Capitolo 5

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Smoking with my demons

They trynna get my soul

They want full control

But I ain't letting go

- Sick Luke


Le labbra si poggiarono sul filtro e Alec inspirò profondamente, in automatico; un meccanismo che il suo corpo non aveva dimenticato, seppur fosse passato del tempo.

Il fumo gli graffiò la gola fino a divenire troppo bruciante per poterlo sopportare, poi restò catturato nei polmoni finché lui fu capace di trattenere il fiato. Passarono diversi secondi, poi rilasciò andare tutti i suoi demoni quando la testa ebbe iniziato a girare.

Il fumo dall'odore pungente gli uscì dalle narici e rimase a vagare tra le pareti chiuse della sua stanza mentre gli occhi seguivano appannati le sue volute. Era sicuro si fossero già arrossati, li sentiva bruciare un po', leggermente pesanti.

Senza darsi modo di riprendersi, prese un altro tiro, pensando alla proposta di Grant di fumare insieme che aveva rifiutato. Alla fine aveva usato la vittoria contro di lui per procurarsi qualche grammo, di cui gli aveva regalato qualcosa per zittirlo. Voleva rilassarsi, e voleva farlo da solo.

Con i piedi nudi sul pavimento lucido, sorrise senza un particolare motivo, seduto sulla morbidezza del materasso che di punto in bianco pareva più accogliente di quanto non fosse mai stato. I muscoli del volto si distesero via via che la cartina arrotolata bruciava, diventando sempre più piccola. Quando questa arrivò alle dimensioni di una normale sigaretta, ad Alec sembrava di essersi fatto fuori almeno tre canne di seguito. Aveva evidentemente perso l'abitudine.

La sua mente vagò fino a una delle ultime volte in cui aveva fumato. Era stato prima dell'incidente in quanto dopo aveva avuto raramente occasione di mettere mani sull'unica medicina per la sua psiche che ritenesse accettabile. Aveva trascorso quella serata con Jake, il suo migliore amico quando era a Phoenix, e si era divertito. Da quanto non si divertiva? Da quanto non vedeva i suoi amici?

Pensare a Jake lo portò a confrontare il rapporto che aveva con lui rispetto a quello odierno con Adam. Differenze abissali gli si pararono davanti, come il semplice fatto che non aveva mai dormito con Jake, non ci aveva mai fatto la doccia insieme né tantomeno si era lasciato toccare da lui come faceva con Adam. C'era qualcosa che non andava in tutto ciò, eppure non riusciva a convincersi completamente che ciò quello che aveva vissuto con Adam fosse sbagliato. Specie ora che la sua mente era più aperta del solito e vagava alla deriva, fino a addentrarsi in acque che Alec non avrebbe voluto esplorare. Perché continuava a stare lontano da Adam se gli faceva male? Perché non accettava ciò che era successo e, anzi, ne traeva beneficio come aveva inevitabilmente fatto quella sera?

La sua testa si fece sempre più chiassosa e piena di domande, tanto che cominciò a cogliere voci in lontananza echeggiare di sfondo alla sua. Non se ne preoccupò e si apprestò a fare un altro tiro, ma in quel momento sentì la porta aprirsi e le parole inconfondibili di Iris provenire dalle sue spalle.

Tra le frasi che lo raggiunsero frammentate, riconobbe il suo nome e quello di Adam, poi udì la voce del ragazzo in questione e si perse nel tono affabile ma leggermente insicuro. La porta venne richiusa ancor prima che potesse voltarsi, e dei passi si avvicinarono a lui.

«Adam» pronunciò rimanendo fermo. Non aveva compreso ciò che gli era stato detto con fretta, ma di una cosa era certo: sua sorella se ne era andata, mentre il suo accompagnatore no.

La punta bruciante della cartina iniziò a spegnersi man mano che questa giaceva intoccata tra le dita di Alec, che seguiva con attenzione i passi fin troppo lenti arrivare a lui. Quando Adam entrò nella sua visuale, si accorse di non essere in grado di focalizzarsi su un punto preciso, e la cosa gli provocò, per qualche motivo, una flebile risata.

Il giovane Brass si sedette al suo fianco, lo sguardo che celava irraggiungibili congetture per Alec. Non sapeva cosa aspettarsi da lui, ricordava vagamente che non si erano salutati nel migliore dei modi l'ultima volta. E questo gli creava non poco disappunto. In quel momento avrebbe solo voluto abbracciarlo e far finta che nessun problema esistesse. Ma qualcosa ancora lo frenava.

«Quella come te la sei procurata?»

Avrebbe dovuto prevedere che gliel'avrebbe chiesto. Non riusciva però a distinguere le emozioni che l'intonazione celava. Immaginò dunque che l'amico fosse indispettito da uno strappo alla regola simile, lui che teneva così tanto all'ordine e alla compostezza, alla buona educazione e tutte quelle stronzate lì.

«Grant.» Decise comunque di vuotare il sacco, tanto Adam non l'avrebbe mai tradito. Al massimo gli avrebbe rotto le scatole per quella sera, ma lui era abbastanza fatto da avere il privilegio di non ascoltarlo. Da quel pensiero nacque una nuova risata: si sentiva invincibile ed era una bella sensazione.

«Cosa c'è di tanto divertente?» Ecco che iniziava. Ma c'era qualcosa che non quadrava. Quella domanda avrebbe dovuto essere tagliente, e invece... Adam stava sorridendo. E non c'era pesantezza nella sua voce.

Si sforzò per concentrarsi sul suo viso e i suoi lineamenti distesi rilassarono pure lui, tanto che si dimenticò di rispondere. Dopo un po' ricordò di avere l'acciarino accanto a sé e lo prese per riaccendere.

Prima che potesse dar vita alla piccola fiamma, Adam si protese verso di lui e gli sorrise. «Fai fare un tiro anche a me.»

Alec rimase con le braccia a mezz'aria a chiedersi se non si stesse immaginando tutto. Ma non aveva preso droghe che portavano allucinazioni, di questo era certo.

In silenzio, restò a guardare l'amico che allungava la mano verso la sua, quindi gli lasciò prendere ciò che voleva. Quando Adam fumò davvero, fu sicuro che non fosse la prima volta che lo faceva. L'immagine di piena diligenza che si era fatto di lui cozzò con ciò che aveva davanti, e la cosa lo sorprese impedendogli di focalizzarsi su altro. Ma, più di tutto, lo tenne incollato la magnetica sensualità con cui quel ragazzo compieva un gesto tanto comune.

«Con tutto quello che è successo ultimamente, ci voleva» lo sentì commentare, e un campanello di allarme si accese nella sua testa. Forse dopo ciò che era accaduto tra loro non dovevano comportarsi così. Tuttavia, decise di ignorare quella sensazione, poiché rimirare le labbra di Adam che si poggiavano con delicatezza sul filtro era troppo allettante.

Entro qualche decina di secondi, il giovane al suo fianco si accorse di essere osservato e alzò un sopracciglio. «Che c'è?»

Alec trovò adorabile l'espressione che aveva in volto, ma non vi fece riferimento. «Niente.»

«No dai, ora devi dirmelo!» fece l'altro, corrucciando la fronte.

Lo vide avvicinare la canna al viso per la terza volta e desiderò toccarlo per assicurarsi che fosse vero. Dopotutto si sentiva strano, il mondo appariva a rilento, come se fosse sommerso dall'acqua.

«Se te lo dico che cosa ottengo in cambio?» chiese senza nemmeno rendersene conto.

Adam espirò una nuvola che si andò a unire con la cortina che appannava la stanza, i loro occhi e le loro menti. Rimase per qualche momento fermo e zitto, come se stesse riflettendo sulla scelta di parole. Un'ombra attraversò il suo volto per un solo istante, poi scosse la testa e piegò leggermente le labbra all'insù prima di riconsegnargli ciò che aveva in mano.

Alec lo vide aprire bocca e per un attimo desiderò non aver mai fatto una domanda simile. Temette per la risposta, ma al tempo stesso fremette per udirla.

«Potremmo...» Adam esitò, ma proseguì subito dopo, mentre Alec prendeva uno degli ultimi tiri. «Potremmo passare una delle nostre serate, come non succede da un po'. Che ne dici?»

«Magari» si lasciò sfuggire insieme al fumo, ma quando si accorse di ciò che aveva appena detto fu tardi per zittirsi. E comunque ne fu felice. Non voleva ritirarsi, sarebbe stato troppo difficile, troppo drastico da sopportare.

Adam gli regalò un sorriso genuino, di quelli che facevano nascere la fossetta che tanto amava. «Affare fatto» confermò quindi.

Alec restò in silenzio, cercando null'altro che la limpidezza dello sguardo di lui. Ancora una volta pensò che forse non era poi così santerellino come credeva.

«Allora? Sputa il rospo» lo incitò l'amico.

La sua espressione incuriosita lo fece di nuovo sorridere. «Niente» pronunciò. «Non mi sarei mai aspettato di vederti fumare» rivelò.

«Ah no?» Rise anche lui. «Cosa credi di me, che sono un vecchio,  noioso e seccatore?»

Quella definizione diede finalmente il via alle risate che volevano uscire a tutti i costi. Provò a rispondere, ma queste crebbero d'intensità e si ritrovò il petto scosso in una maniera tale che ultimamente aveva ottenuto solo con i singhiozzi. Wow.

«No, è che sei tipo un santo» riuscì a dire tra le lacrime.

Adam, che fino a quel momento aveva sghignazzato con lui, si fece serio. Per qualche secondo lo guardò fisso negli occhi, facendo scemare l'ilarità, poi parlò, utilizzando un tono più basso e roco di prima. «Santo o no, se per vederti ridere così devo ricorrere a questo, posso anche vendere l'anima al diavolo.»

Per qualche motivo, il battito seguente gli riverberò in ogni singolo tendine, e si sentì arrossire. Perché Adam pensava sempre al suo bene, anche quando lui lo allontanava malamente?

«Perché?» sussurrò, più rivolto a sé stesso che all'altro. «Perché ti ho detto quelle cose? Perché hai lasciato che lo facessi, senza aprir bocca?»

Sul volto dell'amico si dipinse un'espressione mesta ma cordiale. Era evidente che le sue parole gli avevano fatto male, ma allora perché non si era difeso? Perché non gli aveva urlato contro, inveito, alzato le mani, o qualsiasi altra cosa atta a proteggerlo da lui?

«Non erano vere» disse semplicemente Adam, con una mezza scrollata di spalle. Come se ciò potesse risolvere tutto. Non era così ed entrambi ne erano al corrente, eppure lo stava perdonando per l'ennesima volta.

La sua non era stata una domanda, ma Alec si sentì comunque in dovere di confermare. «No, non lo erano.»

«Lo sapevo» mormorò Adam, puntando i zaffiri verso terra con un sorriso.

«Ovvio che lo sapevi. Tu sai sempre tutto.»

Il giovane Brass scosse la testa e le labbra si tirarono a tal punto da mostrare gli incisivi, mentre anche la fossetta spuntava di nuovo fuori. Forse la marijuana, i cui resti ora giacevano sul posacenere ai piedi del letto, aveva fatto effetto anche su di lui.

«Non è così» negò il ragazzo.

«Sì, invece» puntualizzò Alec. «Sai cose su di me ancor prima che le sappia io.»

I zaffiri lo perforarono, non avevano perso la loro allegria. Sotto la luce del lampadario di cristallo assumevano riflessi più lucenti del solito. «Questo è perché hai la testa dura e ti ostini a guardare solo in una direzione fino all'ultimo.»

Dovette concordare che non aveva tutti i torti. Si sentiva calmo, e in quella pacatezza poteva ammettere con tranquillità che il suo temperamento talvolta lo rendeva cieco. Ma non per questo meritava di essere perdonato tanto facilmente, avrebbe voluto strisciare e implorare perdono, ma anche solo muovere una dito costava un'enorme fatica, quindi rinunciò e rimase fermo e in silenzio, a inspirare fumo passivo a pieni polmoni. Nonostante il suo primo mezzo grammo fosse del tutto già consumato, i capogiri non facevano che aumentare. E un senso di pesantezza al centro del petto si fece sempre più invadente, tanto che lo obbligò a sputare le seguenti parole.

«Non volevo... Scusami.» Strinse un pugno con poca forza e desistette dal guardare la figura davanti a sé, che sembrava vorticare rapidamente per tutto lo spazio del letto su cui era seduta. «È che con te sto così bene, troppo bene, e non volevo...»

Gli mancò l'aria e si interruppe mentre tentava di riacquisire in modo stabile la vista. Poi due mani gli si insinuarono sulle guance fino a rinfrescargliele, e riuscì a fissare lo sguardo in quello del ragazzo, forse troppo vicino o forse troppo lontano, non lo capiva.

«Non dire sciocchezze, Alec. Non si può stare "troppo" bene.»

Si fece guidare dal respiro dell'altro e si calmò un po'. La sensazione riposante delle delicate dita che tremavano appena sul suo viso fu rinvigorente.

«E invece è proprio quello il problema» cercò di spiegarsi, la mente offuscata. «Non si può stare così tanto bene, quindi è troppo, non è lecito, non va bene.»

I lineamenti dolci di Adam si corrugarono e i sui occhi si assottigliarono, celati parzialmente dalle ciglia lunghe. «Non esiste un troppo per un desiderio così primario e genuino come quello di star bene.»

Non esiste, gli aveva detto. Allora perché si sentiva sempre così inadeguato, così innaturale?

Lasciò andare una lamentela liberatoria e con un sospiro si calò all'indietro fino a toccare la trapunta con la schiena. Abbassò le palpebre, ma gli venne la nausea come se stesse su una zattera in balia del mare in tempesta, quindi fu costretto a rialzarle subito. Davanti a lui, ora, il volto di Adam era più vicino.

Lo vide stenderglisi accanto e di riflesso si girò sul fianco per trovarcisi faccia a faccia. Il silenzio li avvolse come una coperta, unico elemento che mancava per una bella dormita; ciononostante, Alec non aveva per niente voglia di dormire.

«Una serata delle nostre...» pensò ad alta voce, ma la mente era nebbiosa e non gli veniva nessuna idea su cosa fare in quel momento. Senza contare che non era sicuro di potersi alzare. «Che cosa facevamo tutte le sere? Non riesco a ricordare.»

Adam emise un'altra risata e si approssimò di un poco. Quando lo spazio tra loro fu troppo piccolo, poggiò una mano sul braccio di Alec, distraendolo da qualsiasi cosa che non fosse quel contatto.

«Non ricordo neanch'io» rispose piano, senza perdere il sorriso. Gli si avvicinò di più e Alec chiuse gli occhi nell'istante in cui l'altro gli accarezzò la guancia con il naso.

L'aria calda che profumava di lui quasi pizzicò contro la sua pelle, improvvisamente febbrile in quel punto. Stupito da quella svolta repentina, trattenne il fiato, ma ben presto la testa prese a girare ancor più forte, quindi fu obbligato a inspirare ed espirare in modo breve e rapido.

«È tutto ok ora» sussurrò Adam contro il suo viso. «È tutto ok ora che sei qui.»

C'era una nota di sofferenza mista a sollievo nella sua voce, che strinse il suo cuore in una morsa. La sua coscienza gli chiese urlante come si era permesso di far soffrire quella persona tanto pura d'animo, mentre una piccola parte lo sgridava per essersi arrecato da solo una tortura inutile. Era tutto più facile ora che i suoi freni inibitori erano andati in vacanza.

«Scusami» implorò, e si distanziò per prendere aria. Deglutì a fatica. Non aveva mai avuto la bocca tanto secca, le labbra parevano di plastica sotto i denti che le stringevano. Quando aveva iniziato? Ora che ci faceva caso percepiva il sapore del sangue sulla punta della lingua.

«Non farlo» disse Adam, indicandogli con un cenno il suo continuo mordersi, ma suonava più come una supplica che come un ordine. Sembrava, al contrario di un tempo, insicuro, come se avesse perso potere su di lui. Peccato che era esattamente l'opposto: l'effetto che gli faceva era così assuefacente che l'aria non gli bastava più per soddisfare i suoi polmoni; aveva bisogno di lui.

«Se non vuoi fermarti ti faccio smettere io» insistette l'altro, stavolta più sicuro di sé.

Avrebbe voluto accontentarlo, ma se pensava a tutto ciò necessitava di una valvola di sfogo, e in ogni caso il suo corpo agiva da solo ormai. Era così perso in quel mondo stupefacente che non ne aveva più il controllo.

Proprio per questo, visse tutto a rallentatore quando successe; batté le palpebre e non si accorse del movimento di Adam, che si riaccostava a lui. L'attimo di un respiro e le loro labbra si sfiorarono, rosee contro bianche, calde contro fredde; incerte contro incerte.

I suoi denti lasciarono immediatamente la carne per essere sostituiti da quel calore che si prese ogni sua capacità di ragionare e restare lucido. Perse del tutto la coscienza di sé se non per quel piccolo angolo incidentale che toccava con intimità un ragazzo. Che toccava con intimità Adam.

Il giovane Brass si allontanò quando era ancora troppo presto, e l'aria tornò a bruciargli i polmoni rimasti immobili per tutto il tempo. Il suo corpo riuscì a consegnare al cervello confuso ossigeno misto a THC, ma ciò non bastò per schiarirgli le idee. L'unica cosa su cui poteva concentrarsi era che aveva appena baciato Adam.

«Cazzo!» Si portò le mani al viso ignorando il mal di mare e ripensò alla morbidezza e all'energia percepite. Suo malgrado, si ritrovò a sorridere, impossibilitato a fare altro se non gioire di quel momento inaspettato. Tuttavia, sapeva che non doveva andare così. «Che cazzo sto facendo?» domandò retoricamente, ma le risate sfuggirono al suo controllo e s'infilarono tra le dita.

«Lo chiedi a me?» Liberò lo sguardo e trovò davanti a sé un Adam allegro. Sembrava altrettanto spiazzato, sebbene il gesto fosse partito proprio da lui. «Non ho mai compiuto qualcosa di tanto improvviso e sconsiderato.»

«Che parole difficili» si lamentò Alec, per il quale l'unica sintesi pronunciabile per tutto ciò erano imprecazioni ed esclamazioni.

Sentì il bisogno di prendere altro ossigeno, quindi si girò sulla schiena e puntò il volto verso il soffitto. La pittura bianca parve dilatarsi e ricomporsi più volte davanti alle sue pupille, le quali non erano più in grado di focalizzare nulla.

Passarono un'indefinita quantità di tempo a sintonizzare i loro respiri, finché Adam, dopo quelli che potevano essere secondi come da ore, riempì il suo campo visivo. Per un attimo Alec credette di essersi voltato di nuovo senza accorgersene, ma poi il peso dell'altro lo aiutò a comprendere la situazione: Adam era sopra di lui, e lo stava fissando in modo strano. Non riusciva a decifrare come, capiva solo che qualcosa era diverso dal solito, come fossero capitati in un mondo in cui non esistevano limiti né ragione. Solo i loro desideri.

I loro corpi aderivano in più punti, le sue gambe erano schiacciate da quelle di Adam, soffocate, toccate. L'invadenza fu tale che gli tolse il fiato, e il suo cuore ricominciò a correre all'impazzata.

«Non guardarmi così o sarà impossibile per me trattenermi.»

Alec spalancò gli occhi e annaspò in cerca di aria. «A... a che ti riferisci?» Si agitò un po' sotto al peso dell'altro.

Adam non rispose, ma le sue parole rimbombarono comunque nella mente di Alec, appartenenti a un'altra notte. Desideri piacere da me.

«È vero» ammise ad alta voce, sebbene l'altro non potesse afferrare il corso dei suoi pensieri.

«Cosa?» gli chiese infatti, ma lui scosse la testa.

«Dovrei dormire» tentò.

«Adesso?»

Alec annuì con urgenza.

«Ok. Addormentati accanto a me» lo udì mormorare. «Come una volta.»

Gemette. «Come faccio se mi stai sopra?!» esclamò, forse con tono un po' troppo alto. Quando si rese conto di aver quasi urlato, sentì le guance arrossarsi per l'imbarazzo. Non voleva mostrare lo stato in cui si trovava.

Adam rise, aumentando la sua vergogna, ma subito dopo gli si tolse di dosso e lo tirò verso di sé fino a portarlo tra i cuscini. Lì lo adagiò tra le sue braccia, che sembravano avide di stringerlo dopo tutto quel tempo che gliel'aveva proibito.

«Resti qui stanotte?» si ritrovò a proporre contro il suo petto, anche se non era sicuro di quale risposta desiderasse ricevere.

«Addormentati e vado» gli sussurrò il giovane sopra tra i capelli. Non lo vedeva in faccia e non era nemmeno riuscito a decifrare il tono, quindi non sapeva a cosa attribuire quell'accennata freddezza.

«Perché?» Non si trattenne dal domandare.

Adam emise una risata tesa, evidente tentativo di smorzare la serietà subentrata. «Non voglio rischiare di essere cacciato malamente domani, al mio risveglio.» Lo disse in modo scherzoso, ma era ovvio che c'era una punta di verità, e Alec non poteva certo dargli torto. Quella stessa mattina non era finita bene. Si sentì in colpa, ma non era convinto su cosa il giorno seguente, apparentemente lontano lustri, sarebbe accaduto.

«Lo dico anche per te» aggiunse dopo un po' Adam, vedendo che non ribatteva. «So che non è stata una mattinata facile.»

Alzò di scatto la testa, gli occhi che pizzicavano come se vi ci fosse stato gettato sopra del peperoncino in polvere.

Lo aveva mandato via, lo aveva insultato, gli aveva mentito. E Adam era ancora lì a preoccuparsi per lui. Quanto sarebbe durata? Fino a che punto quel ragazzo avrebbe sacrificato sé stesso per lui? Meritava davvero uno come lui accanto?

Abbassò le palpebre per contenere l'umidità formatasi. Prese un sospiro e si accoccolò contro Adam. No. Indubbiamente, non era giusto che stesse al suo fianco; tuttavia, Adam era lì, e il suo egoismo gli impediva di allontanarsi. Ancora un altro po', si disse.

Avrebbe impedito di continuare a soffrire e a far soffrire, ma era qualcosa a cui avrebbe pensato l'indomani. Per il momento, tutto ciò che poté fare fu farsi portar via da sogni strani e inquieti, ammortizzati dalle braccia di Adam che, pur non essendo presenti per l'intera notte, lasciarono comunque il loro stampo nel suo cuore.

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