18 | Che arrogante che sei

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CAPITOLO 18
Che arrogante che sei

https://www.youtube.com/watch?v=1alMvA4xQOY

È lunedì e io devo lavorare, stare attenta alle comande ma la mia testa è ben altrove, in particolar modo a Logan, quello da cui Ethan mi ha tenuto lontano per tutto il restante della serata di ieri.
Non ho chiuso occhio.
Ho dormito a malapena e questo non è affatto produttivo. Ho bevuto già due caffè e un energizzante e sono a malapena le dodici, mi manca ancora un'ora e mezza e posso staccare per la pausa pranzo per poi tornare al Pink Ocean alle cinque e mezzo di pomeriggio dopo aver sul serio dormito.

«Hai delle occhiaie impressionanti.»
È Ethan.
Lo guardo male e metto sul vassoio i due milkshake e il gelato in coppetta, vado al tavolo, servo e poi torno al bancone del bar.
«Non ho dormito» dico appoggiandomi sul marmo nero e poggiando la faccia sulle braccia. Sto per svenire, me lo sento.
Non solo per la stanchezza e per i due caffè a stomaco vuoto, ma anche per il caldo che è tornato più prepotente dell'ultima volta.
Fa caldo. Troppo, troppo caldo. Mi sento soffocare.

«Accendi quel condizionatore di merda» ordino ad Ethan.
«È già acceso.»
«Sparalo a mille.»
«È al massimo.»
Merda.

Caccio un lamento da animale ferito in autostrada e alzo leggermente il viso. Gli porgo una mano.
«Dammi del ghiaccio» chiedo ormai al culmine della disperazione. È così caldo che sento i miei organi interni sul punto di collassare e diventare poltiglia.
«A farci cosa?»
Lo guardo di traverso.
«Fare uno spogliarello sexy nel gazebo.»
Ethan alza gli occhi al cielo e fa come gli ho detto. Mi mette in mano due cubetti e in automatico me li porto sul viso.

«Cazzo...» mormoro massaggiandoli sulle guance e la fronte.
«Come diavolo fai a indossare la camicia di cotone e il gilet? Si muore.»
Chiedo ad lui mi molla una lunga occhiata.
«L'eleganza e la bellezza richiedono sacrifici» replica semplicemente beccandosi una smorfia di disappunto da me che schiocco la lingua contro il palato.
Mi giro, chiudo gli occhi per qualche istante e col gomito sul bancone del bar mi passo i due cubetti di ghiaccio dalla guancia al mento fino al collo, e poi li riapro. Non posso rifugiarmi qui, ho dei tavoli da servire, per fortuna domani Maddy ritorna dalle ferie.

Le mie pupille finiscono però in quelle di qualcuno che di certo non volevo tra i piedi, non oggi, non ora e non nello stato pietoso, sudato e spossato in cui mi trovo.
Fasciato dalla camicia a mezze maniche da poliziotto, il distintivo alla cintura dei pantaloni e lo sguardo piantato nel mio.
Sbatto le ciglia quando di colpo la vista mi si appanna.

Ma che diavolo...

Riduco gli occhi in due fessure aggrottando le sopracciglia quando lo vedo muoversi in mia direzione. Le voci si ovattano, un fischio tremendo si infila nelle mie orecchie.
«Ciao, Ronnie» sento. Lo guardo accigliata. Il sorrisetto che ha in faccia, faccia che vorrei prendere a schiaffi per farlo andare via da qui perché mi ha beccata nel mio peggior momento in assoluto. La voglia di fare un battibecco con lui è sotto la soglia dello zero, perciò meglio che giri i tacchi e sparisca a dare fastidio a qualcun altro.
«Giornata rovente, eh?» ridacchia indicando con un cenno di testa il ghiaccio che ho ancora sul collo.
«Uh?» mugugno non capendo quello che mi sta dicendo. Le orecchie sentono, ma il mio cervello non elabora affatto.
Nicholas mi indica con un dito questa volta.
«Fa molto caldo.»
Annuisco.
«Sì... fa m-molto... fa molto...» il braccio scivola sul bancone del bar, le palpebre si chiudono lentamente e il ghiaccio mi cade via dalla mano.
Una mano mi afferra da dietro, altre due da davanti.
Apro gli occhi di scatto e mi guardo in giro con aria confusa, per poi finire in due occhi azzurri che mi fissano con le sopracciglia cirrucciate.

Nicholas mi dice qualcosa, vedo chiaramente la sua bocca muoversi ma non arriva niente ai timpani. Ce solo un ronzio persistente che mi perfora il cranio da parte a parte. Mi afferra il viso con una mano e mi dà dei piccoli schiaffi sulla guancia per farmi riprendere.
A fatica alzo gli occhi e vedo Ethan oltre il bancone del bar, la sua mano che mi tiene per la maglietta sotto la nuca.

«Ronnie?!» urla talmente forte che la voce mi arriva a basso volume, ma arriva. Mi toglie la mano di getto e rimango tra quelle di Nicholas.
Abbasso gli occhi e in automatico mi si chiudono anche. Cado di viso contro il suo petto.
«Ehi?! Ehi, svegliati! Ronnie?! Cazzo! Cazzo, svegliati!»
Ethan.

Dell'acqua mi bagna il viso insieme a un paio di piccole sberle che mi riaprono gli occhi a forza.
Sbatto le palpebre e vedo il mio miglior amico inginocchiato al pavimento accanto a me, spaventato, gli occhi sbarrati e una bottiglietta d'acqua nella mano destra che mi porta alla bocca.
«Chiamate una cazzo di ambulanza!» urla verso la clientela mentre mi fa bere un sorso.
«Avanti, manda giù. Così, proprio così, brava» mi accarezza il viso e me lo bagna con altra acqua. «Tieni qui, avanti, bevi un altro po', okay? Dai, prova a bere un altro po'» mi ripone la bottiglietta alla bocca, ma mi va di traverso e mi ci strozzo.

«Avete chiamato quella ambulanza?!» sbraita alzando il viso da me per un istante.
«Sta arrivando!» dice qualcuno.
«Ehi, Ronnie, guardami. Guardami, piccola streghetta stronza che non sei altra. Guardami e resta sveglia, okay? Resta sveglia, non osare chiudere gli occhi altrimenti giuro che mi incazzo male come non mi hai mai visto. Okay?»
Mi afferra per il viso, poi si alza, prende qualcosa e torna da me facendomi dell'aria sventolando un menù del locale.
«Perché non mi hai detto che stavi così male? Uh?»
«N... non potevo... lasciarti da s...solo» bofonchio a fatica. Lui mi sorride lievemente e mi fa bere altra acqua che riesco a mandare giù senza soffocare.
Sbatto le palpebre più volte cercando di riacquisire la lucidità ma mi sento tremendamente debole.

L'ambulanza arriva dopo qualche minuto credo, non ne sono sicura. Un operatore mi dà un'occhiata rapida e la prima cosa che fa è ficcarmi un ago in vena e mettermi una flebo mentre sto stesa su una barella sul pavimento del Pink Ocean ormai sgombro di clienti. Tutti se ne sono andati solo che Ethan li ha cacciati via senza chiedere loro di pagare niente, ma semplicemente di andarsene e liberare il posto.

Ethan che adesso è accanto a me, a gambe incrociate sul pavimento e mi guarda preoccupato mentre si mangiucca nervosamente una unghia. La flebo penso stia facendo il suo effetto perché pian piano la debolezza e la nausea iniziano a dissolversi.
Un paramedico si avvicina a me, mi ricontrolla la pressione e il battito cardiaco, dà un'occhiata alla flebo picchiettando sulla sacca trasparente e regola il flusso del gocciolamento.
«Come va? Si sta riprendendo? È tutto okay? La dovete portare all'ospedale?» scatta Ethan verso il ragazzo in piedi accanto alla sacca.
«È solo un po' troppo disidrata, la pressione sta tornando alla normalità» risponde con aria calma e lui annuisce, passandosi agitato le mani sui pantaloni.
Il paramedico volge lo sguardo su di me e mi lancia un piccolo sorriso.
«Dopo questa flebo, è consigliabile rimanere a riposo al fresco e bere acqua. Per qualche giorno meglio se non esci, che dici Veronica?»
Alzo lievemente gli angoli della bocca.
Ethan torna da me e afferra la mia mano nelle sue.
«Mi hai spaventato a morte, non farlo mai più, hai capito?»

Annuisco chiudendo per un attimo gli occhi. Lui sorride debolmente, porta la mia mano alla sua bocca e la bacia, sfregandola poi nella sua.
Rimaniamo così finché la flebo non finisce e io finalmente riprendo quasi del tutto coscienza sul mio corpo e la realtà circostante. Mi sento ancora un po' stordita, ma almeno non così male come prima.

***

Quando mi rimetto finalmente in piedi, Ethan è ancora al mio fianco. Mi guardo in giro. Di Nicholas non c'è traccia, non ho idea di quando se ne si andato, probabilmente è tornato al suo lavoro visto che era ancora di turno considerando la sua divisa.
Alla fine arrivo al mio appartamento con Ethan che chiude le due finestre, accende il condizionatore, mi tiene d'occhio per alcuni buoni minuti finché io non lo mando a casa ripetendogli che sto bene.
Credo di aver già bevuto tanta di quella acqua che è già la seconda volta che vado al bagno dopo nemmeno venti minuti.
Quando esco sento bussare alla mia porta.

Sospiro, consapevole di dover di nuovo rassicurare Ethan che non molla facilmente la presa nonostante adesso io stia meglio. Dentro l'appartamento ci sono ventitré gradi, i giramenti di testa hanno smesso da un pezzo. Ora devo solo ordinare qualcosa d'asporto e mangiare.
Vado quindi ad aprire la porta.
«Senti, Ethan, te l'ho detto che sto ben-» mi fermo di scatto.

Aggrotto istintivamente la fronte. I miei occhi sono in quelli suoi azzurri e a stento riesco a credere che sia qui. Magari è una allucinazione o qualcosa del genere.
Vestito con una delle sue solite camicie bianche, oggi di lino, e le maniche tirate su.

«Sei una allucinazione?» gli chiedo dunque per risolvere i miei dubbi esistenziali.
Nicholas scuote la testa con un piccolo sorriso in viso.
«Peccato» dico e faccio per chiedergli la porta in faccia, ma lui mi blocca.
«Che vuoi?» domando iniziando a innervosirmi.
«Niente, solo vedere come stessi.»
Sospiro pesantemente e mi abbandono contro lo stipite della porta, mi passo una mano sul viso e lo guardo esasperata.
«Sparisci, Nicholas. Non sono in vena di parlare.»
«Non devi farlo.»
Corruccio le sopracciglia e i miei occhi cadono in basso. In mano ha una busta. Gliela indico con un dito.
«C'è la tua attrezzatura per uccidere e disfarti di un cadavere?»
Lui ride lievemente. «No» risponde e mi indica con un cenno l'interno dell'appartamento. «Posso entrare?»

Resto a fissarlo in silenzio, domandandomi se stia scherzando o qualcosa del genere.
«Non lo sapevi che i vampiri non si invitano nella propria casa perché poi ci entrano quando più vogliono per succhiarti via il sangue?» ironizzo con fare ovvio.
«Davvero? E chi lo dice?»
«Vampire's Diaries» dico scocciata e provo a chiudere di nuovo la porta, ma lui me lo impedisce per la seconda volta, quindi sbuffo incazzata e lo guardo male.

«Se non ti levi di torno, giuro che ti prendo e ti-»
«Riesci veramente a prendermi? E come?»
Sbatto teatralmente le ciglia.
«Con le mani. Nella peggior delle possibilità a testate anche a rischio di spaccarmi il setto nasale. Guarda che il tuo un metro e ottanta non mi fa paura, ho picchiato uno più alto di te e sai come?» mi avvicino a lui con fare minaccioso. «Spaccandogli la faccia con un manuale di trecento pagine di letteratura europea» sibilo.

Nicholas in tutta risposta alza le sopracciglia.
«Allora girerò in largo quando ti vedrò con un libro tra le mani, ma adesso non ne hai uno, perciò mi fai entrare?» chiede divertito e mi alza la busta. «Dai, voglio prepararti qualcosa di buono da mangiare.»

Spero sia uno scherzo. Lo spero veramente.
«Chi sei? La mia infermiera per caso? Levati dalle palle, Nick. Non ho bisogno di te, della tua - lo indico - camicia da... figlio di papà milionario in giro per casa mia e né delle tue mani che toccano la mia roba.»

Le mie parole però sembrano divertirlo abbastanza, troppo direi, perché mi sorride in un modo a dir poco equivoco che spara i miei estrogeni a mille.
«Le mie mani toccheranno solo quello che c'è nella tua cucina, ma nient'altro questa volta, forse» poggia una mano sullo stipite e si china su di me, troppo per i miei gusti. «Ma se me lo permetti, possono toccare anche te.»
«Che arrogante che sei» commento disgustata.
Lui mi molla una intensa occhiata e fa qualcosa che non dovrebbe affatto.

Stronzo, lurido e bastardo di un militare barra sbirro, verme, scarafaggio, troglodita, cavernicolo, irritante come un forasacco conficcato in un calzino...

Si china, mi afferra da sotto le cosce e con un movimento improvviso gli finisco in braccio, mi allaccio di scatto al suo collo per non cadere all'indietro e con i fianchi tra le mie gambe entra nel mio cazzo di appartamento chiudendo la porta alle mie spalle con un calcio.
A pochi centimetri di distanza dal suo viso lo guardo sbigottita.

«Ma sei fuori di testa?!» ringhio incazzata nera questa volta perché ha superato ogni limite possibile della mia pazienza.

Questa è la mia casa! Lui non può entrare nella mia fottuta casa!

Con me in braccio va verso la cucina e mi ci poggia di sedere sul banco da lavoro.
«Shh, fai silenzio ora.»
Rimango ancora più sbigottita. Va via dalle mie gambe e io resto come una cretina mentre lo guardo appoggiare la busta accanto a me e prendere delle cose da dentro per poi metterle sul bancone come se niente fosse. Ma certo, fai pure come se fossi a casa tua...

«Come, prego?»
Nicholas annuisce e mi guarda. «Hai detto che non ti va di parlare. Allora non parliamo, no?»
Mando giù il veleno che mi sta salendo su per la gola.

«Ti hanno mai detto che sei fastidioso?» chiedo cortesemente.
Lui annuisce.
«Sì, tu.»
«Bene, allora te lo ripeto per la seconda volta.»
Nicholas lascia perdere per un attimo le sue cose, torna da me, si mette davanti e si avvicina talmente tanto da spingersi tra le mie gambe quanto basta per mandare in fiamme le mie guance. Oh, cazzo.

La sua mano percorre il mio braccio, facendomi rabbrividire, sale ancora finché non finisce sulla mia gola. Mi afferra da sotto il mento, sollevandolo e piantando gli occhi nei miei.
«Ieri sera... avrei voluto vederti per cenare con te, ma mi sono reso conto che non ho il numero di cellulare. Quindi ora ti preparo qualcosa, poi me lo dai e successivamente mi tolgo questa camicia da figlio di papà milionario e ti piego sul letto di casa tua.»

Deglutisco.
In silenzio, le corde vocali strette, sigilate al massimo lo fisso con le guance che mi prudono con violenza, così come tra le mie gambe succede ad altro.
«Vuoi farmi un massaggio o qualcosa del genere?» riesco a domandare, non so nemmeno con quale forza. Nicholas sorride, si avvicina di più, provo a tirarmi indietro ma la credenza attaccata alla parete mi blocca la testa.
Alla presa della sua mano sul mio viso, il mento tenuto fermo, bel saldo si aggiungono anche le sue labbra a sfiorare le mie.

Trattengo il fiato. Non oso respirare.

«Smettila di fare la stronza acida con me, Ronnie» ordina sulla mia bocca. Gli rifilo un sorrisetto beffardo a labbra chiuse.
«Perché? Di solito sei abituato alle tipe che cadono ai tuoi piedi come mosche?»

«No, perché quando sei così cattiva mi piaci talmente tanto che vorrei scoparti fino a farti stare zitta una volta per tutte.»
Il sorriso mi muore immediatamente.
Cazzo, non era questo l'effetto che volevo provocargli, anzi tutto il contrario: ovvero prendere le sue cose e andarsene a fanculo.

Nicholas si allontana di poco per guardarmi meglio. «E se solo non fossi vergine, ti avrei già presa qui con tutto che solo due ore fa sei svenuta.»

Gli mollo un'occhiata.
«Oh... hai dei principi morali? Proprio tu?»
«Sono un ex soldato della Marina statunitense, ho vissuto tra i principi morali ed etici: quando sparare un proiettile e quando no, e quando infrangere quei miei stessi principi per salvare la mia squadra e farla tornare dalle proprie famiglie. Ho dei principi, ma se lo vuoi così come lo voglio io, posso dimenticarmene» mi sorride, poggia una mano sulla mia coscia e sussulto in automatico.

«Non dovresti tenere ben a mente che, per l'appunto, sono crollata due ore fa e per questa ragione dovresti lasciarmi in pace?»

Ho il respiro pesante e non so nemmeno quand'è che è iniziato, ma so che potrà solo peggiorare perché la sua mano finisce .
«Sono qui proprio per farti riprendere. Mi prenderò io cura di te» sorride.

La mia intimità pulsa come di conseguenza mentre la mente ripercorre fulminea le cose che mi ha fatto in quel pub, sotto quelle luci blu e viola.
Inclina la testa, scivola con la bocca sul mio collo e mi solleva di più il viso con una forza che quasi mi fa male ma non riesco a fermarlo. Sono troppo paralizzata.
Le sue dita strisciano sui miei pantaloncini, sull'elastico, con una naturalezza disarmante si infilano dentro e poi sotto i miei slip.

Merda. Non va bene, non va assolutamente ben-

Trasalisco quando mi sfiora, mi tocca e le dita scivolano ancora più in basso. La sua lingua percorre il mio collo, le labbra lo baciano ardentemente e io divento un rogo alimentato dalla benzina più sbagliata in assoluto. Ansimo non riuscendo a potermi controllare e chiudo gli occhi. Mi aggrappo d'istinto al bordo del bancone, l'altra mano sul braccio della mano che mi accarezza dove mi sento più in fiamme. La pelle mi pulsa, si bagna rapidamente mentre ansimo ancora e lui continua, e io non riesco a fermarlo. La lussuria è più forte, il desiderio e la voglia famelica di averne di più come non ne ho mai avuto né da lui e né da nessun altro.

«Oh, c-cazzo, Nick...» un gemito mi scappa dalla bocca, le mie cosce tremano copiosamente, hanno dei sussulti che mi smuovono ogni grammo di carne. Il cuore batte come non mai. Il respiro affannoso.
La mano intorno al mio collo stringe di più, quasi a soffocarmi ma non voglio che si fermi.
Mi morde. Cazzo.
Mi morde per il collo e succhia la pelle fino a farmi gemere di piacere e dolore che si mischiano tra di loro diventando una sola cosa.
Le dita sotto i miei slip si muovono più rapidamente, le mie cosce si stringono, lo attirano di più a me. Lo voglio di più.

«Oh... m-mio, Dio...» gemo quando una scarica elettrica mi attraversa ogni atomo del corpo, la fa sobbalzare, mi lamento nel culmine del piacere che mi annebbia la mente del tutto, che mi fa stringere il suo braccio ficcando le unghie nella sua carne mentre l'altra mano stringe il bordo del bancone con tanta violenza da farmi male.

Non appena si stacca da me, schiudo a fatica le palpebre, lui allenta la presa sul mio viso che abbasso lievemente. Mi guarda soddisfatto, gli occhi azzurri ricolmi di una tale intensità da farmi mancare il fiato ancora di più. Toglie la mano dai miei slip e sotto il mio sguardo paonazzo si infila due dita in bocca lasciandomi spiazzata.
«Ora ti cucino qualcosa di buono, che dici?» chiede e poggia quella stessa mano sulla mia bocca, mi ci accarezza il labbro inferiore col pollice.
«E poi... facciamo tutto quello che vuoi tu...» mette una mano sul mio fianco e mi spinge contro la sua erezione, dura, pronta per fare qualunque cosa. Merda. La mia intimità pulsa ancora e ancora. Il respiro mi trema.
«Qui, sul tuo tavolo da pranzo, sul tuo divano... ovunque tu voglia.»

«No, invece» replico. «Ora te ne vai a fanculo via da qui e-»

Nicholas sorride e si spinge di più contro di me, tanto che ansimo proprio a qualche centimetro dal suo viso, la bocca mi si schiude e il pollice che aveva sul mio labbro sale e me lo infila tra le labbra.

«Ti insegnerò tante di quelle cose che nemmeno immagini» mormora guardandomi diritto negli occhi. Stringe la mano sul mio viso e il mio cuore riprende a battere a mille. Il pollice striscia sul mio labbro inferiore che lui guarda, analizza in silenzio come se stesse pensando o immaginando qualcosa, per poi sollevare le pupille nelle mie. «E ti farò tante di quelle cose che non hai idea.»
Sorride.
Lui sorride.

Oh, cazzo.

***

Angolo autrice

Beh, che dire *colpo di tosse* è stato molto... mhmm beh sì. Beh.

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