XXI.

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Qual è la tua più grande paura?

Questa è la classica domanda che ti fanno alle elementari, una domanda banale no?

Tutti abbiamo paura di qualcosa, chi dei ragni, chi dell'altezza, chi dell'amore e chi della paura stessa.

Io invece no, io ho paura di me stessa.

Spesso il nemico peggiore dell'essere umano, è l'uomo stesso.

Ci facciamo del male senza rendercene conto, e soffriamo solo a causa nostra.

Noi siamo artefici del nostro destino, la nostra felicità o la nostra tristezza non dipende da qualcuno, dipende solo da noi e dal modo con cui ci approcciamo alla situazione.

Tu decidi di essere felice quando metti da parte tutte le insicurezze e inizia a vivere a 360 gradi.

E passeranno i momenti tristi, i pianti al buio e le urla nel silenzio, passeranno questi momenti monotoni, passerà tutta la voglia di gridare al mondo che stai male, che soffri.

Questi problemi passeranno come passa tutto, il problema è quando.

E sono seduta qui, in questa fredda e umida vecchia panchina, mentre il freddo agghiacciante mi screpola la pelle bianca e il forte vento mi scompiglia i capelli.

Fortunatamente il gelo evita ai miei occhi di bagnarsi nuovamente, ma il mio cuore è talmente distrutto che al momento le lacrime sembrerebbero quasi ridicole in confronto a lui.

Alcuni giorni fa ho capito che dovevo distruggere una parte di me, quella danneggiata, quella inutile.

Successivamente ho capito che tutte le mie parti sono danneggiate, la mia anima è divisa in due.

Non ho fatto nulla di buono in tutta la mia vita, non sono neanche capace a farmi volere bene, a farmi amare.

Perché è questa la verità, tutti sono tuoi amici e poi in realtà ti colpiscono alle spalle, in silenzio.

E tu te ne stai lì, a prendere le coltellate e piangendo in silenzio, perché se gridassi al mondo che stai male tutti ti chiamerebbero depressa.

Il gioco dell'impiccato ci insegna sin da bambini che le parole possono uccidere.

E io mi sento rotta dentro, nessuno può aggiustarmi, neanche me stessa.

Sono consapevole di non essere rimasta sola, ho Lauryn, Tyler e mio padre, però ho sempre questa tremenda impressione di non essere mai abbastanza, di essere sempre giudicata, di essere come un peso per il mondo.

E magari è proprio questo quello che sono io, un terribile peso che le persone che mi stanno accanto sono costretti a sostenere.

Forse farei meglio a scomparire, forse in questo modo tutti potrebbero essere felici.

«Ehi ragazzina, stai attenta a dove metti i piedi! Sono scarpe firmate queste.»

Alzo lo sguardo e osservo con occhi freddi la donna che si presenta davanti a me. I capelli neri corvino sono legati in una coda con delle treccine ai lati, le labbra sono dipinte da un rosso scuro e gli occhi sono coperti da degli occhiali da sole - inutili considerando le nuvole - che le incorniciano il viso risaltandone gli zigomi pronunciati.

Apparentemente una bella donna, ma il suo atteggiamento non rispecchia il suo volto, dato che i suoi occhi mi guardano con disprezzo e superiorità.

«Mi scusi signora, non volevo pestarle i tacchi.» Dico con voce flebile e tremolante, sono troppo distrutta e non ho intenzione di litigare con gente estranea per delle sciocchezze.

«I giovani d'oggi sono troppo distratti, sempre con quel telefonino in mano, pensate di più al vostro futuro e non ai mi piace su Instagram.»

Io la guardo un po' allibita, ho pestato i suoi piedi per sbaglio e non avevo neanche il telefono in mano, solo una miriade di pensieri dentro la mia testa.

«Signora, mi scusi, ho troppi pensieri per la testa.»

«Non m'importa, io lo dico per te, dovresti fare più attenzione!»

«Ha già detto che le dispiace, deve continuare a sparare cazzate, o vuole andarsene e smettere di importunare la ragazza?»

La voce più roca mai sentita in vita mia si fa spazio tra le mie orecchie, e sbianco al solo pensiero.

Non capisco cosa voglia da me Ryan, mi ha spezzato il cuore e non ho intenzione di perdonarlo dopo tutto quello che mi ha fatto.

Cosa pretende? Che io lo perdoni solo perché mi ha "difesa" contro una signora? Ma per favore.

«Maleducati, maleducati.» Borbotta la signora mentre ricomincia a camminare.

Come se fosse tutto a rallentatore, mi giro verso Ryan e trovo il suo sguardo puntato sul mio.

Ha i capelli neri arruffati, gli occhi verdi che mi scrutano in modo curioso e un sorriso beffardo sulle sue labbra.

E' bello da far male.

«Cosa diamine vuoi, Howard?»

«Ascolta Eva, io voglio chiederti scusa per tutto quello che ho fatto, prima ero una persona diversa che frequentava amici diversi e poco raccomandabili, la vita è fatta di errori.»

«No Ryan, non voglio stare ad ascoltare neanche una parola da parte tua, non ti perdonerò mai per quello che hai fatto.»

«Senti chi parla! Eravamo nella stessa compagnia praticamente Eveline! Io ho sbagliato? Ma guardati, eri praticamente come me!»

Alza la voce e alcune persone che passeggiano per la il lungomare si fermano a guardarci.

«Non dire una cosa del genere Ryan, io sono stata in quella compagnia solo una sera , e avevo anche una buona motivazione!

Non provare a dirmi che ero come te, io ho sofferto e ho provato a dimenticare, tu invece bevevi e ti drogavi per divertimento!»

La rabbia inizia a impadronirsi del mio corpo, non posso tollerare certe parole, non riesco a sentirmi dire certe cose dopo tutto quello che ho passato.

«Per non parlare di quello che tu hai fatto a me! Non oso immaginare a quante altre povere ragazze tu abbia fatto lo stesso, mi fai schifo Ryan Howard, mi fai vomitare!»

Lui è immobile, con gli occhi puntati su di me, la mascella serrata e lo sguardo cupo.

«Ti ho detto che mi dispiace Eva, io voglio cambiare, ho bisogno di te, non mi fare questo.»

«Non mi fare questo? Se ti fosse importato anche un minimo di me, mi avresti detto subito quello che avevi fatto quella sera! Invece no, hai preferito nasconderlo e mentre da una parte mi facevi innamorare di te, dall'altra giocavi con i miei sentimenti.

Da una parte mi facevi gli occhi dolci e dall'altra mi pugnalavi alle spalle.

Hai preso il mio cuore e l'hai distrutto in mille pezzi diversi, e per colpa tua adesso è spezzato e non sarà mai più come prima. Per colpa tua adesso sono distrutta dentro, quindi lasciami in pace e non farti vedere mai più.

Anzi, ti farò un favore, sarò io ad andarmene.»

Mi giro dall'altra parte e cammino a passo svelto lungo il marciapiede bianco che affaccia sul porto.

Non provo tristezza o dolore, solo rabbia.

Continuo a camminare per una decina di minuti, poi arrivo su un ponte che unisce il porto e la parte delle case di New Haven, sotto di esso, il vuoto.

Decido di sedermi sulla ringhiera - tanto non farebbe differenza - dando le spalle alla strada.

Il gelo mi colora le guance e il naso di rosso intenso, mentre il mio respiro provoca una nube bianca che esce dalla mia bocca. Il cielo è di un azzurro mai visto, chiaro ma con dei lati scuri.

Apro le note del telefono e inizio a scrivere una lettera per Lauryn, Tyler e mio padre.

Non so di preciso il motivo, ma credo che scrivere mi possa aiutare a sfogarmi, ogni tanto prendo le note del telefono e digito ogni pensiero che attraversa la mia mente.

Ho tanti, troppi, pensieri per la testa.

Non mi fanno dormire, non mi fanno mangiare, non mi fanno sorridere.

Ogni singolo pensiero mi rende triste, ho solo pensieri tristi dentro la mia mente.

E' come se nel mio cuore ci fosse un buco nero che attira a se troppe cose, molto piú grandi di me.

Mi sento stanca, poco motivata e debole.

Riesco solo a pensare.

Non rido mai, sono sempre cattiva e cupa.

Faccio soffrire la gente senza rendermene conto.

Perché pensieri, mi fate questo?

Sono sbagliata? Ho qualcosa che non va?

Ditemelo voi, perché io non ci capisco piú niente.

Con le lacrime agli occhi, mi alzo e mi metto in piedi sul ponte. Mi piace questa sensazione, sento il vento gelido che mi scompiglia i capelli.

In un momento, rivedo la mia vita.

Quando io e Ethan abbiamo festeggiato il nostro primo compleanno insieme e lui ha fatto spegnere a me la candelina perché ero in lacrime.

Quando una volta mi sono sbucciata il ginocchio e lui mi ha subito medicata.

Quando per la prima volta Kathrine e Steve sono venuti all'orfanotrofio per prenderci e portarci a casa.

Quando non volevo rimanere sola nella mia buia cameretta e allora sono andata nella stanza di Ethan e mi sono infilata tra le coperte.

Il primo giorno di scuola insieme a Santa Monica, dove lui non mi voleva lasciare mai sola e mi teneva sempre per mano.

Quando poi ci siamo trasferiti a New Haven e ho incontrato Lauryn e Tyler.

Quando io e Tyler siamo rimasti bloccati nell'ufficio della preside e ci siamo messi a fare domande per conoscerci meglio.

Quando è stata annunciata la gita a Washington e io e i miei amici eravamo in estasi e felici di passare del tempo insieme.

Quando abbiamo visitato i mercatini e cercato un ragazzo a Tyler.

Quando siamo andati alla festa e quando Tyler e Ethan hanno rotto la statua nel museo di Washington.

Tutti i bei momenti stanno riaffiorando nella mia mente, tutte le cose belle che ho vissuto le sto rivivendo una seconda volta escludendo quelle brutte.

La vita fa questo, ti prende, ti distrugge, ma alla fine ti lascia un sacco di cose belle.

E io ho paura di non riuscire più a provare cose belle, Ethan era tutto per me e adesso senza di lui non so se riuscirò ad andare avanti.

Non sono spaventata per quello che sto per fare, sono convinta della mia scelta e mi dispiace per le persone che mi stanno pensando in questo momento, ma io voglio essere felice, e la mia felicità è Ethan.

Chiudo gli occhi e faccio un passo in avanti.

Voglio chiedere scusa.

Voglio chiedere scusa al mio cervello per non averlo ascoltato.

Voglio chiedere scusa alle mie mani piene di graffi.

Voglio chiedere scusa alle mie braccia e alle mie gambe, che sono piene di lividi.

Voglio chiedere scusa ai miei occhi che ogni volta versano lacrime senza un vero motivo.

Ma soprattutto voglio chiedere scusa al mio cuore.

Scusa se ti ho fatto a pezzi e non riesco più a ricomporti, scusa se ti tratto male, scusa se ti prendo in giro, scusa se ti sento freddo, scusa se stai male, scusa se hai così tante cicatrici, e scusa, perché stai per smettere di battere.

Come gocce cristalline su uno scoglio, il corpo di Eveline Moor si sparge al suolo. Pezzi di lei sgretolati, ma comunque più uniti di prima.

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