11 | Fottutamente irreale

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CAPITOLO 11
Fottutamente irreale

«Nick!» lo chiamo con gli occhi sbarrati ma continua a camminare per i suoi fatti. Faccio per raggiungerlo, afferrarlo per una spalla e sbatterlo di testa contro lo scaffale accanto, ma mi ricordo di colpo della mia roba, quindi torno frettolosamente indietro, la riprendo tra le braccia e gli corro dietro.
«Nick!» lo richiamo di nuovo, ma continua a ignorarmi.

Brutto figlio di puttana!

Avanzo ancora e finalmente mi metto davanti a lui e lo blocco. Ficco le mie pupille nelle sue.
«Quella è mia perciò ridammela subito» sibilo.
«Di cosa stai parlando?» scuote la testa con fare confuso. Ma mi sta prendendo in giro o cosa?
Un crampo mi squarcia il ventre d'improvviso. Merda.
Serro forte i denti e cerco disperatamente di non lasciare trapelare alcuna smorfia di dolore.
Non appena mi passa, me ne arriva un altro perciò lascio cadere le cose che ho in braccio nel suo carello, carello che afferro con violenza tra le mani e che stringo con un dito alzato in segno di aspettare finché le nocche non mi diventano bianche.
Cazzo.
Mi piego leggermente in avanti, chino la testa e soffro in silenzio per alcuni secondi. Quando il dolore si allevia leggermente, alzo il viso e inietto le pupille in quelle sue.

«Dammi la mia cazzo di busta di patatine» ordino con una voce che pare uscire direttamente dalle viscere degli inferi. Questa volta lo sono, sono un fottuto demonio come mi chiama Ethan quando mi vede dar di matto. Ma giuro che sto per commettere un omicidio, ora, qui, sotto le videocamere di sorveglianza del negozio.

Nicholas abbassa invece lo sguardo e dà un'occhiata a quello che gli messo nel carrello, tra cui gli assorbenti.
«Che diavolo guardi le mie cose?» sibilo avvelenata.
«Ce le hai messe tu dentro» risponde tutto tranquillo.
«Senti» prendo a dire. «Non sono in vena di parlare con te, anzi parlare affatto. Dammi la mia busta così posso andare a casa perché le mestruazioni mi stanno uccidendo e se io muoio, prima ammazzo te.»

«Toglimi una curiosità: prima mi lanci nel "Regno Quantico" - fa le virgolette con le dita - e poi provi ad ammazzarmi? Anche se questo vorrà dire che dovrai seguirmi per farlo. Oppure il contrario? Ma se lo fai, una volta caduto nel Regno Quantico non potrò più rimpiangere amaramente il giorno in cui ti ho conosciuta, no?»

Lo guardo intontita.
«Ma ti stai per caso vendicando di me?» chiedo di getto accigliata.
Lui solleva teatralmente le sopracciglia.
«Non so che stai dicendo. Io sto semplicemente facendo un po' di compere. Perché ora non prendi le tue cose e non vai a prenderti un altro pacco di patatine?»
Dice, mi sposta con una mano come se fossi una roba insignificante e riprende a camminare.
Ma che stronzo.

«Tu nemmeno te le mangi quelle patatine! Le hai prese solo per ripicca!» mi avvicino tenendogli il passo.
«Tu non sai niente di me» ribatte indifferente.
«Ma se hai tremila tipi di frutta e verdura nemmeno stessi per sfamare uno zoo!» replico contrariata. Ho dato un'occhiata di sfuggita a quello che ha dentro al carrello ed è prevalentemente roba volta da terra o dagli alberi.
«La frutta e la verdura fanno bene.»
«E allora ridammi le mie patatine e tieniti quelle robe da vegano anemico!»
«Le ho prese io, perciò sono mie e ora sparisci» mi ammonisce con un tono talmente adulto come se io fossi a tratti sua figlia. Ma chi si crede di essere?!

«Tu non mi puoi dire di sparire!»
«Sì, invece. L'ho appena fatto e guarda qui, te lo dico anche un'altra volta: sparisci» controbatte guardando davanti e ignorandomi alla stragrande.
«Ho vent'anni! Non sono mica una bambina!»

Nicholas finalmente si ferma, afferra qualcosa dal carrello e mi si volta.
Con il T-Rex in mano mi indica dalla testa ai piedi analizzando la mia felpa, i pantaloncini fino alle ginocchia che indosso e le Jordan rosse ai piedi.
«Ne sei sicura?» chiede lasciandomi di sbieco. «Forse anche la tua carta d'identità dei vent'anni è falsa, forse ne hai ancora di meno.» Termina e fa ricadere il peluche nel carrello. Si gira e torna a camminare.

«Mi dai le patatine?» chiedo per l'ennesima volta standogli alle spalle.
«No.»
«Dammele.»
«No.»
«Nicholas!» mi lamento disperata.
«Sì, è il mio nome.»

Sbianco per il nervosismo.
Ora faccio una strage.
Alzo le mani al cielo, me le passo con esasperazione sul viso e credo di star per avere un ictus o qualcosa del genere, solo per colpa di questo deficiente.

Fa dei passi mentre io gli sto alle spalle e con le mani all'aria vorrei strozzarlo ma non lo faccio perché non posso. Dopo alcuni passi, cambia scaffale, si gira, mi punta gli occhi addosso e mi lascia una lunga occhiata.

«Sei ancora qui?» chiede stupito. «E che stai facendo?» aggrotta la fronte guardando le mie mani.
«Sto immaginando il modo in cui ti strozzo» rispondo. «E c'è la mia fottuta roba del tuo carrello quindi sì, sono ancora qui.»

«E com'è?»
Alzo un sopracciglio.
«Nella tua testa, com'è?» chiede riferendosi a come lo afferro per la gola, finché non gli faccio esplodere il cervello.

«Soddisfacente» sibilo con un sorriso beffardo.
«Davvero?» solleva le sopracciglia con un sorrisetto falsissimo in faccia.
«Sì. Molto. Ora posso prendere le mie cose e il pacco di patatine?» gli chiedo.
«Prendile e sparisci» asserisce con un'occhiata glaciale.
«Altro non sai dire? Solo cacciare via le persone?» sibilo inviperita.

Nicholas pone i suoi occhi sulle mie spalle, guarda qualcosa e poi torna da me.
«So dire anche "levati"» mi fa sollevando gli angoli della bocca e indica alle mie spalle. «Vorrei prendere l'aceto balsamico, quindi levati se non ti dispiace.»
«Non mi dispiace affatto. Adesso prendo la mia roba e me ne vado. Non ti sopporto.»
Sollevo le mani in segno di resa, raccolgo rapidamente le mie cose dal carrello mentre do un'altra occhiata a quello che ha preso: un pezzo di manzo, filetto di salmone, Grana Padano, verdura fresca, frutta di vari tipi e colori, vino bianco e altra roba che non ho idea di cosa sia.
Alzo il viso quando mi sento sotto osservazione.

«Che hai da guardare?»
«Che te ne fai di Nutella, cetriolini sott'aceto e marshmallow?»
Ispiro profondamente.
«Una pozione magica nel mio ripostiglio segreto che cospargerò intorno alla stazione di polizia così potrò annientarti a distanza senza prove che possano ricondurre a me.»
Nicholas aggrotta la fronte.
«E questo? A che ti serve?» afferra di nuovo il peluche che gli strappo dalle mani inviperita.

«Lo cavalco di notte» dico con un mezzo sorriso falso.

«Non credo sia molto igienico.»
«Credi quello che ti pare» sibilo e afferro la mia busta di patatine all'Jalapeño.

«Scarichi il tuo stress su giocattoli per bambini? Non è perverso?»
Sbarro gli occhi.
«Scusami?» ripongo lentamente gli occhi nei suoi. Nicholas annuisce.

«C'è qualcosa chiamata ironia. Svegliati. No, aspetta, tu non sai cos'è, vero! Dimenticavo che dici sempre e soltanto la verità e bla bla bla» scimmiotto incazzata. «Ma chi ti credi di essere? Steve Rogers? Guarda che non sei Captain America. E te la dico io una verità adesso» mi avvicino pericolosamente al suo viso. Lui non accenna alcun movimento, invece, non sembra per niente impressionato.

«Sei una testa di cazzo» gli sorrido con fare più che ovvio. «Sei insopportabilmente gentile, composto, con questa tua...» gli indico il viso «fastidiosa faccia da adulto che wow! Sa tutto della vita!»
Alzo le mani al cielo. «E sei così sincero da far schifo, educato e... galante» lo indico anche adesso che dovrebbe solo fare due compere sembra stia andando ad un After Party, tutto vestito in stile Old Money: camicia celeste, pantaloni bianchi, maglioncino castano chiarissimo legato al collo e occhiali da sole al colletto della camicia col colletto aperto, le maniche tirate su e orologio da chissà quale quante centinaia di dollari al polso insieme a un braccialetto in argento.
«Ma insomma! Sei schifosamente perfetto e bello e-»

«Ronnie» vengo improvvisamente fermata.
«Che c'è?! Che vuoi?!» gli sbraito con i nervi a fior di pelle.

Cazzo, odio quando ho le mestruazioni perché divento un tir che va a tremila chilometri orari e spacca la barriera del suono.
Nicholas mi guarda in silenzio per alcuni istanti.
«Ti rendi conto che mi stai facendo solo complimenti, vero?» chiede con l'ombra di un sorriso compiaciuto sulle labbra.

Resto di sbieco.
Oh, ma andiamo!
«Non sono complimenti. Sei fastidioso. Punto. E non dovresti affatto esistere perché sei...» sibilo come una vipera davanti al suo viso, troppo vicino al suo viso, veramente troppo. Ho le guance che mi prudono dal nervosismo che scorre come fuoco nelle vene e il cuore che mi batte all'impazzata. «... fottutamente irreale.»
I miei occhi ficcati nei suoi, che scendono d'improvviso e finiscono sulle sue labbra. Deglutisco pesantemente, con forza. Deglutisco a fatica.

Mi do uno schiaffo mentale tutto d'un tratto. No. Io lo odio. Mi sta sulle palle. Dannatamente sulle palle.

Ritorno sui suoi occhi.
«Ora sparisco prima che tu mi cacci via di nuovo.»
Con la mia di spesa, sempre che si possa ritenere tale, mi allontano incazzata, raggiungo la cassa e butto tutto davanti al commesso.
«Le buste di snack all'Jalapeño perché le avete messo così in alto? Non tutte le persone sono alte quanto il Burj Khalifa.»

Pago frettolosamente, butto tutto quello che ho comprato nello zaino che ho in spalla e con solo il T-Rex in mano esco dal negozio diretta spedita a casa. Intanto mi tolgo anche la mia dannatissima felpa.

Faccio alcuni metri finché non sono obbligata a prendere posto sul marciapiede perché le fitte al ventre sono tornate talmente prepotenti fa farmi mancare il respiro. Merda. Avrei dovuto portarmi nello zaino un antidolorifico per sicurezza.
Tra i miei mugugni di dolore che cerco di rimandare indietro, tiro fuori il cellulare e cerco tra i contatti Ethan.

"Mi puoi dare un passaggio? Sono sulla strada verso il negozio vicino casa. Sto crepando per via delle mestruazioni."
Digito e invio.
La risposta non tarda ad arrivare sotto forma di audio.
«Piccola streghetta, mi dispiace ma sono letteralmente dall'altro capo di San Francisco. Senti, ti mando un Uber, okay?»
Sospiro pesantemente e con le gambe tirate al petto, poggio la fronte contro le ginocchia.
"Okay."
Digito a fatica e invio, e resto così, abbracciata alle gambe, in attesa che l'autista mi trovi e mi porti a casa perché l'idea di fare solo un altro passo è letteralmente una tortura vichinga.
Le auto davanti a me continuano a sfrecciare, il caldo mi sta sciogliendo e io maledico la mia vita perché forse sarebbe il caso di prendere in considerazione il fatto che mi serve un mezzo di trasporto.
Non una macchina, qui a San Francisco è scomoda, non trovi mai parcheggio e rimani sempre bloccato nel traffico. Magari una moto così posso infilarmi tra le macchine e svignarmela anziché stare in coda per ore intere con i clacson che suonano fino a trapanare il cranio.

Con i denti serrati a mille, ispiro profondamente e stringo nel pugno il piccolo T-Rex, rischiando di farli esplodere le cuciture.
Improvvisamente sento un'altra macchina passarmi davanti, poi il rumore della retromarcia e infine un finestrino che si abbassa.
Cazzo.
Probabilmente sarà uno di quei fastidiosi insetti che hanno il brutto vizio di rompere il cazzo alle ragazze e cercano di rimorchiarle a bordo strada. Se non lo guardo e lo ignoro magari riparte e se ne va a fanculo.

«Stai bene?»
Merda... È anche peggio.
Mi limito solo ad alzare un pollice e tornare con la mano stretta intorno alle gambe.
Silenzio. L'auto non riparte, anzi sento uno sportello aprirsi perciò sono obbligata non solo ad alzare il viso ma anche a dover affrontare un ennesimo battibecco.
Nicholas è davanti a me in piedi, gli occhiali da sole sul viso, il maglioncino non c'è.
Mi sta guardando dall'alto.

«Che diavolo vuoi?» chiedo a fatica. Inclino letteralmente la testa sulle ginocchia e cerco di mandargli un'occhiata di traverso, ma vengo interrotta da un'altra fitta che mi spinge di fronte contro le ginocchia, ad occhi chiusi e soffrire in silenzio.
«Vattene.» Biascico nervosa, cacciandolo via e sperando che se ne vada.
«Vuoi un passaggio?»
«No» sibilo tra i denti. «Il mio Uber sta arrivando, perciò vattene.»
«Ah, davvero? E dov'è?»
Alzo il viso e lo guardo male.
«Sta arrivando, infatti» sibilo tra i denti.

«Se vuoi un passaggio, basta solo dirlo» continua con aria ovvia.
«Non mi serve» rispondo e torno con la fronte sulle ginocchia.
«L'idea di chiedere aiuto ti fa talmente schifo?»
«Da te? Sì. Preferisco morire.»
Silenzio di nuovo.
Ispiro profondamente quando sento uno sportello aprirsi. Bene. Ha capito quello che c'era c'era da capire, ora non resta che andarsene a fanculo.

Passa un secondo, due, tre e al quarto spalanco gli occhi presa completamente di sprovvista.
Mi sento afferrata da sotto le ascelle. Sbarro gli occhi. Faccio per replicare ma vengo tirata su in braccio e tutto d'un colpo mi ritrovo contro il petto di questo stronzo, testardo di un militare.
«Ciao» mi dice con un sorrisetto a un soffio dal mio viso e fa dei passi e il giro da dietro alla macchina, un fuoristrada nero.
«Ma che cazzo credi di fare?!» sbotto imbestialita e provo a scendere ma il dolore me lo impedisce. Merda.
Vengo infilata nell'abitacolo, sul sedile del passeggero, lo zaino tirato via, buttato sul sedili di dietro e poi mi allaccia la cintura di sicurezza.
«Il mio Uber sta arrivando! Tu non puoi prendermi e-»
«Ti posso prendere eccome» fa alzando gli angoli della bocca. «E l'ho appena fatto.»
Mi chiude lo sportello e va a sedersi accanto a me. Lo guardo di striscio mentre rimette in moto, incredula.

«Tu non stai bene» mi lamento con lui che ha gli occhi sulla strada.
«Io sto benissimo, invece. Quella che non sta bene sei tu. L'hai notato?»
«Non voglio il tuo aiuto del cazzo perciò ferma l'auto così scendo.»
«Te l'hanno mai detto che sei esageratamente orgogliosa?»
«E tu che sei infinitamente fastidioso?» chiedo e mi lascio andare di testa contro il finestrino, trattenendo una smorfia di dolore.

«Mio padre diceva che mi avrebbe diseredato perché ero una delusione come figlio e sì, anche che ero fastidioso siccome non riusciva a farmi cambiare mentalità e voleva mettermi dietro a una scrivania a compilare scartoffie per la sua azienda.»

Aggrotto la fronte e mi volto quanto basta per fissargli il profilo.
«Non voglio sapere i tuoi fatti privati di famiglia» replico con una smorfia.
«Hai fatto una domanda, no?» chiede e accosta.
Sposto gli occhi sul parabrezza e resto stranita.
«Perché ti sei fermato? Questa non è casa mia» gli faccio notare.
«Non ho idea di dove tu abiti.»
«Terzo pianto sopra il mio posto di lavoro. Ora riparti» gli ordino seccata.
Lui però si toglie la cintura di sicurezza.
«Ho preso del ghiaccio in busta, non vorrei che si sciogliesse, perciò lo devo mettere in frigo subito» e scende dall'auto lasciandomi di sbieco.
Cristo...
Lascio cadere la testa contro il sedile, puntando gli occhi sul finestrino alla mia destra. Mi porto le ginocchia al petto e le lascio cadere accanto allo sportello mentre l'aria condizionata dell'auto fortunatamente mi tiene al fresco e tra il dolore e la stanchezza, rischio di addormentarmi contro il finestrino.
Il mio sportello che si apre, rischiando di farmi cadere di faccia contro il cemento, mi fa aprire gli occhi di scatto.

«Avanti» mi fa Nicholas.
Aggrotto la fronte.
«Dove?»
«Scendi.»
«E perché?»
«Ho da portare su le altre cose, perciò scendi.»
Quando realizzo che sta parlando della sua casa, non mi smuovo.
«Portami a casa. Perché io avevo un cazzo di Uber che mi avrebbe portata a casa quindi portami alla mia fottuta casa altrimenti ti-»
«Mi fai cosa? È già tanto se riesci a respirare. Dai vieni qua e smettila di parlare.»
Non mi dà il tempo di dargli un cazzotto in faccia che mi toglie la cintura, mi prende letteralmente come se non pesassi un grammo e mi ritrovo di nuovo tra le sue braccia. Si allontana dalla macchina e prende a incamminarsi al suo appartamento.

«Sei veramente... insopportabile» confesso indispettita ed esasperata mentre il suo odore oggi non più alla lavanda, ma qualcosa che pare un profumo, mi si infila nel naso.
«Lo metterò in fondo alla lista, sotto la frase "non dovresti esistere perché sei fottutamente irreale".»

Lo disprezzo.
Lo disprezzo a morte.

Senza replicare altro, con me in braccio, continua a muoversi. Entra nell'edificio, prende l'ascensore e mentre aspettiamo il poco che deve salire alzo il viso per guardarlo. Lui si sente osservato e abbassa il suo.
«Prima mi cacci via e adesso mi ci porti di tua spontanea volontà? Sei un incoerente» gli faccio ben notare.
«E tu parli troppo.»
Spalanco gli occhi.
«Io? Tu, invece? Che blateri le tue stronzate come se mi fregasse qualcosa?» chiedo nervosa. «E mi hai rubato il pacco di patatine apposta.»
Termino e abbasso il viso perché non mi piace trovarmi a una distanza così ravvicinata dal suo.
«L'ho fatto.»

Sollevo di scatto gli occhi e gli mollo un'occhiata incredula.
«Che stronzo che sei...» biascico sbuffando.
«Così stronzo da tenerti in braccio. Hai una concezione contorta di cosa sia quello uno stronzo, sai?»
«Giuro che ti mordo se non stai zitto» minaccio incazzata guardandolo in viso di nuovo.
Nicholas sorride lievemente.
«Mi vuoi per caso baciare?»

Resto a fissarlo spiazzata.
«Ma che cazzo dici?»
«Non lo so... forse solo che adesso ti porto a casa mia, ti do un antidolorifico, ti preparo qualcosa di buono e lasci perdere la Nutella perché non fa bene. E poi, se vuoi, ti chiedo scusa per quello che ti ho detto l'ultima volta.»
Se solo un secondo fa volevo staccargli via la trachea con i denti, ora non so che diavolo dire o pensare.

L'ascensore si apre.
Lui percorre il piccolo pianerottolo, spinge la porta già aperta e mi porta dentro, mettendomi sul divano.
«Ecco» viene da me dopo qualche istante, con una pillola e un bicchiere d'acqua. Lo guardo di striscio, indugio ma alla fine prendo e mando giù lasciandomi cadere di un fianco sul divano.
Stringo le braccia intorno alla pancia e chiudo gli occhi, mezza morta dal caldo, dalla stanchezza, il dolore che sento ovunque.

«Non sono un esperto di queste cose, ma è normale avere questo dolore per delle mestruazioni?»
Sento dopo diversi minuti, minuti in cui suppongo sia uscito a prendere la sua roba dall'auto e portarla nel suo appartamento.
«Fatti i cazzi tuoi» dico semplicemente restando ad occhi chiusi. La pillola sta facendo effetto e io mi voglio assaporare questo momento senza sentire la sua voce ronzarmi nelle orecchie.

Aggrotto la fronte quando sento delle mani toccarmi. Apro di getto gli occhi e lo guardo, chiedendomi di che problema soffra con esattezza.
Mi slaccia i lacci delle scarpe da ginnastica, le toglie e poi mi solleva i piedi sul divano.
«Fai schifo, lo sai?» osservo ormai senza più alcuna speranza nei suoi confronti.
Nicholas, ancora inginocchiato accanto a me, posa una mano sulle mie gambe e mi guarda.
«E tu sei molto sudata. Dovresti farti una doccia non appena ti riprendi» dice e si alza in piedi scomparendo dalla mia vista.

Oh, ma grazie, Nicholas.

***

Angolo autrice
E niente. Io sono innamorata.
Scusatemi, ma sì. Nicholas è... Vabbè non ci sono parole. Uff

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