Il filo rosso del destino

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James avvertiva una serenità rinnovata, mentre lasciava la casa di Benedict, dove trascorse parte della sua vita da adolescente.

Desiderava passare la serata con Amber da così tanto tempo che scalpitava. Percorse Carnaby Street e si ricordò di un fiorista che chiudeva sul tardi.
Parcheggiò l'auto elettrizzato, voleva regalare alla donna che, sentiva vicina al suo cuore, dei fiori.

Varcò l'uscio sbirciando i vasi profumati, una anziana dai capelli argentati, lo accolse con cortesia.
"Vorrei delle rose bianche, una ventina. Potranno bastare per una ragazza speciale mia cara signora?" le chiese allegro indicando dei boccioli candidi tra i tanti rossi.

La proprietaria commentò bonariamente. "Certo che sì, è un colore delicato e particolare."

Lui annuì timidamente. "Piacevano molto a mia madre."

Sorrise contemplando soddisfatto il mazzo che si accingeva a confezionare.

Si allontanò a curiosare e si soffermò vicino ad una credenza di legno antico, dove in bella mostra, vide dei cartoncini con delle scritte in corsivo, corredati da due braccialetti di filo rosso intrecciato. Osservò tutto con attenzione.

"Cosa sono questi cordoncini colorati? " chiese interessato.

La fiorista si avvicinò, prese una confezione e con gentilezza gli spiegò il significato di ciò che conteneva.
"Nella tradizione giapponese, c'è un legame del destino: ogni individuo porta fin dalla nascita, un invisibile cordoncino rosso legato al mignolo della mano sinistra, che lo connette alla sua anima gemella. Queste due persone sono destinate a incontrarsi e a rimanere insieme per sempre. È il dono che l'uno deve fare all'altro. Dovete indossarlo, legandolo reciprocamente al polso, come simbolo del vostro amore eterno."

Lui rimase a bocca aperta, l'anziana ammiccò divertita per il suo stupore. Ne aveva visti di uomini innamorati ma lui, quel giovane dal volto aggraziato, li superava tutti.

"Li prendo, mi piace questo racconto."

Sfiorò con il pollice il cartoncino colorato e ridacchiò pensando alla reazione dell'amica per quel regalo inaspettato.

La proprietaria gli confezionò il pacchetto con una cura meticolosa, lo abbellì con un piccolo fiocco dorato, alla fine, mentre saldava il conto, gli toccò il braccio.

"I suoi occhi risplendono giovanotto, non se la lasci scappare."

"Ci conti mia cara signora." Si inchinò e le sfiorò la guancia con un bacio, lei arrossì e
si schiarì la voce.

"Allacciateli insieme!" Si raccomandò un'ultima volta.

La salutò con un sorriso, reggendo il mazzo con una mano e con l'altra accarezzando la tasca dove nascondeva quel regalo particolare. Raggiunse la Main Street con il cuore leggero.

Amber aprì, si trovò le rose bianche davanti e lui dietro che sbirciava e rideva per il suo volto allibito.

"Oh James! Non ti sapevo così romantico!" accarezzò i fiori e ne assorbì il profumo.

"Era il colore che piaceva a Grace, mia madre. Non so perché, ma tu me la ricordi e vorrei che la sentissi vicina.

La giovane si commosse per quella premurosa galanteria.

"Grazie, c'è qualcosa che ci accomuna, anch'io le preferisco candide." Le tremò la voce e lo invitò a seguirla nel soggiorno.

"Bene," si allargò con un dito il collo della camicia biascicando una debole scusa. "Ho lasciato il trolley in auto, poi lo trasferisco dalla signora Mallory."

La donna ridacchiò vedendone l'imbarazzo, sistemò con grazia le rose in un vaso di vetro, mentre lui si accomodò sul divano posizionato sotto alla finestra che dava sul cortile interno. Allungò le gambe sul tappeto colorato e urtò un libro di favole, senza pensarci lo riposizionò sul porta riviste.

Amber, di spalle, si girò con un sorriso radioso.

"Sono belle e delicate, proprio come te. Posso solo immaginare che tua madre lo fosse altrettanto."

"Sei troppo buona, lo so che ti ho fatto soffrire, avevo perso la testa e mi stavo lasciando andare."

Le ultime parole gli uscirono a fatica preso dal rimpianto di non essere stato gentile la prima volta che si erano incontrati.

In risposta si sedette e si accoccolò al fianco, appoggiandosi alla spalla.

"Sei così cambiato." Addolorata gli toccò il braccio, sapeva quanto avesse patito in quegli ultimi giorni. "Tutti abbiamo bisogno di una seconda possibilità."

Abbassò il capo dispiaciuto. "Potrei ancora commettere degli errori! Anche se riuscire a risolvere le cose tra Ben e Gabe mi ha dato una sensazione di sollievo. Da giovane ero un ragazzo complicato, pieno di paure e incertezze, e ho fatto penare il mio unico fratello."

"È vero, ma avete un legame speciale. Ora Gabriel ha capito l'errore quindi, non ti cruciare." Gli accarezzò il ginocchio cercando di sciogliere la tensione.

"Che ne dici se iniziamo a cenare? Immagino avrai fame, non hai mangiato molto in questi giorni."

"Allora andiamo. Stasera cucino io e domani ti rifornisco la dispensa."

L'aiutò a sollevarsi, si muoveva meglio ed era più stabile del giorno prima.

"Tu, l'avvocato rampante, che fai la spesa? Questa non me la devo perdere!"

James fece una faccia buffa e sentenziò.

"Guarda che ho vissuto per anni con Benedict! Chi credi si occupasse di riempire il frigorifero? Sarei morto di fame aspettando lui!"

Cambiò espressione. "Beh poi da sposato ci pensava la domestica..."

"Tutto bene?" chiese preoccupata vedendo quel cambiamento repentino, intuendo che soffriva ancora per aver perso la casa e la dignità.

"Che idiota sono stato, che cantonata ho preso con Margot." sibilò seccato.
Amber lo abbracciò da dietro, gli cinse la schiena.

"Non buttare il tuo passato, c'era del buono in quello che provavi per tua moglie."

"Sei troppo saggia per me." Si girò per poterla stringere, ebbe paura di farle del male.

"Come stai? Non te l'ho chiesto!"

La donna si sorprese per quel modo di essere protettivo, un lato che non conosceva.

"Sto meglio, non si vede?" Gli accarezzò la guancia ridendo e lo trascinò in cucina.
"Forza ceniamo chef stellato!"

Si tolse la giacca si arrotolò le maniche della camicia e si apprestò ad affettare le verdure che, anche impegnandosi, spalmò per tutta la tavola.

Rovesciò una parte della pasta cruda e finì per sporcare il fornello di sugo.

Amber gli andò in soccorso e gli infilò un grembiule fiorato.

Era talmente assorto che quasi non se ne accorse.

"Dovrò comprarne uno della tua misura o finirei senza camicie!"

Non sapeva se arrabbiarsi o ridere per quanto fosse maldestro. Alla fine, lo ritrovò con una macchia di pomodoro sul mento.

"Sei un disastro uomo!" brontolò divertita.

Finalmente, dopo diversi assaggi, la cena fu pronta.

Lei esordì ridendo. "Ma come farai a prepararti del cibo commestibile cercando di non distruggermi i fornelli?"

James si tolse il grembiule sporco e con un sorriso intrigante allargò le braccia.

"So scongelare, che diamine!" rispose felice.

"Perfetto..." mormorò lei passandosi una mano sulla fronte. "Penso che mi servirà un freezer più grande..."

"Imparerò donna, che ci vuole!" Ridacchiò masticando in fretta.

"Ora mangia." Le ordinò lui. "Devi prendere le medicine, non te lo scordare."

"Smettila! Stai diventando peggio di Gabriel quando fa il medico! " Gli tirò un tovagliolo che finì sul pavimento.

"Selvaggia!" Lui agitò la forchetta per aria divertito dalla sua reazione e ingoiò un'altra forchettata di pasta. Vederlo mangiare con appetito la rendeva felice, lo stomaco, molte volte, diventava la spia del suo malessere interiore.

"Guardalo! Il perfetto chef che ha sporcato l'impossibile!" le piaceva punzecchiarlo. Spesso stringeva le labbra sbuffando e gli si formava una fossetta sulla guancia.

Era adorabile.

"E va bene a fare il cuoco non valgo molto, ma ci penso io a ripulire. Promesso."

La giovane alzò le mani in segno di resa. "Sei diventato anche un maggiordomo adesso?"

Finita la cena, riassettò la tavola tentando di caricare qualsiasi cosa nella lavastoviglie.

"Santo cielo uomo! Che stai facendo? Scoppierà."

"Dovrò imparare, questo era il compito di Ben." Ammise osservando i bicchieri e i tegami che non collaboravano.

Amber scosse la testa e lo aiutò, lui eseguì i suoi ordini senza discutere.

"Ti farò un corso o dovrai lavare i piatti! Chi è il selvaggio adesso?'"

"Uhmm..." Brontolò lui. "Decisamente io. Vivevo nel lusso e non ho imparato nulla."

Soffiò, contrariato per non poterla aiutare. Vivere la vita agiata che pretese Margot, lo fece sentire uno stupido incapace.

Gli allungò un buffetto gentile sulla nuca e lo rassicurò.

"Diventerai primo chef! Garantito." Lo incoraggiò ridendo mentre sistemava le ultime cose.

"Rimani un po'?" chiese lei impaziente di passare del tempo insieme. "Sarai stanco..."

James annuì in silenzio. Si spostarono verso il soggiorno e si distesero sul divano, lei si accoccolò al suo fianco, sfiorando la sua camicia e assaporando il calore che emanava il suo corpo.

Premuroso la coprì con un plaid leggero, cercò un film per entrambi.

"Sto bene con te." mormorò la giovane a metà del programma.

"Anch'io." biascicò in risposta, l'avvolse in un abbraccio tenendola stretta per le esili spalle.

Lo tirò sotto alla coperta e per un po' rimasero in silenzio. Fu lui a parlare

"Se non ci fossi stata tu, non so dove sarei stasera," disse con la voce incerta.

"Sei qui con me, ed è tutto ciò che conta," rispose senza esitazione.

Lui si girò, facendo scivolare il telecomando sul divano. Poi aggiunse: "Ho lasciato qualcosa in sospeso quando sono andato via oggi."

La osservò aspettando il consenso, le scostò una ciocca che le copriva la fronte.

"Davvero?" Protestò maliziosa, accarezzandogli la nuca e giocando con i suoi corti capelli.

Spinta dalla voglia di sentirlo vicino, si appoggiò con la testa al petto, emanando un delicato profumo di vaniglia.

Rimasero allacciati accarezzandosi, prendendo le misure del loro nuovo sentimento.

Amber si sciolse e osservò i suoi occhi grigi , in quel momento gli diede il permesso di cui avevano entrambi bisogno. Si cercarono desiderosi di scoprirsi a vicenda.

La donna si lasciò andare, dopo aver atteso per tanto tempo tormentata dai rimorsi per la morte di Damien, gli concesse quel bacio che a lungo si era negata.

Lui non forzò la situazione, consapevole della lotta interiore che la giovane stava affrontando.

Le lasciò l'iniziativa godendo delle sue labbra delicate che lo sfioravano, aspettò quando esitò un breve attimo, poi, decisa, si aprì un varco con piccoli baci leggeri.

Affannata e presa dal desiderio, si impossessò della sua bocca. James accettò la sua intrusione e si abbandonò al suo impeto.

Lo assaggiava, lo sfamava, lo esplorava. Quel sentimento, che aveva represso per anni, divenne una meravigliosa realtà.

La ricambiò con passione, avido del suo sapore, la strinse a sé esplorando con le dita i suoi fianchi. Sentiva il suo corpo aggraziato reagire, smaniare di voglia. Appagato per l'amore che gli concedeva, tremò per la gratitudine che lo pervadeva.

Si addolorò per essersi comportato da forsennato la prima volta che la incontrò, si bloccò intimorito, lasciando la sua bocca appassionata e respirò in fretta.

La donna amorevole che era, comprese. Attraverso una strana forma di simbiosi, lo abbracciò, posandogli delicati baci sulle guance, sulla fronte e sul viso e fino alle labbra, offrendogli conforto mentre le sue mani lo accarezzavano, donandogli il perdono che tanto desiderava.

Quel gesto fu esattamente ciò di cui avevano bisogno: accettarsi reciprocamente per ciò che erano.

Quell'unione cancellò tutte le colpe e i rimpianti che la vita gli cucì addosso.

Fu lei a staccarsi per prima, gli occhi ricolmi di luce.

"Ti amo, James. Ti amo per ciò che sei, per come sei."

Lo pervase una gioia profonda per l'affetto che gli dimostrava, quella che aveva perso per colpa di Margot. Non solo era bellissima fisicamente, ma anche nel profondo del suo essere.

"Ti amo, Amber Clermont. Amo tutto di te. Perdonami," mormorò con sincerità.

"L'ho già fatto," rispose con dolcezza.

Si cinsero ancora, rimanendo stretti l'uno all'altra, coccolandosi reciprocamente.

"Aspettami qui." Farfugliò ricordandosi del piccolo regalo acquistato dalla fioraia. Si alzò e frugò nella tasca della giacca, estrasse il pacchetto di carta lucida.

Lo guardò incuriosita e sorrise vedendolo titubare. "Che hai preso?" gli chiese con le guance che le si tingevano di scarlatto.

Il giovane si schiarì la voce, assunse un'aria formale, le mostrò la confezione con il fiocco dorato.

"Aprilo, lo so che sono uno stupido sentimentale, che forse è una cosa melensa, eppure ci credo."

Lo afferrò un pò confusa e iniziò a scartarlo mentre gli raccontava della strana leggenda.

Vedendo quei due fili rossi, lei vacillò e appoggiò la fronte al suo petto per nascondere lo sguardo inumidito. Il cuore del giovane batteva forte.

"La conosco è una bella storia, sarò onorata di indossarlo." Prendendolo le mancò la voce.

Ne annodò uno al polso dell'uomo che amava e lui fece altrettanto.

"E' il più bel regalo che abbia ricevuto." Abbassò la testa guardando quel braccialetto sottile ma che possedeva un così grande valore.

Le sfiorò il filo annodato sulla pelle pallida e concluse. "Lo so che può sembrare una sciocchezza, ma io..."

Non riuscì a finire la frase, impetuosa, lo afferrò per la nuca, lo attirò nuovamente vicino alla sua bocca e lo baciò.

Fu un bacio profondo, che risvegliò in loro un desiderio fisico palpabile, ma lei era in convalescenza e necessitava di tempo per guarire completamente.

Si staccò a malincuore.

"Devo andare donna, cado dal sonno."

Trovò una scusa che fosse plausibile, e lei capì divertita, gli sussurrò all'orecchio.

"Sei un uomo speciale, mio dolce avvocato, colmo di attenzioni. È per questo che ti ho scelto."

Si schernì arrossendo e senza aggiungere altro la strinse a sé dolcemente.

"Devi riposare mia piccola ragazza francese, avremo tutto il tempo che ci servirà."

Amber lo accompagnò fino alla porta, prima che uscisse gli accarezzò il volto e si fece seria.

"James, domani devo parlarti, non voglio che tra noi ci siano degli ostacoli."

La scrutò impensierito. "Mi fai preoccupare..."

"Ne parleremo con calma, ma ora va..."

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