Clarke spegne la TV, il suono si interrompe bruscamente, lasciandoci avvolti in un silenzio improvviso. Le immagini di guerra che scorrono sullo schermo si dissolvono nell'oscurità. Osservo Clarke, notando la tensione nelle sue spalle, la linea dura della sua mascella.

«Perché hai spento la TV?»

le chiedo, cercando di mantenere la mia voce calma e priva di giudizio.

Mi preoccupa vedere quanto questo la turbi. Lei non mi guarda subito, fissando invece il telecomando che tiene ancora in mano come se fosse un'arma appena disinnescata.

«Parlano solo di guerre».

Risponde infine, con un filo di voce che tradisce il suo sconforto.

«Di uomini che uccidono donne».

La sua voce è un sussurro, un lamento sommesso che si perde nel silenzio della stanza.

Mi avvicino a lei lentamente, come se fosse un animale selvatico che potrebbe spaventarsi da un momento all'altro. Le prendo la mano, sentendo la sua pelle fredda contro la mia.

«Vieni qui».

Le dico dolcemente, tirandola verso di me. Lei resiste per un istante, poi si lascia guidare fino a sedersi sulle mie gambe. La stringo delicatamente, come se potessi proteggerla dal mondo esterno solo con la forza delle mie braccia.

«Clarke».

Sussurro, cercando di catturare il suo sguardo. I suoi occhi sono velati da una tristezza che mi spezza il cuore.

«Lo so che è difficile. Ultimamente sembri essere più sensibile, più toccata da tutto questo. Ma non sei sola. Sono qui con te».

Lei finalmente mi guarda, e vedo le lacrime che minacciano di scendere.

«Bellamy, è tutto così... pesante. Ogni volta che accendo la TV, ogni volta che leggo le notizie, è solo un'altra storia di orrore. Come possiamo andare avanti con tutto questo male intorno a noi?»

La sua domanda mi colpisce, perché è qualcosa che mi chiedo anch'io. Ma in questo momento, devo essere forte per entrambi.

«Non possiamo cambiare il mondo intero. Ma possiamo fare la differenza nella nostra vita, nel nostro piccolo angolo di mondo. Possiamo essere una luce in mezzo all'oscurità».