28. Take on the world - Parte II

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Cari amici e lettori

Ecco a voi la seconda parte del capitolo, piuttosto toccante, spero riesca ad emozionare anche voi ❤ 

Vi auguro buona lettura


Marco e Aurora restarono in silenzio per tutto il viaggio.

Mentre gli occhi di lui erano puntati sul paraurti della macchina di Cristian, che precedeva la sua di pochi metri, Aurora continuava a fissarlo, sperando in qualche modo di poter leggere i suoi pensieri attraverso l'espressione del volto.

Le pieghe sulla fronte e le labbra serrate erano un chiaro segno di tutta la sua preoccupazione, e lo sguardo perso in un punto al di là del parabrezza denotava quanto fosse grande il suo senso di smarrimento.

Da quando Cristian li aveva informati dell'accaduto, neppure un'ipotesi era venuta fuori dalla sua bocca su dove Stefano potesse essere; il che la portava a credere che neppure Marco avesse idea di dove cercarlo.

«Pensi che sia chiuso nello studio di tua madre?» provò a chiedergli quando il ragazzo parcheggiò la macchina nella stradina di fronte casa sua.

Marco esitò per alcuni secondi, poi si slacciò la cintura e si voltò verso di lei.

«Ascoltami, Aurora. Sto per chiederti una cortesia e spero tu voglia farmi questo favore senza ulteriori domande.», il tono serio e i lineamenti tesi.

La ragazza fece un cenno di assenso col capo, senza aggiungere altro.

«Voglio che tu vada a casa. Chiederò a Cristian di accompagnarti con la sua auto; nel frattempo io salgo da mio fratello e risolvo questa situazione.»

Aurora non poté fare a meno di sgranare gli occhi e schiudere le labbra, sorpresa.

«Pensi davvero che me ne andrei a casa, buona buona, e ti lascerei in questa situazione da solo?» Poi si voltò e iniziò a slacciarsi la cintura. «Ah no, mi dispiace, mi hai tagliata fuori già una volta. Non lascerò che tu lo faccia ancora.» e scese dall'auto, senza dare a Marco la possibilità di replicare.

Il ragazzo si passò una mano sul volto, esasperato, poi la seguì fuori dalla macchina.

«Ascolta, non voglio tagliarti fuori, è solo che-»

«Non insistere. Ti ho promesso che avremmo trovato tuo padre e non ho intenzione di venir meno alla parola data!» insistette lei, avviandosi poi verso il portone del palazzo.

Mentre Marco frugava nel borsone alla ricerca del mazzo di chiavi, Cristian li raggiunse.

«Vengo con voi, nel caso ci fosse bisogno di una mano.»

«D'accordo» acconsentì Marco.

Non appena l'ascensore spalancò le sue porte sul pianerottolo del terzo piano, trovarono Alessandro sull'uscio di casa, con il volto pallido e un'espressione terrorizzata che mutò presto in sollievo non appena i suoi occhi si posarono sulla figura di Marco.

«Dio, meno male che sei arrivato! Io non so più che fare!» esclamò il minore, del tutto indifferente alla presenza degli altri due ragazzi.

«Hai novità? Hai sentito dei rumori provenire dalla stanza?» chiese Marco, dirigendosi spedito verso la porta dello studio di Giulia.

«Niente,» rispose Alessandro, abbattuto, «neppure un fiato. Comincio a credere che non sia lì dentro...»

Il maggiore cominciò a picchiare il pugno contro la porta della stanza. Uno, due, tre colpi.

«Papà, sei lì dentro?» chiese con voce tanto tesa da dare l'impressione che fosse sul punto di urlare. «Se ci sei, apri immediatamente questa porta, hai capito?!» continuò, in tono sempre più alto.

Poi restarono tutti in assoluto silenzio, il respiro in pausa, nell'attesa di sentir provenire dall'interno della stanza anche il più piccolo rumore, l'accenno di un movimento, uno sbuffo, un colpo di tosse, qualsiasi cosa.

Ma nulla.

Solo e soltanto silenzio.

A quel punto Marco, spazientito, decise di non indugiare oltre.

«Papà, se sei lì dentro, allontanati dalla porta, perché sto per sfondarla» annunciò, cogliendo tutti di sorpresa.

«Non penserai di farlo davvero...?» domandò Cristian, la cui espressione incredula rispecchiava tutto il suo scetticismo sull'efficacia di quella soluzione.

«Oh sì che lo farò! E dopo aver preso a calci la porta, prenderò a calci pure lui se è lì dentro!» sentenziò, prima di fare qualche passo indietro e prendere la ricorsa.

Diede una prima spallata, poi una seconda e una terza, ma niente, la porta sembrava non voler cedere. A quel punto Cristian intervenne per dargli man forte ed evitare così che si lussasse una spalla.

Ci vollero altri cinque colpi prima che la porta cedesse. E quando si spalancò mostrando l'interno della stanza, Aurora trattenne istintivamente il fiato.

Stefano era lì, seduto sulla sedia da scrivania un tempo occupata da sua moglie, con il corpo e lo sguardo rivolto verso la finestra sulla parete opposta alla porta, da cui filtravano i tiepidi raggi del sole invernale ormai alto nel cielo del primo pomeriggio.

Mentre Marco e Cristian erano appoggiati allo stipite, con il fiato corto per lo sforzo, fu Alessandro ad avanzare a passi lenti e incerti, guadagnando pian piano il centro dello stanza.

Aurora poté vedere i suoi occhi nocciola lucidi per le lacrime, qualcuna già vinta dalla gravità rotolava giù lungo le guance pallide e glabre.

«Allora eri qui?» chiese il ragazzo con un filo di voce. «Eri qui e non hai detto niente?»

L'uomo rimase immobile, impassibile dinanzi alle domande cariche di sgomento e sconforto di Alessandro.

«Sono due ore che ti chiamo e ti cerco e ti supplico di aprirmi, e tu niente?... Possibile che non te ne freghi niente di me? Di noi?»

La voce del ragazzo era ormai rotta dai singhiozzi, e nell'ascoltarli Marco si sentì morire. L'ultima volta che l'aveva visto piangere così era stato al cimitero, davanti alla bara della loro madre.

«Tutti fuori. Ora.» ordinò Marco in tono perentorio, afferrando il fratello per le spalle e guidandolo verso Cristian, ancora sull'uscio dello studio. L'amico passò un braccio intorno alle spalle del ragazzo e lo strinse a sé, accompagnandolo nella sua stanza, mentre gli sussurrava di stare tranquillo e che sarebbe andato tutto bene.

Aurora seguì il loro esempio e lasciò lo studio; prima di accostare la porta alla serratura ormai danneggiata, non poté fare a meno di indugiare con lo sguardo su Marco, che aveva mosso qualche passo verso la scrivania a cui sedeva suo padre, e domandarsi se fosse una buona idea lasciare il ragazzo solo con Stefano. Dopotutto, solo qualche minuto prima, aveva promesso che se fosse stato nella stanza, lo avrebbe preso a calci.

Ma non poteva dire sul serio, vero?

Fu lo stesso Marco a rassicurarla con un cenno del capo, invitandola così ad uscire da lì.

Una volta rimasti soli, il ragazzo si andò a posizionare davanti all'uomo, sperando di poterne catturare l'attenzione e lo sguardo vacuo.

«Ti rendi conto di quello che hai fatto?» chiese in tono fermo e controllato.

Ma Stefano rimase in silenzio ancora una volta.

«Lo sai che ci hai fatti morire di paura, vero?»

Di nuovo nessuna risposta.

«Non vuoi parlare? D'accordo, benissimo! Allora parlerò io!» Si avvicinò all'uomo e si piegò in avanti, appoggiando le mani ai braccioli della sedia, in modo che i loro visi fossero a pochi centimetri di distanza e Stefano non potesse distogliere lo sguardo.

Solo allora questi parve riscuotersi dal suo torpore e notare la presenza del figlio davanti a lui.

«Apri bene le orecchie: sono stufo marcio dei tuoi silenzi e della tua apatia, stufo! E soprattutto mi sono rotto di farti da babysitter! Pensi di essere l'unico a sentire la sua mancanza?! Eh?! Cosa credi?! Che noi siamo felici?! Se non te ne fossi accorto, di là c'è tuo figlio che piange! È morto di paura per colpa tua! Te ne frega qualcosa, eh?! Te ne frega niente di noi?!»

«Sì che m'importa!» sbottò Stefano all'improvviso, facendo fare a Marco un balzo indietro. «Ma non ce la faccio, non capisci?! Non ce la faccio ad andare avanti senza di lei!» urlò, scaraventando per terra ogni oggetto presente sul ripiano della scrivania.

Le urla e il fracasso attraversarono le pareti della stanza, per giungere limpide e chiare alle orecchie degli altri ospiti della casa. Nell'ascoltare quella conversazione, Aurora sentì formarsi un groppo in gola: finalmente padre e figlio stavano tirando fuori i loro sentimenti, anche se non era troppo sicura che quello li avrebbe portati a una qualche conclusione.

«E cosa pensi di fare, eh?! Vuoi lasciarti morire di fame e di sete? Vuoi che tuo figlio trovi il tuo cadavere dopo una settimana?! Eh?! È questo che vuoi?!»

Marco era senza fiato: le parole gli erano venute fuori sempre più cariche di rabbia, come se potessero servire a scuotere Stefano dal suo stato comatoso e riportarlo alla realtà.

L'uomo rimase in silenzio, fino a quando non scoppiò in un pianto rotto, spezzato dal dolore della perdita, della solitudine, del vuoto più assoluto.

«Lo hai letto, non è vero?» La domanda a bruciapelo lasciò Marco pietrificato, sotto shock.

Come poteva sapere che aveva letto il manoscritto? Perché era a quello che si riferiva, no?

Non poteva essere diversamente.

Il ragazzo si massaggiò la fronte con la destra, poi posò le mani sui fianchi e decise di confessare.

«Sì, l'ho letto. Ora so tutto.»

L'uomo si asciugò le guance con la manica del maglione marrone con scollo a v, che lasciava emergere il colletto stropicciato di una camicia bianca un po' sdrucita.

«Lei voleva dirtelo, mi ha supplicato di dirti la verità, ma io non ce l'ho fatta. Mi odi, non è vero?»

Marco tenne lo sguardo fisso su di lui. Seduto lì su quella sedia, gli sembrò tutt'un tratto più piccolo, come se l'uomo che era stato un tempo fosse stato consumato dagli eventi; quello che ne rimaneva era una pallida imitazione, il ricordo di qualcosa che non era più e mai più sarebbe stato.

Avrebbe voluto prendersela con lui, inveire per aver mantenuto troppo a lungo il segreto, ma l'unica cosa che uscì dalle labbra di Marco fu una domanda.

«Perché non me l'hai detto?»

Stefano sollevò lo sguardo per portarlo in quello chiaro e profondo del ragazzo.

«Perché temevo che se tu avessi saputo, te ne saresti andato per non tornare più. E io non potevo permetterlo. Non potevo permettermi di perdere anche te.»

Marco fece qualche passo verso di lui, poi si inginocchiò davanti all'uomo e ne afferrò le braccia. «Mi vedi, papà? Io sono qui, non vado da nessuna parte. Ma ho bisogno di te, non ce la posso fare a mandare avanti tutto da solo. Lo so che mamma ti manca, perché manca ogni giorno anche a me. Ma noi siamo qui, papà,» disse con forza, stringendo la presa, «io e Alessandro non siamo morti, siamo qui e abbiamo bisogno di te. Abbiamo bisogno del nostro papà.»

Pronunciare quelle parole costò a Marco ogni briciola della sua forza e del suo coraggio.

E solo quando Stefano lo attirò a sé per stringerlo in un abbraccio, il ragazzo sentì finalmente di potersi lasciare andare, di poter piangere tutte le lacrime che sino ad allora aveva nascosto nell'angolo più buio dei suoi occhi.

E quando le lacrime si esaurirono, Marco aiutò Stefano ad alzarsi, e insieme varcarono la porta di quello studio, lasciandosela alle spalle. 

Spalancata.

Vi aspettavate questa conclusione per Marco e Stefano?

Io penso che fosse arrivato il momento per loro di confrontarsi e aprirsi, anche solo un po'.

E per concludere una piccola sorpresina: una piccola anticipazione dal Prologo de "La cosa più importante", la mia prossima storia, da Marzo su wattpad :)

Se siete curiosi, sul mio profilo potete già trovare la storia con un breve trailer di anteprima :)

E come sempre, grazie infinite del vostro sostegno

Sempre vostra

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro