27 | Tu resti con me stanotte

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CAPITOLO 27
Tu resti con me stanotte

https://www.youtube.com/watch?v=8qLL2Gx3I_k

Luci soffuse, musica a palla e il mio corpo che struscia contro quello di un ragazzo niente male. Occhi marroni, capelli biondi, addominali scolpiti e la sua bocca che stuzzica il mio collo mentre la mia intimità sfrega contro la sua.
Le sue mani sulle mie cosce si alzano ancora di più, salgono sotto la gonna, mi toccano, mi sfiorano, spostano di lato i miei slip e mi accarezzano le grandi labbra con due dita facendomi andare in fiamme. Ansimo contro il suo orecchio consapevole che non mi possa sentire data la musica. Rabbrividisco di piacere quando si infilano dentro di me e mi stringo di più alle sue spalle. La sua bocca sale fino alla mia che fermo di getto con una mano.
«No» dico scuotendo la testa. I suoi occhi mi fissano. Annuisce e toglie le dita dall'interno delle mie gambe. Mi afferra per una mano e mi tira lontano dalla pista di ballo, finiamo nel bagno della discoteca.

Mi afferra, mi sbatte contro il lavabo ignorando completo le due persone che ci sono dentro. Mi fa salire sopra e si infila tra le mie cosce.
Tira fuori il preservativo, sposta i miei slip ed entra dentro di me facendomi mancare il fiato per un istante.
Mi stringo alle sue spalle gemendo ad ogni spinta e ancora di più quando si spinge a fondo, tanto che sussulto. Poggio una mano dietro per non cadere di spalle mentre lui continua a entrare e uscire velocemente. La sua bocca scivola sul mio petto quando tiro indietro la testa e i capelli scivolano sul bancone del lavabo.

Ancora due spinte e irrigidisco con violenza le gambe intorno ai suoi fianchi quando una scarica elettrica mi attraversa da parte a parte. Sudata, col respiro affannato e la faccia contratta dal piacere lo guardo e... per un istante vedo due occhi eterocromi.

Ma che cazzo...

Il mio cuore ha un sussulto e la carne mi rabbrividisce copiosamente. Sbatto le ciglia.
Mi stacco rapidamente e lo spingo via da me con uno spintono secco. Lui, stordito, mi rivolge un'occhiata confusa.
«Ma che cazzo ti prende?» mi fa.
Scendo giù dal lavandino, lo sposto via ma nemmeno il tempo di uscire che mi sento afferrare per un braccio.
«Che cazzo hai?» chiede davanti al mio viso. Strattono la sua presa e gli rifilo un'occhiata di traverso.
«Vai a farti fottere» sibilo e me ne vado sbattendo la porta alle mie spalle.

Merda.

Sbatto di nuovo le palpebre cercando di riprendermi e raggiungo l'uscita della discoteca non prima di aver cercato frettolosamente con gli occhi Ethan che non scorgo da alcuna parte. Sospiro innervosita.
Una volta fuori tiro fuori il mio cellulare dalla borsa e cerco il contatto di Ethan provando a fargli qualche squillo che ovviamente suonano a ruota libera. Merda. Vado e raggiungo il muretto che separa lo spazio parcheggio dalla strada e mi ci siedo sopra sistemando rapidamente gli slip.

È domenica sera.
Io ho fatto sesso con uno sconosciuto nel sudicio bagno di una discoteca beccandomi probabilmente il Colera e il mio miglior amico è sparito nel nulla. Forse faccio meglio aspettarlo finché non si rende conto che sono scomparsa e uscirà per controllare se sono accanto alla sua Audi nera.
Non so nemmeno quando è passata la settimana. Tra lavoro, i ricordi di quello che è successo con Logan ho preferito tenere le distanze anche da Nicholas. Lunedì sera sono andato da lui a prendere il mio reggiseno, me lo sono fatto due volte, una sul suo divano e l'altra nella doccia per scacciare via la frustrazione accumulata durante tutta la giornata e poi quando ha proposto di restare per cena me la sono filata via. Non potevo restare perché non volevo sentirlo parlare.

Dopo quello che è successo a casa di Ethan, il suo attacco di panico e la nostra discussione sull'area di sosta di emergenza... io l'ho abbracciato. Cazzo... l'ho abbracciato senza alcun motivo che non fosse altro quello di confortarlo. Io non abbraccio le persone, men che meno lui, il tizio che mi ha tolto la verginità e che ho lasciato che mi portasse a letto più di una volta.

Se lo abbraccio allora questo significa instaurare un rapporto oltre al sesso e non va bene, non devo farlo e non avrei nemmeno dovuto parlargli di me, della mia vita pensando che lui mi avrebbe capita, che finalmente qualcuno avrebbe potuto capirmi senza giudicarmi, senza puntare il dito ed è successo. E mi dà fottutamente fastidio che sia successo.
All'inizio mi sono sentita bene, adesso me ne pento amaramente.

La cosa peggiore è che sono sobria.
Maledizione... quanto vorrei un bicchiere di whisky in questo preciso istante. Con tanto ghiaccio e una fetta di arancia. Invece ho bevuto solo un Mojito analcolico del cazzo che faceva anche schifo. Mi passo la lingua sulle labbra screpolate mentre l'aria serale di San Francisco e il lieve vento torrido mi scompiglia i capelli.
Almeno se fossi ubriaca potrei capire il motivo per cui per un solo istante ho pensato di vedere davanti a me Nicholas in quel bagno. Che diavolo mi sta succedendo?

Sto impazzendo. Cazzo. Sto andando fuori fase... Che diavolo mi sta succedendo?

Forse ci sto andando troppo a letto e la mia testa si sta abituando alla sua vista. È questo e null'altro. Devo smetterla di scomparmelo.
Mi porto un dito alla bocca e stacco con nervosismo un'unghia spezzandola così male da tirarla via fino al sangue. Cazzo.
Ficco le mani nella borsa e prendo un fazzoletto. Con una smorfia in viso, blocco l'emorragia e mi guardo in giro.
Il parcheggio è vuoto, tutti sono dentro a divertirsi mentre la musica arriva dall'interno ovattata.

Riprovo a chiamare Ethan ancora una volta, ma senza alcun successo. Merda.
Caccio un forte sospiro e poggio il polpaccio sul muretto girandomi verso la strada. Prendo a fissare le auto che sfrecciano con aria quasi ipnotizzata. Alla fine lascio perdere e prendo a camminare sul marciapiede senza chiamare nessun Uber o fermare qualche taxi. La discoteca fortunatamente dista a qualche chilometro dal Pink Ocean, magari fare due passi mi potrebbe aiutare a liberare la mente. Ficco gli auricolari nelle orecchie, premo play sulla musica e mi incammino verso casa.

Dopo un paio di minuti arrivo al negozio aperto ventiquattr'ore. Entro, prendo un pacco di patatine all'Jalapeño, una Redbull, un altro pacchetto di sigarette e prendo posto sul gradino di lato all'entrata. In silenzio inizio a mangiare, bevo un sorso dell'energy drink e poi punto gli occhi in alto, sul cielo. Le stelle si vedono a stento, sarà per l'inquinamento luminoso. Che schifo vivere in una città così grande...

Nel Texas non era così. Che fosse estate o inverno, le stelle si vedevano sempre.
Distesa sull'erba accanto alla zona di allenamenti dei cavalli con Jack che brucava cacciando di tanto in tanto un nitrito rimanevo a dormire fuori e poi magicamente il mattino mi svegliavo nel mio letto dopo che papà mi raccoglieva e mi portava dentro casa.

Papà... il mio papà.

Sospiro pesantemente e non so nemmeno come ma mi trovo d'improvviso col telefono in mano, il suo numero che so a memoria digitato.
Sono due anni che non lo sento.

E se non volesse rispondermi? Se non mi volesse più come sua figlia?

Io l'ho deluso, gli ho spezzato il cuore.
Ripenso inevitabilmente al piccolo T-Rex verde che ho comprato tempo fa e che ora sta sul divano del mio monolocale.
Lui o lei che starà facendo a quest'ora? Il mio fratellino o la mia sorellina starà dormendo? O magari è ancora sveglia mentre papà prova ad addormentarla?

Spengo il cellulare e lo rimetto della borsa.
Non importa. Niente ha più importanza ormai. Ho provato così tanto rancore e sono andata così lontana, sfiorando e oltrepassando limiti che mai avrei dovuto raggiungere che... non ha più importanza. Se lui non mi ha mai contattata è perché non mi vuole. Non mi vuole.

Lui non mi vuole.
Quindi alla fin dei conti non ha più importanza. Sono dovuta cadere per perdere tutto e mi sono fatta lo sgambetto da sola, solo ora lo realizzo appieno.
Incredibile, Ronnie.
Sei fottutamente incredibile.

Mi rimetto in piedi, prendo la Redbull ormai quasi finita e la infilo in piedi nella borsa. Con le patatine riprendo a camminare verso casa sotto la luce dei lampioni, la strada desolata, nessun anima viva forse solo qualche macchina che di tanto in tanto mi passa affianco. Cammino in silenzio, la musica alle orecchie con dietro di me a seguirmi solo la mia ombra e nient'altro mentre dentro... mi sento così spaventosamente vuota che quasi non respiro.

Cammino, cammino e cammino cercando di alleviare le tensione al petto che invece si infittisce ancora di più finché le mie gambe non si fermano di getto.
Mi volto verso sinistra, alzo lo sguardo e do un'occhiata in alto. Le sue finestre si affacciano dall'altro lato della strada per cui non ho idea se sta dormendo o se starà facendo altro.

Chissà che fa nel suo tempo libero... forse legge qualche libro, no? O forse è davanti ai fornelli a preparare qualcosa.
Do un'occhiata al cellulare e leggo l'orario. 1:47 di notte.

No, adesso starà sicuramente dormendo perché domani deve lavorare, così come devo farlo anche io.
Con la musica nelle orecchie mi volto verso sinistra pronta per tornare a camminare verso casa. Devo lavarmi e mettermi a letto e...
Cazzo, sono fottutamente sola.

Una forte angoscia mi sale su per la gola e mi paralizza il respiro per alcuni istanti.
Ricontrollo il cellulare alla ricerca di qualche segno di vita di Ethan e non trovo niente. Probabilmente sarà rimasto dentro al locale troppo preso da qualche bel ragazzo che di sicuro starà rimorchiando.
Vorrei essere come lui alle volte. Spegnere la mente e buttarmi senza pensarci troppo. L'ho fatto qualche ora fa. L'ho fatto, ma...

Giro lo sguardo a destra, sull'edificio del suo appartamento.

Perché non ha funzionato? È stato anche bello... cioè se ignoro la parte del bagno con chissà quanti patogeni letali, ma alla fine è stato anche soddisfacente. Credo.
Sì, forse lo credo, non so...

Mi passo una mano sul viso sconsolata e prendo posto sul marciapiede. Tiro qualche altra patatina dalla busta e la ficco in bocca masticando. Intanto sblocco il cellulare e striscio il dito sulla schermata lasciata in standby. Il numero di mio padre ancora digitato.
Scorro la schermata in su e la elimino. Blocco il cellulare e mi alzo. Attraverso la strada, entro dal portone d'ingresso e salgo con l'ascensore finché non sono davanti alla sua porta che fisso per non so nemmeno quanti secondi o forse minuti.

Cazzo...
Poggio la fronte contro di essa e chiudo gli occhi per diversi istanti.
Che diavolo sto facendo?
È una bella domanda. Una gran bella domanda.

Evito di controllare se la porta sia aperta, l'ultima volta che l'ho fatto è successo un casino perciò alzo la mano, la stringo in un pugno e mi fermo.
Ho il battito di colpo accelerato. Forse è l'ansia che sta cercando di dirmi che sto per fare l'ennesima cazzata.
Mi passo la lingua sul labbro, lo mordo tra i denti fino a farmi male e poi tiro un forte respiro.

Busso.

E non appena lo faccio ci penso rapidamente su e l'ansia si duplica di colpo. Merda, ho fatto una stronzata.
La mente percorre rapidamente ogni possibile scenario e ogni cosa che questo potrebbe scatenare e quindi, rapida come una scheggia, giro i tacchi in men che non si dica e a passo svelto provo a raggiunge le scale e lasciar perdere l'ascensore. Non c'è tempo per quello.

Il rumore di una porta aprirsi però mi paralizza di colpo il cuore.
Cazzo.
Continuo a camminare cercando di passare inosservata ma una voce mi ferma di getto.
«Ronnie?»

Chiudo per un istante gli occhi e mi maledico mentalmente.
Mi giro.
Lo sguardo finisce su di lui. A petto nudo, solo un paio di pantaloni grigi da tuta e i capelli scompigliati. Con una faccia assonnata evidentemente svegliato da pochi secondi mi guarda stranito.
Alzo titubante una mano a mo' di saluto e tiro lievemente gli angoli della bocca in su.
«Ehi...»

Merda, ora scappo. Ora scappo. Sì, sì, ora scappo.
E lo faccio, prendo a indietreggiare lentamente in direzione delle scale.
Nicholas invece esce di più fuori dal suo appartamento e aggrottando la fronte si indica.
«Sono qui, non da quella parte» dice puntando il dito verso le scale. Merda.
Mi blocco di scatto e caccio una piccola risatina.
«Oh... sì, sì... hai, hai ragione... sì.»

E resto ferma, lui fa lo stesso mandandomi una lunga occhiata per poi alzare le sopracciglia.
«Vuoi... avvicinarti?» chiede. Mi sblocco di colpo dal mio stato vegetativo.
«Oh! Sì, ma certo!» gesticolo nervosamente con una mano e lo raggiungo anche se vorrei fare tutto il contrario, tipo viaggiare nel tempo e ritornare a me sul marciapiede qui fuori per riprendere il passo con direzione casa e non entrare affatto in questo edificio.

Non appena gli sono abbastanza vicino, lo guardo in silenzio.
«Hai bussato, no?» chiede dubbioso.
Annuisco.
«E allora perché te ne stavi andando?»
«Non hai aperto, quindi pensavo che non fossi a casa» rispondo semplicemente.
Lui corruccia le sopracciglia.
«La mia auto è parcheggiata qui fuori.»
«Non l'ho vista» sì, invece che l'ho vista. L'ho vista eccome, è impossibile non vederla, è un fottuto SUV nero.

Nicholas sembra pensarci su.
«È letteralmente parcheggiata davanti al portone d'ingresso.»
Sì, lo è.

«Non ci avrò fatto caso...» gesticolo con una mano, un sorrisetto in faccia e indietreggio di un passo.
«Avvicinati.»
«Uh?» mugugno davanti il suo ordine. Lui si poggia di spalla contro lo stipite della porta e mi fa segno con la mano. «Avvicinati.»
«Sono vicina» replico.
«No, tu hai appena fatto un altro passo indietro. Vai da qualche parte?» chiede confuso.
Indico l'ascensore con un pollice. «A casa.»
Nicholas rimane in silenzio per qualche secondo.
«E allora perché sei qui?»

Vorrei saperlo anche io, te lo assicuro.
Ci penso rapidamente, penso alla prima stronzata da sparare e poi mi ricordo della busta di patatine che ho in mano, perciò mi avvicino e gliela porgo.
Lui abbassa gli occhi su di questa, poi li rialza e aggrotta la fronte.
«Ho preso queste» gli dico.
Nicholas inclina lievemente la testa.
«E le hai mangiate, vedo.»

Merda.

Faccio una smorfia contrariata. «Alcune.»
Lui si porta in tutto ciò le braccia conserte e gli occhi mi cadono per qualche secondo sulle sue braccia e sui muscoli che si contraggono.
«Sei venuta qui all'una di notte per offrirmi una busta di patatine mezza vuota?»

Rapidamente infilo una mano nella borsa. «In realtà... ho anche questa» dico e gli porgo la lattina della Redbull. Lui la guarda, la afferra e la scuote.
«Hai bevuto anche questa» mi fa notare.
«Solo un po'» ribatto.
Alza le sopracciglia. «Un po' troppo.»
«Se... la sollevi...» gliela prendo dalla mano e la porto alla bocca. «Così» dico mandando giù un sorso e gliela ridò. «Vedrai che ne è rimasta ancora.»

Nicholas con la lattina in mano sbatte teatralmente le ciglia.
«Ora non è più rimasto niente.»
«Non è vero.»
Lui in tutta risposta la capovolge e dalla lattina scivola una goccia che finisce sul pavimento dei pianerottolo.
Entrambi la guardiamo e poi sollevo il viso, mollandogli un piccolo sorriso.

«Magari sarà invisibile e adesso avrò allagato questo piano dell'edificio oppure tu con la tua bacchetta magica di sambuco avete fatto qualche magia aprendo un varco interdimensionale che nessuno vede ma esiste ed è per questo che la Redbull non si è riversata sul pavimento. Dici che se prendo il mio binocolo a visione termica riesco a trovare il varco? Forse emmette fonte di calore essendo... magico. Così lo tappo ed evito che qualcuno, passando da queste parti, ci finisca dentro» aggrotta le sopracciglia sovrappensiero mentre io rimango imbambolata a fissarlo.

Fissare la sua bocca che si muove e quando non si muove più, alzo le pupille nei suoi occhi stanchi e assonanti.

«Mhm...» mugugno confusa. «Quindi le vuoi le patatine o no?» chiedo.

Nicholas resta a fissarmi per qualche secondo inebetito, poi cerca di soffocare una risata afferrandosi il labbro tra i denti.
Tira un profondo respiro e piazza le sue pupille nelle mie con un piccolo sorriso sulle labbra.
«Hai mangiato solo quelle patatine?» chiede d'improvviso.
«No... ne è veramente rimasta qualcuna, se controll-» cerco di aprirgli il pacchetto, ma la sua voce mi ferma.
«No, io dico se hai mangiato solo quelle. Hai mangiato anche altro?»
Ci penso rapidamente su.
«Un... gelato ore fa, ma che c'entra?» chiedo non capendo.
Mi fa cenno di entrata nel suo appartamento. «Dai, ti preparo qualcosa.»

Spalanco gli occhi. «Oh, no, no... non ce n'è bisogno, non so venuta qui per... cioè, non devi scomodarti, anzi torna pure a dormire, lo farò anche io e... sì, ecco, adesso forse è meglio che vada» gesticolo nervosamente e indico dietro di me, quindi indietreggio. «Buona notte e... sì, questo è tutto, sì, b-buona, buona notte!» giro le spalle e mi affretto ad andarmene.

Merda. Ho fatto una grande stronzata. Mi passo una mano sul viso mentre avanzo verso l'ascensore.
«Ronnie!»
Mi volto mentre clicco sul pulsante e aspetto che salga. Nicholas, a piedi nudi, viene verso di me.
«Hai dimenticato la tua lattina» me la porge. Aggrotto la fronte, stranita, ma poi la afferro semplicemente.
«Ti... ti ringrazio, molto gentil-» non so nemmeno io che diavolo sto farneticando ma so solo che improvvisamente spalanco gli occhi quando vengo afferrata e tutto d'un tratto mi ritrovo contro il suo petto.
Merda.

«Cosa... che stai facendo?» gli chiedo quindi cercando di scendere ma lui, con me in braccio, la busta di patatine all'Jalapeño in nella mia mano destra e la lattina della Redbull nell'altra, torna al suo appartamento, entra e chiude la porta con la spalla, e mi molla sul divano.

Sbigottita resto con le patatine e la lattina in grembo e la borsa affianco a me. Mi guardo in giro e quindi dietro alle mie spalle dove c'è la cucina.
Con la fronte corrucciata e in silenzio, abbandono la mia evidente spazzatura sul divano, mi sfilo la borsa e mi alzo in piedi raggiungendolo.
«Che stai facendo?» chiedo di nuovo non appena gli sono vicina. Nicholas smette di armeggiare con alcuni ingredienti, si volta e mi guarda.

«Tu non ringrazi.»

Inevitabilmente gli rivolgo una smorfia confusa. Non so che dire e per la prima volta rimango completamente ammutolita. Ha ragione. Io non ringrazio.

Abbasso per qualche istante lo sguardo mentre quello stesso vuoto torna con prepotenza nel mio petto tanto da obbligarmi a serrare i denti perché fa fottutamente male. Non riesco a respirare e non riesco a fermare questo bruciore fastidioso agli occhi, la vista che mi si annebbia, le lacrime che si accumulano nelle palpebre che sto cercando di reggere a fatica, di rimandare indietro, di non sbattere troppo le ciglia per non farle ricadere sul mio viso.

Sollevo lo sguardo.
Nicholas mi guarda e non dice niente, ma sono consapevole che l'aspetto che dovrò avere in questo istante non è uno dei migliori.
In silenzio mi avvicino allo sgabello, prendo posto e finisco con gli occhi sulle mie mani sulla superficie del bancone dell'isola... e chino la schiena, poggiando il viso sulle braccia per nasconderlo.
Nascondere le mie lacrime che ormai stanno scivolando via dal mio controllo.

Sento dei movimenti oltre ai miei sospiri in cui non ci annego con forza. Lo sportello del frigo, qualcosa che si stappa e il rumore di vetro che viene appoggiato accanto a me. Alzo quindi il viso, confusa. Vedo una bottiglia di birra.
Mi sollevo di poco e guardo Nicholas.

«Analcolica» dice semplicemente. Mi fa poi cenno di prenderla e io indugio. Quindi lui va al frigo, ne prende un'altra, la apre e viene da me mentre le mie dita si alzano a fatica intorno la bottiglia. Fa una sorta di cin-cin con la mia e ne prende un sorso, appoggiandola poi sul bancone e alza le sopracciglia facendomi segno di fare lo stesso.

Col dorso di una mano scaccio via le lacrime e ne prendo un po', mandandola giù, per poi guardarlo.
Lui solleva lievemente gli angoli della bocca.
«Ora...» fa tirando un profondo respiro. «Preferisci il kimchi saltato in padella o a freddo?»

Inutile descrivere quello che si infila nel mio cuore con prepotenza. È d'una pace senza eguali.
«Saltato in padella con cosa?»
Lui sorride di più. «Cose molto buone.»
«In padella.»
Nicholas annuisce e lo vedo tornare a fare le sue cose. Senza aggiungere altro prendo un altro sorso della birra e mi asciugo quello che rimane delle lacrime.

«Perché... non mi chiedi nulla?»
Finalmente apro bocca dopo diversi secondi, troppi. Lui alza il viso. Mette il coperchio a un pentolino dove ci ha messo del riso e lo mette a bollire.
«Devo chiedere qualcosa?» fa con una strana voce. Prende la sua birra, ne beve un po' e poi mi guarda.
«Che vuoi che ti chieda?»
Si allontana, fa il giro dell'isola e viene vicino a me, prendendo posto su uno sgabello.
«Non lo so... di solito si fanno delle domande» gesticolo con un dito. «Quando qualcuno si presenta alla tua porta all'una di notte, fai delle domande...»

Lui inclina di poco la testa.

«Se dovessi farti delle domande, ti chiederei se stai bene, e tu risponderesti di sì quando non è vero. Sei troppo orgogliosa per dire quello che ti passa per la testa e non vuoi che qualcuno sappia ciò che vuoi tenerti per te perché credi che non possa capirti o che i tuoi problemi non siano all'altezza di essere spiegati.»

Resto spiazzata.

Nicholas mi indica con un cenno. «Vuoi davvero che ti chieda se stai bene?»
«No.»
«E cosa vuoi?»
Serro i denti fino a farmi male. «Niente.»
«Rimani qui con me stanotte.»
Aggrotto istintivamente la fronte, presa di sprovvista da questa sua richiesta.
«Perché?» chiedo confusa.

Nicholas mi guarda per un frangente.
«Perché se esci da quella porta - me la indica con una mano - finisci col perderti.»
Sorrido debolmente con fare contrariato.
«Abito qui vicino, il marciapiede è diritto, non posso perder-»
«Tu hai la faccia di chi una volta fuori da qui vuole solo attaccarsi alla bottiglia, ubriacarsi e crollare da qualche parte» mi interrompe così serio che rabbrividisco fin dentro al cuore, fino alle ossa e smetto di respirare.
I miei occhi tornano a bruciare con forza tanto che li abbasso.

La sua mano raccoglie la mia, afferra lo sgabello e lo tira a sé.
Alzo d'istinto il mento.
«Sono un casino» confesso spaventata.

Sono fottutamente spaventata.
Stringo i denti, cerco di non farmi scappare via nessun'altra lacrima ma è così difficile che mi fa male dentro.

«No, invece» replica, con gli occhi piantati nei miei. Alza una mano e mi toglie dal viso le lacrime che non sentivo nemmeno scendere sulla guancia. «Sei umana.»
Corruccio le sopracciglia.
Nicholas tira un profondo respiro. «E va bene... sentirsi così. Siamo persone in fin dei conti e alle volte ci capitano cose brutte che ci fanno sentire molto male, ma questo non significa che siamo sbagliati. Il dolore ci fa ricordare che siamo vivi e che dobbiamo lottare per andare avanti. È un promemoria.»

Lo fisso senza spicciare alcuna parola. Non ho cosa dire, non so cosa dire e non ho la forza per ribattere.

«Il tuo... di promemoria è scaduto adesso. Quindi...» mi accarezza la guancia. «Tu resti con me stanotte» dice con i suoi occhi azzurri piantati nei miei, il mio battito lento e così forte da farmi male il petto e le lacrime che mi scivolano sul viso, bollenti che mi rovistano fin dentro l'anima.

***

Angolo autrice
Piccolo amore 💜
Dai che ce la farà alla fine, riuscirà a venirne a galla.

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