15•capitolo -ogni giorno-

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Siria

La caviglia mi fa un male che quasi mi viene da piangere, ma non lo faccio perché a stringermi tra le sue braccia c'è Marco, e ho giurato a me stessa che non avrei più versato una lacrima davanti a lui.

Ci fermiamo davanti ad una casa, Marco bussa, mi stringe e io vorrei divincolarmi, perché non sopporto questo formicolio sulla pelle che mi da essere stretta da lui.

Odio il mio cuore che continua ad appartenergli.

Non è che non mi piaccia, anzi, vorrei starci sempre, ho desiderato poterlo fare, ma non è giusto per me che sono ancora innamorata di un fottuto bastardo che ha avuto il coraggio di farmi sentire in colpa dopo come sono stata in tutti questi anni a causa della nostra separazione.

Sospiro, poi Marco suona al campanello di questa casa sperduta. Rimane col fiato sospeso, mi guarda, mi perdo.

Perché è sempre così: lui mi guarda e io mi perdo.

Sta per dire qualcosa, apre la bocca, ma poi ci ripensa e sospira sul mio viso, dandomi il suo respiro sulla pelle. Che poi, non lo capisce che anche quello per me è un colpo al cuore?

Detesto l'effetto che mi fa nonostante tutto. Perché io 'sto stronzo lo dovrei semplicemente disprezzare per come mi ha trattata, e invece lo amo sempre e comunque, e anzi i giorni passati insieme hanno rafforzato quello che c'era già. Perché io almeno un po' ci ho creduto in questi mesi passati lontani di averlo rimosso. Mi sono cullata nelle sue parole che mi dichiaravano una fine tra noi, e in quelle dell'ultima serata dove non mi ha trattenuta. Dunque è stato un po' più facile credere che lo avessi rimosso, ora che però è così vicino a me, così bello, così dolce nel suo modo di guardarmi, così sincero nei suoi sguardi, io proprio non ce la faccio a fingere che tutto questo mi lasci indifferente. Ma credo che non lo abbia capito invece lui quanto io lo ami tremendamente. Sono certa di questo dal modo che ha di guardarmi quando mi trovo con Bernardo, convinto che solo mi possa passare il pensiero di guardare un altro come ho sempre guardato lui. Ma no, non è mai successo di potermi perdere negli occhi di uno sconosciuto, perché nessuno sguardo è familiare come il suo tanto da volermelo sentire addosso senza alcun imbarazzo.

La porta si apre, ad accoglierci c'è una signora anziana con i capelli bianchi. Ci guarda stranita, il suo sguardo passa da Marco a me e lo vedo preoccupato.

«Buona sera signora, so che è inopportuna la nostra visita...», sta per dire, ma la signora lo blocca.

«Se siete venditori, non ci interessa!» la signora sta per chiudere la porta, ma Marco è pronto ad intervenire.

«No, no, mi lasci spiegare...» prende un respiro Marco, «la ragazza, beh... - mi guarda – si è fatta male... non riusciamo a tornare al nostro hotel perché c'è una tempesta. Mi servirebbe solamente metterle un po' di ghiaccio e aspettare che il tempo torni sereno», le dice.

La signora torna a guardare me e Marco confusa, poi le si allargano gli angoli della bocca e fa un sorriso sincero.

«Certo, entrate pure...», dopodiché, la signora ci fa spazio. Ci presenta suo marito e, in tutto questo, io continuo ad essere tra le sue braccia. dopo qualche secondo, mi fa sedere in una sedia e prende il ghiaccio; me lo mette sulla caviglia e io emetto un lamento di dolore. I suoi occhi verdi si piantano sui miei, chiedendomi scusa solo con uno sguardo.

Non parliamo, eppure è così strano e così intenso quanto due persone possano capirsi, volersi, percepirsi senza bisogno di parlare, ma con sguardi pronti a divorarsi. E me ne rendo conto ora, mentre lo guardo, quanto non sono stata in grado di capirli i suoi sguardi negli ultimi tempi insieme. Perché sì, erano diversi, non mi facevano sentire apprezzata come all'inizio, però capisco che forse mi sono sbagliata a pensare che lui avesse rimosso il sentimento che aveva sempre avuto per me.

«Che ne dite... - esordisce il marito dell'anziana signora che ci ha accolto – vi va di mangiare qui? Anche perché la tempesta non pare diminuire» ci rivela.

Marco mi guarda, chiedendomi tacitamente se sono d'accordo, mentre io annuisco.

Passiamo una piacevole serata. I due coniugi ci raccontano di stare insieme da cinquant'anni, e la moglie ci tiene a far sapere quanto fosse un latin lover il marito all'epoca in cui si conobbero e stava sempre in giro per il mondo. Io e Marco ci siamo lanciati continuamente sguardi carichi di malinconia per quello che eravamo. Perché eravamo noi anche con le nostre litigate, ma non abbiamo saputo tenerci.

La tempesta non è scemata e i due coniugi ci hanno proposto di passare la notte lì. Non che fossi d'accordo, però non è il caso di tornare e rischiare solo per non stare insieme a Marco.

Entriamo in camera, e mi rendo conto che c'è solo un letto matrimoniale.

«Dormirò sul pavimento», esordisce Marco, leggendomi nel pensiero.

Lo guardo per un attimo e rimango in silenzio, andandomi a sedere cauta sul letto. La caviglia fa ancora male e sono costretta a zoppicare.

Marco senza dire una parola, va a fare una doccia, visto che il bagno è comunicante con la camera. Quando esce, ricoperto da un asciugamano, viene verso di me e comincia ad asciugarsi i capelli. Lo guardo, mi perdo a pensare a come sarebbe bello poter ancora perdermi nei suoi pettorali scolpiti, poterlo toccare, ma soprattutto quanto desidero ancora che lo faccia lui. Per questo abbasso la testa e mi morsico il labbro. Lui mi si siede accanto, mi guarda e io non so se voltarmi e incrociare il suo sguardo o rimanere a guardare il pavimento.

«Come ti senti? Stai meglio?», mi domanda.

Sono costretta a guardarlo, a perdere più di un battito e rischiare quasi di morire nel suo sguardo perso, che ha bisogno di essere ascoltato e capito. Nel mio che ha bisogno di essere ancora compreso da lui, di essere abbracciato, accarezzato.

«Fa ancora male, ma non fa niente»

Si limita ad annuire, a prendere una felpa che gli ha prestato l'uomo che ci ospita che è del figlio. Va in bagno e la indossa. Non appena esce, mi guarda ancora, spera che ricambi e non ce la faccio a negarglielo, sebbene dovrei.

«Non avrei dovuto insistere per farti venire con me a sciare», ammette. «Scusa»

«Non fai che scusarti da giorni», gli rammento.

«Perché mi dispiace davvero per tutto, Siria. Vorrei che le cose fossero andate diversamente»

Poi prende un piumone che è nell'armadio e se lo stende sul pavimento. Sta per sdraiarsi, ma non posso permettergli di dormire lì con questo freddo.

«C'è posto per due in questo letto»

Mi guarda attonito, sta per dire qualcosa, ma si limita ad annuire e mi affianca, stendendosi vicino a me e coprendosi. Ha il viso alzato, sta guardando il tetto e io invece sto pensando se guardarlo o meno.

Però è come al solito lui il primo a girarsi e a chiedermelo con la forza che esercita di concedergli uno sguardo. Lo faccio, i suoi occhi verdi entrano in collisione con i miei e mi sembra di morire e rinascere nello stesso istante. È un brivido che mi attraversa la sua mano che sfiora la mia, cuori in tumulto il suo respiro che si mescola al mio.

«Sono stato un codardo, Siria», lo dice, anche se non avrebbe dovuto tirare fuori la questione, ma lo fa ugualmente.

«Ti prego, non ricominciare»

Mi guarda, lo guardo. Mi perdo, si perde.

«Non ricomincio, ho solo smesso di lottare per noi e mi dispiace. Credevo che fosse quello che volevi»

«Non me lo hai chiesto quello che volevo. Hai scelto per entrambi», gli ricordo, sentendolo un po' il cuore spaccarsi ancora una volta, perché fondamentalmente non si era mai ricostruito bene e al primo intoppo vacilla ancora. «Vorrei solo che lo ammettessi...» trattengo il respiro.

Lui mi guarda stranito e poi lo chiede.

«Cosa dovrei ammettere?»

«Che non mi amavi più abbastanza», abbasso lo sguardo, smetto di guardarlo, perché è dura sentirselo dire.

E allora lui lo fa, alza il braccio e accarezza il mio viso con una lentezza che mi trafigge il cuore, arriva fino al mento e con due dita fa pressione per alzarlo verso di sé, finché sono costretta a tornare dentro i suoi occhi.

«Non posso...», sospira. Mescola ancora i nostri respiri, mi annulla, ritorno sua, o forse non ho mai smesso di esserlo. «Non posso dire quello che non ho mai pensato. So che non mi credi ed è giusto, ho sbagliato. Però ti ho sempre amata, sempre, dal primo momento che ti ho vista, anche quando mi ritenevi solo un amico. Io dentro di me sapevo che nessuna al mondo era come te e, ogni giorno senza di te, è stato come perdere sempre più anni di vita», sfiora le mie labbra, la sua fronte si appoggia alla mia e rimane a guardarmi, perché aspetta e non va oltre. Perché non vuole che io lo mandi via, e quindi vuole capire se anche io desideri perdermi tra le sue braccia. Ma non faccio quel passo in più, perché la paura e l'orgoglio immobilizzano i miei desideri, e un po' ho paura a lasciarmi andare e poi non riuscire a tornare indietro. Perché domani potrebbe pentirsene, domani potrebbe dirmi ancora di andare via, potrebbe non volermi.

Ma non mi da l'occasione di tornare indietro, Marco. Mi bacia lui, non mi aspetta più. Attacca le sue labbra alle mie, prima con gentilezza, mi guarda e me lo chiede se può continuare. E, sebbene non avrei preso l'iniziativa, non riesco a mandarlo via. Perché quando ami è così: non importa se la ragione ti dice che è sbagliato, tu sceglierai sempre la via del cuore. Passa la sua mano tra i miei capelli, mi avvicina più a lui, tagliando tutte le distanze che c'erano tra noi. Gli allaccio le braccia al collo, mi faccio divorare dai suoi baci, respiro il suo respiro, annaspo nel suo odore, mi perdo nelle sue braccia, annullo il rancore, scaccio l'orgoglio, mi inebrio del suo amore, lo amo come se non ci fossimo mai lasciati. Poi ci ripenso, glielo rinfaccio mordendogli il labbro, si lamenta, i suoi occhi diventano pura lussuria e si spinge sopra di me, mi ingabbia con le sue braccia e mi guarda ancora. Non smette un attimo di uccidermi con i suoi sguardi carichi di un sentimento che non ci ha mai abbandonati.

Mi accarezza il viso e torna a sprofondare dentro la mia bocca, accarezzando la mia lingua con la sua, mescolando i nostri sapori. Stringo le sue spalle, respiro in affanno. Poi prende il viso con due mani e appoggia la sua fronte alla mia. Rimaniamo a guardarci e il mio corpo trema insieme al suo. Vorrebbe avermi ancora, spingersi oltre, vorrei non pensare la stessa cosa mentre lo guardo. Vorrei poter dire che non lo vorrei sentire dentro di me, tornare ad essere un'unica cosa con lui, ma non è vero.

Eppure non posso...

Non ci riesco...

Perché per quanto lo amo, le ferite fanno ancora male e per questo, mi tiro indietro e tolgo il peso del suo corpo che spingeva sul mio. I nostri respiri sono affannati, ho il coraggio di girarmi e non trovo delusione nei suoi occhi, solo comprensione.

Per la prima volta sento che siamo insieme in questa cosa, che lui aspetterà tutto il tempo di cui ho bisogno per sentirmi pronta.

Ed ecco perché, quando azzarda e mi abbraccia, io mi faccio cullare dalle sue braccia per tutta la notte, sentendomi nel posto giusto!

Perché io non lo so proprio se ce la farò a stare un altro giorno senza di lui.

Ma sbaglio o quello era un bacio?😏
Siria ha ceduto alle avance di Marco e sembra non riuscire più a tenerlo lontano come si era imposta.

Ma... oh oh... c'è una grossa bugia che ancora non è stata rivelata.

Insomma... che il mug gliela mandi buona a questi due 😅

Scusate ho rovinato il momento 😅🙈

Prossimo aggiornamento lunedì 😘

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