la prima occasione in cui gli rivolgeva più di un'occhiata di sfuggita da quella volta, e si meravigliò di come potesse scavargli dentro con quei diamanti nonostante lo stato di ebrezza.

«Va bene così» lo udì ripetere a pappagallo, poi lo vide prepararsi per alzarsi.

Si obbligò a riscuotersi in fretta e allungò le mani sotto le sue braccia per fare leva. Gli fu così vicino che il suo profumo familiare lo inondò, facendolo accorgere di quanto gli era mancato. Si crogiolò in esso solo un istante, poi tappò le vie respiratorie e fece forza per alzare il peso.

Al contrario di come era accaduto ultimamente, l'amico non diede cenno di collaborare, rimase a peso morto senza nemmeno cercare di poggiare i talloni a terra. Adam notò con disappunto come non era migliorato affatto da quando avevano smesso di esercitarsi insieme, anzi era tornato come all'inizio. Di certo c'entrava l'alcol che aveva nel corpo, ma sembrava anche carenza di volontà, come se tutto l'allenamento che avevano fatto non fosse mai esistito.

A dispetto di ciò, lo trovò molto leggero, troppo, quindi non gli ci vollero ingenti sforzi per adagiarlo sul letto. Quando gli strinse le gambe per sdraiarlo, udì solo qualche fiacco gemito, poi cadde il silenzio.

«Dormi?» provò a chiedere. Il ragazzo era ancora vestito e il suo completo non era dei più comodi, ma non si azzardò a toccarlo nuovamente. L'ultima volta non aveva saputo controllarsi, e temeva che anche adesso sarebbe finita allo stesso modo.

Alec non rispose, ma si mosse per portarsi le mani all'altezza del petto. Adam riuscì a capire cosa stesse facendo solo quando lo vide litigare con un bottone della camicia. Presto ci rinunciò e tentò di tirarsela via con un lamento, e solo a quel punto il giovane Brass decise di intervenire.

«Aspetta.» Gli scostò le dita e le sostituì con le proprie. I polpastrelli gli sfiorarono la pelle del collo e sentì Alec sospirare.

Slacciare i bottoni si rivelò molto più complicato del previsto: le mani gli tremavano e il contatto obbligatorio che tutto ciò implicava suscitò in lui fin troppa eccitazione. Sentì le guance avvampare quando si rese conto che Alec lo stava guardando. Era appena assente, ma nei suoi occhi inumiditi dalla sbornia c'era anche qualcosa di speciale che non riuscì a identificare, che gli mozzò il fiato in gola.

Perché il suo corpo reagiva così a quello di un altro ragazzo? Non gli era mai successo prima, Alec innescava in lui meccanismi che nessun'altra persona era stata in grado di attivare.

Liberò l'ultima asola e la camicia si aprì del tutto sul torace magro di Alec. Deglutì a fatica di fronte a quella visione, mentre sentiva che la frenesia provata gli stava accentuando il gonfiore all'altezza dell'inguine.

«Freddo...» si lamentò il giovane Callaway, poi emise qualche mugolio.

In un secondo gli tornarono in mente i gemiti di piacere che aveva udito quando l'aveva toccato, e il desiderio quasi primario di sentirli ancora lo fece protendere verso quell'addome piatto. L'istinto gli ordinava di sfiorare, anche solo per un attimo, la pelle lattea e increspata di segni, ma a metà strada si trattenne. Non sarebbe finita bene, e Alec ne sarebbe stato di nuovo sconvolto. Non poteva assecondare tutto ciò.

Chiude le dita in un pugno, che si riportò al fianco. Prima di andare via, si permise un'ultima occhiata alla fonte di ogni sua recente preoccupazione. Alec aveva gli occhi semichiusi, ma lo trafiggeva con uno sconforto evidente, che non fu capace di sostenere. Sospirò e si girò per andarsene, lasciandosi alle spalle tutto ciò che invece avrebbe voluto racchiudere tra le braccia fino a scordarsi del resto.

Accennò un passo, ma si bloccò quasi nell'immediato, quando percepì qualcosa di gelido circondargli il polso. Avvertì un vuoto improvviso nel petto a quell'anomalia, che poteva significare una sola cosa. Si voltò.

Alec non lo stava più guardando, al suo posto fissava l'alto soffitto della stanza, dal quale pendeva il lampadario di Swarovski che Eleanor aveva scelto per la cameretta di suo figlio quando lui aveva undici anni. Era spento, ma la luce che arrivava dall'abat-jour faceva comunque risplendere qualche pietruzza.

Trascorsero diversi secondi, tanto che Adam credette di essersi immaginato di essere stato trattenuto, ma quando abbassò lo sguardo per accertarsene, la mano di Alec era lì, stretta convulsamente sul suo braccio, avorio ghiacciato contro pelle bollente, resa ancora più calda dal pompare rapido del suo organo vitale.

«Resta stasera» pronunciò Alec, così piano che se non fosse stato per la totale assenza di rumori non l'avrebbe sentito.

Il respiro gli venne a mancare; dimenticò ogni parola. Avrebbe voluto rispondere, ma ebbe bisogno di parecchi istanti per di ritrovare l'uso della lingua. A quel punto, quando stava per aprire bocca, scorse sulla guancia di Alec lo stesso luccichio che prima aveva visto sul cristallo, e in silenzio seguì la scia di quella gocciolina di ghiaccio liquefatto che abbandonava per sempre il diamante ora nascosto sotto la palpebra.

Il cuore gli sprofondò nel petto e si sentì sporco per provare sensazioni così fisiche verso di lui, che invece necessitava di ogni riguardo.

Senza aggiungere altro, si posizionò nel piccolo spazio accanto ad Alec, che odorava di nostalgia. «Resto quanto vuoi» riuscì a sussurrare infine, socchiudendo le palpebre. Non osò toccarlo più di quanto era sicuro fosse lecito, e solo quando percepì il suo respiro lento e pesante fu in grado di sentirsi un po' più calmo.

Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quel suono apparentemente scontato, ma che tanto gli era mancato. Per la prima volta da quando Alec aveva iniziato a ignorarlo, poteva dirsi felice.

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