19 | Vieni a dormire con me

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CAPITOLO 19
Vieni a dormire con me


Non era così che pensavo sarebbe finita una delle solite uscite di Kim. Le altre volte a combinare le stronzate ero io, ma non questa volta. Vorrei chiamare Ethan, ma non so dove sia il mio cellulare, probabilmente morto nella tasca dei pantaloni. Anche questo è finito distrutto, l'ennesimo direi. Non mi capita mai una cosa buona.

Voglio Ethan. Qui, ora. Voglio che venga e mi riporti a casa sua, a dormire nel suo letto al caldo con lui affianco mentre mi canta una delle sue canzoni preferite finché non mi addormento. Sono così tramortita che a fatica riesco a metabolizzare il posto in cui mi trovo. L'ultimo nel quale dovrei essere al momento.

Sul divano di casa Price, fisso le fotografie incorniciate sui scaffali della libreria che regge la TV a schermo piatto. Le sto fissando da un bel po', così tanto che ormai il mio cervello ha memorizzato una per una, o ad essere onesta mi ha fatto ricordare ciascuna. Le conoscevo già, le avevo visto una miriade di volte essendo che passavo qui gran parte delle mie giornate e notti.
A studiare insieme a Logan, mangiare pizza, aiutare Sofia con la cena che cucinava per noi, inclusa Elizabeth che ora non c'è più e la sua assenza si sente fra le mura di questa casa che non è cambiata per niente.
Forse ci sono solo dei giocattoli sparsi in giro, ma per il resto è rimasta tale e quale come la custodivo nei miei ricordi.

Dei rumori di passi mi fanno girare. Logan sta scendono le scale, tra le mani un cambio di abiti che posa accanto a me sul divano. Guardo questi e ci rimango con gli occhi su di essi a lungo, ipnotizzata a momenti.
Lo sento schiarirsi la voce.
«Ricordi... dov'è il bagno, giusto?» chiede incerto.

Alzo il viso, lo guardo in silenzio e poi sposto gli occhi sulle scale che portano al piano superiore dove ci sono le tre stanze da letto e il bagno dove dovrei andare per togliermi via questo accappatoio assurdo ma non mi muovo. La forza di percorrere tutto quel tragitto, che anche solo immaginare di fare, mi sembra sfiancante. Quindi afferro lentamente la t-shirt, slaccio il laccio dell'accappatoio e sotto gli occhi di Logan, che sposta svelto lo sguardo altrove, me la infilo e faccio lo stesso con i pantaloncini. Riprendo la coperta, mi copro e guardo Logan che si china, raccoglie quello che ho tolto e lo porta via per poi tornare, accendere la TV che stavo fissando a schermo completamente nero.

«So che lui è via...» prende posto accanto a me mentre guardo quello che sembra un cartone animato nuovo, non l'ho mai visto prima di adesso. E' spagnolo, forse per questo.
«Ma era un poliziotto, no? E avrà sicuramente qualche amico al distretto... e se provassimo a chiamarlo e-»
«Tyler» lo interrompo e mi giro verso di lui. «C'è Tyler ma non gli dirò niente» concludo in tono piatto e ritorno a guardare il cartone animato, tiro di più la coperta e mi lascio cadere di lato con la testa sul piccolo cuscino del divano.

Non voglio che Tyler faccia niente. Non c'è bisogno, non mi conosce nemmeno abbastanza bene, conosce Nicholas ma per il resto io e lui ci saremmo scambiati una qualche parola in più a quella festa che Edith aveva organizzato. So che Nicholas non ha tanti amici perché la maggior parte lo odia solo perché è un O'Brien, figuriamoci quindi se vado dal suo unico amico a dirgli... Che cosa? Che il fratello di Nicholas mi ha aggredita?
Kieran è intoccabile perché ha tanti soldi. Mentre io ho una dignità e il mio orgoglio mi impedisce di andare a chiedere aiuto. Non accadrà.

Passerà. Questo momento passerà, io lo dimenticherò e sarà come se non fosse mai successo. Ho vissuto di peggio e questo non è niente di speciale. Non è diverso. Io ce la faccio sempre, ma ora mi serve solo un po' di tempo.

Logan non aggiunge altro e fa bene, perché non voglio sentire un'altra sola parola a proposito di questo episodio.

Si alza e si allontana mentre rimango di testa sul cuscino e nel momento in cui spegne le luci del soggiorno le lacrime tornano a rigarmi il viso.
Non è successo niente.
Kieran non mi ha fatto niente.
Ad altre donne è successo di peggio, e io non posso lamentarmi, perché non mi è successo niente di grave. Mi riprenderò e quando succederà sarò la Ronnie di sempre, ma fin ad allora stringo le ginocchia al petto e mi abbandono a un pianto silenzioso cercando di non farmi sentire. Non voglio la compassione e né le attenzioni di Logan.

Mi rialzerò da sola.

Passano dei buoni minuti fin quando la voce di un bambino frena di getto il mio pianto. Le luci si accendono di nuovo, sento Logan che gli parla e istintivamente mi asciugo frettolosamente il viso.
Rimango confusa di punto in bianco quando davanti agli occhi mi si presenta un piccolo ometto in pigiama blu con sopra un pattern di stelline arancioni e un capellino in testa. Mi fissa silenzioso per diversi istanti. Mi analizza, scruta a fondo e poi si avvicina.

Tocca i miei capelli ormai asciutti, afferra una ciocca e poi ride indietreggiando di scatto tutto divertito.
«Alec, vieni qua» lo chiama Logan. Poggio la mano sul divano e mi tiro in sedere.
Logan appare con una busta di qualcosa che non riconosco, afferra il bambino in braccio e mi lancia un'occhiata.
«Scusa» fa a disagio e si allontana verso la cucina che fa anche da sala da pranzo. Oltre l'arco lo scorgo mettere Alec sul seggiolone, scomparire per poi riapparire con una ciotola e un cucchiaino. Tira la sedia, prende posto e gli dà da mangiare una strana pappetta giallina.

Con il sottofondo dei cartoni animati li osservo da lontano. Lui gli sorride, gli dice qualcosa mentre Alec mangia e fa strani versi applaudendo con le manine. Logan ride lievemente e per un istante, un solo e breve istante, mi incanto a guardare lui.
I capelli scompigliati, i lineamenti tirati dalla spossatezza, un po' di occhiaie e gli occhi stanchi. C'è qualcosa di diverso in quei occhi. Quando guarda suo figlio, c'è una strana scintilla che non gli ho mai visto ma che mi ricorda il modo in cui mamma guardava me quando la trovavo in cucina a fare la sua torta di mele e mi lanciava scherzosamente la farina addosso ridendo e prendendomi in giro. Mi ricorda lei che mi chiamava a raccogliere le nocciole dagli alberi vicino casa e intanto se le divorava una per una e quella che le raccoglieva sul serio era solo io. Mi ricorda il suo sguardo, lo stesso che mi rivolgeva quando mi fissava allenarmi con Jack e lei stava appoggiata alla staccionata per poi applaudire entrambi.

Logan ha un figlio.
Gliel'ho sempre rinfacciato, l'ho schernito e lui è rimasto in silenzio. Ho offeso suo figlio così tante volte che adesso essere qui, guardarli insieme e guardare quel bambino che non ha nessuna colpa, mi fa sentire una vera merda umana.
Aveva ragione quando mi ha detto di essere diventata cattiva. La Ronnie di tanto tempo fa non avrebbe mai incolpato un bambino in quel modo... ma sono successe troppe cose e io ho accumulato tanto rancore che non ho saputo come gestire.

Nemmeno mi rendo conto di quando mi alzo e lo raggiungo a passi lenti quasi cercando di non farmi sentire, ma è abbastanza impraticabile, tant'è che Logan sposta gli occhi su di me e rimane a fissarmi. Il mio sguardo invece cade sul bambino che non ho mai visto così da vicino.
Ha gli occhi scuri, non verdi come ci si potrebbe pensare per via dei capelli ramati.
Anche lui si volta, mi guarda per poi sorridere e coprirsi il viso con una mano. Aggrotto la fronte stranita dal suo atteggiamento.

«Gli piaci» sento dire Logan verso cui sposto lo sguardo. Lo trovo con l'ombra di un sorriso sulle labbra.
«E l'hai appena imbarazzato...» aggiunge guardando Alec e prova a imboccarlo ma fallendo perché il bambino si gira di nuovo verso di me, sorride e si volta rapidamente dall'altro lato facendo ridere Logan che stanco poggia il gomito sul tavolo e la mano sul viso, che poi finisce col reggersi. Guarda Alec e apre bocca.

«Dai, piccolo... ho sonno, ti prego...» mormora provocandomi una lieve smorfia divertita.
«Forse sarebbe meglio che io me ne andassi... così... ecco, fai quello che stavi facendo» dico grattandomi la nuca e indico l'uscita dalla stanza.

«Volevi qualcosa?»
Alzo le sopracciglia. «Mhm?» mugugno non capendo.
Logan indica il bancone della cucina.
«C'è ancora del caffè se vuoi. L'ha fatto Katie, la baby-sitter sedicenne che come pagamento mi ruba la moto e indossa i miei vestiti di nascosto. Lei crede che io non lo sappia... ma lo so» accenna un sorriso.

Tiro le labbra in una linea diritta cercando di non ridere.
«Ha una cotta per te?» scherzo e raggiungo la caffettiera.
«Se dico che una volta ha provato a baciarmi mi denunci?»

Mi giro verso di lui mentre verso in una tazza del caffè. Riduco gli occhi in due fessure, fingendomi pensierosa.
«Così Katie potrà spedirti lettere d'amore ogni giorno di ogni anno fino al tuo rilascio?» ribatto. Logan ride lievemente e prova a imboccare Alec.
Metto dello zucchero dentro la tazza, giro con un cucchiaio e poi mi poggio di spalle al bancone bevendo un sorso.

«Sofia non c'è?» chiedo guardandomi in giro per scacciare l'atmosfera di imbarazzo che sento d'improvviso. E' insolito. Tutto qui. Insomma essere qui, davanti a me Logan e suo figlio... non lo, è solo qualcosa di nuovo e non so esattamente che dire o fare senza combinare stupidaggini o darmi arie. Non so nemmeno perché io sia qui. E' stato Finn a chiamare l'unica persona che conosceva e che poteva portarmi via da quella suite di merda in cui non ci metterò mai più piede. La tua ragazza. E' così che mi ha chiamata quando ha evidentemente chiamato Logan al cellulare. Non sono la ragazza di Logan. non sono nessuno.
«È da Teresa» risponde Logan pulendo la bocca ad Alec con un tovagliolo. Annuisco e torno in silenzio, lui fa lo stesso con la sola differenza che ci fissiamo l'un l'altro senza aggiungere altro e dovrei dire qualcosa perché stare così è... strano. Veramente strano.

«Se vuoi riposare, puoi andare nella stanza di mamma» spezza di nuovo il ghiaccio.
Sollevo un po' la tazza di caffè. «Non voglio dormire.»
«Vuoi... parlare di quello che è successo?»

Scuoto la testa. «Non è successo niente.»

Logan mi guarda a lungo, sembra voler ribattere ma non lo fa. E lo ringrazio mentalmente.
Indico Alec con un cenno di testa. «Ora lo metti a letto?» chiedo tanto per cambiare discorso, non mi va per niente di parlare della festa di Carter o di Kieran. Voglio solo dimenticare e basta.

Logan annuisce e si tira in piedi. Afferra Alec in braccio.
«Dì buonanotte a Ronnie, piccolo» gli sorride sventolando la sua manina in mia direzione. Trattengo un sorriso a disagio.
«Buonanotte Ronniee!» scimmiotta con enfasi. «Molto bravo... Oh, l'hai conquistata, sì, proprio così... guarda. Guarda un po' la sua faccia, ora lei è tua» fa verso il bambino che si nasconde contro il suo petto e questa scena mi ridere lievemente tanto che mi mordo un labbro per smettere subito. Merda.

«Andiamo a nanna, uh? E magari domani le chiediamo un appuntamento» fa verso Alec come se gli stesse sussurrando il segreto del secolo. Il mio cuore fa una strana capriola che non avevo affatto previsto. Logan mi rivolge un'ultima occhiata che ricambio con le guance che mi vanno a fuoco e non me ne capacito perché stia succedendo.
Ha fatto solo una stupida battuta verso sui figlio, nient'altro.

«Se vuoi dormire, la stanza di mamma è lì» ripete e se ne va portando via suo figlio.

Resto attaccata di spalle al bancone con una strana sensazione al centro del petto come se tutte le emozioni negative accumulate fino a questo punto si fossero magicamente dissolte. In silenzio torno nel soggiorno e con la tazza di caffè guardo da più da vicino le fotografie incorniciate trovando una sulla quale il mio sguardo si posa e non si sposta più.

L'albero di Natale, tutti i parenti di Logan davanti ad esso e poi c'è lui, una maglia blu addosso e al suo fianco ci sono... io.
Il mio sguardo in fotocamera e Logan che invece di guardare davanti guarda me.
Il battito del mio cuore rallenta gradualmente. Mi scappa un breve sorriso quando guardo Elizabeth alle sue spalle che da dietro gli fa le scherzosamente le corna e Sofia che la guarda male.

Mi sono trovata bene nella sua famiglia, più di quanto non potrei mai ammettere e guardare questa foto mi fa salire una forte malinconia e forse rabbia verso me stessa e nessun altro. Ho buttato all'aria ogni cosa perché non volevo ammettere cosa provassi e ora è troppo tardi per aggiustare le cose. Io ho la mia vita, lui la sua e forse stasera ci troviamo insieme ma sono ben consapevole che domani tutto sarà come se non fosse mai successo.
È meglio così. Evidentemente non ha mai funzionato e questo non cambierà, soprattutto non adesso. Sono fidanzata con una persona spettacolare che non vedo l'ora che torni da me, Logan invece ha un figlio, fra poco finirà gli studi e potrà iniziare il suo percorso per diventare docente.
Quando l'avevo incontrato era solo un ragazzo con i tatuaggi e la giacca di pelle da motociclista, la battuta sempre pronta, il suo punzecchiarmi perennemente e adesso è un padre, con una carriera che lo aspetta.

Quando gli avevo proposto di insegnare quello che lui ama non pensavo che avrebbe preso le mie parole sul serio. Ci siamo detti che fra dieci anni saremmo stati ancora insieme e invece le nostre strade si sono divise molto prima. Lui ha continuato la sua, io invece sono rimasta bloccata e molto indietro. Ho perso il suo passo, non sono riuscita a stargli dietro e adesso è troppo tardi. Non riesco a rincorrerlo, perché semplicemente non posso.

«Che guardi?»

Quasi non trasalisco per lo spavento. Mi giro e lo trovo al mio fianco.
Mi allontano come di conseguenza.
«Oh... no, niente» tiro su gli angoli della bocca e indico le scale.
«Alec dorme di già?»
Logan rimane a fissarmi per alcuni istanti, sembra sovrappensiero, poi si riprende.
«Mhm? Ah, sì! Sì... è crollato. Era molto stanco ma aveva fame... quindi... sì beh» gesticola a disagio. Quindi non sono l'unica a sentirla questa tensione opprimente. Bene.

Annuisco. Rimaniamo a guardarci senza aggiungere altro e vorrei diventare polvere per scappare via da questa cosa, qualunque essa sia. Non è solo per quello che mi è successo, ma anche il posto dove mi trovo, il suo posto. E' casa sua. L'ultima volta che ci sono stata eravamo ancora amici. Adesso mi sento una intrusa.
«Hai bisogno di altro? Non so... Qualunque cosa, ecco... S-se ti servisse qualcosa-» si schiarisce rapidamente la voce. «Puoi dirmelo e... io-»

«Sono a posto così» lo interrompo prima che dica qualunque altra cosa.

Lui annuisce con un cenno di testa.
«Va bene. Allora io... vado» indica le scale alle sue spalle.
«Okay» dico ma non fa alcun movimento. I miei occhi dai suoi scendono leggermente sulle sue labbra. Il battito cardiaco aumenta di getto prendendomi di sprovvista.
Non credo che questo sia una bella cosa fare: fissare il mio ex così.
No, non va affatto bene.

Sposto immediatamente gli occhi sulle sue braccia scoperte dalla t-shirt nera, le pupille percorrono l'inchiostro che gli dipinge la pelle e istintivamente mi ricordo quelle stesse braccia intorno a me così come non le sentivo da tempo. Mi ha fatto provare quel senso di protezione che mi annebbiava ogni dubbio o paura. Quando lui mi abbracciava senza fare nient'altro, quando mi teneva semplicemente stretta a sé, e tutto il resto spariva.

Ed è per questo motivo che mi allontano ancora di più, indietreggiando.
«Beh... io credo che andrò...» indico il piano superiore, riferendomi alla stanza di sua madre dove voglio chiudermi dentro e non uscire più per non vedere Logan nei dintorni, non così... perché prima era più facile provare disprezzo ma così no. È venuto da me, mi ha portata a casa sua e prima mi ha dato quel bacio e l'ho visto con suo figlio, e...  e al diavolo.

Aggiro letteralmente il divano per andare verso scale che avrei potuto raggiungere passandogli di fianco ma non voglio. L'unica cosa che desidero è prendere le distanze da lui.

Mi infilo sotto la coperta, la tiro su e resto così a lungo, forse per una buona mezz'oretta. Con lo sguardo sul soffitto, le dita intrecciate e le mani sul petto. Cazzo... così non va.
Tiro un profondo respiro e scendo dal letto. Senza fare il minimo rumore torno giù al piano terra. Vorrei solo addormentarmi e magari guardare la TV anche se impostata sul muto mi potrebbe aiutare.

Sono pronta a mettermi sul divano quando mi fermo di getto. Logan è in cucina, il portatile acceso, alcuni fogli sparsi sul tavolo da pranzo e il viso che si regge con una mano mentre per poco non scivola sbattendo di testa.
Fa per addormentarsi quando si tira immediatamente su, raddrizza la schiena, e si stiracchia il collo, massaggiando una spalla.
I suoi occhi poi si spostano e incrocia il mio sguardo, faccio per scappare su per le scale.

«Pensavo stessi dormendo.»

Merda. Mi fermo all'istante. Tiro un profondo respiro e mi giro. Lui chiude il portatile.

«Non riesco a dormire» rispondo avvicinandomi di pochi passi. Logan si stropiccia il viso e mi guarda per una buona manciata di istanti.
«Vieni a dormire con me.»

Forse è la stanchezza, l'assenza di sonno, il fatto che stia crollando letteralmente sul tavolo da pranzo ma non penso si renda conto di quello che mi ha appena detto.
Resto in silenzio perché penso sia la cosa migliore da fare. Lui intanto si tira in piedi, rimette rapidamente in ordine i fogli creando una sorta di pila, mette sopra due libri e viene in mia direzione.

Mi manca il respiro quando alza una mano e mi porta dietro l'orecchio i capelli. Le sue dita sulla mia pelle mi mandano in surriscaldamento il corpo talmente tanto che il cuore prende a battermi all'impazzata. Le dita poi scivolano sul mio viso e lui si avvicina ancora.
Gli occhi bassi nei miei che lo scrutano non sapendo cosa fare.
«Puoi dormire con me, se vuoi.»

Deglutisco pesantemente e abbasso lo sguardo mentre una mano afferra la sua per toglierla via da me.
«Non è una buona idea» dico contrariata dalla sua assurda offerta.
«Perché siamo stati a letto?»

Alzo di getto le pupille.
«Non ti farò niente» aggiunge.
Lo so bene, ma io potrei. È questo il punto, vorrei dire ma evito di combinare stronzate. Mi trovo in uno di quei momenti in cui mi sento fragile, completamente allo scoperto e se dormissimo solo... mi conosco abbastanza da sapere che io lo abbraccerei a me. Tanto. Solo perché mi serve un abbraccio. Voglio stringere qualcuno a me, qualcuno che mi conosce, e voglio sprofondare nelle sue braccia e forse piangere un altro po', svuotare quello che mi tengo ancora un po' dentro, ma quelle braccia non posso essere le sue.
Caccio un mezzo sorriso e ci indico con il dito. «Non siamo più amici.» Cerco di smorzare l'aria che si è creata.

«Possiamo esserlo solo per stanotte» propone e fa lentamente due passi, il necessario per ritrovarmi tutto d'un tratto a un soffio da lui.
«No» resto ferma sulla mia senza ficcarmi in testa scenari impossibili. Noi due non siamo più amici e io sono fidanzata. Punto e basta.

Indietreggio ancora e lui fa un altro passo. Di colpo mi trovo di spalle al muro e non appena lo realizzo mi do della stupida.
«Soffro solo di insonnia» dico.
«Lo so» si avvicina ancora. Il battito mi aumenta così tanto che sento le orecchie fischiare.
Silenzio per una buona manciata di secondi. Secondi in cui ci guardiamo semplicemente l'un l'altra.
«Dovresti andare» spezzo il ghiaccio che si è creato intorno a noi, congelando questo momento che mi dà delle sensazioni che non dovrei affatto provare.

«Va bene» annuisce ma non si muove di un centimetro verso l'arco che dà nel soggiorno. Piuttosto è la sua mano che si alza e sfiora con una tale delicatezza il mio collo da farmi rabbrividire in ogni punto del corpo, mi annebbia rapidamente la ragione.
I suoi occhi sono abbassati sul mio collo, i segni rimasti da Kieran, che osserva. Lo voglio un suo abbraccio. Solo un po'. Un paio di secondi. Ma non posso.

«Buonanotte» conclude e forse... se adesso mi avesse abbracciata io non mi sarei tirata affatto indietro, glielo avrei lasciato fare. Lo avrei fatto.

«Buonanotte» ricambio e attendo che vada via.
Si china, mi lascia un sulla fronte e si allontana passandomi affianco. Il mio respiro torna regolare, il battito del cuore invece resta frenetico.

***

Alle prime luci dell'alba so solo che mi sveglio prima di tutti per scappare via senza farmi beccare da altre persone, un esempio è la madre di Logan che sinceramente non ho idea di quando rientrerà. Scendo le scale in punta di piede e vado diritta alla porta d'ingresso pronta per abbassare la maniglia e sparire via da questo posto quando una voce mi ferma.

«Le tue scarpe sono lì!»

Merda.
Chiudo gli occhi per un istante prima di girarmi e trovare Logan sull'uscio dell'arco della cucina. Istintivamente do un'occhiata all'orologio appeso al muro del soggiorno e mi chiedo sinceramente che cazzo ci faccia sveglio a quest'ora.
«Volevi scappare via scalza?» indica i miei piedi che guardo d'istinto.

Merda di nuovo.
«Io...» provo a formulare una frase ma mi esce una piccola risatina nervosa. «Sì... No! Cioè  no... Sono... sai, il sonno e tutto il resto...» spiego gesticolando e come una ladra mi affretto a indossare gli anfibi.
«Ti va di fare colazione?»

Alzo di getto lo sguardo e quasi non cado per terra quando inciampo nel tappeto.
«Che?»
Lui indica la cucina dietro di sé.
«Toast alla Nutella. Ci sono anche le fragole. Mangi qualcosa e poi... potrai scappare ma prima dovresti allacciarti le scarpe.»

Resto a guardarlo inebetita. Sbatto più volte le palpebre e provo seriamente a riattivare il mio cervello ma mi viene abbastanza difficile.
Abbasso gli occhi e vedo i lacci sul pavimento. Ah, sono inciampata in essi non nel tappeto. Meraviglioso.

Alzo un pollice in su e mi sento ancora più cretina.
«Sì... in effetti hai ragione, buona osservazione» commento e allaccio al volo le scarpe per poi tirarmi su.
«Vuoi un passaggio da qualche parte...?» chiede.
Apro la bocca per dire qualcosa, ci penso nel minor tempo possibile ma non esce niente. La richiudo, mi guardo in giro e poi verso la porta d'ingresso alla quale mi avvicino.

«No, ecco, tu non devi, io... Se mi chiami un Uber sarebbe fantastico!»
Concludo con un sorriso tirato e gesticolo completamente a caso tanto che colpisco il vaso sul mobiletto accanto che cade a terra, si spacca e io fisso come se fosse la tredicesima meraviglia del mondo.

Oh, cazzo.
Torno lentamente in direzione di Logan che guarda me, il vaso e poi di nuovo me. Se non sbaglio quel vaso è lo stesso che aveva creato sua madre e del quale ne andava molto fiera. Sofia mi lancerà un maledizione in spagnolo se mi becca qui, proprio ora, sulla scena del delitto. Me ne devo andare, subito.

La voce di Alec rompe questo strano momento che penso mi abbia dato i brividi necessari per aumentare le tacche della barra di caricamento di imbarazzo che giace nel mio cervello.

«Vuoi il toast?» mi chiede di nuovo Logan, questa volta con aria incerta. Tiro le labbra in una linea diritta e ci penso rapidamente su.
«Uhm... va bene, certo! Certo, sì, va bene!» scuoto la testa poggiando le mani sui fianchi. Do un'altra occhiata al vaso spaccato, lui annuisce e torna dentro la cucina e io colgo il momento per aprire la porta e darmela a gambe levate.

Non ho soldi e né un cellulare. Me ne rendo conto troppo tardi. Questo me lo sono completamente dimenticato. Ferma sul marciapiede do inevitabilmente un'occhiata alla casa, in particolar modo alla finestra della sala da pranzo che dà sulla strada e vedo nientemeno che Logan notarmi.
Io guardo lui, lui me. Silenzio. Mi lancia uno sguardo cercando a stento di non ridere e mi saluta come se vedesse uno dei suoi vicini di casa.

Alzo la mano a mia volta, ricambiandogli il saluto fin quando non mi fa segno di tornare dentro e ovviamente non posso fare a meno perché non saprei dove altro andare.
Che figura di merda. Mi odio e vorrei prendermi a sberle da sola per la mia immensa stupidità.

Quando rientro in casa, raggiungo la sala da pranzo e lo vedo seduto al tavolo intento a raccontare qualcosa ad Alec mentre gli dà da mangiare. Non appena mi vede, aggrotta la fronte.
«Hai sbagliato porta. Quella era l'uscita.»

Si sta prendendo gioco di me. Magnifico.
«Non ho sbagliato niente, sono andata fuori per... prendere un po' d'aria» cerco la giustificazione più plausibile.
«Sul marciapiede?»
«Sì...?»
Corruccia la fronte indicandomi con il cucchiaino. «Davvero non stavi scappando?»
Mi porto le braccia al petto. «No» rispondo scocciata.

«Invece stava scappando» dice lui ad Alec che mi guarda e sorride alzando un suo giocattolo, formulando qualcosa di incomprensibile.
«Sì, piccolo... Sono perfettamente d'accordo con te. Cosa?» fa fingendosi confuso e mi lancia un'occhiata. «Tu dici?» alza le teatralmente le sopracciglia.
«Alec pensa che non sai mentire e che quando cerchi di farlo fai ridere.»

«Alec dovrebbe tenersi certe opinioni per se stesso» sbotto con un sorrisetto riferendomi senz'altro a lui e non a suo figlio.
«Uuh... L'hai fatta arrabbiare» sussurra divertito verso il bambino.

Sospiro pesantemente.
«Senti, me lo vuoi chiamare quel cazzo di Uber così posso andarmene a casa mia?» sputo agitata.

Sto iniziando sul serio a perdere la pazienza perché il disagio mi sta divorando fin dentro le viscere e non mi piace. Non devo essere qui e soprattutto non dovrei nemmeno aver visto così da vicino suo figlio. Voglio le distanze tra la sua vita e la mia. Voglio una fottuta Muraglia Cinese che ci divida in questo istante.
Ho anche l'ansia che da un momento all'altro possa magicamente materializzarsi sua madre e non saprei come affrontare una situazione di quel genere. Cosa dire, come comportarmi... No, non ci voglio pensare e non accadrà perché io lo eviterò.

Logan in tutta risposta lascia perdere suo figlio, smette di comportarsi come un cretino e si alza in piedi. Raggiunge l'altro lato del tavolo dove noto solo ora il suo cellulare, si ferma davanti a me e pigia rapidamente sullo schermo per poi me lo porge.
«Inserisci l'indirizzo» dice e io mi affretto a scrivere quello di Ethan che non vedo l'ora di vedere, con cui lamentarmi e poltrire nel suo letto fino a domani mattino. È così che passerò la mia domenica: a non fare un emerito cazzo.
Gli ridò il cellulare e lui clicca un'altra cosa.

«Fatto» dice e lo ripone sul tavolo.

Torna a sedersi riprendendo a imboccare Alec. Nella stanza c'è solo il bambino che fa dei versetti, Logan e io invece in silenzio.
Finisce quel che stava facendo, va al lavabo della cucina, lava la ciotola e il cucchiaio mentre gli fisso le spalle, poi le braccia e successivamente gli occhi finiscono nei suoi quando si gira e mi becca a guardarlo.
Sposto frettolosamente gli occhi altrove e porto le braccia conserte dando un'occhiata alla finestra, aspettando di vedere la macchina con cui me ne andrò via da questo posto.

E d'improvviso mi sento in colpa, una stronza ingrata. Insomma, lui si è preso cura di me e io lo ripago comportandomi di merda ma non posso fare altrimenti. Se fossi gentile lui potrebbe pensare a chissà cosa. Non voglio che capiti nemmeno questo.

Vedo Logan uscire dalla sala da pranzo e se questo dovrebbe farmi sentire sollevata, mi mette solo in uno stato di terrore inspiegabile. I miei occhi si poggiano su Alec che mangia dei strani biscotti minuscoli e l'ansia che ci si possa strozzare è tanta che mi affaccio all'arco e do un'occhiata nel soggiorno alla ricerca di suo padre che non so dove cavolo sia finito.

Che diavolo faccio ora?

Mi avvicino lentamente al seggiolone controllando nel mentre che Logan appaia ma non succede e non appena sono davanti ad Alec lo fisso come una maniaca aspettando qualche segnale di quando uno di quei biscottini di merda non gli andrà di traverso così potrò lanciarmi in suo soccorso. Non voglio trovarmi nella stessa casa di un bimbo morto stecchito perché il padre deficiente l'ha lasciato non monitorato e in presenza di una tipa che di bambini piccoli non ci capisce una mazza perché figlia unica.

«Oh mio Dio...» mormoro tra me e me disperata come poche volte. Di solito sono molto drammatica ma adesso ho delle buone motivazioni. Un bimbo di quasi due anni mi guarda con i suoi occhi grandi da cerbiatto che con le sue dita piccole... molto piccole, sono davvero piccole - prende i biscottini e li porta in bocca facendo versetti che pare quello di un aeroplano che si schianta al suolo. Tipo quello che piloterò io per scappare in una qualche isola fuori dalla giurisprudenza dell'FBI per scappare dalla polizia che mi avrà incolpata di non aver aiutato un bambino dal soffocamento.

O forse no. Non ne ho idea, ma sembra un incidente aereo quello che lui farfuglia.
Frettolosa do un'occhiata occhiata in soggiorno, di Logan nemmeno l'ombra, e con le mani raccolgo i biscottini e gli tolgo via.
Alec mi guarda, io guardo lui e poi scoppia a piangere.
Oh... cavolo. E ora che faccio?

«Shh!» porto il dito alla bocca. Lui invece grida di più. «Senti, non voglio che tu muoia, ti sto salvando la vita e tu sei... viziato. Lo capisci che ti potresti strozzare?» cerco di spiegargli nel modo più calmo e rispettoso possibile. È un bambino, devo usare un tono calmo, no?

Se lo faccio lui smette. Alec però continua a piangere, gli occhi rossi mi fissano e io poggio rapidamente i biscottini sul tavolo e mi avvicino a lui. O meglio, avvicino le mani, indugio un paio di istanti non sapendo come cavolo si afferra un bimbo in braccio e poi credo di farcela.
«Tuo padre è uno zombie di The Walking Dead che cammina perché è morto, okay? È morto. Morto, mortissimo» dico a bassa voce e lo cullo sperando che smetta di piangere.
«Ma che cavolo di genitore lascia un bambino così? Quei biscottini sono troppo... Cioè sono piccoli, ma se ti va di traverso? Io non so fare la manovra di heimlich su un bambino della tua età. Come si fa? Devo mettermi sul pavimento? E se ti spezzo una costola? Io in prigione non ci vado per colpa tua, hai capito?»

Scuoto la testa con fare ovvio.
Lui si porta le manine al viso e fai dei strani versi come di un pterodattilo o qualcosa del genere. I bambini piangono così di solito?

«Quei biscottini non li mangerai in mia presenza, shh ora, chiudi la bocca. Ti lamenti per quelli? Oh, ma andiamo...» sbatto teatralmente le ciglia. «Io alla tua età andavo a cavallo e una volta sono caduta nella vasca dell'abbeveratoio delle pecore. Sono tornata in superficie da sola. Sapevo nuotare, tu sai farlo? No, ovviamente, sai frignare per due biscottini che tra l'altro hanno anche uno strano odore. E ti mangi quella roba? Perché non mangi uno yogurt? Eh? Fa bene, certo, se non sei intollerante al lattosio. Sei intollerante al lattosio?» gli chiedo di getto pensierosa.

Alec smette di colpo di piangere quando nota qualcosa. Mi afferra una ciocca di capelli. Con le lacrime ancora sulle guance, gli occhi gonfi e rossi dal pianto, la guarda e poi sorride tutto d'un lasciato lasciandomi sbigottita.

«Tu sei un... piccolo criminale! Dovresti vergognarti. Ma chi sei? Un attore pagato? Hai finto di piangere? Certo che hai finto di piangere... l'hai imparato da tuo padre? Anche lui ha finto un mucchio di cose» mormoro. Lui muove la ciocca in aria, mi schiaffeggia la faccia beccandosi un'occhiataccia e nonostante tutto ride divertito. Un piccolo stronzetto, ecco cos'è.

«Alla tua età io non piangevo per dei biscottini orribili. E tu saresti un maschio? Con tutto il rispetto, ma avevo più palle io di te a due anni. Sapevo mollare cazzotti in faccia, lo sai? Una volta ho sferrato un pugno in un occhio a mio zio e lui stava per perdere la vista periferica... ma non l'ha persa... credo. Sai che non lo so? L'ho visto sbattere contro i mobili e mia zia non lo fa mai guidare. Credi che sia mia la colpa? Cioè ma io dico: perché dici a una bambina che sei l'Uomo Nero? Io avevo paura dell'Uomo Nero e quindi per logica l'ho colpito. Ero una bambina che puntava molto sul razionale... capisci? Mamma mi leggeva le fiabe dei fratelli Grimm, ma non quelle robe per i piagnucoloni come te della Disney, no. A me leggeva quelle dove Rapunzel cadeva nei rovi, rimaneva cieca e vagava per-» mi fermo d'improvviso quando poggio lo sguardo sull'uscio della stanza e scopro Logan. Braccia conserte, la spalla contro lo stipite e lo sguardo su me e Alec. Da quando stava lì?

«Piangeva» dico frettolosamente e mi avvicino a lui. «E... e non sapevo che fare e poi c'erano i suoi biscotti e...»

Logan afferra Alec in braccio e dà un'occhiata al tavolo.
«Gli hai rubato i biscotti?» chiede stranito. Spalanco gli occhi.
«C-cosa? No!» mi affretto a dire e spiegare il malinteso. «Forse glieli ho solo... presi. Ma li ho messi là. E se si fosse strozzato? Non puoi lasciare un bambino così... e, e... e se si fosse strozzato? E poi: ma come ti passa per la testa lasciarmi da sola qui? Dove diavolo eri sparito? Non sapevo che fare, piangeva e-»

«Piangeva perché gli hai tolto i suoi biscotti preferiti» mi interrompe troppo calmo e la cosa mi infastidisce.
«Beh, ha dei gusti di merda» replico contrariata e indietreggio.
Logan rimane in silenzio per alcuni istanti, poi si avvicina al tavolo, prende un biscottino tra indice e pollice e lo schiaccia.
«Sono di mais e si sciolgono in bocca, non può strozzarsi» spiega.

Ah. Forse avrei dovuto controllare...
«E sono alla frutta» aggiunge poggiando Alec nel seggiolone. Riprende i biscotti e glieli mette davanti.
«Che gli stavi dicendo?» domanda poi mandando un'occhiata al bambino.

Alzo le spalle. «Niente... delle cose.»
«Tu che alla sua età prendevi a cazzotti tuo zio in faccia?» trattiene a stento un sorriso.
«No...?» faccio una smorfia e mi sistemo i capelli dietro l'orecchio.

Il clacson di un'auto mi fa sentire di colpo sollevata. Il mio Uber.

Era ora!

Mi schiarisco di colpo la voce e indico fuori, oltre la finestra che ho di lato.
«Io... io ora vado a casa» dico e rapida come una scheggia gli passo di fianco. Credo di essere in uno stato di imbarazzo cataclismico. Sento le guance formicolare mentre la temperatura corporea è a tremila gradi centigradi. Voglio solo sparire via perché ho fatto la figura della idiota davanti un bambino di due anni e anche Logan Price che detta francamente è irrealistico che adesso lui sia più maturo di me. Insomma se ripercorro alcuni passi indietro nel tempo era un tipo che non la piantava di fare stupidaggini, con me insieme ovvio, ma ero io quella più responsabile, almeno credo. O forse no...

Fanculo, io me ne vado.
La sua mano che mi afferra il braccio mi ferma di getto. Rabbrividisco fin dentro le ossa.
Mi volto verso di lui che mi indica il divano.
«Ti ho messo lì il dolcevita e le altre cose. Forse dovresti indossarlo prima di uscire» dice con un strano tono di voce. Mi ricordo i lividi che ho al collo e mi limito ad annuire, quindi mi allontano. Infilo frettolosamente la maglia così da nascondere i segni di quello che ha fatto Kieran e abbandono la felpa col cappuccio che indossavo prima sulla poltrona.

«I pantaloni te li posso dare-»
«Sono di Liz, non le mancheranno» mi ferma e si poggia allo stipite dell'arco della sala da pranzo, le mani nelle tasche e gli occhi su di me.

«Questo...» indico noi due e la casa. «Non è mai successo» dico così da essere chiara. Non aspetto una sua risposta. Prendo i miei vestiti e giro i tacchi nel minor tempo possibile.


***

Angolo autrice

Parliamone AHAHAHA sto morendo. Ronnie che parla ad Alec mi fa morire dalle risate. Poi vabbe, il resto è poesia.

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