Testarda

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 Mi sveglio all'alba, il freddo della notte ancora avvolge il campo e le prime luci del sole iniziano appena a spuntare all'orizzonte. Ogni mattina è una lotta per la sopravvivenza, ma oggi sento un peso diverso nel petto, una preoccupazione che non riesco a scacciare.

Il campo è già in movimento, le persone vanno avanti e indietro, ognuno con il proprio compito. Il rumore dei passi, dei martelli e delle conversazioni riempie l'aria. Ma il mio pensiero è fisso su Clarke.

Tutti sanno che Clarke ed io stiamo insieme, è un segreto di Pulcinella. E tutti sanno che se Clarke non mi ascolta, io mi arrabbio, e quando mi arrabbio, nessuno è al sicuro, nemmeno Octavia e gli altri amici. Ecco perché, quella mattina, la tensione nel campo è palpabile.

Una settimana fa, Clarke è stata ferita mentre era a caccia. L'ho scoperto solo dopo, quando l'ho vista cucirsi la ferita da sola, senza nemmeno battere ciglio. Clarke è testarda, non si ferma mai. Passa le giornate tra il campo e l'infermeria, curando gli altri, sempre con quel senso di responsabilità che sembra schiacciarla.

Questa mattina, però, qualcosa non va. Clarke ha la febbre. Lo vedo dai suoi occhi lucidi, dal pallore del viso. Mi avvicino a lei, cercando di mascherare la mia preoccupazione con una calma che non sento.

«Clarke, dobbiamo parlare».

Dico, cercando di mantenere la voce ferma.

Lei mi guarda, stanca ma determinata.

«Non ho tempo, Bellamy. Ci sono feriti in infermeria che hanno bisogno di me».

Sento la rabbia montare, ma cerco di controllarla.

«Se non ti prendi cura di te stessa, crollerai. E se tu crolli, nessuno saprà come aiutarti o come aiutare gli altri».

Le mie parole sono dure, ma sono dettate dalla paura.

Clarke scuote la testa, ostinata.

«Non posso fermarmi. La gente conta su di me».

La prendo per il braccio, con più forza di quanto intenda.

«E io conto su di te. Se ti ammali seriamente, che cosa faremo? Chi si prenderà cura di te? Chi si prenderà cura di noi?»

Lei mi fissa, le sue labbra tremano leggermente.

«Bellamy, non posso permettermi di pensare a me stessa ora».

Mi avvicino ancora di più, il mio viso a pochi centimetri dal suo.

«Devi. Devi pensare a te stessa. Perché se tu non lo fai, nessuno lo farà. E senza di te, siamo perduti».

Finalmente, vedo una crepa nella sua determinazione. Un segno di cedimento.

«Ok».

Dice infine, la sua voce un sussurro.

«Ma solo per un po».

Sento un'ondata di sollievo, ma so che questa è solo una vittoria temporanea. Clarke è forte, troppo forte per il suo bene, e questo significa che dovrò essere ancora più forte per entrambi. Le metto una mano sulla spalla e la guido verso la sua tenda, deciso a non lasciarla sola finché non sarà sicura.

«Vieni».

Le dico.

«Lascia che mi prenda cura di te, almeno per oggi».

Lei annuisce, e mentre la accompagno, sento che il campo si calma leggermente.

Sanno tutti che quando lei ascolta me, siamo tutti un po' al più al sicuro.

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