3 | Fidati di me

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CAPITOLO 3
Fidati di me

Solita routine.
Mi sveglio alle otto e mezza, esco dalla stanza da letto ancora mezza assonnata, raggiungo il bagno, mi cambio, vado verso il tavolo da pranzo e trovo un casseruola termica, un post-it giallo attaccato su di esso e un bicchiere vuoto, testa in giù posato su un tovagliolo.
Stacco il post-it e gli do un'occhiata.
"Frullato fragole, banana, latte di cocco in frigo, secondo scaffale. Bevilo."

Istintivamente mi spunta un tenue sorriso.
Prendo il frullato, lo verso nel bicchiere e mi siedo al tavolo togliendo il coperchio dalla casseruola scoprendo così due fluffy pancakes, sopra di essi del miele e una quenelle di Nutella.
Faccio colazione, metto tutto nel lavastoviglie e poi esco dall'appartamento. Prendo la Kawasaki, mi dirigo al Pink Ocean dove accosto e spingo la porta, trovando un Ethan vestito col solito completo nero, il gilet e in alto sulla scala.

«Che combini?» rido lievemente beccandolo ad appendere delle decorazioni natalizie. China la testa in mia direzione.
«Quest'anno voglio lucine ovunque, non il solito e triste alberello che cade a pezzi posto di fianco all'entrata» schiocca la lingua contro il palato e mi fa segno di avvicinarmi tutto emozionato. Rido non potendo farne a meno e lascio la borsa sul tavolo accanto.
«Denise è d'accordo?» chiedo come di conseguenza. Lui mi molla un'occhiata.
«Denise ha smesso di avere voce in capitolo» sorride in uno strano modo. Aggrotto la fronte.
«Che hai fatto? L'hai rapita e chiusa nel tuo scantinato perché ti ha detto di no? È sequestro di persona» scherzo afferrando una ghirlanda verde con cui prendo a giocare.
«Streghetta» mi richiama. Sollevo lo sguardo. «Stai ammirando Sua Altezza Imperale Nuovo Manager del Pink Ocean» si indica con una mano in completa superbia e i miei neuroni si inceppano di colpo.

Corruccio le sopracciglia. «Aspetta, cosa?»
Un sorriso confuso mi dipinge le labbra.
Ethan annuisce.
«Ho la avuto la promozione.»

Sbarro gli occhi.
«Oh. Mio. Dio» scandisco ogni singola parola. Lui scuote la testa con soddisfazione. «Oh. Mio. Dio» ripeto credendoci a stento.
«Aspetta! È ora! Ethan è il momento! È quel momento! Il momento! È il cazzo di momento!» tiro fuori il cellulare e apro Spotify.
«Quel momento?» mi fa lui. Sollevo frettolosamente lo sguardo e annuisco con un sorriso spiaccicato in faccia.
«Il momento
Dico seria fissandolo diritto negli occhi. Lui scende subito dalla scala, si piazza davanti a me e mi guarda.
«È il momento» ripete scioccato. Scuoto la testa con un sorrisetto.
«Il momento» ripeto.
Collego il bluetooth alle casse del locale, premo play sulla canzone, poggio il telefono accanto la borsa e Circus di Britney Spears parte a tutto volume.

Ethan si mette a ridere, io alzo la ghirlanda poggiandogliela dietro al collo, lo avvicino con fare seducente a me ridendo come una matta e inizio a muovere la testa a ritmo. Lui mi imita e sotto le note della nostra prima canzone, quella che ci ha fatto conoscere sul serio, iniziamo a ballare al centro sala del locale, l'orario di apertura fra poco, le decorazioni natalizie buttate sul tavolo e alcune per terra e Ethan e io che cantiamo a squarciagola i versi facendo movenze da spogliarello sexy in perfetto stile Las Vegas. Lui punta un dito in mia direzione, io nella sua e poi ci avviciniamo afferrandoci le mani, facendo piroette a vicenda rischiando di inciampare e rotolare per terra.

Le mani nelle sue, scivolo lungo le sue gambe e lui fino a toccare con le ginocchia il pavimento e lui inizia a fare le movenze di Bully Meguire facendomi scoppiare a ridere di faccia contro i suoi pantaloni.
Il mio miglior amico ha finalmente avuto quello che si meritava da tempo. La sua promozione e non una qualsiasi.

Denise ormai non mette piede qui dentro da tempo, da quando la piccola Josephine è nata. Sta prevalentemente a casa ad occuparsi dei registri contabili, ma per il resto è stato Ethan quello ad occuparsi della gestione del locale, il rifornimento della merce, anche quando c'è stata l'alluvione, Ethan è riuscito a risolvere ogni cosa soprattutto col gazebo che era andato abbastanza in rovina. Ha chiamato la ditta che l'ha messo in piedi, ha detto loro che fare, ha pagato il servizio e poi è continuato per la sua strada senza un attimo di tregua, perfino col tirocinio del ragazzino che prima ci aiutava con le pulizie e adesso lavora part-time durante il turno serale.

Ed è il momento. Ovvero la sua tanto aspettata promozione.

Non lo sentiamo nemmeno il campanellino che suona, tanto è alta la musica e la mia faccia spiaccicata sulle sue gambe alle cui sono aggrappata.
Mi lascio andare di spalle sul pavimento ridendo, lui dall'alto continua la sua performance di ballo e fa per afferrarmi ma inciampa e mi cade addosso piantando il gomito nel mio fianco.
Gemo di dolore, gli mollo una sberla e rido mentre lui prova a rimettersi in piedi, ed è allora che volta il viso verso l'entrata.
Lo imito e ciò che vedo mi lascia per un istante di sasso, nonostante il sorriso che ho in viso e che pian piano si attenua fino a scomparire.

«Ma cos'è?» gli chiedo accigliata e confusa allo stesso momento. Lui sembra invece catapultato su un altro pianeta, ipnotizzato.
«Due metri di Grinch.»
Sbatto le ciglia.
Il corriere, invece, ci fissa in attesa probabilmente di firmare qualche modulo di consegna.
«Perché c'è un Grinch al Pink Ocean?» chiedo guardandolo dal pavimento con aria assorta.
Ethan mi sventola una mano davanti al viso per zittirmi e come una gazzella saltella elegantemente fino all'entrata.

Il servizio alla fine inizia, mi muovo tra i tavoli prendendo le ordinazioni. Metto sul vassoio le tre bibite ordinate al tavolo quattro e lo raggiungo mentre do un'occhiata a Maddy scomparsa al bagno.

Chiedo ai tre clienti chi ha ordinato cosa e glielo poggio davanti, mentre una ragazza, capelli biondi tirati in una coda di cavallo, con gli occhi ficcati nel suo cellulare a leggere qualcosa, alza finalmente lo sguardo e non appena mi vede sembra imbambolarsi e mi guarda più del dovuto.
Per un istante mi sembra di rivivere il primo incontro con Nicholas e il mio cuore sussulta in automatico.
È al lavoro in questo momento e per questa settimana ha il turno di mattino quindi mi tocca aspettare fino ad orario di pranzo di vederlo quando passerà per la solita bottiglietta d'acqua e poi tornerà a lavorare fino alle tre di pomeriggio.

Non potrò vederlo fino a stasera, quando gli invaderò casa, lo raggiungerò in cucina a guardarlo preparare la cena e dargli fastidio rubandogli gli ingredienti.

«Porto qualcos'altro?» chiedo d'un tratto piantando le pupille in quelle marroni della ragazza e lei pare a tratti sbiancare.
Che strana reazione... Magari è solo un po' timida e vorrebbe ordinare qualcosa. Lei però rimane zitta e scuote la testa, quindi annuisco e col vassoio contro il grembiule me ne vado.

«È lei!» sento alle mie spalle.
Aggrotto la fronte e mi giro per un istante, lanciando un'occhiata al tavolo appena servito e becco la stessa ragazza fissarmi incredula indicando ripetutamente lo schermo del suo cellulare, i suoi amici invece mi squadrano dalla testa ai piedi e quando notano che li sto fissando spostano immediatamente lo sguardo altrove facendo finta di niente.

Mhm... d'accordo.

Decido di lasciar perdere, forse avrò la faccia simile a una loro amica, non ne ho idea ma ritorno al bancone da Ethan che non appena mi vede dà un'occhiata alle mie spalle con aria sognante.

«Il Grinch è meraviglioso» commenta. Seguo il suo sguardo, faccio una smorfia e torno da lui.
«Mi dici perché non c'è Babbo Natale?»
Lui sbatte le ciglia con fare teatrale.
«Un uomo vestito di rosso che si cala di notte da un caminetto per regalare cose ai bambini? Sembra zio Donald dopo due birre, solo che lui le cose le rubava» risponde e scrolla le spalle come a scacciare un brivido di inquietudine.
Riduco gli occhi in due fessure pensierosa.

«Tuo zio si travestiva da Babbo Natale?» chiedo confusa.
Ethan fa un gesto di mano con noncuranza. «No... entrava nelle case delle persone a rubare le TV a schermo piatto» dice con una naturalezza così disarmante, come se niente fosse, tanto che lo fisso in silenzio come un pesce lesso.

«Che?» mi sblocco d'improvviso.
Lui annuisce tranquillo.
«Aspetta... e dove... cioè come, come se le portava via?» chiedo tra la curiosità e lo sbigottimento.
«Sulla Vespa...?»
Lo guardo per attimi che non saprei ben definire mentre con le sopracciglia corrucciate provo a immaginare la scena ma in ogni scenario che mi si presenta la TV cade oppure la Vespa si capovolge e la TV cade con essa.
«Perché quei ragazzini ti stanno fissando? Che fai? Ora che Nicholas ti ha battezzata ti ha trasmesso anche il suo sex appeal e adesso attiri tutti a te come fossero mosche?» ride come un imbecille.

La sua domanda mi risveglia di colpo.
In automatico mi giro, non prima di guardarlo male e lui ridacchia divertito. Punto lo sguardo sulla sala finché non becco di nuovo il tavolo quattro squadrarmi dalla testa ai piedi. La ragazza bionda, invece, dice qualcosa e in automatico i suoi amici mi danno un'altra occhiata.
Mi stacco dal bancone del bar.
«Aspetta, che vuoi fare?» sento Ethan ma non gli presto attenzione, continuo a camminare finché non raggiungo il tavolo, mi fermo, guardo uno per uno e apro bocca.

«C'è qualche problema?» chiedo provando ad essere quanto più cortese possibile e tiro su un piccolo sorriso.
La bionda sbarra gli occhi nemmeno le avessi appena detto che l'avrei strangolata qui davanti a tutti, mentre i suoi amici fingono di parlare di qualche strano argomento sulle foghe marine.
«N-no... no! Perché?» balbetta sorridendo nervosamente. Aggrotto la fronte e i miei occhi scivolano in basso. Sul tavolo, vicino alla sua mano c'è il telefono e...

Ma che diavolo...?
Rimango con le pupille fisse lì, sull'immagine della mia faccia, il vestito nero che ho indossato alla festa di Kyle e Nicholas davanti a me, mentre balliamo il lento a cui l'avevo trascinato per divertirsi un po'.
Di profilo entrambi, le mie braccia intorno al suo collo, le sue mani sui miei fianchi e io che sembra gli abbia detto qualcosa che l'ha fatto ridere. E guardarlo così felice mi scalda inevitabilmente ogni centimetro di corpo.

«Che cos'è?» indico il suo cellulare. Lei gli molla un'occhiata fuggiasca e non sa come ribattere.
«Posso?» chiedo allungando una mano e la vedo annuire. Prendo il cellulare, lo avvicino al viso e confusa scorro il dito sullo schermo.
Ad ogni attimo che passa rimango sempre più perplessa.

In alto alla foto un titolo:
"L'erede ribelle è finalmente tornato per rivendicare il proprio posto alla O'Brien Atlantic? E chi è la misteriosa donna al suo fianco?"

Sotto la foto leggo frettolosamente uno spezzone di quello che sembra... un articolo di giornale.

"Chi non muore si rivede. Questo è il caso del primogenito della tanto chiacchierata famiglia, nonché impero aziendale, O'Brien. Avvistato a un evento in compagnia di una misteriosa figura femminile, era scomparso dai radar da anni dopo essersi arruolato nell'esercito americano, ma adesso pare proprio di essere tornato... E che ritorno!
Per chi se lo fosse dimenticato, il grande imprenditore Benedict O'Brien in realtà ha due figli ma tutti noi ne conosciamo solo uno, il minore dei due, Kieran. Playboy, giovane e così bello da far scalpore in diverse occasioni per le sue uscite e i problemi che ha affrontato col sistema giudiziario ma adesso è la svolta di Nicholas, ricomparso dopo quella che pare una missione in Afghanistan conclusa non nei miglior dei modi.
Allo stupore generale si aggiunge anche la donna con cui lo si è visto ballare in circostanze piuttosto intime. Che sarà forse la sua fidanzata?
Se su di lui si sa in verità ben poco, su di lei ci sono ancora meno informazioni. Sembra non frequentare affatto la realtà mondana, ma qualcosa la sappiamo: Nicholas avrà subito il fascino della sua bellezza ma ancor meglio del suo vulcanico temperamento."

Aspetta, che?
Con una smorfia in viso leggo le altre righe mentre il sangue mi sale tutto nel cervello e mi sento a disagio, fottutamente e spaventosamente a disagio. La mia cazzo di faccia è su in articolo di gossip e se la mia faccia è su in articolo da gossip... sbarro gli occhi. Oh, merda.

"D'una sensualità glaciale, non pare certamente il tipo di persona da farsi intimidire con facilità. Occhi marroni, lentiggini in viso e una abilità nel prendere in mano la situazione tanto da trascinare un soldato multimilionario in pista da ballo e ordinargli di ballare con lei."

Ma che diavolo...

"Se Kieran ci ha stuzzicato il palato con le sue avventure e le presenze femminili con cui si è fatto vedere in giro per San Francisco, Nicholas può essere finalmente la ventata di freschezza capace di spezzare l'abitudinario circolo vizioso del fratello minore, introducendo così una nuova figura da aggiungere al complesso disegno della Dinastia degli O'Brien: lei. Chi è? Ma cosa più importante: la rivedremo ancora?"

Stordita, ripongo il cellulare alla ragazza e mi guardo come d'istinto in giro forse nel tentativo di metabolizzare quello che è successo. Un brivido mi attraversa di getto l'intera spina dorsale, scava nella mia carne fino a raggiungere ogni terminale nervoso.
Lo sguardo fugge su Ethan che mi fissa con le sopracciglia aggrottate, probabilmente sono pallida in viso, non ne ho idea ma so solo che tutto questo non era tra i miei piani, non quando ho detto a Nicholas di essermi innamorata di lui.

Io non volevo fare parte di questo pacchetto e non immaginavo che quella festa indetta da Tyler mi scaraventasse in un articolo da gossip mettendomi in uno stesso spezzone con Benedict O'Brien, la sua azienda, la stessa da cui Nick ha provato a scappare cambiando perfino cognome, l'azienda che sfratta la gente povera, che fa accordi con strana gente e che etichetta Nick come poliziotto corrotto. L'azienda che perfino Logan aveva nominato quella volta a casa di Teresa quando ho incontrato per la prima volta Kieran, quando gli aveva sparato quei commenti su quello che Benedict combina...

Guardo la ragazza, lei fa lo stesso e mi sento scoperta come beccata da un civile dopo aver visto un identikit al telegiornale. L'articolo non sa chi sono, ma ora questa ragazza e i suoi amici sanno che io lavoro qui.

Sanno che...
Mi porto d'istinto una mano sulla targhetta attaccata al grembiule che ho indosso, dove c'è il mio nome e la compro mentre il battito mi va a mille, riecheggia contro la cassa toracica come di un animale in trappola, di fronte al predatore da cui non può scappare in alcun modo.

Mi allontano.
Indietreggio lentamente e mi allontano.
Lo faccio senza dire niente, nemmeno un solo suono, ed esco fuori dalla porta sul retro, ignorando i miei compiti, ignorando il mio lavoro, perfino Ethan che mi chiama e prova a chiedermi che cosa sta succedendo.

Una volta che l'aria di dicembre mi colpisce in viso, rabbrividisco lievemente nonostante la felpa che indosso. Mi allontano di poco dalla porta, faccio alcuni passi verso i cassonetti dell'immondizia dove ci sono parecchie scatole di cartone vuote e mi piego in avanti.
E vomito.

«Ronnie?»
È la voce di Ethan.
Alzo una mano in sua direzione in segno di fermarsi. Deve stare fermo e zitto. Ho bisogno di questo.
Un altro conato di vomito mi attraversa la gola e me la graffia con violenza, rigurgito tutta la colazione preparata da Nick questo mattino prima di andare a lavoro.
Quando la nausea finalmente smette, cerco di tirarmi indietro non prima di sputare ogni residuo impastato alla saliva. Una bottiglietta d'acqua si protende verso di me insieme a due o tre tovaglioli rosa. Li afferro, mi pulisco e poi sciacquo la bocca e mi pulisco di nuovo.

Le lacrime per lo sforzo mi rigano ancora il viso. Con la manica della felpa me le tolgo via e poi sbatto gli occhi, cercando di riprendermi. Ethan, al mio fianco, mi fissa preoccupato.
Gli rivolgo un'occhiata e in silenzio vado ad accasciarmi sul gradino in cemento che porta su alla porta sul retro del Pink Ocean.

«Ronnie, che sta succedendo?» lo sento chiedere. Alzo il viso.
Ethan, in piedi, gli occhi pece nei miei attende una risposta.
«Non lo so» biascico frastornata. Ed è vero. Io non so cosa sta succedendo, non so cosa succederà dopo, non ne ho la più pallida idea e non saperlo mi terrorizza.

Avevo conosciuto Nicholas quando non era altro che un semplice soldato che mi stava sulle scatole, solo dopo che mi ha tolto la verginità ho scoperto chi fosse veramente ma non pensavo che mi avrebbe portato a questo: la mia faccia sull'articolo di un gossip digitale che può giungere ovunque.

Io ho la mia vita tranquilla. Ho il mio lavoro, le serate a guardare serie TV su Netflix, ho Ethan con cui vado in barca a vela e con cui mangio la pizza nella sua jacuzzi. Io ho una vita tranquilla, anonima, così semplice da essere quella di una qualsiasi persona comune.

Ma ora c'è una mia foto insieme al primogenito di Benedict O'Brien in giro per Internet e quella foto è finita nel mio posto di lavoro dove tre ragazzi mi hanno riconosciuta. Sanno come mi chiamo. Sanno che lavoro qui. Loro sanno chi sono.

«Il cellulare» dico d'un tratto. Ethan aggrotta la fronte. «Portami il cellulare. Mi serve il cellulare» farnetico cercando di ispirare e non crollare in un attacco di panico che non mi succedeva da tanto, tantissimo tempo.
Lui non se lo ripetere due volte, scompare, lo va a prendere dalla mia borsa e me lo porta.

Sblocco lo schermo e la prima cosa che faccio è digitare le parole dell'articolo, clicco cerca e do un'occhiata veloce ai diversi risultati. E mi manca il fiato. Ce ne sono troppi, su diversi siti.
Ethan, seduto accanto a me, rivolge un'occhiata stranito allo schermo, i secondi passano e lui non dice niente.

Alla fine spengo lo schermo e rimango con il cellulare tra le mani, lo sguardo perso su una scatola della Lays in fondo ai piedi del bidone della spazzatura.

«Aspetta un secondo... Nicholas è un O'Brien?» chiede dopo svariati istanti. «È... lui è un O'Brien? Della O'Brien Atlantic? Quella O'Brien Atlantic? Ma non era un soldato? E perché fa Reed di cognome?»
Già, Ethan non lo sa. Non pensavo fosse necessario che lo sapesse, questo aspetto di Nick non mi aveva mai interessato.

«E quando ti saresti decisa a dirmelo?» chiede quasi offeso. Mi volto e lo guardo in perfetto mutismo.
Lui si rende conto che non è il momento né il contesto e fortunatamente prende la sana decisione di stare in silenzio.

«Conosci i pettegolezzi sui ricchi di San Francisco?» ironizzo bevendo un sorso d'acqua. Lui si tira in piedi.
«Ora si spiega perché ha quella faccia così famigliare...» mormora invece.
«Torno dentro, tu resta qui un altro po'. Dico a Maddy che stai male.»
E se ne va. Resto da sola, sul retro del Pink Ocean, nell'aria di dicembre della California a fissare la scatola vuota della Lays, il cellulare in mano e la bottiglietta vicino alle scarpe.

Io avevo la mia vita tranquilla.

***

«Che diavolo significa?» chiedo senza troppi giri di parole sbattendo il cellulare sul banco da cucina accanto a qualunque stronzata stia preparando.
Sono uscita dal Pink Ocean dieci minuti fa e la prima cosa che ho fatto è montare in sella della moto, guidare fin sotto al suo appartamento e aprire la porta trovandolo nella solita camicia bianca dietro ai fornelli a cucinare come se niente fosse.

Nicholas rimane stranito dal mio atteggiamento, ferma la mano sul tagliere, molla il coltello affianco e mi dà un'occhiata prima di controllare lo schermo.
«Dimmi che cosa significa» ordino con i nervi a fior di pelle. Sto tremando per la rabbia e l'agitazione.
Per tutta la giornata non sono riuscita a pensare ad altro e ogni volta che mi muovevo tra i tavoli per prendere le comande e portare le ordinazioni mi sentivo terribilmente osservata, con l'ansia a divorarmi fin dentro le viscere.

«Oh...» fa lui sorpreso, ma per niente impressionato.
«"Oh..."?» ripeto incredula.
Lui alza le iridi azzurre nelle mie e vorrei tanto che mi parlasse, come fa di solito. A volte credo che spari un mare di puttanate delle quali potrei farne a meno ma adesso pretendo una spiegazione.

«Devi solo ignorarlo» dice lasciandomi di sasso.
«Come?» sbatto le ciglia.
Lui annuisce e riprende a fare quello che stava facendo prima che irrompessi nel suo appartamento a tremila chilometri orari quasi rischiando di rompere la barriera del suono. Resto a dir poco sbigottita.

«Nicholas» lo richiamo con voce ferma rimandando indietro l'impulso di strappargli quel maledetto coltello e lanciarlo fuori dalla finestra.
«Uhm?» mugugna con gli occhi bassi sulle sue verdure. Il sangue prende a ribollirmi di getto nelle vene tanto da mandare in fiamme il mio viso.
«Nicholas» lo richiamo ancora una volta sperando che faccia la saggia scelta di guardarmi perché il battito cardiaco è a mille e io sto per andare in autocombustione a momenti.

«Ti ho sentito. Dimmi» mi fa con una voce talmente calma da farmi ridere istintivamente e la mia non è per niente una di quelle risate sane, ma una di quelle isteriche che anticipano una strage.
Lui, probabilmente confuso, alza lo sguardo.

«Mi stai prendendo in giro?» gli chiedo nel modo più pacato possibile.
«Perché dovrei?» aggrotta la fronte.
Lui... Ma come fa a non capirlo?!

«Nicholas» lo richiamo per l'ennesima volta, allungo una mano e gli sfilo via il coltello che pianto di getto nel tagliere. «Mi vuoi dire che diavolo significa quella roba?»
«È un articolo.»
«Sì, questo l'ho capito. Sai, ho anche io i neuroni» replico alzando le sopracciglia.

Lui dinanzi al mio atteggiamento si ferma un attimo a guardarmi quasi con aria assorta, poi si sblocca, va verso il lavabo ignorandomi alla stragrande e si lava le mani. In tutto ciò lo fisso inebetita. Il sapone disinfettante, il getto d'acqua, lui che si sfrega le mani per bene, le risciacqua e poi le asciuga.

Infine torna da me, poggia gli occhi nei miei, mi alza il mento e mi bacia.
Ogni centimetro del mio corpo rimane di sasso e il cervello mi si spegne del tutto, va in completo black-out. Si stacca e mi guarda di nuovo. L'ansia e l'agitazione si sono dissolte come per magia.
Tira lievemente in su gli angoli della bocca portando alcun ciocche del miei capelli sciolti dietro l'orecchio.

«Buonasera anche a te, Veronica» mi saluta tutto d'un tratto lasciandomi spaesata. «Ora...» mi fa incollandomi al suo petto e il suo profumo si infila con prepotenza nel mio naso. «... dovresti salutarmi, poi io ti dirò di non preoccuparti perché nessuno ha mai fatto caso alla mia esistenza come figlio di mio padre, me ne sono andato via da anni e se si sono dimenticati di me, la stessa cosa faranno anche con te. E ti dirò anche che se qualcuno dovesse mai venire a infastidirti, me ne occuperò personalmente» spiega con un tono talmente pacato fa farmi restare ammutolita e conclude il tutto con un tenue sorriso.

Avvolgo le braccia intorno al suo torso e mi lascio sprofondare di viso nella sua camicia chiudendo gli occhi senza spicciare più alcuna parola.
Nicholas ricambia e mi stringe forte a sé tanto che a tratti mi sento fondere al suo corpo.
«Buonasera» sussurro dopo un paio di secondi immersi nel silenzio.
«Ehi» mi richiama, quindi mi allontano di poco quanto basta per guardarlo e restare incatenata ai suoi occhi tanto mi scavano dentro, silenziosi e senza fare alcun rumore.
«Non lascerò che mio padre, il suo nome, la sua azienda o un banale articolo da quattro soldi ti sfiorino.»

«E come? Facendo finta che tutto quello che hai detto non esista?» chiedo preoccupata. «Oggi dei ragazzi al Pink Ocean mi hanno riconosciuta e... io nemmeno sapevo di questa cosa, l'ho scoperto guardando il cellulare di una cliente e-» provo a spiegare col cuore che mi batte di nuovo troppo forte.

«Si dimenticheranno facilmente di te, di me, di tutto. Fidati di me» conclude alla fine e io resto a guardarlo.
Mi fido di Nicholas?
Sì. Lui non mi ha mai dato un solo motivo per non farlo.
Certo che mi fido.
Il mio silenzio sembra gli sia sufficiente come risposta.

«Vieni qui» dice afferrandomi per i fianchi e facendomi sedere sul banco da cucina.
«Ora sei calma?» chiede con un piccolo sorriso accarezzandomi il viso.
Annuisco.
«Bene» dice e si allontana. Prende una pezza da cucina, la bagna e mi afferra la mano destra pulendola.
«Hai toccato il coltello con cui stavo tagliando il peperoncino piccante» mi svela notando la mia confusione.
Abbandono di conseguenza la fronte sul suo petto. Lui mi alza invece il viso, poggia una mano sullo spigolo del banco da cucina e china la schiena finché le sue labbra non sfiorano le mie.

«Nicholas» scimmiotta divertito prendendomi chiaramente in giro per il modo in cui l'ho richiamato a me più volte incazzata a morte.
«Sparisci» replico fintamente offesa, in realtà sorrido eccome. Maledizione.

«Il mio nome nella tua bocca sta molto bene» ammicca e spinge le due labbra contro le mie così forte che quasi non cado di spalle sulla superficie in marmo, anzi succede eccome e lui mi afferra in automatico per i fianchi, infilandosi tra le mie gambe.
«Così come sta molto bene anche altro» aggiunge e la sua lingua percorre la mia, la sfiora, la accarezza mentre le mie braccia gli cingono il collo tenendolo stretto a me.
Intreccio le gambe dietro la sua schiena impedendogli di andarsene via e lo attiro di più divorandogli quella sua stupida bocca che non fa altro che dire troppe cose.
Lo sento ridere lievemente.

«Che cosa vuoi fare?» chiede divertito quando una mano scivola in basso, si infila tra di noi e nella fibbia dei pantaloni.
«Assolutamente niente.»
«Mi piace il tuo niente. Continua» ordina e torna a baciarmi con una foga che mi mozza il fiato. Mi fa saltare il bottone dei jeans, e io dei suoi pantaloni, me li sfila quanto basta e io faccio lo stesso e poi mi ritrovo a gemere nella sua bocca quando si infila dentro di me lentamente, facendomi sentire ogni singolo millimetro e lo spinge fino a fondo.

***

Angolo autrice

Bene, ora le cose iniziano a farsi interessanti 👀

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