32 | Scatenerai un inferno

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CAPITOLO 32
Scatenerai un inferno

Mi sveglio che è mezzogiorno.
Un'altra giornata di università saltata ma poco mi sfiora. Trascino la coperta di più sul viso per scacciare i raggi del sole che filtrano dalle tende. Mugugno qualcosa e mi giro di lato dando le spalle alla finestra. Il mio naso, attraverso la coperta, sfiora qualcosa. Corruccio la fronte e con ancora gli occhi chiusi spingo di più il viso verso qualunque cosa sia pur di fare sparire la luce che attraversa nonostante tutto le mie palpebre.

Un fruscio. Qualcosa di profumato mi pizzica le narici. Ispiro una, due volte e alla fine decido di abbassare lievemente la coperta e dare un'occhiata.
Con gli occhi stropicciati dal sonno, le ciglia incollate, faccio una smorfia osservando il... mazzo di rose rosse.

Sbatto più volte le palpebre confusa, provando a capire se è vero o se si tratta di uno dei miei tanti sogni lucidi che mi faccio nell'ultimo periodo. Mi tiro sul gomito, allungo una mano e la poggio sui petali, questi si piegano sotto la pressione del palmo.
Mhm...
Lo faccio un'altra volta.
Mhm... Sì, sono reali.

Mi passo la lingua sulle labbra secche. Ho sete. Tantissima sete. Ma resto ferma, intontita, a guardare le rose cercando di metabolizzare la loro immagine e capire come ci siano finite qui. Non ricordo di averle portate... o sì?
Ma perché? Perché l'avrei fatto?
Forse perché sono così triste che sarei capace di regalarmi da sola un mazzo di rose. Sì, è fattibile.

Mi tiro in sedere. Stiracchio il collo e mi stropiccio il viso con la mano, per poi sollevare il mazzo e dargli un'altra lunga occhiata. Non ho idea di quante ce ne siano ma probabilmente più di venti rose, questo è certo. Forse dovrei contarle...

No, no, ho il cervello ancora in fase REM che ha bisogno di altri due minuti per svegliarsi del tutto.
Col mazzo di rose che spicca sulle lenzuola bianche, mi volto verso la porta da dove si intravede una porzione della cucina.
Torno con gli occhi in basso e solo dopo mi rendo conto di un biglietto ficcato tra i petali. Lo afferro tra le dita dandogli uno sguardo.

"Mi dispiace averti spaventata l'ultima volta."

Istintivamente mi ricordo la mia chiamata al 911.
Abbasso gli occhi sulla seconda frase.

"Quello che hai fatto là dentro è stato sconsiderato. Non farlo mai più.»

Il mio stalker è tornato. Si è infilato qui dentro mentre dormivo e mi ha lasciato un mazzo di fiori con un biglietto di scuse per essersi fatto una doccia e avermi preparato una omelette.
Beh... quanto meno so che non è stato lui ad aver colpito e ucciso Nicholas a mia insaputa. No, già... Nick è in Australia mentre io qui ho un tizio che non so come riesce a entrare nell'appartamento nonostante io abbia chiuso a chiave e questo posto di chiavi ne ha solo una, Nicholas mi ha lasciato l'unica che aveva.

A quanto pare non solo mi ha fatto le scuse per essere un maniaco, ma mi ha anche commentato il mio piccolo contributo alla comunità che ho svolto in quel negozio. Un piccolo sorriso gelido si forma sulle mie labbra.

"Non farlo mai più."
Rileggo la frase un altro paio di volte.
Mi ha anche dato degli ordini, lo stronzo.

Stanca e assonnata, guardo il mazzo di fiori che ho ricevuto tutti interi questa volta e non in una strana e inquietante scatola. Il mio stalker si sta evolvendo evidentemente. Sono così spossata che nemmeno mi ci preoccupo o provo terrore. Solo rabbia. Mi ha dato degli ordini. Chi cazzo si crede di essere?

Sospiro incazzata e scivolo via dal letto col mazzo di fiori in braccio che mollo sul tavolo da pranzo. Vado verso la cucina, mi preparo un caffè al volo cercando di ricordarmi come funziona questo aggeggio che ha Nicholas in casa e quando funziona resto in attesa, appoggiata di spalle al banco.

Mentre attendo, trafugo un secondo tra i vari cassetti dei mobili alla ricerca di una penna. Tiro fuori un vecchio scontrino dalla tasca dei pantaloni e poggio la biro sul foglio.

"A me non dispiacerà quando ti ficcherò un coltello nel petto."

Scrivo e lo poggio accanto al mazzo di rose sul tavolo. Tornerà, so che lo farà.

Verso il caffè nella tazza, aggiungo due zollette di zucchero, e me lo porto alla bocca provando a svegliarmi un po'.

***

Benedict non si è fatto più sentire. Sono passate all'incirca due settimane dal nostro primo e ultimo incontro. Immagino non abbia ancora trovato suo figlio. Probabilmente Nicholas si è rifugiato in un qualche bunker anti atomico nel deserto di Gibson e che abbia buttato via la chiave, sempre che i bunker abbiano le chiavi... no, no credo, quelle sono le testate nucleari. Adesso che ci penso non mi dispiacerebbe affatto averne una, potrei sempre usarla per far esplodere la residenza degli O'Brien con Benedict al suo interno, e se lui crepa si porterà nella tomba anche il mio segreto.

Non credo comunque di averne il coraggio. In quella villa ultra lusso ci sono anche le persone che stanno lì solo perché hanno bisogno di lavoro, come la guardia di sicurezza al cancello principale e il giardiniere che ho visto potare le piante con una dedizione davvero invidiabile.
Alla fine ho scoperto dove Kieran O'Brien vive, non è stato molto difficile.

Ho controllato frettolosamente i documenti d'affitto che Nick ha in una cartellina nel comodino e ho trovato delle copie della sua carta di identità, una più vecchia con la residenza a Richmond e un'altra nuova, l'indirizzo di residenza stranamente non è il suo appartamento ma una villa abbastanza fuori città situata su di una collina tutta verde, quasi sembra spuntata da una cartolina di Beverly Hills.

Non me ne capacito del perché ma ora capisco anche come mai la lettera sia finita tra le mani di Benedict. Probabilmente quando l'ha spedita, Nick credeva che l'avrebbe trovata Kieran e che suo fratello me l'avrebbe data.
Purtroppo c'è una piccola cosa che Nick non aveva ben preso in considerazione: Kieran mi odia.

Sono seduta a un tavolo al Black Pearl. Una sorta di ristorante super lussuoso che ho scoperto sia particolarmente interessante per Kieran, lo stesso che cerco di contattare da giorni ma con zero risultati. Mi sta evitando, non risponde ai miei messaggi su Instagram eppure il suo stato è più che online, considerate anche le stories che pubblica con cose davvero stupide, un esempio è uno sprazzo di cielo.

Kieran che fa le foto al cielo, questa sì che è bella, dal momento che tra i followers ha prevalentemente donne con filler e tette di fuori. Eppure lui fa foto al cielo. Bizzarro, non saprei come altro descriverlo, lo stesso aggettivo che mi è balenato per la testa quando ho incontrato suo padre e la sua strana fissa per le piante.

C'è qualcuno nella famiglia di Nicholas intatto cerebralmente? Perfino quell'idiota del mio fidanzato che ora starà cucinando bistecche di canguri in un ristorante in Australia non è tanto normale adesso che ci penso. E io mi ci sono innamorata nonostante tutto.

Ora mi tocca però affrontare la sua famiglia, e soprattutto senza lui al mio fianco come aveva detto.
"Non lascerò che mio padre o l'azienda ti sfiorino".
Suo fratello mi ha strozzata, suo padre minacciata. Mi domando cosa potrebbe farmi sua madre. Ah, già... niente. Quella donna è volata in Australia e si è rifatta una vita. Scelta saggia la sua. È scampata alla pazzia dell'ex marito appena in tempo.

Uno dei camerieri, una ragazza afroamericana con il viso dolce, lineamenti evidentemente un po' stanchi e mento appuntito, si avvicina e mi serve il thè che ho ordinato. Mi lancia poi una lunga occhiata indagatrice, probabilmente domandandosi il perché del mio ordine. Un thè. Sì, è abbastanza stupido considerato il posto in cui sono finita.

Pareti nere, rifiniture dorate, ampie vetrate e un arredamento che se rivenduto sfamerebbe un terzo della popolazione del Terzo Mondo.
Sulla sua giacca, elegante come lo è questo posto, leggo Ruth. Un nome che ho già sentito da qualche parte, ma magari mi sbaglio, forse sarà stato in una qualche serie televisiva.
Magari non è il mio thè a impressionarla, bensì il mio aspetto. Forse i capelli corti e scompigliati, l'assenza di trucco e l'abbigliamento casual che indosso: felpa nera dei Metallica, pantaloni cargo neri e le converse bianche. Presumo che qui dentro di solito ci si viene infilati in uno smoking da almeno tremila dollari oppure un vestitino di Versace.

La porta d'ingresso si apre, qualcuno fa la sua apparsa. Camicia bianca, pantaloni neri da costume e scarpe eleganti. I tatuaggi sulle braccia in bella vista. Si passa una mano tra i capelli e i suoi occhi guizzano alla ricerca di qualcuno.

Rimango quindi stupita quando da lontano lo osservo avvicinarsi alla cameriera e sfoggiarle un sorriso. Ruth lo guarda di striscio, gli dice qualcosa e lui si morde un labbro cercando di non ridere mentre lei, infastidita, fa per allontanarsi ma Kieran fa alcuni passi e le si ferma davanti bloccandole il passaggio.

Questo scambio di atteggiamenti mi lascia perplessa. Non credo di aver mai visto Kieran così. Sbaglio, o ha una cotta per la cameriera? Sarebbe esilarante, me ne rendo conto. Insomma lui potrebbe tranquillamente scoparsi tutte le bambole gonfiabili che vuole ma è entrato qui dentro senza nemmeno sedersi oppure andare alla postazione del bar per chiedere qualcosa... No, l'ha fatto per fare visita alla cameriera che dinanzi la sua insistenza sospira pesantemente, poggia le mani sui fianchi e lo guarda dal basso del suo... immagino un metro e sessantacinque, tanto che arriva a malapena al collo di Kieran.

Lui le regge il confronto silenziosamente e poi si spiega in un piccolo sorriso a labbra chiuse.
Si dicono qualcosa, Ruth alza gli occhi al cielo e fa per aggirarlo, ma Kieran l'afferra per il braccio girandola verso di lui e bloccandola tra il suo corpo e il bancone del bar alle spalle di Ruth.
Per un istante, uno soltanto, mi sembra quasi di vedere me e Nicholas.

Caccio un colpo di tosse cercando di attirare l'attenzione della cameriera che mi guarda e quando si rende conto che è proprio a lei che mi sto rivolgendo, poggia una mano sul petto di Kieran e lo sposta via... facendolo ridere.
Che strana reazione...

Ruth viene in mia direzione, Kieran si volge proprio verso di me e quando mi nota tutto il suo strano divertimento sparisce e il sorriso gli muore sulle labbra.
Invece, io gli sorrido eccome e lo saluto alzando una mano e muovendo le dita.

Kieran dà una lunga occhiata a me e poi sposta gli occhi su Ruth.
«Gradisce altro?» chiede la ragazza che dovrà essere all'incirca mia coetanea, forse avrà qualche anno in più.
«Quello che beve lui di solito» dico con un cenno in direzione di Kieran.

Ruth corruccia la fronte e come di conseguenza lo guarda per poi tornare da me.
Le tendo una mano giacché l'ho vista abbastanza in confidenza con l'idiota a pochi metri di distanza.

«Veronica, Kieran è il fratello del mio fidanzato» mi spiego e lei esita per qualche istante non sapendo se stringermi o meno la mano, ma alla fine cede, probabilmente per educazione.

«Ora gli potresti dire di accomodarsi a questo tavolo? Digli anche che non gli farò niente, non deve temermi» tiro su gli angoli della bocca.
Ruth fa una smorfia confusa e torna da Kieran. Gli dice qualcosa per poi indicargli il mio tavolo mentre io attendo che prenda posto.

«Carino questo posto...» commento non appena mi è abbastanza vicino. Gli mostro il posto davanti a me col palmo della mano. Kieran mi rifila un'occhiata glaciale, esita ma alla fine si siede.

«Che ci fai qui?» chiede andando diritto al sodo.
Bevo un sorso del mio thè e mi guardo in giro alla ricerca di Ruth che è sparita.

«Tuo padre mi ha fatto visita» rispondo.
Lui aggrotta la fronte, sembra pensarci su per poi liberarsi in un sorrisetto.

«Hai conosciuto il grande Benedict O'Brien? E dimmi... che impressione ti ha dato?»
Sembra divertito, ma io non lo sono affatto.

Ruth arriva, poggia un bicchiere di bourbon sotto lo sguardo di Kieran, ci lancia un'occhiata silenziosa e poi si allontana.
«È la tua fidanzatina?» scherzo riferendomi alla cameriera.

Kieran si limita a tacere con un evidente fastidio in viso.

«Tuo padre è un vero pezzo di merda. Avrai ereditato da lui il carattere, presumo» mormoro.

Lui abbozza un sorriso e beve un sorso del suo bourbon.

«Non si scomoda mai per quelle insignificanti come te...» fa una faccia pensierosa e poi sembra illuminarsi teatralmente. «Che sta succedendo? Mio padre vuole qualcosa che solo tu puoi dargli? E fammi indovinare... ha frugato tra gli scheletri del tuo armadio, eh?» ride lievemente. Forse la mia faccia parla al mio posto perché lui dopo annuisce solo.

«Come sapevi che sarei stato qui?»

Alzo le spalle. «Carter, il tuo amico... quello biondo, gli sto simpatica e mi ha detto che passi molto spesso da queste parti. Credevo fosse una tua abitudine da ricco figlio di papà, ma a quanto pare non ha niente a che fare con il tuo lussuoso stile di vita...» dico e come di conseguenza do un'occhiata a Ruth impegnata a servire un tavolo.

Kieran lo nota e serra la mascella tirando un profondo respiro.
«Ti sei innamorato?» lo schernisco senza poterne fare a meno.

Solo essermi permessa di guardato Ruth l'ha innervosito. Questo sì che è strano.

Un imbecille col cervello sciolto dall'alcol e dalle droghe come lui davvero può innamorarsi di qualcuno? E non uno chiunque, ma una cameriera che evidentemente nemmeno lo sopporta. E come darle torto?

«Mi dici perché sei qui così puoi alzarti e andartene via?» mormora infastidito.

«Tuo padre sta cercando Nick, lui ora è in Australia ma nemmeno tuo padre riesce a trovarlo, nemmeno col suo patrimonio multimilionario.»

Kieran assottiglia gli occhi pensieroso e poi si libera in un sorriso sghembo.
«Mio fratello non è più tornato a San Francisco? Perché non mi sorprende affatto?» sorseggia un altro po' del suo bourbon.

Lo guardo inevitabilmente male.

«Tu sai dov'è?» chiedo quindi.

Lui quasi non ride. Si lascia cadere di spalle contro la sedia e allunga le gambe sotto il tavolo, sfiorando le mie che tiro d'istinto, schifata.
«Perché dovrei?» scuote la testa.
«Perché sei suo fratello.»

Kieran tira le labbra in una linea diritta e annuisce. Si guarda in giro per un paio di secondi prima di riportare quei suoi occhi freddi, gli stessi di suo padre, su di me.
«Fammi capire...» si tira immediatamente diritto sporgendosi un po' sul tavolo. «Prima mi affoghi in una piscina, poi mi aggredisci in pubblico e dopo mi pianti anche un teaser contro minacciandomi come una pazza psicopatica, e adesso pretendi davvero il mio aiuto? Perché dovrei mai aiutarti, uh? Se non lo faccio, che succederà? Mi legherai a una sedia come hai detto e poi mi strapperei via le unghie?»

Reggo il suo sguardo senza battere ciglio.
«Nicholas è malato, testa di cazzo» sibilo senza girarci troppo intorno. Kieran aggrotta la fronte.
«Che ha? Un cancro terminale?» ride per niente colpito e il suo atteggiamento strafottente mi manda a bollore il sangue nel corpo.

«Ti è mai importato realmente di qualcuno che non fosse te stesso?» sibilo avvelenata piantando i miei occhi nei suoi con rabbia e disgusto.

Lui trattiene un sospiro.
«Che diavolo vuoi da me? Parla chiaro» fa tutto spazientito ed io cerco di tenere l'impulso di spaccargli la faccia a freno.

«Tu e Nick avete una cosa in comune: odiate vostro padre. Bene, perché quel figlio di puttana è venuto da me minacciandomi e la cosa non mi è piaciuta per nient-»

«Oh, ma davvero? Non ti piace essere minacciata?» mi interrompe alzando le sopracciglia con finto stupore.

Lo guardo di traverso.
«Ha detto che in Svizzera c'è una cassetta portavalori dove ci sono alcuni documenti e che solo Nick può accedervi, che vostro nonno gli ha lasciato la chiave e lui vuole quello che c'è dentro. Quindi ora sta cercando tuo fratello ma non si è fatto più risentire, evidentemente non riesce a trovarlo.»

«E tu che c'entri in tutta questa storia?» chiede confuso.
Trattengo un profondo respiro.
«Vuole che vada da Nick, che gli faccia il lavaggio mentale su quanto la famiglia sia importante cosicché lui poi vada in Svizzera e gli porti quei stramaledetti fogli» spiego rapidamente.

Kieran resta in silenzio, cosa che trovo insolita.
«Ti ha detto che tipo di documenti sono?» chiede dopo svariati secondi in cui si è semplicemente imbambolato a fissarmi con aria assorta.
«Clausole contrattuali» cito le parole con cui mi ha liquidata Benedict facendomi sentire scema.

Le mie parole però sembrano far cambiare qualcosa negli occhi di Kieran.
«Non ha trovato ancora mio fratello?»
Scuoto la testa. «A quanto sembra no, altrimenti mi avrebbe fatto recapitare il suo indirizzo e infilata a forza sul primo volo per l'Australia.»

Lui annuisce.
«Che hai?» chiedo quindi notando il modo in cui si è disconnesso quando gli parlato di quelle clausole contrattuali.

Kieran ispira profondamente. «Niente... ma se mio padre ha rinviato i suoi mille impegni per alzare il suo culo dalla sua poltrona in pelle solo per parlarti, questo vuol dire che sei in un mare di guai...» cantilena divertito bevendo un sorso dal suo bicchiere.

Meraviglioso.

«Ti posso dare un consiglio?» chiede poi d'un tratto lasciandomi perplessa.
Lui ci indugia per qualche istante. Guarda il suo bicchiere giocando col bourbon e alza di getto le pupille.
«Scappa.»

Il freddo mi si infila con violenza nelle vene e mi si ghiaccia il cuore. I suoi occhi azzurri, talmente da sembrare a tratti grigi, mi fissano in uno modo talmente serio quanto spaventosamente innaturale.
Corruccio la fronte.
«Come?» abbozzo un sorriso nervoso.

Kieran si stiracchia il collo dando un'occhiata fugace a Ruth che la becco fissarci da lontano e quando lo nota smette immediatamente e sposta gli occhi altrove.

«Ascoltami bene.»
La voce di Kieran mi riporta da lui.
«Mio padre è un uomo d'affari, si occupa di progettazione e cazzate del genere e ha davvero tanti investitori, per non parlare dei suoi soci che sono tutto tranne che brave persone e per inquadrare al meglio qualcuno ti basta solo guardare da chi si circonda. Se lui vuole quei documenti, non si farà scrupoli a rovinarti. Ti toglierà ogni cosa che per te ha qualche valore. Ha detto di andare da Nick? Vacci. Fai quello che vuole così ti lascerà in pace ma non provare mai a fregarlo perché se quell'uomo pecca di qualcosa allora quella è la pazienza. Non dà seconde occasioni, certo a meno che tu non faccia parte della sua famiglia ma non è il tuo caso. Forse avresti dovuto sposarti mio fratello...» conclude lasciandomi confusa. «Così saresti un membro ufficiale della meravigliosa famiglia degli O'Brien. In fin dei conti sei una stronza, ti ci saresti trovata molto bene...» sorride freddamente.

«Io non manipolerò mai Nicholas. Quando e se andrò in Australia gli dirò per filo e per segno quello che-»

La sua risata talmente innaturale mi blocca di getto.
«Sei una idiota per caso?» sbatte le ciglia. Resto ammutolita, non per l'offesa quanto per il modo in cui l'ha detta. «Se tu dici a Nick che nostro padre ti ha minacciata, mio fratello tornerà e raderà al suolo ogni cosa.»

Deglutisco con forza.
Kieran si passa con sconforto una mano sul viso.
«Tu non hai mai visto Nicholas perdere il controllo. Una volta era a così - avvicina pollice all'indice - dal mandare qui l'FBI e buttare in galera uno dei soci di nostro padre. Sono stato io a fermarlo.»

Aggrotto la fronte. Kieran sospira e continua.

«Lui pensa ancora che l'abbia fatto perché ero nella mia fase ribelle del cazzo, ma non che l'abbia salvato dall'essere ammazzato fra le mura della sua casa, quindi l'ho cacciato via e lui finalmente ha smesso di rompermi le palle e "provare a salvarmi". Ascoltami molto bene adesso» fa sporgendosi sul tavolo mentre resto sempre più intontita. Kieran ha protetto Nick? No, non è vero. Kieran è un pezzo di merda.

«L'azienda, prima che nostro nonno morisse, era una basata su veri principi morali, poi è passata a nostro padre e lui l'ha fatta marcire infilandoci dentro gente che potrebbe tranquillamente uccidere me e te in questo preciso istante solo perché ne stiamo parlando - rabbrividisco fin dentro le ossa - e sì, per Benedict la famiglia è l'unica cosa di cui gliene importa realmente qualcosa, ma nemmeno lui può fare qualcosa se i suoi amici si incazzano. Ecco perché dovresti cambiare nome, lavoro, vita e volare lontano da qui ora che sei in tempo. Mio padre è diventato come le persone che frequenta e se tu sei nel suo mirino è capace di farti fuori in uno schiocco di dita. E se te ne vai in Australia a raccontare storie a Nicholas, quello tornerà e non si fermerà fin quando non sbatterà in prigione nostro padre e tutti i suoi soci corrotti. Mi capisci? E tu lo farai ammazzare.»

Silenzio.
Il mio cuore batte piano, con forti affondi che mi tagliano l'aria nei polmoni.

«Cosa ha trovato su di te? Mhm? Con cosa ti tiene al guinzaglio?» chiede poi. La sua facciata da idiota è sparita. È solo spaventosamente serio.

Abbasso gli occhi sulla mia tazza di thè.
«Non è importante» dico solo.

«Certo... È così poco importante che ti potrebbe rovinare in un nanosecondo» ridacchia per niente divertito.

«Lo sai dov'è tuo fratello, sì o no?»
Kieran si passa la lingua sul labbro inferiore.
«Forse... ma è passato tanto tempo, può darsi che non si trovi più là.»
«Me lo dici comunque?»
«Perché? Così lo farai tornare a San Francisco e lo farai uccidere? Perché è questo che accadrà. Non ti aiuterò a far fuori l'unica persona buona della mia fottutissima stramaledetta famiglia.»
Sibila iniettandomi le pupille addosso tanto da tranciarmi a metà a momenti.
Ho un brivido che mi attraversa le viscere. Me le scava. Le manda in un rogo che non so come spegnere.

«Mi serve la chiave» dico solo.
Lui ispira a fondo.
«E poi?» alza le sopracciglia attendendo.
Deglutisco. «E poi tuo padre mi lascerà in pace.»
«Nick, invece?»
Indugio per alcuni momenti.
«Mi serve quella chiave e me la prenderò» dico alla fine trattenendo l'aria nel petto che mi martella con violenza.
«Potresti scappare» propone lui.
«Non posso.»

Benedict ha già tutto su di me. Se scappo, lui finirà solo con l'incazzarsi. Anche se cambiassi identità, lui non potendo vendicarsi su di me, rovinerà la vita a mio padre e io non posso permetterlo.

«Mi dici dov'è tuo fratello?» insisto tirando un profondo respiro per calmare i nervi.

Lui esita per alcuni istanti.
«Hai una penna e pezzo di carta?»

In men che non si dica tiro fuori il blocco note dalla borsa insieme alla penna ficcata tra le pagine. Kieran lo apre, cerca una pagina vuota ed esita un altro po' prima di scrivere un indirizzo. Lo chiude e lo trascina sul tavolo fin sotto il mio sguardo.

«È una piccolo lago a Queensland, a qualche centinaio di chilometri da Daintree Rainforest. Ci sono andato credo... due volte, un paio di anni fa. Nick aveva insistito che se fossi stato lì, immerso nella fottuta natura, sarei riuscito a combattere le mie dipendenze» gesticola con una mano. «Nostro padre non sa di quel posto. Il bungalow una decina di anni fa era usato a mo' di resort, poi è fallito e il proprietario ha rivenduto la proprietà a un tizio della zona che portava i suoi nipoti a pesca, forse di alligatori o anaconde, cazzo... Là ci sono dei mostri che nemmeno immagini. - Ride sgranando gli occhi - Comunque quelli poi si sono trasferiti con i genitori a Sidney e il vecchio ha incontrato mio fratello e hanno scoperto di avere in comune l'Afghanistan... lui era un soldato veterano e niente! Ha lasciato le chiavi a Nick.»

Corruccio la fronte. «Perché sai tutte queste cose?»
Kieran si lascia sfuggire una risatina mentre beve un sorso del suo bourbon.
«A Nick piace parlare molto.»

Già, è proprio così.

«Un gene di famiglia che abbiamo in comune è ricordare le cose, anche le più inutili... L'unica cosa buona che abbiamo ereditato da nostro padre» fa con una smorfia.

Guardo il blocco note e lo infilo nella borsa.

«Se tu vai lì e dici a Nick quello che nostro padre ha fatto, ti rendi conto che scatenerai un inferno, vero?»

«Fermerò Nicholas prima che si metta a distruggere la vostra azienda del cazzo, darò quei fogli a vostro padre e poi me ne andrò molto lontano da questo posto di merda. Avrò saldato il mio dovere.»

Kieran abbozza una risata fredda.
«O forse a mio padre piacerai talmente tanto che finirà col sbranarti fino all'osso» replica.
Rimango in silenzio non capendo.

«Una volta che finisci in questo mondo, non ne esci così facilmente come credi. Secondo te perché mio fratello ha cambiato cognome e si è nascosto in Medio Oriente e Australia?» sbatte le ciglia scuotendo la testa.

Rimango a fissarlo ammutolita e un pensiero mi sfiora il cervello mentre serro i denti fino a spaccare le arcate.

«Io non sono Nicholas» replico glaciale.

Kieran mi osserva per alcuni buoni istanti e si apre in un sorrisetto beffardo e incredulo.
«Tu vuoi affrontare mio padre» tira a indovinare e c'entra appieno.
«È entrato in casa di Nick senza essere invitato, mi ha minacciata. E se è vero come dici, se lui anche dopo che avrò fatto tutto quello che vuole non dovesse lasciarmi in pace allora io gli fotterò quel suo culo da miliardario corrotto del cazzo» sibilo avvelenata e tiro indietro la sedia con un movimento secco tanto che stride sul pavimento.

Gli occhi mi sfuggono verso la cameriera, Ruth, che quando incrocia il mio sguardo sembra sbiancare.
Tiro un profondo respiro e afferro la borsa e me la butto in spalla mentre Kieran ride dinanzi il mio atteggiamento. Abbasso le pupille su di lui con i brividi a fior di pelle e la voglia di spaccargli la faccia.

«Darai inizio a un gioco molto pericoloso. Sicura di volerlo fare?»

Lo guardo per alcuni attimi senza battere ciglio.

«Forse è arrivata l'ora che tuo padre venga messo al suo posto» dico semplicemente cercando di essere quanto più fredda e indifferente possibile, ma il battito del mio cuore che mi riecheggia fin dentro le tempie mi tradisce.

Lui mi molla un'occhiata.
«Hai le palle...» mormora con aria assorta. «È perché vieni dal Texas e là tutti sono dei cazzuti figli di puttana come te?» sfoggia un sorrisetto.

Alzo un angolo della bocca.
«Tu vieni da una lunga dinastia di ricchi del cazzo con la testa montata dai soldi e dal potere, io da gente che spara e sbatte un galera quelli con la testa montata che vanno in giro a giocare al genio del crimine.»

«Questo spiega perché mio fratello abbia messo gli occhi su di te...» esala inclinando la testa e facendomi una lunga analisi.
«Ora non sono più una sua fissazione o qualche strano rompicapo che adora risolvere e che quando avrà finito perderà in automatico interesse?» commento con una smorfia citando le sue parole, quelle che mi ha rivolto prima di strozzarmi accanto la piscina nella suite di Carter.

Kieran sorride lievemente.
«Ti farai ammazzare alla fine. Beh... verrò al tuo funerale, questo te lo concedo. E porterò un gran bel mazzo di tulipani. Sono ancora i tuoi fiori preferiti, vero?»

Resto in silenzio guardandolo diritto negli occhi nel modo più gelido possibile.
Sono pronta per pagare il mio thè, quando lui mi ferma.

«Te lo offro io» dice. «Sei la mia futura cognata, no? Piccolo consiglio da qualcuno che nemmeno ti sopporta: quando trovi mio fratello, sposatelo così mio padre per rispetto della famiglia ti lascerà in pace e già che ci sei fagli anche un nipote. Quel grembo - mi fa un cenno di testa - da stronza sfornerà un gran bel prototipo di O'Brien... Dici che sarà più un soldato come Nick o un piccolo ninja come te?»

Gli rifilo un'occhiata disgustata e senza aggiungere altro gli passo di fianco.

«Come credi di andare lì?»
La sua voce mi ferma. Mi giro, esito, ispiro profondamente e torno indietro spazientita. Ne ho abbastanza per oggi. Di lui, della sua famiglia del cazzo e di tutto l'impero criminale, a quanto pare, di suo padre.

«Che vuoi dire?»
Lui alza il mento.
«Non puoi usare un volo di linea, mio padre lo verrà a sapere e se dovesse scoprire che tu hai capito dov'è Nick prima di lui e che non glielo hai detto si sentirà preso per il culo.»

«E che vuoi che usi? Un unicorno volante?» ridacchio infastidita.

«Ti ci porto io.»

Resto a fissarlo per lunghi attimi finché non scoppio in una breve risata.
«Cos'ho detto di così divertente?» chiede sbattendo le ciglia.

«Perché mai lo faresti?» corruccio la fronte per niente convinta dalle sue buone intenzioni, qualunque essere siano. Kieran è un verme e lo resterà per sempre.

«Odio mio padre, non è abbastanza evidente?» sorride freddamente. «Com'è quel detto... Il nemico del mio nemico è mio amico, giusto?» fa divertito. «E poi voglio vedere cosa nasconde quella cassetta portavalori in Svizzera. Mi intriga... Se mio padre la vuole così tanto, ci deve essere qualcosa di molto interessante là dentro e se mio nonno gli ha negato l'accesso è ancora più misteriosa come cosa.»

Riduco gli occhi in due fessure fermandomi col pensarci su. Non sarebbe una cattiva idea nonostante Kieran mi stia sul cazzo.

«Clausole contrattuali, non significa niente. Lo sapevi? Mio padre la usa come giustificazione ogni volta che deve incontrare un suo socio in affari o investitore poco raccomandabile. "Kieran, io ora vado, bla bla bla, devo incontrare una persona per delle clausole contrattuali"» scimmiotta come un perfetto imbecille. «Mio padre mi ha sempre svalutato in tutto, forse è ora che aiuti la stronza che lo manderà in rovina.»

Sorride con una soddisfazione talmente ricolma di piacere che a stento riesco a concepire, dopotutto parla di suo padre ma è come se non lo fosse affatto. E poi ricordo le parole di Logan. Il modo in cui Kieran non abbia mai avuto dei veri genitori e sia stato allevato dalla governante, Anita.

«Non volevi l'azienda più di qualunque altra cosa?» chiedo ricordandomi bene le sue parole quando ha fatto la parte del pazzo assetato di potere e mi ha strozzata.

«Voglio le chiavi dell'azienda per farla crollare in mille pezzi. Voglio vedere il grande Benedict O'Brien privato del suo stramaledetto potere. Lo voglio vedere senza niente, allo sbaraglio, in difficoltà... vulnerabile. Quel bastardo se lo merita.»
Replica con una voce talmente bassa e tombale, che per un attimo mi sento avvolta dai brividi.

«Bene.»

Dico ed esco dal Black Pearl. A passi lenti percorro il piazzale in pietra battuta che attraversa l'immenso prato del pineto dov'è situato il ristorante e scompaio oltre gli alberi finendo nel parcheggio. Monto in sella, metto il casco e sfreccio verso casa.

Kieran O'Brien, il soggetto più discutibile e viscido che io abbia mai incontrato, è dalla mia parte. Questo è stato un vero colpo di scena. Per il resto, tutte le cose che mi ha detto e raccontato... quelle sono da brividi.

***

Ci ho pensato, alle parole di Logan. Non aveva tutti i torti, una pistola non sarebbe certamente scomoda.
Sono passati due giorni dalla mia chiacchierata con Kieran al Black Pearl. Mi ha inviato un messaggio lo stronzo, già proprio lui, passandomi il suo numero di cellulare.

Benedict mi ha pedinata e forse lo starà ancora facendo, non ne ho idea. E se pensavo che il mio stalker fosse uno dei suoi uomini incaricati per studiarmi ora so che non è così. Chiunque sia il tizio incappucciato è solo uno con le rotelline fuori posto che si è preso una forte cotta per me e basta.

Leggo lo scontrino che ho lasciato accanto al mazzo di rose sul tavolo da pranzo che ora ho trovato infilate in un vaso con dell'acqua in centrotavola.
Lo scontrino è ancora lì, accanto ad esso, invece, c'è un altro foglietto.

"Puoi farlo, solo non mirare al mio cuore perché appartiene a te."

Un sorriso incredulo si piazza sulle mie labbra mentre tiro fuori la pistola, controllo il caricatore e lo rimetto dentro. Infilo la Glock 17 dietro le spalle nella fibbia dei jeans stretti in vita dalla cintura.

Il mio Osservatore non ha paura di essere tranciato da una lama. Il suo deve essere folle masochismo oppure un qualche sintomo di erotomania che lo eccita non poco. Beh, di qualunque cosa si tratti magari riesco a farlo fuori prima di partire per l'Australia insieme a Kieran. Il solo pensiero mi fa ridere perché più mi ripeto questa frase nella testa e più suona assurda.

Do un'occhiata alla cucina. Le luci sono accese, i banconi in ordine ma sul piano dell'isola c'è un altro piatto.
Mi avvicino. Guardo quello che c'è dentro e ci trovo dei semplici spaghetti al pomodoro. La cosa che mi fa piuttosto ridere è la piccola foglia di basilico posta al centro solo per dare un tocco di classe a un piatto talmente facile da preparare e casalingo.

Proprio come ho fatto con l'omelette, prendo il piatto e ci rovescio nel cestino dell'umido il suo contenuto, per poi lavare il piatto e rimetterlo a posto. Una domanda mo sorge spontanea: come fa a cucinare quel tipo qui dentro?

Il frigorifero è vuoto. L'ho svuotato quando gran parte delle cose sono andate a male, poi l'ho pulito e dentro ci sarà al massimo una qualche bottiglia di acqua e una bibita gassata.

Prendo le chiavi, la giacca ed faccio per uscire fuori quando torno un attimo indietro.

Do un'occhiata alla stanza da letto. Accanto l'armadio ci sono le mie Air Jordan rosse. I lacci perfettamente tirati e infilati dentro. Mi dirigo verso di esse, le guardo per alcuni istanti e lo sguardo mi sfugge come per istinto verso il tavolino accanto la finestra.

Mi avvicino.
Nel posacenere ci sono altre due cicche di sigaretta. Quello stronzo ha fumato ancora qui dentro.

Esco fuori dall'edificio e sul portone principale guardo dall'altro ciglio della strada.
Lui non è qui stasera. Magari perché è troppo presto. Di solito fa le sue apparizioni quando cala il buio.

Salgo sulla moto, infilo i guanti e raggiungo il Pink Ocean per il turno serale.
Negli ultimi giorni sono riuscita a chiudere un po' occhio. Forse è stata la conversazione con Kieran, il fatto che fra poco potrò andare da Nicholas e finalmente rivederlo dopo ben sei mesi.

Tra un tavolo e l'altro, il vassoio tra le mani, le varie comande che porto a termine muovendomi come una molla nella sala del locale, i miei occhi cadono sulla vetrata più volte. Non per fissare i clienti che se ne vanno sghignazzanti e invidiare la loro vita così semplice, ma perché sono curiosa di vedere se lui farà la sua apparsa appoggiato al solito palo della luce fulminato.

Sento un brivido ogni volta che poggio gli occhi in fondo alla strada, ed esso mi attraversa la carne come fuoco rovente facendomi perdere qualche battito di tanto in tanto.
Chissà che combina quel tizio quando non fa il folle e mi fissa da lontano oppure quando si infila nell'appartamento di Nicholas. Glielo chiederò quando ce l'avrò davanti a solo una piccola manciata di metri, tra le mura di quello stesso appartamento.

La scorta della polizia che Tyler aveva messo davanti la mia porta non c'è più da diversi, troppi giorni. Mi ha chiamata, perfino fatto visita e mi ha chiesto se il mio stalker si fosse rifatto vivo, ho detto di no e ho mentito.
Tyler ha pensato la cosa più plausibile: le pattuglie che sono arrivate sotto l'edificio quando ho chiamato il 911 ha spaventato il mio Osservatore. Per un sergente di polizia, Tyler è veramente un po' ingenuo. Forse perché non mi conosce bene e fortunatamente non gli ho mai dato questa occasione, altrimenti saprebbe capire quando mento e soprattutto saprebbe che so usare le mani, non per tirare qualche sberla, no... ma per spezzare qualche ossa a chi mi intralcia la strada e crede di potermi fottere col suo atteggiamento.

Né il mio stalker e né tantomeno Benedict O'Brien riusciranno nel loro intento. Il primo lo farò secco, il secondo devo andarci di astuzia, non di violenza fisica, quella sarà tutta per il mio amico che... eccolo, è arrivato.

Poggio un milkshake sul tavolo servendo un cliente e i miei occhi si puntano in sua direzione. Appoggiato al solito palo, indifferente che qualcuno della clientela possa farsi qualche domanda del perché ci sia un tizio là in strada a fissare il Pink Ocean, mi guarda, e io gli restituisco lo sguardo insieme a un piccolo sorriso a labbra chiuse.

Non ho idea se sia passato già all'appartamento per preparare un altro piatto con del cibo dentro, forse sì, credo sappia bene la mia routine ed è per questo che lui è qui quando cala la sera perché io ci lavoro.

Potrei andare ora fuori, sfilare la mia pistola e sparargli, ma sarebbe un po' illegale. Difesa personale, ecco cosa userò come giustificazione quando la polizia entrerà nell'appartamento e lo troverà per terra.

Alzo una mano, lo saluto e lui... ricambia questa volta a differenza dell'ultima.
Il mio cuore scalcia e una ventata di brividi mi trapassa fin dentro le viscere più remote del mio corpo. Gli è passato il chiaro fastidio che ho letto nelle sue parole sul biglietto che mi ha lasciato tra le rose sul letto.

"Non farlo mai più." Il suo ordine. Era lì, ha visto tutto, mi domando se stesse per intervenire. Si sarebbe fatto uccidere per me? Sarebbe stato poco soddisfacente dal momento che quello a volerlo fare fuori sono io. Lui è mio. Lo sarà. Molto presto.

Raggiungo Ethan che mi guarda stranito.

«C'è il tuo amico?» ridacchia per niente divertito.

Dopo che ho chiamato il 911 e sgusciata via dalla villetta di Tyler sono andata a dormire da Ethan e gli ho spiegato cosa fosse successo. Sa che ho un pazzo svitato che è ossessionato da me e ora lo vedo sempre girare in giro per la sua casa con lo spray a peperoncino, anche quando deve andare al cesso a pisciare.
"Se quello ti segue, sa che vieni qui e io non voglio morire per colpa tua" ha detto. Sorprendentemente però non mi ha mandata al diavolo vendendo la casa e trasferendosi in cima a un monte per non farsi trovare dal mio stalker. Ethan in fin dei conti è in po' folle come me, forse per questo è mio fratello acquisito.

«Già... Me lo fai un caffè da asporto?»

Lui corruccia la sopracciglia. «Il tuo solito?»

«Non è per me, ma per lui.»

Mi passo una mano tra i capelli, portando le ciocche frontali un po' via dal viso.
Ethan sembra molto contrariato e difatti non si muove.
«Non dovresti dargli corda. Non sai che intenzioni abbia. E se fosse un serial killer?»

Rido lievemente. «Se lo fosse, quando lo ucciderò San Francisco avrà un male in meno a vagare per le strade.»

Lui sbatte teatralmente le ciglia.

«Me lo fai questo caffè, sì o no?» chiedo quindi battendo le mani sul bancone del bar in attesa.

«Perché hai tagliato i capelli?» chiede invece lui scoccandomi un'occhiata.
«L'hai notato solo adesso?» scherzo e mi becco come di conseguenza un'occhiata di traverso.
«No, ma da quando hai messo piede qui dentro. Le donne di solito tagliano i capelli quando affrontano un cambiamento radicale nella loro vita. Qual è il tuo? Devo preoccuparmi?»

Scuoto la testa.
I miei capelli sono corti come la volta che me li sono tagliati nel bagno del campus e il mio taglio non ha lasciato molto felice Logan. Sfiorano a malapena metà collo e sono un po' scalati mentre le ciocche frontali mi scendono lungo le tempie e mi pizzicano il naso. Le punte sulla nuca, invece, sono sfumate col del rosso sangue.

Se Marianne crede davvero di fottermi i sogni col suo sangue, si sbaglia di grosso. Il mio cervello non lo fotte nessuno, men che meno una piccola stronzetta del Texas che aveva sempre la lingua troppo lingua e la sfacciataggine di pensare che fosse una buona idea seguirmi, darmi della puttana che ruba il suo ragazzo (tra parentesi bello ma scemo che non sapevo nemmeno respirasse tanto poco mi fregava della sua esistenza perché la mia, intanto, era stata sconvolta dalla morte di mia madre) e che potesse spintonarmi.

È morta? Pace all'anima sua, spero sia finita all'inferno e che come lavoro faccia da puttana all'anticristo. Non riesco a provare rimorso, nemmeno una briciola. Non sono mai stata una persona particolarmente empatica verso gli stronzi, soprattutto se quei stronzi mi fanno girare le palle.
Certo, non immaginavo che fosse morta, papà mi aveva raccontato una storia ben diversa, ma adesso non è il fantasma di Marianne a perseguitarmi che mi preoccupa, piuttosto quello che Benedict O'Brien potrà farmi se userà il nome di un cadavere contro di me.

Francamente non mi va di finire al freddo, ci sono finita, ma dietro le sbarre ho passato solo un paio di ore di certo non anni e non mi va nemmeno di tirare a fondo anche mio padre per quanto il suo compito da padre l'abbia accartocciato e buttato via.
Benedict O'Brien non mi sbatterà in prigione.

Ha detto che il mio carattere non è sufficiente per potergli tenere testa. Pensa che io non valga niente perché vengo da una sperduta località texana, che non possa sfiorarlo. Sarà proprio una anonima ragazza di una sperduta località del Texas, che lui pensa di tenere in pugno, a fotterlo con tanto di sorpresa.

Se devo andare in galera, lo farò prima affrontando quel pezzo di merda di un imprenditore multimilionario, ma non mi piegherò a lui, ai suoi ordini, al modo in cui mi ha definita un cane che va addomesticato, come lui mi abbia offerto la sua gentilezza.
Sarò altrettanto gentile quando troverò il suo di scheletro in armadio e qualcosa mi dice che è in quella cassetta portavalori in Svizzera.

«Stai molto bene, comunque» esala Ethan alla fine con una smorfia.
Gli rifilo un sorrisetto.
«Rafforzano quella energia maschile che emami. Sei sexy, sì... molto attraente» sbuffa e si sposta a destra facendo finalmente il caffè che gli ho chiesto.

Forse sto affrontando davvero un cambiamento. Nella mia vita stanno succedendo molte cose che mai avrei immaginato, ma non è questo il vero motivo, bensì mi sento più comoda. Non devo pensarci troppo ad asciugarli e tenerli in ordine e poi quando incontrerò il mio stalker da vicino e gli spezzerò le mani con i capelli corti sarà nettamente più pratico.

«Ecco qui» mi poggia il bicchiere in cartone sul bancone con sopra il coperchio in plastica bianco.
Lo afferro.

«Che vuoi fare?» chiede nonostante tutto. Alzo gli occhi.

«Quando andavo alle battute di caccia con mio padre e mio zio...» inizio a dire ricordandomi molto bene quei momenti. Il freddo, l'aria umida, la brina adagiata sulla flora, il placido bagliore del sole offuscato dal cielo plumbeo, e poi il silenzio, l'attesa, il momento esatto in cui seguire la presa, puntare il mirino e premere il grilletto.
«... i caprioli stavano sempre a debita distanza nascosti tra i cespugli e al minimo rumore, un rametto, una foglia, loro rizzavano le orecchie e correvano via. Perciò mio zio prendeva delle bacche e ci faceva una scia. Loro non capivano che lentamente si sarebbero avvicinati nel punto migliore per beccarli direttamente qui» indico la tempia.

Ethan ascolta in silenzio e strano, ma vero, non sembra per niente inquietato dalla mia storia.
«Le bacche nel tuo caso è il caffè.»
Non è una domanda, bensì una deduzione.

Tiro su gli angoli della bocca e mi allontano. Raggiungo l'uscita, il campanello suona e vado verso una delle macchine parcheggiate un po' più in lontananza al Pink Ocean. Il mio Osservatore è fermo e mi sta fissando.
Poggio il caffè sulla sella della mia moto, tiro fuori il blocco note dal grembiulino, scrivo "Semplice caffè. Il veleno non lo serviamo al Pink Ocean. Ti preferisco vivo per ora."

Stacco il foglio, lo infilo sotto il bicchiere e me ne torno dentro a riprendere il mio lavoro.

«E se non fosse un capriolo, ma... non so, un predatore alpha che vorrebbe infilare una cannuccia nel tuo collo e succhiarti via il sangue?»
Chiede Ethan quando mi avvicino al bancone. Gli scocco un'occhiata e sembra abbastanza preoccupato.
«Un vampiro?» rido divertita.

Lui mi guarda male.
«Questa storia non finirà bene... Non voglio venire al tuo funerale, sarò troppo occupato a bere gin tonic nel mio Jacuzzi e nascondere le lacrime con le bollicine dell'acqua mentre annuserò una delle tue magliette.»

Corruccio la fronte perplessa. «Se dovessi morire non annusare le mie magliette» ordino con una smorfia. «I predatori alpha sono ovunque, Ethan. Mai sentito delle tigri della Tasmania? Quando l'Australia fu colonizzata, le tigri erano un problema perché carnivore e facevano disastri ovunque, quindi sai che hanno fatto i coloni?» chiedo con fare misterioso.

Ethan alza un sopracciglio.

«Le hanno ammazzate» gli svelo con aria soddisfatta.

***

Angolo autrice

Mhmm... sì, interessante.

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