PAURE, DUBBI E SPERANZE

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11 gennaio

"Da come fischietti stamattina deduco che hai visto Tara e che le hai parlato." La voce di Cheryll risuona dietro le mie spalle mentre sto per imboccare la porta a vetri della TVNY. Non riesco a nascondere il mio buon umore, anche se sono consapevole che i passi da fare sono ancora tanti e la strada con Tara è tutta in salita. Mi fermo ad aspettarla, mentre i vari colleghi ci passano accanto con la fretta di entrare il prima possibile per poi potere uscire altrettanto prima possibile. Tutti però non rinunciano a guardarmi con aria indagatrice, perché ancora sono curiosi di sapere della mia storia con Tara e mi osservano come se con il solo sguardo potessero riuscire a capire tutto l'oceano di eventi che stiamo attraversando io e lei. "Non so veramente come ringraziarti Cheryll. Avevi ragione, dovevo parlarle e credo che tu sapessi già cosa mi stesse nascondendo." La mia collega abbassa lo sguardo con finta colpevolezza, ma in realtà la vedo nascondere il sorriso di chi l'ha fatta grossa e ne è soddisfatto. Quando poi mi riguarda il suo sguardo ritorna a farsi serio. Lo sa che le cose non sono facili e conosce anche lei la testardaggine di Tara. "Come stanno le cose tra voi ora?" Già, come stanno? "Dire complicate è una semplificazione che non rende bene l'idea." Un po' di ansia mi assale al pensiero di quel muro che ha innalzato Tara. "Ma sono determinato a prendermi cura della mia famiglia. Devo solo abbattere qualche barriera che quella testarda della nostra ex collega ha innalzato tra noi." Dico cercando di sdrammatizzare. Cheryll accoglie il mio sarcasmo con una leggera risata, consapevole che la mia non fosse solo una battuta, ma una pesante verità. "Allora adesso devi darci dentro con il lavoro. Come hai detto tu, hai una famiglia da mantenere." Inaspettatamente Cheryll mi prende la mano e me la stringe amichevolmente, accennando un caldo sorriso di incoraggiamento. Ci avviamo insieme all'ascensore, ridendo ancora e scambiando alcune battute. Si, ho una famiglia. Famiglia. Parola che riempie la mia mente facendo affacciare le immagini di come potrà essere la mia vita futura, con al mio fianco Tara e la nostra bambina, una dolce principessa con gli stessi colori di Tara ma con i miei capelli ricci. E se fosse un maschietto? Non farà differenza. Sarà solo l'espressione massima del nostro infinito amore. Non ho mai pensato a queste cose prima di Tara. Non sono mai stato un tipo da sdolcinatezze. Era tutto troppo lontano da me e dalla vita che pensavo di volere, tanto meno ho mai fantasticato romanticamente su figli e famiglia. Ora è l'unica cosa che invece sembra avere un valore e un senso, l'unica per cui sento che valga la pena lottare.

So cosa devo fare: trovare una nuova assistente, lavorare sodo e conquistare di nuovo la fiducia della mia donna, sforzandomi di fare la cosa più difficile in questo momento: non farle pressioni.

È stata una mattinata intensa, interamente trascorsa tra una riunione e l'altra cercando di prestare attenzione a tutti i discorsi che si avvicendavano alle mie orecchie, dando una controllata frequente all'orologio e al cellulare. Ho voglia di sentirla di parlare con lei. Ho sperato si facesse sentire, mi cercasse, ma è evidente che mi sono illuso troppo. Mi ripeto di non farle pressioni, ma il bisogno di sapere come sta è forte, voglio sapere se è tutto ok, se ha bisogno di qualcosa. L'ho vista ancora tanto provata fisicamente e probabilmente la gravidanza le sta dando qualche fastidio allo stomaco, che è il suo punto debole. Diamine, non so nemmeno quando dovrebbe nascere nostro figlio. Quante cose vorrei sapere: vorrei chiederle se ha paura. O quanto è felice. E ho bisogno di condividere con lei i miei pensieri e conoscere i suoi. Invece il modo in cui ci siamo lasciati ieri ha lasciato aperte troppe domande che non riesco a far smettere di rincorrersi nella mia testa. Ma la sensazione che provo è comunque positiva. Sarà per via della mia determinazione, sarà per il ricordo di quel sorriso, io ho la sensazione che tutto potrà andare bene.

Rintanato nel mio ufficio, finalmente, riesco a godermi un po' di quella pace necessaria per capire quale sarebbe ora la mossa più giusta da fare. Quella che non la farebbe sentire soffocata, ma amata. Che le farebbe capire che io ci sono, ma che so anche aspettare, che voglio aspettare i suoi tempi. Il mio istinto mi diceva di chiamarla già stamattina appena sveglio, ma ho resistito fino a questo momento e il telefono adesso scotta tra le mie mani. Un impulso schiacciante mi dice insistentemente di chiamarla, di sentirla. Impulso che lotta con la mia volontà di darle spazio e non farla sentire oppressa, ma alla fine lo seguo senza ripensarci, prima che altri mille dubbi possano prendere il sopravvento e mi costringano a rimuginare ancora su cosa possa essere la cosa più giusta da fare.

Il telefono squilla: uno, due, tre volte. Troppe per non cedere al sospetto che abbia visto il mio nome sul display ed abbia deciso di non rispondere. Ecco che l'amarezza si fa sentire in bocca. Forse mi sono fatto troppe illusioni. E la conseguenza delle illusioni è la delusione. Quando ci abbandoniamo troppo alle speranze, poi cadiamo puntualmente nella voragine della disillusione e ci feriamo. Inizio a sentirle le mie ferite aprirsi di nuovo. Erano tenute insieme da un sottile filo di sutura fatto di labili fantasie. Per quanto puoi essere determinato, quando dall'altro lato non senti la volontà di ricucire, lo scoraggiamento è comunque dietro l'angolo.

Ok, il messaggio è giunto chiaro e sto per attaccare, ma per fortuna sento in tempo la voce di Tara che risponde affannata, di corsa. Il suo è un "Pronto" squillante e distratto. Probabilmente non ha nemmeno visto chi la stava chiamando. "Ciao!" le dico con titubanza. "Ah..." risponde sorpresa, dandomi conferma del mio sospetto: non immaginava che fossi io. "Disturbo? Posso chiamare in un altro momento." Le suggerisco, ma dall'altro lato lei non risponde. Sento voci di persone in sottofondo che bisbigliano e poi una porta che si chiude. "Tara? Se ti disturbo possiamo sentirci dopo." Incalzo. "No!" Esclama di getto e un sorriso quasi soddisfatto si affaccia sulla mia bocca. "Non... non disturbi. Ero in cucina con mia madre ed avevo lasciato il cellulare in camera. Ho fatto una corsa per rispondere. Non avevo nemmeno visto che fossi-" "Mi vuoi fare intendere che se avessi visto che ero io, non avresti risposto?" la provoco, interrompendo il suo solito monologo nervoso. Lei non risponde, ma già la immagino assottigliare gli occhi cercando di mantenere la calma, infatti nella cornetta risuonano un paio dei suoi respiri un po' più profondi, quelli che usa per non perdere il controllo. "Scherzavo Tara! Se non avessi voluto sentirmi non avresti sbloccato il mio numero. Ti volevo ringraziare per questo." le dico dolcemente, ma la sua risposta ancora non attraversa questo telefono. È muta e silenziosa. Mi chiedo cosa stia attraversando la sua mente, che espressione ha il suo viso ora, che sfumatura di verde hanno assunto i suoi occhi. "Io vorrei..." inizio con coraggio, ma le parole mi muoiono improvvisamente in gola. Il silenzio che mi giunge dall'altro capo del telefono è sempre più agghiacciante e per niente incoraggiante. Stringo l'apparecchio nella mia mano come fosse un'ancora a cui aggrapparmi "...ho tante domande Tara. Vorrei parlare un po' con te. Io... io pensavo di passare a prenderti stasera e portarti a-", ma purtroppo non riesco a finire la frase perché la risposta secca, istintiva, arrabbiata, di Tara arriva improvvisa. Il suo "Smettila!" mi rimbomba e sconquassa il petto. Onestamente non avevo contemplato questo tipo di reazione, pensavo potessimo condividere almeno qualche parola, per il bene del nostro bambino...

Ma a chi prendo in giro? No, io speravo ci potesse ripensare, che la notte le avesse fatto cambiare idea, che tutti questi giorni passati potessero diventare d'un tratto un brutto ricordo. "Smettila cosa?" le chiedo confuso. "Smettila di far finta che sia normale chiedermi di uscire quando non lo è!" I miei muscoli si tendono e la mia mascella mi duole per quanto la sto stringendo. "E cosa dovrei fare secondo te? Continuare a restare all'oscuro? Ignorare il fatto che la donna che amo aspetta un bambino nostro e continuare a vivere come se nulla fosse? Dimmi Tara, è così complicato da capire che non mi è possibile far finta di niente? E poi, perché ti ostini a rifiutare l'evidenza che io e te dobbiamo stare insieme?" le dico arrabbiato, parole che escono come una frustata saettando nell'aria. In realtà mi sento molto a terra e scoraggiato, deluso per la sua risposta, infastidito dal fatto che lei continui a tenermi a distanza. Ma reagisco nell'unico modo che conosco, con l'attacco, ma dentro di me sento tutt'altro. "Facciamo che ti chiamo più tardi eh?! Forse, effettivamente, questo non è il momento giusto per parlare." La mia voce è sempre più aggressiva. Chiudo la telefonata senza aspettare una sua risposta, che ipotizzo non sarebbe comunque arrivata, rinchiusa com'è nel suo mondo di rifiuto e negazione, e con rabbia scaravento il cellulare sulla scrivania. Dannazione a te Tara. Dannazione! Dannazione! Picchio forte il pugno sulla scrivania sfogando la furia che è montata dentro di me. Oh, se potessi tornare indietro! Non tornerei mai più a New York e rimarrei per sempre nell'oblio, senza mai ritrovarla e senza mai scoprire che l'ho sempre amata.

Il telefono squilla e una leggera vibrazione muove la scrivania. Il mio cuore di nuovo accelera i battiti e, nonostante la mia parte razionale mi intima di non rispondere, in un attimo il mio dito scivola sullo schermo e avvicino il telefono al mio orecchio. "Se hai chiamato per continuare a dirmi di stare alla larga io non-" un suo lieve sospiro interrompe la mia frase "Scusa." Esala con un piccolo fiato stanco che si insinua nel mio petto. "Ho reagito in modo spropositato. Solo... non mi mettere fretta, ti prego." Il tono è supplicante, la voce è strisciante di chi è stufo di ripetere da troppo tempo sempre la stessa cosa senza che nessuno lo stia ad ascoltare. Purtroppo mi rendo ancora una volta conto che l'unica strada possibile è quella di andare contro il mio istinto ed il mio bisogno di cercarla di continuo. "OK. Ho capito. Farò come dici tu. Stai bene, Tara. Mi faccio sentire tra qualche giorno." Mi sforzo di essere distaccato, ma è evidente dalla mia voce che ciò che mi ha detto mi ha colpito. Inaspettatamente la voce di Tara squarcia la finta tregua che si è ristabilita. "No ti prego, non andare. Aspetta... per favore... aspetta!"

Perché dev'essere tutto così complicato con te, Tara? Perché? Sarebbe così semplice se solo lo volessi, le dico mentalmente.

Faccio come mi chiede, ma non le rispondo, non mi va di innescare un'altra bomba che possa ferirmi. O ferire lei. Lascio scivolare il silenzio e, se lo vuole, le do la possibilità di continuare. Qualche momento trascorre prima che tenui, piccoli singhiozzi pungono il mio udito e la mia coscienza. Ancora una volta l'ho fatta piangere. Ancora una volta non sono stato capace di capire che avevo oltrepassato il limite della sua sensibilità e ho messo i miei bisogni davanti alle sue richieste. Mi riprometto sempre di farlo, ma poi il mio istinto sfugge al mio controllo e le faccio del male. "Io ci sarò sempre. Puoi sempre contare su di me. Una volta te l'ho promesso e non mi tirerò mai indietro." Bisbiglio nel mio cellulare, come se il suo orecchio fosse vicino alla mia bocca, come se lo stessi sussurrando dritto al suo cuore. "Lo so, ma non so se sono pronta a portare avanti tutto questo... con te. È per questo motivo che stavo aspettando per dirtelo. Volevo aspettare di essere più forte." il suo leggero pianto interrompe le sue parole e io... maledico questi chilometri che mi separano da lei, di non esserle vicino anche se so che non mi vorrebbe. "Ma forse è stato meglio così. Probabilmente avevi ragione tu ieri, forse non avrei mai trovato la forza o il coraggio di venire io da te." Tira su col naso, la sua voce assottigliata come quella di una bambina. "Voglio solo prendermi cura di te e di nostro figlio. Aiutami tu a capire quello che posso fare, senza invadere troppo la tua vita, senza farti pressioni, per farti credere di nuovo in me. Io voglio esserci, ok?" "Ok!" dice piano e da queste due lettere sento trapelare l'ombra di un sorriso. "Stai sorridendo vero?" Mi sento sollevato al suono della sua voce più sereno. "Come fai a saperlo?" mi chiede con lo stesso sorriso ancora sulla bocca. "Ti conosco bene. Ti conosco talmente bene da sapere che, mentre parli con me, ti stai torturando le pellicine attorno alle unghie." "In verità ne ho appena strappata una e mi sta uscendo il sangue." Questo suo modo ingenuo di dire le cose è stato uno degli aspetti che mi ha fatto innamorare di lei. Il suo essere dannatamente sexy anche quando sembra una bambina. E per questo motivo il mio pensiero sfugge ancora al mio controllo. Il ricordo di qualcosa che è già accaduto prende il sopravvento sulla razionalità e la ragionevolezza. "Lo sai cosa farei se fossi lì, vero?" A questa mia domanda segue il silenzio. Lo sa bene perché l'ultima volta che le è successo le ho succhiato il sangue dal dito finché il flusso non si fermava. Continuando anche quando non era più necessario, passando per ogni dito della sua mano, assaporando ogni angolo del suo corpo, gustandomi il suo sapore e il suo profumo, fino a fare l'amore. "Ci sentiamo presto Brandon. Ti chiamo io." La sua frase mi spiazza e quando chiude la telefonata lo sono anche di più. Ma non lo sono da lei e dalla sua reazione, ma dal mio comportamento. Ho sbagliato di nuovo. Ho oltrepassato ancora una volta il limite e l'ho fatta scappare. Le ho promesso di non metterle pressione per poi farlo di nuovo. Ho sempre qualcosa da farmi perdonare da questa donna, sono sempre io in difetto, io a rincorrerla. E allora per farmi perdonare, domani le manderò dei fiori. Una volta hanno funzionato. Sembra così lontano quel giorno e sembra così assurdo che siano accadute così tante cose tra noi. Quella volta è andata bene, chissà che non accada di nuovo

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Aspetto con impazienza davanti al mio tablet che Alice risponda alla mia chiamata. Non ci sentiamo da quando è partita. Avevo interrotto le comunicazioni anche con lei, ma so che ha sentito Melania. Non so come avrei fatto senza la mia sorellina in questi giorni. Contro ogni mia previsione mi ha supportato e sopportato senza fare domande e senza mai giudicarmi. Ora però è arrivato il momento di riprendere in mano la mia vita, ricontattare gli amici e chiedere un po' di appoggio. Ne ho veramente bisogno dopo ciò che è successo poco fa. E ho bisogno di parlarne assolutamente con Alice. Anche perché Claudio non mi sarebbe di grande aiuto adesso. Già so cosa pensa e le sue parole mi risuonano costantemente nella coscienza. Ma fare ciò che dice è così difficile e lui non conosce il mio passato, non sa quanto bisogno ho di chiudermi per non farmi ferire di nuovo. Lo schermo si apre sul viso lentigginoso di Alice che, quando mi vede, non ha bisogno di spiegazioni. "Hmmm, qui Brandon ci cova." E niente, una risata inaspettatamente straripa dalla mia bocca. "Che bello vederti ridere Tara." mi dice con il suo solito modo affettuoso ed accorato. "Sono stata veramente una peste durante le vacanze di Natale eh?! Puoi perdonarmi?" le dico abbassando lo sguardo. "Non fa niente. Avevi dei buoni motivi, ma adesso cosa ha combinato il rubacuori in questione?" "Ha saputo del bambino e... adesso sta facendo pressione perché le cose tornino com'erano prima di Natale." Non so perché, ma mentre lo dico provo un po' di fastidio, come se presagissi la sua risposta ancora prima di sentirla. E infatti non sbagliavo "Cosa ti aspettavi? Che si tirasse indietro? Tara sveglia! Quell'uomo è pazzo di te almeno quanto tu lo sei di lui. Cosa aspetti a superare il trauma? Dagli una possibilità." "Lo sai Alice qual è il motivo. Eri con me quando è successo" Le rispondo quasi indispettita, agitando nervosamente le mani in aria. Mi aspettavo altro da lei. "Cazzo Tara, eravate poco più di due ragazzini quando è accaduto la prima volta. Possibile che hai ancora tutta questa diffidenza? E cresci una buona volta!" Mi urla nello schermo. "Ma cosa avete tutti oggi? Sai cosa c'è? Questi discorsi mi hanno stancato. Ci sentiamo domani." Sto per chiudere la videochiamata quando Alice mi ferma. "Aspetta. Scusa... è che... voglio vederti finalmente felice. Ma fai come credi. Comunque farai, so che finirai di nuovo tra le sue braccia. Siete inevitabili." "Lo so anche io." Ammetto sottovoce più a me stessa che a lei. "Ma non adesso. Ho bisogno di sapere che, se tornassi con lui, non continuerei a vivere nella paranoia che una qualsiasi donna possa portarmelo via nell'istante preciso in cui volto lo sguardo dall'altro lato. Cosa sarebbe successo se non fossi arrivata in quell'appartamento? Sarebbe caduto nel tranello di Nina? Ci hai mai pensato?" Lei annuisce guardando alla sua sinistra. "Potrebbe non aspettarti per sempre." Dice poi lapidaria. Non avevo preso in considerazione questa idea. Forse perché sta succedendo tutto così rapidamente che certi pensieri non hanno fatto in tempo nemmeno ad accarezzarmi. Sono passata dal "non voglio più vederlo" al "devo accettarlo di nuovo nella mia vita per il bene del mio bambino" nel giro di pochi giorni. Alice sbuffa mentre guarda nuovamente di lato. Probabilmente c'è Michael che sta attirando la sua attenzione. "Devo andare adesso. Randy ci ha organizzato un concerto e... ti saluta sai?" Dice con disagio. Il pensiero dell'uomo con cui avrei dovuto sposarmi, per un attimo, riesce a liberarmi la mente e ad ingentilirmi il cuore. "Come sta? Gli hai detto per caso del bambino?" Le chiedo un po' preoccupata che non abbia preso bene la notizia. "Sta bene, tranquilla. È felice per te e spera che tu possa finalmente trovare la pace che meriti." E ancora una volta la mia amica mi conferma quanto Randy sia un uomo buono, speciale, unico. "Ok vai. E salutamelo." Le dico prima di chiudere la chiamata.

Le parole di Alice mi rimbombano nella testa. Potrebbe non aspettarmi per sempre. No, non può accadere. Ora come ora ho bisogno di questo tempo per darci una possibilità che non riesco più ad escludere. Ha detto delle cose poco fa, mi ha chiesto di aiutarlo a capire come comportarsi. Si impegna a rispettare le mie richieste anche se poi non ci riesce, come quando ha ricordato cosa era successo l'ultima volta che ho strappato una pellicina attorno alle unghie. E il mio corpo ha immediatamente reagito, lo ha fatto ancora prima della mia mente. Ho sentito calore, troppo calore e le mie gambe si sono istintivamente strette tra loro. Ho dovuto interrompere la chiamata velocemente per non ricadere nel suo perverso gioco della seduzione. Lo conosco, è bravo, si. Molto bravo a sedurmi, conosce i miei punti deboli e non posso permetterglielo. Ma io la ricordo eccome la sua lingua sui miei polpastrelli, morbida, calda, gentile. Ricordo quella stessa lingua scivolare lenta sul polso, restare lì per qualche istante, cogliere il sapore della mia pelle con i suoi morsi e poi salire nell'incavo del gomito. La sua lingua sempre più ardita, sempre meno gentile, che seguiva tutto il percorso fino alla mia pancia e poi più giù, passando prima per il collo, la clavicola, i miei seni. Mordendo, lambendo ogni centimetro di pelle che incontrava. Oh cavolo, ci risiamo. Sento i brividi increspare la mia pelle e... diamine, pensavo di essere immune a tutto questo con la gravidanza, ma a quanto pare con Brandon questo è impossibile. Vado a fare una doccia. Fredda!

Spazio autrice:

Ciao a tutti! Eccolo il nuovo capitolo... spero vi sia piaciuto. Non è lunghissimo, ma nemmeno tanto breve. Alla fine, credo di aver trovato una buona via di mezzo 😆

Vi abbraccio tutti, virtualmente ancora si può fare!

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TY

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