Capitolo 9: Posso piangere?

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《Vorremmo ora tentare di ricordare altro? L'ultima volta ci siamo lasciati cercando di portare alla mente il babbo. Vorrei che riprovassi. 》

Lauren aveva preso una certa dimestichezza con la poltroncina reclinabile, tanto da evitare di farla abbassare a tutta velocità. Aveva giusto dosato il peso della schiena, scendendo con dolcezza.
Il dottor Colton, paziente e affettuoso, le aveva riconosciuto di essere molto astuta, una tipa piuttosto arguta. Molti altri pazienti non erano stati tanto furbi.

《Di lui non ricordo niente.》confessò lei. L'idea di ricordare suo padre, in parte, la schifava. Era colui che l'aveva abbandonata, lasciata sola ad affrontare il mondo. Non poteva provare piacere nel pensare a lui.

《So che invece qualcosa c'è. Lasciati andare. Lascia che la tua mente comunichi. 》

Si introdusse il silenzio, oneroso sovrano, plumbeo artista di ogni seduta ipnotica. Se Lauren sceglieva di tacere, il tutto stava iniziando a funzionare.

È una giornata fredda e grigia.
Mamma è stesa nel letto, dice di non sentirsi troppo bene. Papà non presta molta attenzione al contesto, guarda la televisione e inveisce contro il telegiornale locale. Lo fa spesso, dice che è un buon modo per sfogarsi.
Lauren gli appare alle spalle, ha voglia di giocare con lui. Lo invita nella sua stanza, deve assolutamente fargli vedere una cosa. Il babbo la segue, ma distante e distratto. Lauren da un lato si sente grata, dall'altro percepisce che suo padre si sforza di amarla. Invece lei lo ama, lo ama così tanto.
Giunti nella cameretta, Lauren gli mostra la sua ultima creazione. Si siede al piano da poco regalatole e inizia a pigiare sui tasti. Quella piccola melodia l'ha creata lei, di suo pugno e ne va fiera. Papà si prodiga di applaudire al termine dell'esibizione.
La prende in braccio e la stringe. Dice di essere fiero di lei, un giorno sarà una grande pianista. La abbandona nella stanza, ma Lauren non è felice. Sebbene il babbo le abbia fatto i complimenti, qualcosa continua ad urlarle a Lauren che si tratta solo di una circostanza, di una frase fatta volta a sedare il continuo distrarre da parte della figlia. Qualcosa le dice che presto suo padre smetterà di sentirla suonare.

Lauren rinvenne dalla trance. Aveva parlato, aveva ricordato ogni attimo di quel momento, non di meno risposto a tutte le domande di Victor.
E aveva pianto. Sì, Lauren aveva pianto. Se ne rese conto per via dell'umidiccio tra le dita, mani che aveva da poco portato sul viso per nascondere l'emotività. Non le apparteneva l'emotività, non le sarebbe appartenuta mai.

《Molto, molto bene Lauren. Scavando nelle tue memorie, stiamo ottendendo grandi risultati. Pensi di poter suonare il piano, per me?》

La domanda la colse impreparata. Pensò che la cosa non c'entrasse niente con il resto della seduta. Eppure, sebbene la trovasse una richiesta stramba, si lasciò incuriosire ulteriormente.

《Quì c'è un piano?》

Il dottor Colton le prese la mano e la portò sino a ridosso dello strumento sul fondo dello studio.

《È sempre stato qui. Forse sarebbe un po' da spolverare, prima. Nessuno lo tocca da diverso tempo.》

Le dita di Lauren si posarono sui tasti. Li accarezzò come non li avesse mai toccati in vita sua, con rispetto. Pigiò appena, senza troppa decisione.
Nella stanza esplose il suono, l'eco di un amore che Lauren non aveva mai dimenticato davvero.

《Non so se ne sono ancora capace. 》

《Prova. Nessuno ti giudica. Io me ne sto quì, ascolto. Sono negato con gli strumenti musicali, ho sempre qualcosa da imparare.》convenne Colton, pronto a sbaragliare l'ennesimo blocco della sua paziente.

Lauren si sedette al piano e tentò di ricordare qualcosa. Stranamente, ma forse non troppo, le tornò alla mente la melodia che aveva dedicato al papà. Una serie di facili armonie.
Si inerpicò nel viale dei ricordi, per attingere alle note, alle corrette tonalità con cui aveva suonato in quel giorno uggioso di novembre. Rivide il viso di suo padre ed ebbe la spinta giusta.
Iniziò a suonare, privata di ogni titubanza.

I tasti lisci del piano andarono a scontrarsi con la ruvidità di un ricordo che le faceva ancora male.
Sentì la presenza del dottor Colton farsi vicina.
Egli posò le proprie mani sulle spalle di Lauren e assaporò il vorticoso armeggiare delle dita della giovane sullo strumento. 

Sebbene non le sarebbe stato concesso di saperlo, il dottor Colton chiuse gli occhi e decise di assaporare la melodia solo con l'udito, dimenticando che a suonare fosse Lauren. Si lasciò trasportare da lei nel suo mondo, perché un buon medico doveva, aveva il dovere di farlo. Avrebbe per lo meno dovuto immaginarlo, quel mondo bastardo in cui era stata catapultata Lauren negli ultimi anni.

《Sei stata davvero bravissima. I miei complimenti. Vivissimi complimenti. 》applaudì appena, riconoscendole l'attitudine.

《Non sapevo di poterlo fare ancora.》ammise Lauren. La prima a ritrovarsi sorpresa di sé stessa non potè che essere lei.

《Venire da me non è solo passato. È anche lasciarti agire sul tuo presente per garantirti le basi ad un futuro migliore.》

Un'altra barriera venne scalfita. Lauren si sentì in dovere di riconoscere che il dottor Colton era mille e più persone, per lei. Un confidente, oltre che un medico, quasi un amico. Un complice, un sostenitore. Era la figura professionale più preparata che avesse mai incontrato nella propria vita e si sentì di ringraziare tacitamente gli zii per la scelta che avevano fatto nei suoi confronti.
Frequentare lo studio del dottor Colton iniziava a diventare un vero toccasana, un impegno settimanale al quale Lauren non si sarebbe più sottratta facilmente.

《Grazie, dottore.》

《Se ti va, vorrei che mi chiamassi solo Victor. Io preferirei così.》

Lauren ci pensò un secondo. Ma sì, che cosa poteva succedere? Ormai erano entrati abbastanza in confidenza per sdoganarsi dalle congetture medico-paziente.

《D'accordo, Victor allora. Ha pure un bel nome. Mi piacerà chiamarla semplicemente così.》

                      ***********

Nella sala d'attesa, Lauren prese coscienza di un fatto anomalo. Stephen non c'era, non c'era nemmeno il suo profumo. Volse la testa a destra e poi a sinistra, ma senza imbattersi nella sagoma del ragazzo.

《Se ti stai chiedendo dove sia, oggi non è voluto venire.》

《Per quale motivo?》fu avvolta da una curiosità inspiegabile e anche da una certa sensazione di tristezza.

《Non mi è permesso dirtelo, Lauren. Sai... Segreto professionale.》enfatizzò le ultime parole, come se esso stesso ci credesse davvero poco.

《Spero solo stia bene. Gli devo ancora una caramella gommosa e un dito medio. 》

Il dottor Colton si sorprese della spiegazione, ma del resto, Lauren si esprimeva sempre in quel modo contorto. Andava assecondata, più che capita, delle volte.

《Bene, sta bene. Questo te lo posso assicurare. Dice di aver preso un impegno per stamattina, ma io credo di non essere tenuto a riferirti altro.》

Si trattò di una spiegazione piuttosto misera, ma a Lauren bastò. Per un momento desiderò solo di sentire l'aroma di Stephen nella sala d'attesa. Era così vuota senza di lui, così silenziosa.

《Mio zio mi aspetta di sotto. Grazie, Victor. Per tutto. 》

Il medico la prese tra le braccia per una stretta cordiale, ma comunque formale.

《Mi fa piacere che tu stia iniziando a ricrederti. Abbiamo ancora molto su cui lavorare, non ti arrendere. Daremo un senso a tutti i tuoi malesseri e riusciremo a farti uscire da essi.》

Non fu chiaro se si trattasse di una promessa, ma Lauren volle interpretarla così. Una parola data, un impegno solenne, oltre le figure di medico e paziente. Iniziò davvero a credere che tutto fosse possibile.

《Lo spero Victor, lo spero davvero di cuore.》









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