Capitolo 1. Jamie

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James Olivia Bennett

Primo anno di liceo.
Tra i corridoi che puzzavano di fogna, gli armadietti blu, i bagni rotti, il linoleum rovinato e i banchi scritti come i muri, ci sono io.
Con la mia folta chioma rossa e gli occhi verdi, con la pelle chiara e un'altezza imbarazzante, c'è un'invisibile James Bennett con poche amiche e socialmente nessuno.  O almeno, c'ero io, in quel liceo di provincia.
Ora non ci sono più, ora sono su quella macchina, un SUV, una Lexus RXL Hybrid color rame e con gli interni di pelle rossa. Al mio fianco, mio padre, guidava da quasi due giorni e mi faceva scegliere la musica dal suo Spotify.
Non sapevo quale fosse la sua, anzi la nostra destinazione, sapevo che non ci guardavamo in faccia e che ogni tanto, lasciare libera la mente, faceva salire il panico.
Intorno a noi, solo natura, solo campi e ogni tanto qualche fabbrica. Non avevo la minima idea di dove fossimo. Ma non mi attentavo a chiedere.

-tutto bene?- mi chiede ad un certo punto. -devi prende gli antidolorifici ma se stai bene rimandiamo-

Tengo lo sguardo basso. -non lo so, casomai li prendo quando ci fermiamo- ma la cosa che mi fa arrabbiare è proprio che me li passa; vuol dire che non ci fermeremo.
-ancora?! Non possiamo fermarci? Vorrei fare una doccia...-

Lui scuote il capo e continua guardare davanti a sè. -prendili Jamie-

Sbuffando, accetto il tubetto arancio. Faccio scivolare due di quei pastiglioni verdi sul palmo della mano e chiudo il tubetto, poi glielo passo e nel mentre prendo la borraccia e butto giù le medicine e gliela passo. Lui fa esattamente gli stessi passaggi, restituendomi poi la borraccia.

-dove stiamo andando?- gli chiedo con serietà.

-via- dice semplicemente.

-è per via di quegli uomini che sono venuti a cercare la mamma?- gli chiedo ancora.
Due o tre giorni fa, erano venuti 3 uomini vestiti di scuro, poco dopo che ero tornata da scuola, cercando mia madre e mio padre aveva iniziato a prenderli a sediate e calci.
Il che, sappiamo tutti che non è molto normale, soprattutto perchè poi, mi ha detto di preparare le valige e poi eravamo partiti alla velocità della luce verso... cosa poi non l'avevo capito ancora.

-Jamie meno cose sai meglio è, fidati... poi mi ringrazierai- papà che rimane così serio e distaccato non mi piace, soprattutto perchè non è mai stato così. So che dovrei stare zitta ma quella risposta non mi basta.

-cosa vuol dire? Cosa sta succedendo?!-

Lui chiude gli occhi. -James Olivia Bennett, zitta e seduta, le domende le faccio io e dei miei piani non ti deve interessare!-

-sì come non mi deve interessare che hai ucciso la mamma!- lui mi guarda, è furioso.
Lo vedo spostarsi nella piazzola di sosta, mettere in prima e fermarsi.

-scendi- dice secco.

-cosa?-

-scendi, se non vuoi stare in questa macchina, con me, puoi anche scendere- e sblocca la chiusura centralizzata dell'auto. Lo squadro poi scendo, sul serio, scendo, con la mia divisa spiegazzata, la gonna schiacciata e scalza perchè le scarpe erano nel baule. Stringo i capelli in una coda e mi sgranchisco le gambe, ma tutto inizia girare.

-fanculo antidolorifici- dico appoggiandomi alla macchina.

-piano-piano, adesso ci stendiamo- ma sono troppo confusa per capire, mi resta solo chiudere gli occhi...

Il rumore del vento è fastidioso ma prima che riesca a mettere a fuoco, rimango a pensare, che cosa sta succedendo?
Poi un'immagine mi balena nella mente...
Li avevo già visti quei 3 uomini, anni prima...
-Jamie, sei contenta di vedere i nonni?- mi chiede mamma passandomi le mani tra i capelli.
-sì perchè tu sei tanto felice oggi-
Lei sorride, ho i suoi capelli rossi ma gli occhi verdi di papà.
-oggi è la festa della luna, amor mio, tutti gli esseri nati dalla terra e del sangue sanno che questa festa è l'arrivo della stagione della caccia... e se siamo fortunati, avrai un fratellino o una sorellina, mia dolcissima Jamie-
Mamma indossava un abito nero, che la feceva bellissima e un grande cappello dello stesso colore. Io, che ero una bambina, avevo un vestito rosso, mi aveva legato i capelli in un acconciatura preziosa e avevo un fiocco al collo.
Mi prende la mano. -andiamo amore-
Usciamo dalle stanze e raggiungiamo il salone principale dove mio padre indossava una divisa da soldato e insieme ai miei nonni ci aspettavano.
Il salone era pieno di gente buffa con buffi vestiti e buffi cappelli. C'è un'atmosfera magica, ovattata; e la luce è fortissima che si riflette nei diamanti e nei gioielli dei presenti. E' tutto così principesco e tutti mi guardano come se non aspettassero altro che vedere me.
A fianco ai miei nonni, 3 uomini...

Stringo gli occhi e nel riaprirli, il cielo è rosa e sono sul sedile posteriore. Tirandomi su mio padre ancora guida ma sembriamo esserci inoltrati in una città.

-erano a quella festa, alla festa della luna... perchè sei spaventato da loro?- chiedo e lui si volta.

-James... ti spiegherò, ma non ora. Solo il fatto che hai dei ricordi è pericoloso Jamie- lui torna a guardare la strada ma sento l'agitazione nella sua voce.

Passo davanti e mi allaccio la cintura. -ci fermiamo?- chiedo ancora.

Lui sospira. -okay, ma decido io dove e quando- sorrido per quella piccola vittoria. -to' tieni...- e mi passa il piano musicale. Metto su "we were us" di Keith Urban e Miranda Lambert e ballo sul sedile quella fantastica canzone. Lui sorride. -devi smettere di prendere i miei difetti peggiori- scherza lui.

-è solo country, padre- scherzo. -ma so che tu preferisci "go ahead and breack my heart" con Gwen Stefani e Blake Shelton- e lui ride.

-certo, io amo quella canzone-

-no, noi amiamo quella canzone- dico seria. Ma poi mi scappa una risatina nervosa.

-Jamie...- inizia lui e lo guardo in attesa; ma lui sospira e torna a girare lo sguardo senza dire nulla.

Io guardo la strada, le persone che camminano tranquille, le bici, i cartelli pubblicitari, le luci e gli hotel. La gioia che c'era poco prima è svanita e così mio padre da quando mamma non c'era più.
La luce ancora mi confonde, per via degli antidolorifici e del drenaggio che ancora non posso togliere. Quando le luci cominciano a farsi più sfocate e i cartelli meno luminosi capisco che siamo nella provincia. Alla scritta "Motel", mio padre, svolta.

-resta in macchina, non voglio che ti veda- mi dice spegnando l'auto. Lui scende e va all'edificio principale mentre resto a guardare quel rudere poco illuminato e con una strana forma. Sono stanca ma non voglio chiudere gli occhi.
La portiera si apre. -fatto mi sono fatto dare una camera doppia con un letto matrimoniale- dice semplicemente, più a se stesso che a me.
Prende una borsa, se la carica su una spalla e gira la macchina. Mi prende su come se non pesassi niente e chiude la macchina. Mi stringo a lui, il suo odore mi è familiare, mi ricorda quando ero più piccola.

-devi farti la barba- protesto al contatto con quella sua barba ispida e pungente contro il mio viso ma lo sento sorridere.

-lo farò, presto- ma mi bacia la fronte con dolcezza. Sale le scale e percorre quel corridoio ammezzato, fino ad una camera, che con un cigolio protestante, si apre. Papà accende la luce, mi posa sul letto e chiude la porta. -vuoi andare in bagno tu prima? Così io vado a cercare qualcosa da mangiare nel frattempo- annuì. -niente internet e niente cellulare, ma disegna, è un pò che non te lo vedo fare Jamie- sorride, mi da un'altro bacio sulla guancie e mi lascia la borsa, uscendo poi di nuovo dalla camera.

Mi alzo con calma e togliendo i calzettoni grigi, tocco a piedi nudi la moquette morbida e allo stesso tempo ruvida. Raggiungo il bagno. Dentro alla borsa grigia c'è un cambio e dei prodotti bagno. Lavo i denti, mi spoglio piano, tolgo il bendaggio da quasi tutto il corpo poi delicatamente entro nella doccia scadente e rovinata, in lacrime.
L'acqua, ovviamente è fredda e non sembra volersi scaldare, ma mi ci infilo sotto, lasciandomi avvolgere e stringere nel suo abbraccio fluido e vivace. Lavo i capelli e con calma il corpo. Riesco quasi a sentire, la voce di mia madre, che mi dice di non finire l'acqua calda e di sbrigarmi perchè devo andare a scuola.
Ma riaprendo gli occhi, l'acqua è ancora fredda e sono ancora in quello squallido Motel e con i segni dell'incidente che mi rovinano la pelle e l'anima. Ne esco, riavvolgo le alte garze e mi infilo i vestiti puliti mentre lavo gli altri e ho i capelli stretti nella salvietta ispida. Li metto ad asciugare e torno nell'altra stanza con i capelli umidi.

Mi siedo sul lettone birtorzoluto e sopra di essa l'album da disegno con il mio astuccio. Non ho molta voglia di disegnare, ma lo prendo e mi rigiro la matita tra le dita, poi così, da niente, inizio a mettere giù un paio di linee e tutto viene fuori da solo, dettagio per dettaglio, il mio disegno di delinea e quello che ne esce, mi inquieta; è una specie di occhio senza pupilla, bulbo, nè iride. Al suo interno, le mani dei morti che tentano di uscirvi.

Sono tentata di arrotolarlo e buttarlo dalla finestra, ma la mano di mio padre mi ferma.
Lo analizza in modo maniacale ed ansioso. -non buttarlo, non si sa mai che un disegno possa tornare utile- mi dice con un piccolo sorriso. -e poi mi piace, è bello, amore-
Sorrido a mia volta ma abbasso lo sguardo.

-non sono sicura che mi piaccia... Mi da' una strana sensazione- lui mi stringe al livello delle spalle e sorride.

-non pensarci, è solo un disegno Jamie-

-la mamma diceva di non disegnare con troppa leggerezza- dico piano abbassando lo sguardo ed evitando il suo sguardo. -... ma ho come una strana sensazione, come se quelle persone riuscissero ad uscire davvero da... lì-

Lui arriccia le labbra e guarda ancora il disegno. -amore, un disegno è soltanto un disegno, ma non è male scaricare le emozioni negative sulla carta, ti può dare la pace Jamie- poi mi bacia sulla guancia. -forza, mangiamo, ho preso il tuo piatto preferito, la Caesar salad col pollo croccante e il tè alla pesca. Poi una ciambella, devi rimettere delle energie in corpo... il viaggio è ancora lungo-

Sospiro e annuisco. -e immagino che nel tuo troverò il panino con la cotoletta e una bella birra- scherzo e lui sorride annuendo.

-beccato-

Tiro fuori la mia insalata e la apro. -dovresti mangiare meno carne, ti fa male al cuore troppa carne rossa-

-James, ho 35 anni, me lo posso permettere amore- ridacchia lui.

-lo dicevi anche due anni fa... e la risposta è sempre la stessa. Solo perchè sei americano non vuol dire che devi mangiare solo cibo spazzatura- dico addentando un pomodoro.

-vero... ti prometto che quando ci fermiamo iniziamo di nuovo le nostre corse mattutine e potrai fare la spesa e cucinare pesce tutti i giorni, okay?-

Annuì masticando. -siamo davvero ancora molto lontani da qualsiasi sia la nostra destinazione?- gli chiedo piano cercando di farmi dare degli indizi.

-un pò... ma arriveremo presto, poi la nostra vita potrà essere di nuovo normale- dice accarezzandomi una guancia.

-ci conto okay?- lui annuisce e scarta il suo panino. Mangiamo con tranquillità, in televisione c'è la PlayOff e la guardiamo senza parlare eccessivamente. Finita la nostra cena fatta sul letto, è il suo turno del bagno, io indosso qualcosa per dormire e mi corico, infreddolita. Riguardare quel disegno mi da una strana sensazione e desidero con tutto il cuore, strapparlo. Spengo la mia lampada e comincio a cantare tra me, la canzone della mamma. 

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