33 | Safari

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

CAPITOLO 33
Safari


«Dove vai, in un safari?» chiedo guardandolo dalla testa ai piedi in mezzo ad un capanno di jet e altri aerei privati. La zona è desolata, evidentemente ci siamo solo noi due e quasi quasi mi sale l'impulso di picchiare Kieran solo per il semplice gusto di farlo.

Dietro di lui c'è un aereo bianco dalle piccole dimensioni su cui spicca il nome "Blue Skyline" con il simbolo stilizzato di un falco, mentre lui veste una camicia di lino, una di quelle che indossa sempre Ethan quando andiamo in barca, le gambe sono fasciate da un paio di pantaloni color cachi, ai piedi, invece, ha dei mocassini marroncino chiaro. Con gli occhiali da sole sul setto nasale il suo aspetto mi crea una spiacevole sensazione al centro del petto perché davanti a me mi sembra a tratti di vedere Nicholas.

Il suo modo elegante di vestire, il portamento eretto e raffinato e ora che Kieran ha quei occhiali da sole... La loro somiglianza è fastidiosa.
A quanto pare non c'è un solo membro della famiglia O'Brien a saper essere umile e vestire una semplice t-shirt e scarpe da ginnastica.

Rimando subito indietro la saliva e con lo zaino in spalla continuo a camminare in sua direzione.
Kieran alza un po' gli angoli della bocca, rifilandomi un sorrisetto misto a una smorfia.
«Tu, invece? I servizi segreti ti hanno incaricata per far fuori un politico a qualche serata di beneficenza?»

Mi fermo davanti a lui. Tolgo gli occhiali da sole, li metto al collo, tiro giù il cappuccio della felpa nera e giro il berretto dei Lakers al contrario.
«Avevi detto di passare inosservati. Questo lo chiami passare inosservati?» lo indico con un cenno di mento.

«A nord della costa si schiatta di caldo in questo periodo dell'anno, per non parlare dell'umidità. Almeno hai indossato dei pantaloncini... anche se da uomo. Ad ogni modo gran belle gambe...» sorride sfacciatamente e come di conseguenza gli alzo il mio meraviglioso dito medio strappandogli una risata.

«Mi piace il tuo taglio di capelli» fa poi e tende il palmo verso la scala dell'aereo facendomi segno di salire.
«Vai pure per primo» replico.
Lui sorride.
«Ora che sei diventato un maschio hai anche sviluppato il tuo sesto senso da gentiluomo? Non mi dispiace essere viziato...»

Alzo gli occhi al cielo e attendo che salga quelle stramaledette scale per fare lo stesso anch'io.
Prendo posto su una delle poltrone, Kieran davanti mentre il tavolo ci divide. Toglie gli occhiali, li poggia al colletto e nel frattempo l'assistente di volo fa la sua apparsa dopo che lo sportello viene chiuso.

Versa un calice di bollicine a Kieran e fa per fare lo stesso anche a me ma la fermo con un cenno di mano.

«Sei diventata astemia come mio fratello?» chiede bevendo un sorso dal suo bicchiere.

«A me non piaci, sono qui perché devo, perciò ora chiudi quella cazzo di bocca prima che ti ficchi quel bicchiere giù per la gola e a meno che tu non debba dirmi qualcosa di strettamente necessario non mi devi rivolgere parola. Chiaro?» spiego glaciale senza sbattere ciglio.

Kieran resta stupito ma poi annuisce con un sorrisetto.
«È il tuo aereo privato?» chiedo dopo un paio di minuti riferendomi al Blue Skyline. Lui scuote la testa.
«Se avessi usato quello della famiglia, mio padre sarebbe venuto a saperlo. È di un amico, me l'ha dato in prestito.»

Quasi non rido per la situazione a dir poco esilarante. Il massimo che so dare io in prestito ai miei amici è l'elastico per i capelli, che adesso nemmeno mi serve più, ma non di certo un aereo privato di chissà quante migliaia di dollari.

«Se Nick dovesse essere lì, che farai?» sento chiedere quindi distolgo gli occhi dal finestrino alla mia destra.
«Non è tornato a San Francisco, perciò qualcosa l'ha spaventato a tal punto da fuggire in Australia» aggiunge. «Magari ha capito che sei un po' schizzata» sorride divertito.

Gli rifilo un'occhiata silenziosa.
«Mi ha scritto una lettera» confesso rimanendo stupita da me stessa. Non l'ho detto nemmeno a Ethan e invece lo dico alla persona che maggiormente mi sta sulle palle in questo minuscolo posto in cui mi trovo.

Lui alza le sopracciglia.
«L'ha mandata mesi fa ma non l'ho mai ricevuta. Me l'ha portata tuo padre e tramite quella stessa lettera ha scoperto che Nicholas mi ama ancora, per questo mi ha detto di andare e fargli il lavaggio mentale. Beh... Che tuo padre si fotta» alzo gli angoli della bocca per un istante.

«Che vuol dire che Nicholas è malato?» chiede dopo un po'.
«Non lo so» sospiro e col gomito sul tavolo, mi reggo il viso mentre guardo fuori. Non è stato chiaro nella lettera. Ha solo detto un mucchio di cose senza dirmi in realtà niente. l'Iraq gli ha risvegliato vecchi demoni che era riuscito a seppellire nelle profondità della sua buona memoria? Ha brutti incubi? Potrebbe strozzarmi nel sonno come faceva il padre di Logan a Sofia, sua moglie, prima di togliersi la vita? E se fosse crollato in una spirale depressiva e volesse davvero suicidarsi?

No, per lui il valore della vita è alto, prezioso. Almeno lo spero. O quantomeno spero che sia ancora rimasto così e che una volta arrivata in quel bungalow non lo trovi appeso al soffitto con una corda. Scaccio immediatamente questa immagine dalla testa.

«Voglio bene a mio fratello.»

Sposto lo sguardo verso Kieran.
«Ah, ma davvero?» ironizzo non credendoci per niente.
«Ogni volta che mi sono trovato in difficoltà lui è sempre venuto ad aiutarmi.»
«Questo significa che lui voleva bene a te, non il contrario» gli faccio ben notare gesticolando con un dito.

«Chiaramente non hai fratelli...» mormora facendomi aggrottare la fronte.
«Ho un fratellastro o sorellastra da qualche parte a Washington DC» replico con una smorfia.
«Non l'hai conosciuto» osserva.
«No.»
«Perché?»
Gli rifilo un'occhiata di striscio. «Non sono affari tuoi.»

Kieran annuisce.
«Hai la faccia di chi ha dovuto affrontare tutto da sola.»
Dice dopo e io mi spiego in un piccolo sorrisetto gelido.
«E tu che ne sai?»
«È per questo che sei una stronza?»

Ispiro profondamente e mi abbandono di spalle contro il sedile tirando su le gambe e incrociandole.
«Sono quello che sono perché non sono cresciuta tra i soldi, amici che ti danno in prestito i loro jet privati e un fratello maggiore che ti salva il culo nonostante tu faccia il verme.»

Kieran abbozza uno strano sorriso e abbassa gli occhi sul tavolo.

«Ho allontanato mio fratello» mormora d'un tratto quasi incazzato e mi ficca quei suoi occhi grigi addosso quasi tranciandomi a metà il cranio.
«Perché ho dovuto. Per il suo bene, ho dovuto. Tu non sai un cazzo di me» conclude serrando la mascella.
Rimango in silenzio per una buona volta quando ricordo le parole che mi ha rifilato al Black Pearl. Nicholas stava per mettere l'FBI addosso a un socio di suo padre e Kieran l'ha fermato.

«Sarà un lungo viaggio...» dice poi dando un'occhiata al finestrino.
Faccio lo stesso senza replicare oltre.

***

Dopo ben diciassette ore di volo arriviamo sulla terra ferma. Ho i muscoli intorpiditi, la nausea che ho provato a tenere a bada con le apposite pillole ma Kieran che non la piantava di mangiare stronzate non ha aiutato di certo, tant'è che alla fine gli ho strappato via le noccioline e ho lanciato la bustina sui sedili accanto beccandomi un commentino poco raffinato da parte sua.

Sospiro pesantemente. Sono sudata, ho bisogno di una doccia e ho fame. Le maledette zanzare però non la smettono di pungermi e io in automatico di schiaffeggiarmi gambe e collo.
Dopo una piccola pausa in un hotel, rigorosamente cinque stelle perché per Kieran il comfort viene prima di tutto, finalmente arriviamo a destinazione.

Ci sono alberi alti nemmeno so quanti metri, parecchi questo è certo; cespugli, sassi in cui inciampo di continuo nonostante il sentiero battuto in pietra che non sembra curato da secoli. Le erbacce sono ovunque, così come queste maledette zanzare.

«Avresti dovuto dirmi delle zanzare» dico avvilita verso Kieran che cammina davanti a me indisturbato, e mi mollo un'altra sberla alla gamba.
«Shh... altrimenti attiri qualche mostro e ci fai mangiare vivi» ordina infastidito.

Alzo gli occhi al cielo che nemmeno vedo per bene per via delle chiome degli alberi che lo coprono. Il sentiero che stiamo attraversando è tutto ombreggiato, probabilmente l'unico lato positivo.

D'un tratto lo sento cacciare un lamento sibilato tra i denti. Distolgo lo sguardo dalla mia destra e gli do un'occhiata. Lo scopro per terra come un verme quale è.
«Maledizione...» mormora.
Trattengo una smorfia di dissapore alla vista di lui che si rialza perché è inciampato nelle sue belle scarpe ultra lusso.
«Maledizione!» ringhia questa volta guardando il palmo che si è tagliato contro una pietra e da cui sgocciola sangue fino ai suoi polpastrelli.

«Cazzo!» sibilo invece io ammazzando un'altra zanzara.
Sospiro e punto gli occhi sulle edere selvatiche che girano attorno al tronco degli alberi come dei veri e propri parassiti. In aria si sente odore piante, erba e muschio che riveste diverse pietre gigantesche nascoste da alcuni cespugli. Non è esattamente così il modo in cui avrei immaginato di andare in Australia.

Nicholas aveva parlato dell'oceano, il sorgere del sole visto dalla spiaggia, di certo non di una sorta di baita nascosta in mezzo alla foresta. Mi sembra a tratti di essere catapultata in uno di quei film di Indiana Jones. E più mi addentro in questo posto meno capisco cosa fosse passato per la testa a Nick quando ha deciso che stare in questo posto fosse una buona idea. Il suo lato da eremita mi inquieta un po', non lo nego.

«Oh, cazzo...» sento e sbatto di faccia contro le spalle di Kieran.
«Ma che diavolo fai?!» ringhio spingendolo via e gli passo di fianco pronta per soprassalto ma mi fermo di getto. Il sangue mi si gela nelle vene.
«Oh, cazzo...» bofonchio a mia volta e indietreggio molto, molto lentamente. Questa volta sono le mie spalle che vanno contro Kieran.

«Shh... non fare rumore» sussurra e gli mollo di sfuggita un'occhiata. Sta fissando a terra, proprio davanti a noi un serpente talmente grosso che fa impressione. Striscia da una parte all'altra del sentiero, le sue squame nere luccicano sotto i bagliori del sole che sfuggono alle foglie degli alberi.

«Che diavolo è quel affare?» chiedo in un bisbiglio con gli occhi sgranati. Non è un serpente. No, i serpenti li ho visti nella riserva naturale accanto al ranch. E quello non è un serpente. Continua a strisciare ancora e ancora e pare fottutamente infinito.

«E se gli passassimo sopra?» propone d'un tratto e sventola la mano sinistra spruzzando il suo maledetto sangue su di me. Mi giro molto lentamente in sua direzione con una smorfia.
«Con un carro armato sovietico?»
Kieran aggrotta la fronte. «Che? No... io dico di scavalcarlo con i piedi.»

No, io non lo farò.

Lui allunga la mano sana e lo indica.
«Guarda, non finisce più e sinceramente ho più paura di cosa ha le gambe e potrebbe sbranarci alle spalle mentre noi aspettiamo che questo mostro si dia una mossa.»

«Va bene» concludo poi e sto in attesa ma Kieran non si muove di un millimetro.
«Cosa?» mi fa confuso.
Gli indico lo stramaledetto serpente.
«Fallo tu» dice con quella sua aria da smorfioso viziato di merda.

«Col. Cazzo» scadisco bene le parole sfoggiando tutta la galanteria di questo mondo. L'ha proposto lui, perciò che muovesse il suo culo da ricco figlio di papà. Se il serpente si gira e lo morde almeno morirà lui e non io. Sono venuta qui con una missione, non per lanciarmi su un mostro dell'Australia.

Lui ispira profondamente e si gratta con nervosismo la fronte per poi girarsi verso di me tutto stizzito.
«Sei texana, no? Voi siete coraggiosi, avanti, muoviti!» ordina beccandosi un'occhiata di traverso.
«Che c'è?!» sibila a bassa voce.

Un fruscio in lontananza fa sussultare entrambi. Ci giriamo da tutte le parti in questo labirinto di alberi e fauna che potrebbe ucciderci da un momento all'altro, e poi ci guardiamo negli occhi come due perfetti imbecilli.
Cazzo, avrei dovuto portarmi dietro la pistola. Ma perché non l'ho fatto? Tanto ho usato un jet privato, mica un aereo di linea...

Kieran si avvicina un altro po' tanto che mi attacca la spalla alla mia.
«Cos'è stato?» sussurra spaventato.
Lo allontano di getto mezza schifata. Non deve starmi così vicino. Mi dà la nausea. E se qualcosa dovesse spuntare dai cespugli per ucciderci vorrei morire lontana dal corpo di Kieran con dignità.
«E io che diavolo ne so?» ringhio a bassa voce. «Tu ci sei stato qui, no? Dimmelo tu» ordino e un altro fruscio ci fa saltare il cuore in gola.

Lui torna con gli occhi su di me.
«C'era sempre Nick con me» taglia corto ed entrambi poggiamo gli occhi sul serpente quando sentiamo il terzo fruscio.

«Fanculo» mormoro tra i denti, mi do la carica giusta e oltrepasso la bestia che sta ancora strisciando sul sentiero.
Kieran resta dall'altro capo, mi guarda, poi guarda il serpente e io gli faccio segno di muoversi.

«Che stai facendo?!» sbraito a bassa voce tanto che le corde vocali mi si riscaldano e vanno in fumo.
Lui si guarda alle spalle e poi torna con gli occhi su di me.

«Sta' zitta!» ringhia sempre a bassa voce e sembra davvero un cretino patentato. Dio mio, ma come può essere il fratello di Nicholas questo tizio? Che diavolo ha che non va in lui?

«Ti vuoi dare una cazzo di mossa?!» chiedo ancora. Lui si agita sul posto, si guarda in giro paranoico e poi ripone gli occhi su di me e poi sul serpente.

«Maledizione... Quando becco Nick gli mollo un pugno in faccia, cazzo!» sibila con sconforto e sventola le mani prima di darsi la carica giusta e sorpassare il serpente.
Non appena me lo trovo vicino come prima cosa lo guardo male, poi schifata e poi mi avvicino al suo viso.

«Tu tocca Nick e io ti lancio in quel fottuto lago dove hai detto che ci sono gli alligatori» ringhio tranciandolo di netto con un'occhiata di fuoco e mi allontano seccata dal suo atteggiamento.

In perfetto silenzio continuiamo a percorrere il sentiero non smettendo di guardarci di lato e soprattutto alle spalle. Forse avremmo dovuto chiedere a un locale della zona di accompagnarci, preferibilmente con un fucile in spalla. E una machete.
E della benzina.
E due granate. Forse anche il C4 insieme a un detonatore a distanza.

«Ma che posto è?»
Chiedo con aria assorta non appena il sentiero finisce e ci troviamo davanti a un piccolo ponte in legno abbastanza rovinato che scricchiola sotto le nostre scarpe. Sotto di noi un lago che sembra più una laguna tanto è sporca in superficie. Degli alligatori non c'è traccia, forse sono dall'altra parte della riva che non è ben visibile da qui. L'acqua verdagnola si espande a vista d'occhio e sparisce in una fitta rete di alberi con i tronchi che sprofondano nella laguna.

Per ogni lato del ponte ci sono dei pali che salgono in su e creano una sorta di finestra attorno alla quale cresce una rigogliosa presenza di edere da cui spuntano anche dei piccoli fiori rosa.
In fondo, invece, si vede il sentiero in pietra che riprende il tragitto in una lieve curva che porta a una veranda completamente i legno come lo sono le fondamenta che si limitano in tanti pali a forma cilindrica che reggono il bungalow in piedi a distanza di almeno un metro dal terreno. Sotto di esso si intravedono delle pietre, cespugli, fiori e fortunatamente nessuna bestia in procinto di saltare fuori e correrci dietro per mangiarci.

Tutto intorno alla costruzione a due piani, tutta in legno scuro, con ampie vetrate oscurate dalle tende, ci sono alcuni pali usati a mo' da illuminazione esterna.

Non appena saliamo sui pochi gradini che portano in veranda do un'occhiata in giro.
Ci sono delle aiuole con dentro delle piante aromatiche, un tubo dell'acqua che sguscia via da un rubinetto attaccato al muro esterno, un paio di stivali in gomma, dei scarponi, e altre cianfrusaglie.

Tiro un profondo respiro mentre allungo la mano verso una pianta di rosmarino che riconosco senza alcun indugio. Ne strappo un pezzetto e lo porto al naso, annusandola. Il profumo della cucina di Nicholas mi torna immediatamente in testa e un piccolo sorriso si pianta sulle mie labbra.

«Bussi o no a quella porta? Avrei bisogno del bagno, una cassetta del pronto soccorso e whisky. Tanto whisky.»

La voce di Kieran mi riporta alla realtà. Gli mollo un'occhiata, trattengo una imprecazione e sposto gli occhi sulla porta.
Non ci credo ancora che sono qui e che dall'altra parte troverò Nicholas. Ho quasi paura di bussare.
Alla fine raccolgo tutto il coraggio necessario e alzo una mano, esito per un istante e infine sbatto le nocche contro la porta in legno.
Attendo col cuore che prende la rincorsa all'indietro. Batte rapido e sempre più a fondo nel mio petto, tanto che il respiro si fa pesante. Deglutisco con forza cercando di tenere i nervi a freno.

«Oh... ma dai!» sbuffa stizzito Kieran alle mie spalle e si avvicina mollando dei pugni contro la porta sporcandola in automatico di sangue.
«Nick! Apri questa cazzo di porta!»

Lo guardo di striscio.
«Vuoi abbassare la voce?! Attirerai qualche bestia del cazzo che si aggira da queste parti!» sibilo a bassa voce.
Lui però non mi degna di alcuna attenzione, anzi continua a battere sulla porta chiamando Nicholas che non si presenta affatto.
E il mio cuore sprofonda direttamente sotto terra.

Le possibilità sono due: sarà in città oppure... No. Non lo accetto. Lui non può aver fatto la stessa fine del padre di Logan.

Alla fine entrambi ci mettiamo a cercare qualche chiave in giro che troviamo sotto uno degli scarponi. Kieran la infila, gira due volte e quello che troviamo è un arredamento molto rustico, tutto sprofondato nella penombra. Dentro zero rumori.
Ci guardiamo in giro entrambi alla ricerca di qualche anima viva, ovvero di Nick, ma dando un'occhiata in tutte le varie zone del bungalow le troviamo completamente desolate. Lui non c'è e il mio cuore si spezza per l'ennesima volta.

«Se è stato qui, è andato via da un pezzo...» mormoro alzando una tazza posta sul tavolo da pranzo accanto la cucina. Dentro ci deve essere stato del caffè, ora quel che ne resta è andato a male con uno strato annerito e ammuffito sopra.

La ripongo sul tavolo con un sospiro.

Kieran in tutta risposta sfila un tumbler, una bottiglia di whisky, si butta su una poltrona e ne beve un sorso. La mano sinistra è fasciata da una garza dopo che è scomparso in bagno per alcuni minuti.
«Che spreco di tempo...» mormora sprofondando nello schienale con aria esausta. Si stropiccia gli occhi con pollice e indice.

I miei, invece, si posano per terra mentre mi appoggio sul tavolino basso del soggiorno e unisco le mani, rimango in silenzio. Non ho forza per dire niente. Vorrei solo piangere, ma non voglio e né posso farlo, non con Kieran davanti a mezzo metro.

«Ehi» mi richiama lui ad un certo punto.
Alzo lo sguardo e lo trovo ad allungarmi il suo bicchiere. Non vorrei ammetterlo ma rimango stupita dalla sua briciola di gentilezza.

Mi limito però a spostare gli occhi altrove. Non posso sfiorare un grammo di alcol, non adesso che sono così giù di morale perché finirei con lo scolarmi tutta la bottiglia di whisky e vorrei farne a meno.

«Forse si sarà nascosto in un altro posto... ma non ne conosco altri» confessa drizzando la schiena e piegando le ginocchia.
«Dovremmo tornare in città prima che faccia buio» si tira in piedi.

Mi passo la lingua sul labbro inferiore che trovo secco e screpolato come sempre e strappo via con i denti la pelliccina.
«Sì» esalo solo e mi alzo.
Pronti ad uscire lo sguardo mi sfugge a qualcosa posto su un mobiletto accanto la porta d'ingresso. Mi ci avvicino, corruccio la fronte e le dita lo afferrano.

«Andiamo?» chiede Kieran.
Alzo gli occhi e lo trovo sull'uscio. Ripongo lo sguardo pacchetto di sigarette.

«Avrei preferito uno spinello, ma questo è meglio di niente...» lo sento dire e si avvicina, rubandomelo dalla mano. Prende una sigaretta, la ficca tra le labbra e apre un cassetto alla ricerca di un accendino che trova e con cui accende.

«Oh... sì, ora va meglio» esala reclinando la testa mentre caccia fuori il fumo.
«Andiamo ora?» chiede dirigendosi fuori in veranda.

Do un altro sguardo al pacchetto.
Nicholas non fuma, quindi questo affare deve appartenere al proprietario del bungalow, quello con i nipoti di cui parlava Kieran al Black Pearl.
Rimetto il pacchetto al suo posto e afferro per un istante una fotografia incorniciata sul ripiano di sopra. Aggrotto la fronte.

«Chi altri sa di questo posto?» chiedo alzando un po' la voce per farmi sentire.
Kieran torna indietro e come di conseguenza da uno sguardo rapido alla foto che reggo in mano.
C'è Nicholas con un berretto in testa, al centro un uomo più anziano, forse sui quarantacinque anni, al massimo cinquanta. Capelli bruni, barba folta, corporatura da ex soldato.
Accanto a lui un ragazzo. Alla sua vista quasi non sento il respiro spezzarsi in gola.

Tutti e tre sono in riva alla laguna, alle loro spalle l'acqua e dalla sponda opposta gli alberi.
«Lui. Chi è?» punto il dito sulla faccia del ragazzo. Occhi scuri, la barba lievemente accennata, alto, quasi quanto Nicholas che gli sta accanto. Veste una felpa. Nera. Con cappuccio. E ce l'ha in testa, gli copre i capelli che credo siano marroni. Le braccia conserte, le spalle larghe... appoggiato al palo della luce qui fuori.

«Uno dei nipoti del proprietario di questo posto» risponde Kieran distrattamente dando un'occhiata fuori e tirando un altro fumo di sigaretta.

«L'hai mai conosciuto?»
«Perché?» corruccia le sopracciglia.

Perché ho un gran brutto presentimento.
«Che tipo è?» chiedo ancora.
Kieran fa una smorfia confusa, evidentemente non capisce il mio interessamento.
«Non so, mica guardo gli uomini, a me piacciono le donne» replica scocciato. Lo fisso inevitabilmente male. Lui sospira.
«L'ho visto l'ultima volta che sono venuto qui ma era un po' più piccolo di così...» picchietta l'indice sulla fotografia e ride lievemente. «Ma quanto cazzo è diventato alto?» domanda chinando la schiena e dandogli un'occhiata più da vicino.

«Aah... gli australiani, si dice che discendano dai vichinghi. Comunque non so, Noah era uno un po' strano...» mormora facendomi aggrottare la fronte. «Non diceva molte parole. Ricordo che una volta con Nick l'abbiamo portato a farsi un giro in città. Gli avevo smollato una ragazza e lui non aveva la più pallida idea di come parlarle. Io sono un pezzo di merda che si droga, ma quello — fa un cenno verso la fotografia — era assai inquietante» ride e il sangue mi si gela nelle vene.

«Ha mai saputo dove vivesse Nick?» chiedo.
Kieran fa una smorfia. «A San Francisco?»
Annuisco.
Lui alza le spalle. «Può darsi, Nick direbbe il suo indirizzo di casa anche a un terrorista... Mio fratello è un po' scemo e parla troppo. Ma perché tutte queste domande?» chiede lui questa volta.

«Niente, magari lui potrebbe sapere dove si trova Nick» dico e... mento.
Non è niente, perché quel tizio, Noah, assomiglia molto, in un modo spaventoso, in altezza, corporatura e abbigliamento al mio fottutissimo stalker.
E se Nick gli avesse detto dove abitava e lui anziché Nick avesse trovato me?
Kieran ha detto che non sa parlare con le ragazze. E infatti lui non parla, non l'ha mai fatto. Ma se ne sta con quella felpa, quel cappuccio in testa, appoggiato al palo della luce a braccia conserte. È lui? E se fosse lui?

«Mhm... ne dubito, però intanto gli fotto le sigarette!» esclama Kieran malefico e prende il pacchetto.

Resto di sasso. Rabbrividisco fin dentro le guance, le punte dei piedi, le dannate ossa.

«Sono sue?» chiedo e quasi mi trema la voce.
Kieran sorride. «Certo che sono sue. Nick non fuma e suo nonno ha una cosa strana ai polmoni.»

Deglutisco pesantemente.

È lui.
Lui che lascia i fottuti mozziconi di sigaretta nel posacenere sul tavolino in stanza da letto. Merda. È fottutamente lui.

Con i brividi a fior di pelle chiudo la porta, rimetto la chiave al suo posto e in procinto di scendere le scale cambio decisione e vado un istante in fondo alla veranda, a destra.
Kieran si gira stranito e poi spalanca gli occhi scoppiando a ridere.
«Wow... Ma che diavolo è quello?»

Tra le braccia, sfioro il metallo nero opaco del fucile e me lo rigiro un attimo tra le mani dandogli una lunga occhiata.
«Un Blaser K95» rispondo con aria assorta. Lo ammiro quasi come se avessi visto l'ottava meraviglia del mondo. Questo esatto modello stava sempre in esposizione dietro il bancone del negozio di armi da fuoco a Wichita Falls. Nessuno però l'aveva mai acquistato.
Troppo costoso. Sui diecimila dollari. Solo una volta ho potuto tenerlo tra le mani quando Joseph, l'addetto alla cassa, sotto preghiera di mio zio me l'ha fatto toccare. Lo ricordavo più pesante. Probabilmente perché avevo a malapena tredici anni.
Tiro indietro le levetta, controllo se è carico e trovo una cartuccia. Sposto gli occhi su Kieran che mi fissa con la sigaretta a mezz'aria mentre sul mio viso si dipinge un sorriso.
Non ho trovato Nicholas, è vero, ma ho trovato questo e Dio... Quanto avrei voluto poterlo usare, sparare un colpo e sentire la potenza del rinculo, l'odore di proiettile fresco di canna e il rumore che fa quando esce, sferza l'aria e si ficca nella preda.

Tolgo la sicura, che arma in automatico la molla principale. Lo imbraccio, metto l'occhio nel mirino con visore a U e punto sul tronco di un albero dall'altro capo della laguna. La visibilità a lungo raggio è talmente vivida e chiara che il mio cuore batte come di conseguenza. Attraverso la lente scorgo finalmente gli alligatori dall'altra parte della sponda della laguna. Sono immersi in acqua, uno è in riva ficcato tra gli alberi.

Lentamente sposto il fucile verso destra, percorro la flora, becco perfino un serpente attorcigliato attorno a un ramo a una trentina di metri di distanza. Lo sposto ancora e questo finisce sulla faccia di Kieran.
I suoi occhi chiari da questa distanza sono più spiritati del solito. Trattengo una smorfia di disgusto.

«Woo... Che... che vuoi fare?» lo sento dire con un sorrisetto nervoso che gli si pianta sulle labbra.
«Puoi togliermelo via dalla faccia?» fa e io me ne sto ferma. Divertente... vederlo così spaventato nonostante non voglia darlo a vedere.
Se solo volessi potrei fargli un buco direttamente in fronte per il semplice fatto di aver osato strozzarmi prima in piscina e poi anche fuori, tanto nessuno riuscirebbe a recuperare il suo corpo, non con tanti alligatori affamati nella laguna accanto che pregherebbero per uno spuntino gratuito.

Un fruscio.
Trattengo il fiato e drizzo le orecchie. Sposto lievemente la canna a destra, alle spalle di Kieran. Guardo nel mirino e corruccio la fronte.
Ma che cazzo...

«Ehi... bel cagnolino...» mormora Kieran con una voce talmente da diabete che mi lascia perplessa. Lo vedo girarsi verso il cane, sventolare la mano fasciata e chiamarlo a sé, mentre quello dall'altro capo del ponte lo fissa senza muoversi di un millimetro.
«Hai visto? C'è un cane!» esclama sorridente verso di me e cerca di chiamarlo facendo dei piccoli fischietti.
«Dai, bello. Vieni, qui. Vieni... vieni qui! Sai, mi ricordi Powder... dai, vieni qui, non ti faccio niente, vieni...» batte le mani cercando attirarlo.

«Allontanati» gli dico invece io. «Indietreggia lentamente e non voltargli le spalle.»
Kieran si ferma di colpo e, da perfetto imbecille, si gira verso di me e gli volta eccome le spalle.
«Di sicuro si sarà perso. Abbassa quel fucile, lo stai spavent... Oh, cazzo!»
Nemmeno il tempo di tornare dal cane che il questo tira fuori i canini e gli corre incontro.

Lo sparo squarcia il silenzio della flora, uno stormo di uccelli spicca il volo spaventato e l'eco ritorna indietro.
Abbasso il fucile, guardo Kieran e lui immobilizzato fissa il cane a qualche centimetro dai suoi piedi dov'è ricaduto proprio quando è balzato un aria pronto per saltargli addosso. Prendo la custodia del fucile abbandonata in un angolo sotto la tettoia in legno, ci ficco dentro altre pallottole e scendo i gradini. Mi avvicino quindi a Kieran mentre do un'occhiata a terra accanto a lui.

«Ma che cazzo?!» strilla sbloccandosi dal momento di trance.
Il cane, invece, guaisce tra i denti. Il proiettile l'ha beccato alla pancia da cui sgorga sangue sul sentiero in pietra battuta e la rende scura, la annerisce.
Cerca di tirarsi su, di strisciare via, lontano, ma non succederà.
Punto il fucile diritto contro la sua testa e senza guardare nel mirino questa volta, sparo di nuovo.

«Cazzo!» esclama Kieran sobbalzando all'indietro. «Ma sei fuori di testa?! Cazzo! Tu sei fottutamente pazza!»

Alzo lo sguardo rifilandogli un'occhiata di traverso.
«Ti stava per sbranare al collo. Lo avresti preferito?» chiedo quindi inclinando di poco la testa.

«E il secondo colpo per che cazzo è stato?!»

Ma è stupido?
«Per mettere fine alle sue sofferenze? Non ho capito... volevi portarlo dal veterinario e mettergli un cerotto?» ironizzo con un sopracciglio alzato.

Kieran mi fissa come se stesse vedendo per la prima volta qualche strana forma di vita aliena. Ha gli occhi sbarrati, la mascella serrata. Lo vedo deglutire senza replicare oltre. E fa bene perché sentirlo strillare mi dà abbastanza fastidio alle orecchie. Dovrebbe inoltre tacere, non si sa cosa si aggira per queste parti oltre quello che ho fatto secco.

Tiro un profondo respiro.
«Quella l'ha attirato qui» indico con un cenno la sua mano fasciata e il sangue che si è lasciato dietro a mo' di briciole da pane in stile Hansel e Gretel, per non parlare di quello che ha spalmato sulla porta.

Do un altro sguardo alla bestia ormai morta. Pelo rossiccio, sembianze di cane, ma non può esserlo, non quando con la canna del fucile tiro su il labbro superiore del muso e scopro i canini, che trovo simili a quelli di un lupo.
«Che diavolo è...?» chiedo con una smorfia per poi puntare gli occhi sul ponte davanti a noi.

«Muoviamoci» riprendo parola e gli sbatto contro il petto la borsa che fa da custodia al fucile. Questo mostro di arma me lo porterò dietro, al diavolo se lo lascio qui o appeso a qualche ramo prima di entrare nella macchina affittata di Kieran che abbiamo lasciato sulla strada asfaltata a un quindicina di minuti di distanza a piedi. Senza perdere altro tempo, vado avanti mentre ricarico il fucile aggiungendo altri due proiettili dalla tasca dei pantaloni.

«Non sappiamo se girano da soli quando cacciano gli idioti come te che lasciano il loro sangue in giro oppure se sono in branco... Non ho mai visto niente del genere, non sembrava nemmeno un coyote...» aggiungo impugnando il fucile pronta per ammazzare un altro di quella sottospecie di cane se ne vedrò uno.

Kieran mi segue guardandosi più volte indietro, laddove c'è il cane stecchito.

«Come sapevi che volesse attaccare?» chiede confuso.
«Ti stava fissando come una bistecca ambulante» taglio corto.
«In Texas vi insegnano a giocare con le armi ancor prima che camminare?» ride lievemente ma con una punta di nervosismo e agitazione che non gli è per niente passata.

Gli mollo un'occhiata.
«Mio padre era un vice sceriffo prima di diventare un agente federale» dico semplicemente. «Probabilmente avrebbe desiderato fossi un maschio...»

«Tuo padre lavora per l'FBI?» fa stupito.
«Già.»
«E allora perché non lo chiami a salvarti il culo da mio padre?»

Preferisco restare in silenzio.

«Mhm... A quanto sembra abbiamo in comune più di quanto pensi» commenta alle mie spalle.
Lo guardo di striscio. «Noi due non abbiamo niente in comune e se lo dici un'altra volta ti sparo accanto all'orecchio e ti perforo un timpano.»
Kieran non sembra impressionato perché continua a blaterare.
«Le nostre famiglie fanno schifo. Tuo padre si è rifatto una vita e non ti vuole tra i piedi mentre io cerco di sbattere in galera il mio. Tua madre che fine ha fatto? La mia è scappata via con un sacchettino pieno di ossicodone» ride sdrammatizzando.

Ispiro a fondo.
«È morta» caccio senza girarci troppo intorno.

Kieran resta in silenzio per alcuni istanti, forse non era ciò che si aspettava di sentire, probabilmente aveva la battuta già pronta con cui schernirmi.

«Mio fratello ti ha scritto una lettera?» chiede dopo un po'.
«Sì» rispondo continuando a camminare. Io davanti e lui a mezzo metro alle mie spalle.
«Ne scrisse una anche a me anni fa.»

Sorrido. «Ah, davvero? E che diceva? "Kieran molla la droga e smetti di fare il coglione?"» scherzo freddamente.
Lui accenna un colpo di risata.
«Anche. Ma principalmente che era stanco, Powder... il suo cane, gli era morto e che con quella Maeve le cose non andavano bene» racconta con fare svogliato.

Corruccio la fronte.
«Perché aveva rifiutato la sua proposta di matrimonio?» chiedo di colpo incuriosita anche se cerco di non darlo a vedere.
Nicholas non mi aveva mai parlato delle sue ex, né tantomeno di quella che voleva addirittura sposare. Forse perché io non gliel'ho mai chiesto e lui dunque non ha voluto aprire un argomento probabilmente morto perché apparteneva al passato.

Kieran cerca di aggirare una pozza di fango e mi affianca lanciandomi un'occhiata.

«Ti ha mai detto perché l'ha rifiutato?» chiede abbastanza divertito.
Alzo un sopracciglio attendendo la grande rivelazione del secolo. Perché mai qualcuno dovrebbe rifiutare Nick? Insomma... è gentile, cortese, cucina molto bene, veste quelle sue camicie da After Party ed è anche fottutamente bravo a letto. Cos'ha che non va?

«Nick faceva di cognome Reed, ma lei non sapeva chi fosse realmente. Quando ha scoperto che era un O'Brien l'ha mollato per via della nostra meravigliosa famiglia.»

Fermo di colpo il passo e lui fa lo stesso confuso. La mia mente, invece, fa una retromarcia prepotente ripercorrendo i ricordi che ho con Nicholas. Il suo motto "La verità è importante", quella volta che mi ha beccata accanto la pasticceria vicino il tribunale mentre prendevo la torta di cioccolato e mandorle a Ethan... e come mi abbia raccontato di getto, senza alcun freno, la situazione della sua famiglia.
"Mio padre è un uomo pericoloso". Mi ha sempre detto ogni cosa, dalla prima all'ultima sulla sua vita ogni volta che io corrucciavo le sopracciglia confusa o curiosa oppure quando gli facevo qualche domanda.

È un vizio che ha sviluppato dopo esser stato mollato da Maeve? Voleva vedere se l'avessi rifiutato e fossi scappata come ha fatto lei? Per questo non la piantava di dirmi ogni cosa, di essere sempre onesto e non dire bugie?
Forse ha imparato dai suoi errori, ovvero aver tenuto nascosto a Maeve di essere in verità un O'Brien.
Mi domando solo se mi avrebbe mai raccontato della sua famiglia ugualmente anche senza l'intervento di Kieran in tutta questa storia. È stato per via sua, quando gli ho visti insieme, se ho scoperto che loro erano fratelli. Nicholas altrimenti me l'avrebbe mai detto di essere figlio di Benedict?
Improvvisamente mi illumino come una lampadina. Con o senza Kieran di mezzo, io l'avrei scoperto ugualmente, proprio a quella festa di Tyler dove lui era consapevole che le persone non sarebbero riuscite a stare in silenzio... è solo che Nick non ne va fiero, per niente di essere chi è e chi rinnega fino allo sfinimento eppure a guardarlo e guardare Kieran e suo padre, loro tre non sono affatto diversi. Certo, Nick è quello più integro moralmente, per il resto suo padre mi dà i brividi mentre suo fratello è un doppiogiochista del cazzo che non vede l'ora di fare affogare l'impero del padre, lo stesso che lo fa vivere nonostante tutto nel lusso e nello sfregio.

Kieran è abituato al suo stile di vita, basta guardare il modo in cui si atteggia, in cui si veste, in cui ha preso una camera in un hotel a cinque stelle pur di stare comodo.
Lo guardo inevitabilmente.

Non gli credo.
La parte in cui ha detto di voler le chiavi della O'Brien Atlantic per farla crollare in mille pezzi. Mi trattengo a stento dal sorridere per il modo in cui mi ha raggirata con la sua bella storia del cazzo.
Può darsi che tutto il resto sia vero, ma mi rifiuto di pensare che Kieran sia pronto ad abbandonare il suo stile di vita. Lui vuole suo padre in galera, è vero, ma perché intende prendere il controllo dell'azienda e muovere i fili come meglio vorrà senza più l'asfissiante presenza di Benedict.

Kieran si apre tutto d'improvviso in uno strano sorrisetto.
«Maeve è un po' come te...»
Corruccio d'istinto la fronte rifilandogli un'occhiata a mo' di "Che cazzo dici?".

«Nella sua famiglia sono quasi tutti poliziotti... Immagina la faccia di suo padre, un Colonnello della Marina Navale, scoprire che la figlia sta con il primogenito di un criminale che veste smoking da diecimila dollari e va in giro a fare affari con gente indagata dall'FBI. Mio fratello se le sceglie con lo stampino evidentemente...» ride e riprende il passo.

Ammutolita, lo seguo dando di tanto in tanto occhiate in giro e controllando che non appaiono altri di quei strani cani.

«Non sapeva fossi figlia di un poliziotto» confesso dopo un po'.
«Forse perché non lo sembri affatto» commenta strappando la foglia di un ramo accanto e si gira verso di me.
«Non te ne frega niente della legge. Tuo padre è uno sbirro, no? E allora dov'è la tua disciplina

Mi spiego in un sorriso freddo.
«Prendo a pugni in faccia chi mi dà fastidio, ecco la mia disciplina» scimmiotto innervosita.

«Tu sei diversa da Maeve» dice poi.
«È un complimento?» chiedo incerta.
«Lei è scappata, tu invece sei qui» indica la foresta con la foglia che regge in mano, «con quello» indica anche il fucile che ho tra le mani, «a cercare mio fratello... Nessuno ha mai fatto tanto per lui...»

Mi astengo dal dirgli che questo avrebbe dovuto essere compito suo, in quanto fratello, perché è questo che dovrebbe fare una famiglia... Ma chi prendo in giro? Mio padre si è dimenticato della mia esistenza. Si è risposto, ha un nuovo figlio, una nuova casa e perfino un nuovo lavoro. Alla faccia della famiglia...

Ricordo ancora la sua chiamata di quando arrivai a San Francisco. Mi disse che è fiero di me e che lo sarebbe stata anche la mamma.
Se mia madre mi vedesse in questo momento non credo affatto che sarebbe fiera di quello che sono diventata, di cosa ho fatto e di cosa farò.

«Sono in questo posto di merda perché mi serve quella chiave» replico.
«Perciò dopo mollerai anche tu Nick come ha fatto la sua ex?»

Lo guardo per qualche istante in perfetto silenzio.

«Dopo...» mi avvicino al suo viso ficcando le pupille nelle sue. «Gli darò un forte cazzotto in faccia e poi me lo scoperò nell'ufficio di tuo padre» tiro su gli angoli della bocca beffarda e riprendo a camminare.

Kieran in tutta risposta se la ride di gusto.
«Carino» commenta e riprende il passo al mio fianco.

O forse anche due cazzotti. Nicholas se li merita entrambi.

Credevo che con questo fucile mi sarei protetta da un ennesimo serpente gigantesco del cazzo che si aggira da queste parti, quando però il vero serpente a cui dovrei ficcare una pallottola nel cranio ce l'ho alle spalle. Fasciato in una camicia da chissà quante centinaia di dollari e con addosso il suo profumo costoso.

Kieran è un O'Brien. E se è capace di fregare il suo stesso padre, questo vuol dire che non ci penserà due volte prima di fregare me soprattutto dopo tutto quello che gli ho fatto.

La nostra bandierina bianca di tregua ora è Nick. Per adesso mi basta, ma per il dopo non sarà più sufficiente.

***

Nella stanza dell'hotel che Kieran ha avuto la brillante idea di ordinare in comune, come se io non esistessi, mi spremo le meningi cercando di capire dove diavolo sia finito Nicholas. Sono seduta sulla poltrona, davanti la vetrata che dà sulla città portuale e nemmeno la bella vista sull'oceano riesce a farmi stare meglio. Questo dannato oceano avrei dovuto vederlo per la prima volta con lui al mio fianco, non da sola... o perlomeno non da sola con alle spalle Kieran O'Brien stravaccato sul letto a pancia in su intento a fissare il cellulare e sorridere di tanto in tanto mentre digita qualcosa sulla tastiera, chiaramente dei messaggi.

Probabilmente starà rompendo le scatole alla cameriera del Black Pearl. Sì, è fattibile.
Quello stronzo credo sia seriamente innamorato e questo me lo fa schifare ancora di più.
Il materasso ad un certo punto si muove e lui appare sulla poltrona accanto alla mia.

«Che ne pensi delle rose rosse?»

Il mio cervello si impalla per diversi secondi. Con la mano a reggere il viso e il gomito sul bracciolo della poltrona guardo Kieran O'Brien ammutolita mentre il pensiero mi sfugge di getto verso il mio adorabile stalker e rabbrividisco fin dentro le guance.

«Come hai detto?» chiedo confusa con una voce nettamente più pacata rispetto a tutte le volte che gli ho parlato. Non sono per niente in vena di litigare, avere battibecchi di qualsiasi genere. Mi sento semplicemente come un guscio vuoto.

«Sono troppo...» lui ci pensa su un attimo. «Romantiche?» chiede con una smorfia mezza incerta.

Alzo le sopracciglia.
«Sono delle rose» rispondo indifferente sospirando.
Lui annuisce riducendo gli occhi in due fessure mentre apparentemente pensa a qualcosa.

«Andiamo a cenare?» propone d'un tratto.

«Non voglio cenare con te.»

Kieran rotea gli occhi al cielo scocciato e si tira su in piedi.
«Come vuoi» dice e se ne va, uscendo fuori dalla stanza. Rimango quindi da sola e torno a fissare l'oceano, e finalmente nella mia solitudine, in privacy, una lacrima scivola via e mi scava la guancia. Il vuoto aumenta tanto da premermi sul petto, tanto da farmi male dentro.

Nicholas, tesoro mio, dove sei?

***

Il viaggio di ritorno lo passo prevalentemente in silenzio oppure addormentata per qualche ora finché una turbolenza non mi sveglia di tanto in tanto, ma soprattutto con Kieran che non la pianta di mangiare altre schifezze e aumentare la mia nausea nonostante le pillole prese per contrastarla.

Quando l'aereo scende sulla pista d'atterraggio e il pilota parcheggia il jet nel capanno insieme agli altri, scendo le scale con lo zaino in spalla, la borsa col fucile smontato in mano e il cappuccio tirato.

Kieran alle mie spalle arriva, mi affianca e in silenzio usciamo fuori raggiungendo la zona del parcheggio delle auto a qualche ventina di metri in lontananza.
Il mio Uber è già qui e mi sta aspettando.

«Beh... è stata una strana esperienza...» sento Kieran mentre mi infilo sui sedili posteriori. Gli mollo una lunga occhiata.

«Le rose sono da primo appuntamento» dico solo e tiro lo sportello facendo segno all'autista di partire.

Le rose sono un mezzo consiglio. Kieran è un povero idiota evidentemente innamorato e non deve avere tante amiche femmine a cui poter chiedere dei pareri. Quella cameriera del Black Pearl deve avergli fritto il cervello più di quanto non l'abbiano fatto le droghe. Ruth.
Le farò visita molto presto così facciamo un po' amicizia. Se Kieran sta facendo il triplo gioco, se intende fregarmi allora io fregherò lui.

Sorrido a malapena.
È innamorato... Ed è talmente invaghito di quella ragazza da essere stato geloso solo perché ho osato sfiorarla con lo sguardo.
Mi dispiace solo per Ruth, essere capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato, perché se sarà necessario io la userò contro Kieran.
Farò ogni cosa in mio potere per salvare me stessa dalla scure che Benedict O'Brien ha alzato sulla mia testa, pronto per mozzarla via.

***

Rientro nel cuore di San Francisco alle sette di sera, un'altra ventina di minuti fino al mio quartiere che si affaccia alla costa e scendo davanti l'appartamento di Nicholas.
Ho una voglia matta di entrare, afferrare quella cazzo di statuetta in ceramica che volevo lanciargli addosso quando mi sono svegliata nel suo appartamento la prima volta, e frantumarla contro una delle pareti.
Sono fottutamente frustrata.

Infilo le chiavi, giro e spingo la porta. Esausta e affamata, premo sull'interruttore accanto la porta d'ingresso e il cuore mi sobbalza nel petto.

Rimango immobile con lo zaino in spalla, gli occhi a terra sulla piccola porzione di corridoio che porta verso il soggiorno e fisso incredula i petali di rose sparsi in giro sul pavimento.
Alla fine mi sblocco dalla trance in cui sono finita e mi passo sconsolata una mano sul viso.
Chiaramente il mio caffè offerto e il bigliettino che gli ho lasciato l'ultima volta sulla sella della mia moto l'ha fatto abboccare. Solo che per stasera non ho alcuna forza fisica e psicologica per affrontare uno dei suoi inquietanti regali.

Chiudo la porta alle spalle e passo affianco al muro che nasconde la cucina. Finisco vicino al divano, mi giro verso il tavolo da pranzo.
Il mazzo di rose è ancora nel vaso e stranamente non è appassito. Mhm... che strano. Sembra fresco, eppure avrà cinque giorni da quando sta lì.

Calpesto i petali che dipingono tutto il pavimento dell'appartamento a quanto pare, e mi avvicino al vaso. Sfioro le rose e difatti avevo ragione. Sembrano fresche perché sono fresche. Quello svitato mi ha regalato un altro mazzo di rose e l'ha infilato nel vaso.

Tra alcune di esse spicca un biglietto. Lo sfilo via.
"Grazie per il caffè. Il rosso ti dona."

Sì, ha abboccato.
Poggio a terra lo zaino, la borsa e mi lascio cadere di spalle contro lo schienale della sedia mentre rileggo un altro paio di volte il biglietto, me lo rigiro tra le dita e alla fine lo abbandono sul tavolo.

Se il mio stalker è chi penso che sia, allora non sa che il rosso mi dona parecchio anche sulle mani. Glielo farò vedere, quando gli spaccherò la faccia e mi ci impregnerò col suo sangue.
Noah. Tutto quadra. Il suo aspetto, la felpa, il cappuccio, le braccia consente e la sua spalla appoggiata al palo, e le sue sigarette.

Mi alzo.
Sfilo le scarpe, tolgo la felpa e mi butto sul divano col coltello accanto, sul pavimento. Finisco con il guardare per un po' il soffitto bianco. Sbuffo e alla fine vado verso uno dei scatoloni, apro quello con i libri e tiro fuori Arsenio Lupin di Maurice Leblanc. Copertina rigida, interamente marrone, una cornice dorata intorno e al centro un'immagine stilizzata di Lupin, dorata anch'essa.

Non l'ho mai letto, nonostante ce l'avessi proprio difronte, appoggiato su uno degli scaffali della piccola libreria in stanza da letto.
Ritorno sul divano, mi ci stendo di spalle e tiro in po' più su il cuscino cercando di stare comoda. Apro il libro, lo sfoglio e dopo un paio di pagine trovo alcune frasi sottolineate.

Un sorriso si dipinge sulle mie labbra.

"Una donna mi guardava... e l'amavo. Capisci tutto quello che c'è nel fatto di essere guardato da una donna che si ama? Il resto m'importava poco, ti giuro."

E poi quello stesso sorriso si attenua. Chissà quand'è che ha sottolineato questa frase, magari quando stava ancora con Maeve Hartman...
Già.

Sospiro e arrivo a fine libro dove ci sono alcune sue annotazioni. Faccio una smorfia divertita davanti ad alcune dove lui critica degli aspetti su trama e personaggi, perfino di testo.
Una tra queste è "C'è un errore grammaticale a pagina 17, riga tre."

Vado come di conseguenza a pagina 17 e trovo una coniugazione verbale errata. Sì, aveva ragione. C'è un errore.

Corruccio le sopracciglia d'improvviso. Gli occhi scivolano in basso sulla pagina, accanto il numero 17 a cui non ci avevo badato troppa attenzione.
Con una matita sbiadita c'è una scritta.

"Se fosse stato", la sua correzione.
Tutto maiuscolo.

La testa si alza lentamente dal cuscino. Il mio cuore prende a battere con prepotenza nel petto, e mi tiro in sedere senza riuscire a staccare gli occhi da quella scritta.
Striscio via dal divano quasi inciampando e raggiungo il tavolo.

Mi pentirò. Lo so che accadrà. Mi pentirò perché sto pensando a una cosa che non ha il minimo senso logico.
Prendo il biglietto con su scritto "Grazie per il caffè. Il rosso ti dona." e lo metto affianco al "Se fosse stato" della pagina.

Un brivido mi attraversa l'intera struttura molecolare, la rimescola, la fa vibrare con una tale violenza che mi smetto di respirare per alcuni istanti.
Sono identiche.

Le lettere. La calligrafia in stampatello maiuscolo. Sono le stesse.

Deglutisco con forza.
No, non ha senso. Non ha il minimo fottutissimo senso.
È una coincidenza, nient'altro. Molte persone scrivono così, lo faceva anche Adrien quando frequentavamo la stessa scuola a Wichita Falls.

No, Ronnie. Non ha senso, quindi non pensarlo.

Chiudo il libro, rimetto il biglietto sul tavolo e vado a dormire. Sono solo stanca, ho bisogno di dormire e mettere a riposo la mia testa. Su quel jet ho dormito poco e male e nella stanza dell'hotel ho preferito farmi un pisolino sulla poltrona che andare sul letto rivendicato già da Kieran.
Mi faceva troppo schifo stendermi là.

Un rumore mi sveglia nel cuore della notte, almeno credo. Tutto intorno a me è buio, il soggiorno è illuminato dai pochi bagliori lunari che arrivano dalle finestre. Qualcosa di morbido si poggia su di me. Con gli occhi assonnati e la mente poco lucida, mi giro su di un fianco e tiro la coperta di più nascondendo metà viso. Mi raggomitolo, portando le ginocchia al petto e ritorno a dormire.
Un istante prima di cedere al sonno qualcosa si muove. Una ciocca di capelli mi viene spostata e un bacio si posa sulla mia tempia.

«Buona notte.»

«Anche a te...» mormoro e sprofondo nei miei sogni, e nel mio sogno ritorno in quella foresta.

*

Davanti la porta del bungalow sto aspettando. Kieran non c'è. Busso un'altra volta e aspetto che lui mi venga ad aprire.
Un rumore. Il mio cuore sussulta. La porta si apre.
I suoi occhi azzurri mi guardano, la piccola macchiolina marrone sull'occhio destro, i capelli un po' scompigliati per via dell'umidità. Addosso ha una delle sue solite camice, solo che questa volta è di lino color crema. Un po'  sbottonata, le maniche tirate come sempre in su per le braccia.

Mi apro in un piccolo sorriso e gli sollevo la bottiglia di vino rosso che reggo in mano.
«Sono ancora in tempo per cena?»

Nicholas si avvicina di un passo, mi prende la bottiglia e alza il mio mento con le dita.
«Sei in perfetto orario, tesoro» sorride dolcemente e posa un bacio sulle mie labbra.

***

Angolo autrice

Mhm... Mhmm. Mhmmm.
Sì, molto interessante. Per il resto Kieran è un idiota e Ronnie ha ragione.

È poco credibile la parte in cui lui vuole distruggere l'azienda. In fondo resta il figlio di Benedict O'Brien.
Chissà quali siano le sue vere intenzioni.

Ad ogni modo: forse sappiamo finalmente chi è lo stalker di Ronnie tu tu ru tu
👀

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro