34 | Seattle com'era?

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CAPITOLO 34
Seattle com'era?

https://www.youtube.com/watch?v=To2HY9i4ePA

Arrivo al Pink Ocean alle cinque e mezza come sempre. Ethan si presenta, mi molla un'occhiata quando mi becca guardare il lampione fulminato al quale si poggia sempre il mio Osservatore e apre bocca.

«Arriverà più tardi. È un vampiro, no? E là fuori c'è ancora luce.»
Mi giro verso di lui con una smorfia.
«Sei un idiota.»

Lui in tutta risposta si toglie la giacca, che sinceramente mi chiedo come faccia a indossare dal momento che è luglio e si crepa di caldo, e mi ci schiaffeggia.
Sbarro gli occhi, fissandolo sbigottita. Lui, come un ragazzino dodicenne cretino, scappa via.

«Ethan!» strillo andandogli incontro pronta per afferrarlo per la testa e strappargli i capelli quando il campanello sulla porta d'ingresso suona.
«Siamo ancora chius-» dico girandomi e mi blocco alla sua vista.
«Oh... ciao» lo saluto stranita nel vederlo qui dal momento che non è di turno.
Logan mi ricambia il saluto chiudendo la porta alle sue spalle.

«Maddy non c'è stasera» sento Ethan, in piedi dietro il bancone del bar.

«Ah...» esalo solo. Logan indica il camerino.
«Vado a cambiarmi» annuncia.

Annuisco solo. Quando sparisce oltre la porta mi volto verso Ethan che trovo a pulire il bancone con una pezza.
«È già tanto che tu l'abbia fatto lavorare qua, non devi metterlo nel mio stesso turno» sibilo a bassa voce poggiando le mani sul bancone.

Lui alza un sopracciglio.
«Non eravate tornati amichetti?» taglia corto con un sorrisetto che non mi piace per niente.
Sì, siamo tornati amici, ma questo non significa che tutte le cose che sono successe tra di noi io le abbia dimenticate o nascoste sotto un tappeto. A volte stare con lui mi crea disagio, soprattutto quando cala il silenzio e non mi viene in testa nessuna battuta geniale da usare per scacciare via l'imbarazzo che mi logora gli organi interni.
Fino a qualche settimana fa io a quel tizio ho fatto un lavoretto di mano nel parcheggio dell'università solo per vendetta e poi lui ha provato anche a baciarmi di nuovo nella sua auto.

Certo che abbiamo messo un punto gigantesco a tutto quello che abbiamo provato ad essere oltre che semplici amici, ma dobbiamo recuperare la confidenza di solo e semplici amici e averlo stasera intorno fino all'orario di chiusura non mi è di alcun aiuto perché mi farà sentire in trappola.

Strappo a Ethan la pezza dalla mano e lo schiaffeggio diritto in faccia. Lui spalanca gli occhi, si riprende la pezza e mi ricambia il gesto, quindi in automatico gli mollo una sberla diritto sul braccio talmente forte che caccia un urletto di dolore e inizia a comportarsi come uno a cui è stato strappato via un pezzo del corpo.

Sbatto teatralmente le ciglia.
«Ma smettila, hai trent'anni. Sei ridicolo» mormoro.
Ethan riduce gli occhi in due fessure, prende dell'acqua dal lavabo del bar e me la spruzza in faccia.
Gli scocco un'occhiata di fuoco e mi avvento su di lui, salendo sul bancone. Lui fa per tirarsi indietro urlando di lasciarlo ma lo afferro giusto in tempo per la sua camicia nera.

«Rifallo» lo sfido.
Ethan riduce gli occhi in due fessure, alza gli angolini della bocca e lo rifà.
Rimango di sasso.
«Ti uccido!» sibilo e mi appendo alle sue spalle, lui cade, io con lui e qualcosa si rovescia e si frantuma per terra. Intanto la porta del camerino di apre e, addosso al mio fratello acquisito e idiota, alziamo entrambi lo sguardo trovando Logan a guardarci confuso per poi spostare gli occhi sul bicchiere in pezzi accanto a noi insieme a un bottiglietta d'acqua mezza vuota.

Ethan la guarda, io la guardo ed entrambi rapidamente ci avventiamo su di essa.
«No!» urla ma l'afferro prima, tolgo il tappo e gliela lancio in faccia.
Lui rimane immobile, io guardo l'acqua che ha tra i capelli e che scivola sul suo viso e poi, d'improvviso, scoppiamo a ridere come due idioti.

«Se mi bagni ancora ti spezzo le mani» lo minaccio puntandogli la bottiglietta contro.
Lui fa una smorfia. «Che schifo. Non voglio bagnarti, sono gay, sciò!» mi sposta con una mano spingendomi via e si china per raccogliere il vetro sul pavimento.

Passo accanto a Logan che trovo con una strana espressione in viso che non ben identifico e vado nel camerino. Afferro il mio grembiule, esco e intanto che raggiungo la porta per girare il cartellino su "Aperto", lo indosso rapidamente allacciandolo.

Il Pink Ocean apre, la clientela arriva e io nel frattempo mi rendo conto di essere troppo presa a muovermi tra i tavoli che badare a Logan il quale sorprendentemente non mi provoca alcun disagio, anzi. Ed è strano.
La prima ora vola e alle sei e mezza in punto do uno sguardo oltre la vetrata.

Lui non è ancora arrivato nel solito posto accanto al lampione.
Il sole estivo sta tramontando e dipinge il quartiere di calde pennellate arancioni, allungando le ombre sulla strada.
Stasera fortunatamente non si muore di caldo come al solito, forse sarà domani che sverrò di nuovo sul pavimento. Il meteo ha annunciato ben quarantadue gradi, ovvero il motivo della mia morte prematura.

Vado a prendere gli altri drink, li metto sul vassoio e passo accanto a Logan che è impegnato ad un tavolo. Lui mi dà un'occhiata, ritorna sui clienti mentre io raggiungo quelli in veranda, nel gazebo del locale.
Poggio sul tavolo le granite, chiedo se hanno bisogno d'altro e proprio dopo aver ricevuto una risposta e pronta per andarmene, mi fermo d'improvviso.

Corruccio la fronte.
«Ehi!» richiamo la loro attenzione. «Che state facendo?»
Mi avvicino alla ringhiera in legno che divide il locale dal marciapiede, sopra le lucine accese e le piante ricadenti.

Uno dei tre ragazzi si volta verso di me. Biondo, un berretto in testa girato al contrario e vestito con una t-shirt e dei bermuda mimetici. Avrà sui venticinque anni, i suoi due amici più o meno lo stesso. Si indica.
«Si, tu e gli altri due» dico mollando un'occhiata agli altri ragazzi. Uno di colore e l'altro che sembra l'incarnazione di Gesù Cristo per via di quei capelli lunghi da hippie che ha in testa.

«Non potete mettere la vostra roba qua» gli faccio ben notare, indicando con un cenno la loro strumentazione musicale.
Un violoncello, un violino e la chitarra. Poi ci sono altre cose che non ho idea di cosa siano o come si chiamino, ma intravedo anche un microfono.

«Sai chi è Veronica?»
La sua domanda mi prende contropiede.
«Come?»
Il ragazzo annuisce mentre mi regala un sorriso che non pare affatto uno a caccia di guai, ma succederà, perché ho uno strano presentimento.

«Lui ha detto che lavora qui» aggiunge subito dopo dando un'occhiata all'interno del locale.
Sento le mie gambe diventare gelatina.
«Lui? Lui, chi?» mi faccio coraggio mentre fisso per qualche istante i suoi amici. Quello di colore fa spuntare una sedia pieghevole, la apre e ci si siede sopra, posizionando il violoncello tra le gambe. Dà un'occhiata al cellulare e si gira verso di noi.

«Ehi, Dean. Due minuti, amico!»

Dean, si volta per un istante e gli alza un pollice, poi torna da me.
«Due minuti per cosa?» chiedo confusa.
«Allora... Dov'è Veronica? Me la chiami per favore?» fa con una gentilezza che mi lascia spaesata.

Quasi non rido.
«Sono io Veronica» rispondo.
Lui spalanca gli occhi e si abbandona in una piccola risatina. Si gira verso i suoi amici.
«Ehi, ragazzi! Eccola! È lei!» mi indica lasciandomi ancora più spaesata.

Loro mi salutano come se fossimo amici d'infanzia a momenti. Stranita alzo una mano, ricambiando il saluto.
«Che state pensando di fare? Qui non potete stare, è una priorità commerciale. Gli artisti di strada non sono ammessi nemmeno sul marciapiede senza un via libera dal titolare.»

Lui sorride. «Non siamo artisti di strada. Siamo qui per te» mi fa un occhiolino che mi lascia sbigottita e se ne va.
Provo a richiamarlo e dirgli di prendere le sue cose, i suoi amici, e volare immediatamente via di qui perché ci sono dei clienti e non voglio che vengano disturbati perché loro sono stati ingaggiati dal mio stalker per farmi una serenata o quel cazzo che è.
So che è stato lui. Chi altri, sennò? Quando lo beccherò nell'appartamento di Nicholas giuro che lo strangolo con le tende della finestra.

Ethan al mio fianco mi affianca, evidentemente sto attirando l'attenzione.

«Ma che sta succedendo?» ride beccandosi in automatico un'occhiata storta.
«Sei il manager, no? Dì loro di andarsene immediatamente» glieli indico con uno sbuffo.

Ethan fa uno smorfia. «No, voglio sentirli suonare.»

Quasi non impallidisco.
«Che?»

Lui annuisce. «Certo che sì. Guarda lì che strumentazione, sarà di migliaia di dollari. Se hanno qualcosa del genere vorrà dire che sono bravi e guadagnano molto, e io non voglio perdermi uno spettacolo completamente gratuito.»

Gli scocco un'occhiata incredula.
«Li ha mandati quel pazzo svitato» gli faccio ben notare.
Ethan se ne sta completamente indifferente.
«Ethan!» lo richiamo con una sberla sul braccio.
Lui sospira stizzito. «Che c'è?! Sta' zitta, streghetta. Guarda, stanno per cominciare» mi scuote per le spalle emozionato.

Lo fisso senza parole. Ha forse dimenticato che noi due qui stiamo lavorando?

Uno strano rombo che inizia a disperdersi in aria mi fa corrucciare la fronte.
«E ora che cazzo sta succedendo?» chiedo ormai esasperata guardando il cielo. Mi sporgo un altro po' sulla recinzione cercando di capire da dove diavolo venga e cosa sia.

«Prova, prova» si sente accanto a me. Quello biondo picchietta sul microfono fissato sulla stecca attirando l'attenzione della clientela.
«Oh... molto bene» sorride e mi guarda, infila una mano in tasca e tira fuori una piccola bustina di carta. Avvicina la bocca al microfono.

«Ciao a tutti! Io sono Dean, e loro sono Rory — indica il tizio con i capelli lunghi — e Simon. E questo è dedicato a Veronica, la ragazza qui presente!» dice indicandomi con la bustina in mano.
Le mie guance vanno immediatamente a fuoco quando mi sento sotto i riflettori come non mai. Ethan mi molla una gomitata emozionato, io lo guardo di traverso.

Dean tira fuori il biglietto nella bustina e lo porta sotto lo sguardo.
«"Ora guarda il cielo e goditi lo spettacolo"» legge, corruccia le sopracciglia perfino lui e gira il biglietto dall'altro lato probabilmente per leggere una firma o un nome, ma non trova niente. Si libera in un sorriso, alza le spalle divertito e rimango spaesata tutto d'un tratto cosa che succede anche alla band.

«Ma che...» mormoro col cuore che mi sussulta contro le costole. Mi ammutolisco di getto e rimango a fissare i petali di rose che cadono dall'alto. Scavalco la recinzione con un balzo e quasi non trasalisco quando la band qui accanto inizia a suonare a tutto spiano e la musica viene amplificata dalla cassa che si sono portati dietro.

Ethan mi guarda e scoppia a ridere come un perfetto idiota quando si rende conto dell'elicottero sopra il nostro quartiere, a una buona manciata di metri da cui stanno piovendo dei cazzo di petali di rose imbrattando ogni pezzo della strada, del marciapiede e cadendomi sopra.

Shape of you di Ed Sheeran versione strumentalizzata, accompagna il tutto. Poggio gli occhi sui tre ragazzi e quello col berretto in testa e il violino tra una pausa di ritmo mi fa un inchino teatrale con la stecca e riprende a suonare, mentre il mio battito cardiaco rieccheggia nelle tempie.

Alcuni clienti del locale escono in veranda o direttamente fuori sul marciapiede. Delle ragazze alzano le mani all'aria cercando di catturare alcune petali, mentre altre si incantano semplicemente tra i fiori e i tre ragazzi che suonano.

Ethan come se fosse la cosa più intelligente da fare scavalca goffamente il recinto, mi viene incontro e mi afferra tirandomi a ballare.
«Non lo farò mai!» urlo accanto il suo viso cercando di farmi sentire.
Lui ride e mi trascina comunque a passo di un ridicolo valzer mentre io mi rifiuto categoricamente.

«Dai! Ammettilo: è folle e meraviglioso allo stesso tempo! Il tuo vampiro stalker è un romanticone a livelli cosmici...» sussurra come una ragazzina liceale accanto il mio viso. Gli rifilo un'occhiataccia, ma per poco perché mi scappa un sorriso esasperato.

«C'è un elicottero, streghetta! Un elicottero!» fa incredulo indicando il cielo. Un petalo gli finisce sulle dita e lui mi fa il solletico al naso beccandosi uno schiaffetto sulla mano.

«Che te ne frega se è stato lui o no! Dai, balla! Guarda, loro lo stanno facendo!» indica una coppia di ragazzi diciottenni.

Alla fine, gradualmente, mi lascio andare e Ethan mi afferra portando entrambi a ballare un lento ritmato con qualche piroetta dinanzi cui rido non potendo credere ai miei occhi e alle mie orecchie.
La musica che suona, i petali che cadono e ormai la strada e tutto il resto è diventata quasi interamente rossa, e la clientela è tutta fuori a gustarsi lo spettacolo dimenticandosi i drink che stavano consumando o aspettando. Indicano i fiori, alcuni ridono e ridacchiano, le macchine che dovevano passare davanti al locale si sono fermate, le persone sono scese e stanno guardando il cielo piovere di rosso mentre il profumo di rose si sta sperdendo nell'aria.
E la strada si riempie di gente che non capisco nemmeno da dove sia spuntata, sicuramente non solo dal locale.
Il pezzo suonato alla fine finisce e ne parte un altro, questa volta con solista Dean, che usa una base già registrata.
Just can't get enough di Black Eyed Peas parte facendo esultare alcune persone.

Con un sorriso incredulo ed esasperato, mi ritrovo a scuotere la testa verso Dean che sorride a sua volta, stacca il microfono e si avvicina a me e Ethan rimasto al mio fianco.

Mi copro istintivamente il viso con una mano mentre lui afferra l'altra e mi tira gentilmente a lui. Cerco di fermarlo ma Ethan mi ci spinge con talmente tanta forza che quasi non cado sul biondo. Dean si lascia scappare un cenno di risata mescolandola con i versi della canzone.

In mezzo alla strada, mi alza la mano nella sua e mi fa fare una piroette. Imbarazzata a livelli che non sono concepibili, rido con la mano sugli occhi. Mi gira attorno in cerchio continuando a cantare mentre le persone ci fissano e io mi sto disintegrando dal caldo e dalla vergogna.

I miei occhi finiscono sulla gente riunita davanti il Pink Ocean, tra tutti scorgo Logan appoggiato alla porta d'entrata. Il suo sguardo intercetta il mio e io alzo un dito verso il cielo. In tutta risposta ride lievemente abbassando il viso.

Poi perdo d'un tratto il fiato quando i miei occhi scivolano in fondo, sulle macchine ferme. In fondo alla strada, oltre le auto, accanto lo svincolo che porta a destra e conduce verso la costa, lui è appoggiato a un'auto parcheggiata lungo il marciapiede. Dietro di sé i raggi del sole basso che gli illumina solo i contorni, il cappuccio tirato come sempre.

Mi saluta.
E il cuore mi trasalisce nel petto. Alza il dito indicando il cielo che guardo come di conseguenza. I petali di rose sembrano fottutamente infiniti e pare non smettano più. Mi domando davvero quante ne abbia usate, ma ancora più importante quanto abbia speso tra i fiori e band.
Se può permettersi una spesa del genere questo significa che non è una persona qualsiasi. Ha i soldi e non si fa scrupoli o problemi a sprecarli per una sconosciuto che l'ha minacciato di morte più di una volta, quindi perché non si comporta come una persona normale e non si avvicina?

Forse è uno con i soldi, ma pazzo. Ce ne sono di persone così. O forse è solo un idiota che pensa bene di fare il misterioso per fare colpo su di me, ma non succederà. Certo, l'elicottero, la pioggia di rose, la band, tutto è molto impressionante, ma io sono fidanzata.

E nessuno dei suoi regali mi fanno alcun effetto. Io lo ucciderò comunque e né i soldi che ha o la persona che è, chiunque lui sia, se è o meno quel Noah, mi fermerà, non dopo che si è infilato nell'appartamento di Nicholas e ha toccato la sua roba.

Lo guardo.
Tu morirai. Molto presto.

***

Indosso i pantaloni neri del tailleur regalatomi da Nicholas, la camicia bianca, sopra un gilet nero, le bretelle in pelle nera che scivolano sulle spalle e mi cingono la zona sotto il seno. Infilo gli anfibi, prendo la giacca e per ultimo il cellulare. Do un'occhiata allo specchio a grandezza intera nella stanza da letto e... mi trovo davanti una persona che a stento riesco a riconoscere come me stessa.

Il rossetto rosso bordeaux mi dipinge le labbra e si abbina alle tracce di rosso sulle punte dei capelli sulla nuca che sbucano come una sorta di fiamme ardenti.
Agli occhi c'è solo una piccola traccia di ombretto nero che mi definisce un po' gli occhi mentre la linea dell'eyeliner me li allunga rendendoli più felini di quanto non sia il mio abbigliamento.

Sono pronta.

Prendo la piccola busta regalo ed esco dall'appartamento con la giacca nera in mano.

Non appena fuori dall'edificio l'aria serale di San Francisco mi sferza il viso e il lieve venticello caldo mi muove le ciocche frontali dei capelli pungendomi il naso.
Passo sotto i lampioni che illuminano il piccolo vialetto di pietra battuta e vado verso il marciapiede accanto al quale c'è il SUV di Nick e vicino la mia moto.

Tiro su il bagaglino, infilo la busta, lo chiudo e do un'occhiata in fondo, dall'altro ciglio della strada.
Il mio Osservatore è qui e mi sta scrutando da lontano come fa sempre.

Dopo i petali sparsi in giro per l'appartamento non si è fatto più rivedere con qualche regalo o bigliettino. Ma immagino che mi abbia fatto visita. Dopo che sono rientrata dal mio viaggio in Australia sono andata a dormire sul divano e il mattino successivo mi sono trovata con una coperta addosso.
Una coperta che io non avevo affatto portato in soggiorno, e come se non fosse già sufficiente il libro di Lupin l'ho trovato sul tavolo accanto al mazzo di rose nel vaso, mentre il coltello al suo posto sulla banda magnetica della cucina.
Mi ha perfino messo in ordine le scarpe, adagiandole l'una accanto all'altra vicino al divano.

Evidentemente vuole rendermi la mia quotidianità più semplice.

Infilo una mano nella tasca, tiro fuori il pacchetto di sigarette e mi appoggio di spalle alla moto, il corpo rivolto in sua direzione.
Accendo una sigaretta, ispiro a fondo la nicotina così da calmare i nervi. Fra una ventina di minuti sarò a Sacramento.
Stasera c'è la festa di compleanno di Logan  e lui ha pensato fosse una buona occasione per conoscere Alec e rivedere Sofia. Il compleanno mi sembra una buona occasione, eppure mi sento agitata.

Sono cambiata molto dall'ultima volta che sua madre mi ha vista. Spero solo di fare una buona impressione, perché anche il mio temperamento è cambiato. Sono successe troppe cose nella mia vita e stanno ancora succedendo, come il mio stalker là in fondo alla strada che mi sta guardando.

Una ragazza sana di mente avrebbe chiamato la polizia, io invece me ne sto a fumare una sigaretta senza il minimo timore. Credo di star diventando un po' immune al pericolo.

Forse Ethan ha ragione, magari quel tizio è un serial killer. Il punto è che non me ne importa un fico secco.
E poi c'è anche Benedict O'Brien tra le varie cose. Un multimilionario con contatti poco raccomandabili e sicuramente criminali che usano le loro aziende per coprire il riciclaggio di soldi o altri reali federali.

Mi viene da ridere il solo pensiero che io sia finita a San Francisco per studiare e la mia unica preoccupazione che mi faceva dare di matto fosse Adrien Monroe e la mia cotta per lui. Se solo potessi tornare indietro nel tempo e vedermi dall'esterno mi darei una sberla per poi dirmi "Abbi un po' di decenza verso te stessa, razza di una cogliona". Già...

Alzo una mano, saluto il mio stalker. Lui alza la sua e ricambia, e io gli alzo un dito medio con un sorrisetto piantato sulle labbra.
Butto la sigaretta per terra, la spengo con la suola e infilo la giacca. Monto in sella, metto il casco e accendo il motore. Il rombo della Kawasaki spezza il silenzio del quartiere e accelero di botto, immergendomi in strada con una derapata che lascia la traccia di pneumatico alle mie spalle.

***

Arrivo alle nove in punto. Busso alla porta. Attendo.
Ad aprirmi è qualcuno che non riconosco. I suoi occhi neri mi guardano, i capelli marrone scuro hanno un taglio corto col ciuffo che ricade sulla fronte e un piccolo accenno di barba gli copre il mento, dipingendo la carnagione abbronzata.
Con la mano ancora sulla maniglia mi lascia una lunga occhiata dalla testa ai piedi. Dietro di lui, dall'interno della casa si sentono delle voci, il rumore della TV accesa, un po' di musica di fondale.

«Buonasera» dice con confusione.

«Chi è?»
La voce di Logan.
Il ragazzo davanti a me resta in silenzio non smettendo di guardarmi, solo quando Logan fa la sua apparsa lui finalmente distoglie lo sguardo e lo punta su Logan fasciato in una semplice t-shirt bianca e un paio di pantaloni da tuta.
Mi vede, io tiro lievemente in su gli angoli della bocca e alzo un po' la busta in carta che reggo nella mano.

«Per te e... dentro ci potresti trovare qualcosa per Alec e Sofia» gliela porgo.
Il ragazzo accanto a lui resta a squadrarci in silenzio mentre Logan si dà una svegliata di colpo e afferra la busta per poi fare un passo sull'uscio della porta.

«Ciao» mi saluta avvicinandosi. Mi accoglie in un abbraccio di benvenuto un po' goffo tant'è che per poco il suo viso non si scontra contro il mio. Inevitabilmente sento le mie guance formicolare per l'imbarazzo. Quando si stacca da un'occhiata un'occhiata frettolosa alla busta.
«Grazie» dice con un piccolo sorriso.
«Di niente, è il minimo» replico schiarendomi la voce, scacciando i piccoli brividi caldi che mi scavano sotto la pelle.

«Oh... sì, ecco, entra pure!»
Lui sembra ricordarsi solo adesso di invitarmi dentro, tant'è che mi scappa un cenno di risata.
Lo ringrazio e attraverso la soglia della porta. Il profumo di cibo è la prima cosa che mi colpisce il naso. Successivamente è il chiasso all'interno della casa che rovista nelle mie orecchie.

«Ti prendo la giacca?» chiede porgendo una mano.
«Mhm... sì, certo» rispondo schiarendomi la voce e me la sfilo via. I suoi occhi cadono come di conseguenza sulla camicia che indosso e poi si sollevano di scatto.

Afferra la mia giacca e mi fa segno verso le scale che portano al piano superiore.
«La metto nella vecchia stanza di Liz, così non prende l'odore del cibo» dice e si allontana mentre io rimango a pochi passi dall'entrata.
Mi sento a disagio. Lo ammetto.

Non so come comportarmi e né dove muovermi esattamente. Nel soggiorno ci sono alcune persone, parenti di Logan immagino, dalla cucina invece si sono rumori di pentole e piatti, e il chiacchiericcio arriva fino a qui. Del bambino non trovo traccia, forse starà dormendo al piano superiore.

«Sei tu la famosa Ronnie?» chiede qualcuno. Mi volto e trovo il ragazzo di prima. Appoggiato allo spigolo della parete a braccia consente non la pianta di farmi una lunga analisi a raggi x e la cosa inizia a darmi sui nervi.

Ho passato diverso tempo a casa di Logan tempo fa eppure lui non l'ho mai visto, probabilmente sarà uno tra i suoi cugini che si sarà trasferito qui oppure che è venuto semplicemente per l'evento della serata. Ad occhio sembra più giovane.

Alzo un sopracciglio come di conseguenza, non capendo la sua domanda.
Lui si stacca dalla parete e mi si avvicina, troppo per i miei gusti, tanto che alzo il mento per guardarlo in viso.

«Cisco ha detto che saresti arrivata. Ti immaginavo brutta... insomma, sai, noi ragazzi non abbiamo amiche, e se le abbiamo è solo perché non ci va di portarcele a letto» fa con aria filosofeggiante. La sua sfacciataggine mi fa quasi ridere.

«Mi respiri troppo vicino. Allontanati.»
Ordino senza battere ciglio.
Lui resta stupito dalle mie parole tanto che ride divertito.

«Sei single?» chiede nonostante tutto senza smuoversi di un millimetro.
Trattengo la voglia di mollargli una testata in faccia.

Inclino lievemente la testa, attendendo che si levi di torno.
Lui sfoggia un sorrisetto. «O sei dell'altra sponda?»

Corruccio le sopracciglia.
«Ti piacciono le donne? E per questo che tu e Cisco siete solo amici?»

Rido per davvero questa volta.
«Ho detto di allontanarti» tiro su gli angoli della bocca rifilandogli un'occhiata glaciale. Non ho tempo per i diciottenni come lui freschi di liceo che credono di poter giocare con me. Non sono affatto in vena per queste stronzate. Sono venuta qui per Logan, non per sentire un moscerino ronzarmi intorno la testa.

«Sei ancora qui?»
La voce di Logan mi fa voltare. Dà un'occhiata a me e al ragazzo che ho davanti, e poi si avvicina.
«Vieni, mamma non vede l'ora di salutarti» poggia una mano sulla mia spalla e in automatico stacco i piedi sul pavimento e insieme ci indirizziamo verso la cucina.

«Lucas ti ha dato fastidio?» chiede Logan accanto al mio orecchio con un forte sospiro.

«No» rispondo.
Le persone che mi infastidiscono veramente di solito finiscono con un braccio spezzato.

«Ignoralo» mi consiglia semplicemente entrando in cucina. I miei occhi scivolano sulle varie persone presenti e poi si fermano su Sofia. I capelli lunghi ad onde raccolti in un ghignon un po' disordinato ma elegante, un po' di trucco, e fasciata da una camicetta azzurrina e un paio di pantaloni beige. Sta parlando con Teresa, la sorella di Logan, poi si volta per un istante e il suo sguardo finisce in nostra direzione.

Il sorriso che aveva in viso si spegne gradualmente e il mio cuore sussulta nel petto. Questa donna si è comportata come se fosse una seconda madre con me. Me lo ricordo bene. La sua gentilezza, bontà e il modo in cui stavamo in cucina e mi insegnava alcune ricette e nel frattempo anche lo spagnolo. Tra risate e lei che riprendeva Logan perché ci dava fastidio e irrompeva in cucina solo per prendermi in giro per via della mia pronuncia e lei come di conseguenza afferrava qualcosa e glielo lanciava contro per farlo smettere.

Teresa sta continuando a dirle qualcosa ma lei non sta più ascoltando. Mi sta guardando incredula. Quindi facendomi coraggio mi avvicino io e ad ogni passo sento le guance bruciarmi per l'agitazione.
Alcune persone presenti si girano verso di me, perfino Teresa. Elizabeth non c'è, forse non è potuta fare un salto da Vancouver.

«Mi amor...» bofonchia Sofia avvicinandosi a sua volta e spiegandosi in un sorriso che ricambio imbarazzata. Mi viene incontro, poggia le mani sul mio viso e mi dà una lunga occhiata che non mi infastidisce affatto. Le sue mani calde, le mani di una madre, mi scaldano il cuore fin dentro le più profonde delle viscere.

C'è chi parla di sentire le farfalle quando stai davanti alla persona che ami. Io credo di sentire le farfalle per lei.
I suoi occhi neri, così simili a quelli di Logan, iniziano a brillare.

«Mírate a ti mismo. Eres così bella como un fiore» dice con aria assorta, metà in inglese e metà in spagnolo. Il suo complimento mi manda a fuoco il viso. Abbasso gli occhi per un istante.
«Buenas noches» la saluto con un tenue sorriso.
Lei caccia un sbuffo d'aria ammaliata e mi tira tra le sue braccia. Le lacrime mi annebbiano di getto gli occhi ma cerco di tenerle a bada per non rovinare il trucco.
Ricambio l'abbraccio e tra le sue braccia mi sento come non mi sentivo da troppo tempo, in una pace differente da qualsiasi altra che abbia mai sperimentato. È come se qui, al mio petto, ci fosse la mia mamma.

«Quando mi hijo disse che saresti passata a casa, yo no le creí... Mi sei mancata, niñita» dice quando ci stacchiamo.
Abbozzo un sorriso girandomi verso Logan che ci guarda con l'ombra di un piccolo sorriso.

«Mira aquí!»
Sofia sfiora qualche ciocca dei miei capelli.
«Pareces una diva de Los Ángeles!» esclama divertita strappandomi una piccola risatina.

«Magari...» mormoro. «Tu, invece, sei veramente bella stasera» la complimento indicando i suoi di capelli. Sofia fa una smorfia alzando una mano.

«Estoy vecchia ormai» ride e nel frattempo si avvicina Teresa che mi saluta con un caloroso abbraccio.
Scambiamo qualche chiacchiera mentre Sofia mi passa di continuo qualche dolcetto preparato da lei dicendomi che mi vede in po' dimagrita e che devo mangiare.

Ficco in bocca il pezzetto di Pan di Spagna al cioccolato e mi pulisco rapidamente le dita dalle briciole restando di spalle al mobile dove al centro è posizionata la TV. Intanto Logan si presenta al mio fianco mentre il soggiorno si sta svuotando e la tavola viene apparecchiata.

«Sai che mi hai dato il regalo ma non mi hai fatto gli auguri?» dice portando le braccia conserte.
Alzo lo sguardo e lo trovo con un'espressione divertita stampata in viso.
Quando me ne rendo conto quasi non sprofondo dieci metri sotto terra.
«Oh...» mi esce soltanto e mi copro il viso con una mano. «Cavolo, scusami...» rido col  nervosismo a fior di pelle.
Lui mi imita. «Nah... non preoccuparti. Lucas ti ha parlato di nuovo?»

Mi guardo come di conseguenza in giro alla ricerca di quel tizio e non lo vedo. Magari sarà fuori, poco prima l'avevo visto uscire con un pacco di sigarette in mano.

«No» rispondo per poi fare una smorfia confusa. «Ma chi è? Non l'ho mai visto a casa tua.»

«Il figlio della nuova compagna di mio zio Ramon. Avrei preferito che non venisse, ma mio zio è qui e voleva presentargli la nostra famiglia. È maleducato, fruga tra le cose senza chiedere il permesso e poco prima ha perfino rubato dell'alcol direttamente dalla bottiglia. L'ho beccato sul retro della casa, dietro il capanno degli attrezzi» scuote la testa con dissenso.

Rido non potendo farne a meno.
«Non sembra avere l'età per bere alcol» osservo.
«Ha compiuti i diciassette anni da poco...»

Mi mordo un labbro cercando di contenere le risate. «Mi ha chiesto se fossi single e anche lesbica» confesso lasciando Logan di stucco.

«Se lo fossi stata, la coppia Nathalie e Kim sarebbe diventata un triangolo amoroso» ridacchia beccandosi una spallata da parte mia.
«Taci» ordino cercando di essere seria.
La mia vita non è stata altro che un continuo triangolo amoroso, e detta francamente ne ho abbastanza. Ho smesso con questo circolo vizioso. Non rifarò mai più lo stesso errore perché non sono più la persona di anni fa. Sono successe delle cose, una tra le quali è qualcuno che ho conosciuto sul mio posto di lavoro, che veste la divisa da poliziotto e che adesso è da qualche parte in Australia. E nonostante tutto, io lo aspetterò, a discapito delle sue parole in quella lettera che mi ha scritto.

«Alec sta dormendo?» chiedo d'un tratto. Da quando sono arrivata di lui non si è visto nemmeno l'ombra.

«Mhm, mhm» mugugna Logan e si gira verso le scale. «Vuoi... vederlo?» propone e sembra di colpo in imbarazzo.

«Non vorrei svegliarlo.»

Lui sorride lievemente. «Ha il sonno pesante, tranquilla. Dai, vieni» mi fa segno. Esito per alcuni istanti ma poi accetto e lo seguo su per le scale fino al piano superiore.
Logan spinge la porta di quella che ricordo bene fosse la vecchia stanza di sua sorella Rosalia, per tutti Rose, dove dormivo di solito quando rimanevo a casa loro.

Il letto, gran parte dei mobili, sono tutti scomparsi. Perfino i muri sono diversi. C'è una carta da parati blu con alcune stelle, in fondo un lettino appositamente per bambini, tutto intorno alcuni giocattoli, peluche e a destra dei mobili probabilmente con all'interno i vestiti e le cose di Alec.

Logan mi fa cenno di entrare. Tiro un profondo respiro e un po' a disagio faccio dei passi cercando di fare il minimo rumore. Mi avvicino al lettino e do un'occhiata al bambino.
Veste una maglietta verde con sopra un anatroccolo e un paio di pantaloncini arancioni. Sta dormendo a pancia in su e i capelli ramati sono tutti scompigliati.

Un tenue sorriso invade le mie labbra. Logan mi raggiunge e si china, tirando la copertina scivolata via e lo copre fino a metà torso per poi restare a guardarlo per svariati istanti completamente assorto. E io fisso lui, appoggiato alla ringhiera del letto tirata su per evitare che dormendo Alec possa scivolare via e cadere.

«Chi l'avrebbe mai detto... tu con un figlio» sussurro sovrappensiero. Sento Logan caccia uno sbuffo d'aria divertito senza staccare gli occhi da Alec.
«È l'unica cosa giusta che ho fatto...» mormora e sposta via una ciocca di capelli ramati dal viso del bambino, che fa una smorfia, si muove un po' e continua a dormire.

«... nonostante tutto» aggiunge e mi dà un'occhiata.

«Ne hai fatte tante di cose giuste, solo che alcune semplicemente non sono andate come dovevano» replico e tiro una sedia, prendendo posto accanto al letto guardando suo figlio.

«Tu sei felice?» chiedo dopo un po' e la domanda prende di sprovvista lui quanto me. Logan si siede sul tappeto accanto la mia sedia e piega un ginocchio poggiandoci sopra il mento.
«Quando sono via e non lo vedo per ore, anche giorni quando Meredith lo porta a casa sua, non smetto di chiedermi cosa stia facendo. Se ha mangiato, se sta giocando, dormendo, o se magari è caduto perché adesso ha iniziato a camminare e Dio... mi spaventa a morte quando inizia a correre» ride lievemente. Abbozzo un sorriso riportando gli occhi sul bambino.

«Mi sento così in colpa...» confessa poi. Aggrotto la fronte.
«A gennaio partirò e non lo vedrò per parecchi mesi. Ho paura che si possa dimenticare di me, della mia voce e che quando tornerò avrà paura di avvicinarsi...»

Istintivamente poggio una mano sulla sua spalla. Lui alza il viso.
«Non succederà» sussurro contrariata muovendo la mano sulla sua spalla.
Lui tira un profondo respiro.
«Non vorrei che facesse la stessa fine che ho fatto io con papà. Lui era sempre via e ogni volta che tornava all'inizio mi sembrava sempre un estraneo. Sapevo che fosse mio padre, ma mancava sempre qualcosa e poi sono cresciuto e lui ha provato in ogni modo di recuperare il tempo perso portandomi in giro...»

«Nel campeggio?» chiedo.
Logan annuisce.
«Gli volevo bene, era mio padre e per me era un eroe... insomma lui andava e salvava le persone, e ne andavo fiero, ma a volte volevo solo che mettesse sul primo posto noi anziché loro» confessa riferendosi alla gente del Medio Oriente.

«Tu non diventerai come tuo padre. Starai via solo un po' finché non completerai il dottorato. Alec è piccolo, probabilmente quando crescerà non si ricorderà nemmeno che per un po' sei stato lontano. E non lo fai perché preferisci qualcun altro a tuo figlio, ma perché è importante per il tuo futuro e il suo.»

Lui alza una mano e la poggia sulla mia che sta ancora sulla sua spalla.
«Grazie per essere qui.»

Sorrido a labbra chiuse. «Figurati.»

Qualcuno che bussa piano alla porta spalancata ci distoglie l'attenzione. Sofia è sulla soglia e ci sta guardando con uno straccio da cucina in mano.
Tolgo come di conseguenza la mano da Logan.

«La cena è pronta» ci informa a bassa voce e silenziosamente si addentra nella stanza, dando un'occhiata a suo nipote.

«Dorme proprio come facevi tu...» ride a bassa voce parlando verso Logan che intanto si tira in piedi e io faccio altrettanto.

Quindi usciamo tutti e tre, Sofia tira la porta lasciandola un po' socchiusa e scendiamo al piano di sotto.
Prendo posto alla destra di Logan. La cena si passa tra alcune chiacchiere, aneddoti, risate e la musica bassa che arriva dal soggiorno.
Mi sembra irreale essere qui ora, pare quasi un sogno ad occhi aperti.

Uno dei parenti di Logan mi versa un bicchiere di vino che io sorseggio a gocce solo per non sembrare maleducata e rifilo la scusa che dopo dovrò guidare, quindi non posso esagerare con l'alcol, nemmeno se è mezzo calice di vino rosso.

«Seattle com'era?» sento chiedere d'improvviso e mi blocco con la forchetta a mezz'aria. Mi giro verso il centro tavola dove trovo Sofia.
Aggrotto la fronte non capendo.
«Uhm?» mugugno in tutta risposta.

Lei sorride. «Seattle. Cisco ha detto che sei andata da tuo padre per questo hai smesso di passare da queste parti.»

Quando più pensavo che le bugie fossero finite, ecco che si ricomincia e mi sento presa in giro per la milionesima volta. Mi giro come di conseguenza alla mia destra, da Logan, che mi lancia solo un'occhiata e sembra più in difficoltà di quanto non lo sia io.
Stento a credere che abbia davvero detto alla madre che io mi sia trasferita per quasi due anni nello Stato di Washington, quando letteralmente vivevo una trentina di minuti da qui, in un monolocale che si affaccia sulla costa, a servire milkshake ai clienti del Pink Ocean.
Non ha avuto nemmeno le palle per dirle che mi ha mollata nel mio momento peggiore, che si è lavato le mani e ha provato anche a ingelosirmi con quella Meredith quando si è presentato sul mio posto di lavoro chiamandola "amore".

«Piovosa» rispondo a Sofia tirando su gli angoli della bocca e mi porto la forchetta in bocca, mandando giù il pezzettino di carne.
«Già... piove ogni tre per due ed è sempre molto umida.»

Non ho la benché intenzione di rovinare la serata, perciò terrò il gioco di Logan finché non sarò fuori da questa casa.
«¿Está todo bien con tu padre?» chiede ancora Sofia.
Serro i denti.
«Certo», una meraviglia, già. Tre anni e mezzo e da lui nessuna chiamata. Vorrei dire ma evito.

Sofia annuisce con un sorriso.
«Sono felice che abbiate risolto. Rimarrai qui?» chiede poi.
Alzo le sopracciglia non capendo.
«A San Francisco, oppure tornerai a Seattle?»

Ah... Seattle. La città che ho odiato da cima a fondo.

«Immagino qui, ho degli affari da sbrigare per un po'.»
Staccare le dita al mio stalker, disarmare Benedict O'Brien e preferibilmente ficcargli la mia spada in gola...

«Lavoro?» fa elettrizzata.

Sì, se così si può chiamare.

«Di cosa ti occupi?»

Beh, una bella domanda. Credo che la risposta corretta sia "di guai", ma sarebbe un po' troppo.

«Cose noiose... a volte viaggio per parlare con delle persone e il resto è solo nausea per il jet leg, stanchezza e mal di schiena» dico, mentendo, almeno parzialmente.

Sofia sembra stupita tanto che le brillano gli occhi.
«Il tuo ultimo viaggio?» chiede con aria sognante.
«Australia» abbozzo un sorriso. Già, il posto dove ho cercato Nicholas rischiando di farmi uccidere da un serpente gigante.

Lei spalanca gli occhi e molla uno schiaffetto a Teresa al suo fianco indicandomi.
«La mia niñita è stata in Australia! E com'è? Hai visto los... como si chiamano... Ah!Canguri! Li hai visti?» mi chiede.

Scuoto la testa.
«Purtroppo gli hotel a cinque stelle non ce li hanno» caccio una piccola risata bevendo un sorso del mio vino. Mi serve.
Oh, sì. Mi serve del cazzo di alcol adesso.

Lei rimane stupita come gli ospiti che stanno ascoltando la nostra conversazione. Non sono mai stata brava a mentire, ma credo di averci preso la mano, probabilmente tutto merito di Logan Price al mio fianco che se ne sta in silenzio.

«Tu novio es di Seattle?»
Corruccio la fronte. I suoi occhi cadono sulla mia mano sinistra, l'anello che porto ancora all'anulare.

«Nicholas è di Richmond, Washington DC» rispondo con un piccolo sorriso, questa volta per niente tirato o falso. Sto parlando di Nick, la parte più vera della mia vita.

«Nicholas... Che bel nombre! ¿Haces el mismo trabajo?»
Scuoto la testa. «No, non lavoriamo insieme... lui è un Marine» rispondo con orgoglio e allo stesso tempo tanta, tantissima sofferenza che tengo per me.
Il sorriso di Sofia improvvisamente le muore sulle labbra.
Già, un soldato proprio come lo era suo marito.

«Era» mi correggo subito. «Ora è in Australia e fa lo chef in un ristorante.»

Almeno spero sia così. Sono state le sue parole nella lettera che mi scritto, spero quindi che abbia finalmente inseguito il proprio sogno.

Lei alza le sopracciglia con stupore e beve un sorso del suo vino.
«Un soldato che fa lo chef... Questa sì che è bella!» ride lievemente con suo accento latino e il sorriso le torna sul viso.

«L'hai conosciuto in uno dei tuoi viaggi?»

«No, stavo solo lavorando a un locale. Turno serale. Lui è entrato e...» mi fermo per un istante abbassando gli occhi sul tavolo mentre il mio cuore inizia a battere più rapidamente. Ripenso al nostro primo incontro, è stato fuoco e scintille. «... e ha ordinato una bottiglietta d'acqua» caccio un cenno di risata mordendomi un labbro.
Ripongo gli occhi su Sofia.

«L'ho preso un po' in giro... un bel po' in realtà» mi correggo subito dopo bevendo del vino. «E lui mi ha chiesto a che staccassi da lavoro... Mi ha chiesto di uscire nonostante tutto. E io gli ho detto di prendere il suo culo da soldato e uscire fuori, minacciandolo. Forse ho un tantino esagerato...» concludo con le guance che mi vanno a fuoco.

Sofia scoppia a ridere.
«Sì... i soldati tendono ad essere sempre un po' troppo diretti. Ricordo ancora come il mio Chris mi abbia...» si ferma improvvisamente. Sembra pensarci su. Poi ripone gli occhi su di me e Teresa al suo fianco poggia una mano sul suo braccio, Sofia le dà un'occhiata e tira un sorriso girandosi verso di me.
«Io ero in un bar a bere un Cuba Libre quando dei soldati erano entrati per festeggiare il fatto di essere tornati a casa tutti interi... e Chris si è seduto accanto a me e mi ha detto "Al mio amico là in fondo piaci un sacco" e poi si è alzando ed è andato nel punto che mi aveva indicato» ride, contagiandomi, e si copre il viso con una mano.

«Era terribile...» scuote la testa con dissenso ma felice, glielo si legge chiaramente negli occhi.
Mi volto per un istante verso Logan che lo scopro a guardarmi.
Beh... chiaramente ora so con certezza da chi ha preso il suo modo strano di corteggiare le ragazze.

«Avete già pensato alla data?»
Sofia mi fa distogliere l'attenzione. Corruccio le sopracciglia.
Lei mi indica la mano.

«Quel anello alla fine verrà sostituito da una fede nunziale.»

Il mio cuore ha un sussulto. In completo imbarazzo tiro su un sorriso.
«E-ecco... No, no. Non... non ne abbiamo mai parlato, cioè sì ma... non-»

«Y mama, vamos... non la mettere in difficoltà!» ride Teresa bevendo dell'acqua.
Sofia le rivolge un'espressione confusa.
«Che ho detto? La niñita alla fine si sposerà, no? Non funziona più così ai giorni d'oggi?» fa e io vorrei tanto una bacchetta magica, formulare una frase e scomparire da questo tavolo.

«Anche se credevo che alla fine sarebbe diventata mia nuora, ma sono comunque felice per lei!» commenta Sofia come se niente fosse. Inutile dire che sbianco come un lenzuolo dinanzi la sua franchezza.

Rimango con gli occhi fissi sul tavolo, col sangue in fiamme che mi sta ribollendo nelle vene fino ai più minuscoli dei capillari. Lentamente mi volto verso Logan che incrocia il mio sguardo e pare nella mia stessa situazione.

Forse è stata una cattiva idea venire qui.
Tra la notizia dell'ultima ora riguardante la mia vita che nemmeno io ero a conoscenza, ovvero il mio trasloco a Seattle, e Sofia che si era fatta i filmini mentali su me e suo figlio voglio solo alzarmi e andarmene via immediatamente.

«Tu, Cisco, l'hai conosciuto su novio? Com'è? È carino? Ha i muscoli?» chiede tutto d'un tratto Sofia lanciandomi uno sguardo talmente equivoco che mi sale il fuoco nelle guance per l'imbarazzo. Teresa ride coprendosi il viso ormai esasperata da sua madre.

In tutto ciò io mi dico un "merda" mentalmente. Non credo affatto che Logan sia la persona più adeguata per rispondere a una domanda del genere.
Lui, infatti rimane in silenzio per diversi secondi finché non si schiarisce la voce, bevendo un sorso di acqua dal suo bicchiere.
«È...» si ferma, mi guarda incrociando il mio sguardo e poi lo riporta sulla madre. «Alto» dice annuendo tra sé e sé.
Alzo inevitabilmente un po' le sopracciglia quasi ridendo per l'unica cosa che è riuscito a tirare su.
«Alto» ripete Sofia corrucciando le sopracciglia.

Logan annuisce di nuovo e alza una mano accanto la sua testa, sollevandola di un paio di centimetri, forse dieci o quindici.
«Sì... alto così, credo» aggiunge e torna attaccato al suo bicchiere d'acqua.
«È sempre stato un soldato?» riprende il discorso Sofie tutta curiosa.
«Dopo il collegio, è passato direttamente all'accademia militare. Per un po' ha fatto il poliziotto» svelo e lei incrocia le mani sotto il mento fissandomi con aria sognante.
«Immagino non abbia la tua stessa età.»

Scuoto la testa. «No, è... un pochino più grande.»

«Ventinove anni?»
È Logan.
Mi volto come di conseguenza verso di lui, aggrottando la fronte, non per la domanda ma più per il tono che ha usato, come se stesse tirando a indovinare quando sa benissimo quanti anni abbia Nick visto che tra lui e Kieran ci sono meno di dieci mesi di differenza.
«Sì» rispondo quasi in un sibilo trattenuto.
Lui alza gli angoli della bocca e ritorna a bere la sua fottuta acqua.

«Ti piacciono quelli più grandi?» chiede qualcuno ridendo a malapena. Sposto inevitabilmente gli occhi su Lucas.
«Preferisco gli uomini ai ragazzini» gli rispondo cordiale con un sorriso ricolmo di veleno.
Lui sghignazza facendo una battutina in spagnolo a bassa voce che non capisco ma so bene che non deve trattarsi di qualcosa di carino, eppure rimango in silenzio tirando un profondo respiro per non alzarmi e spaccargli la brocca d'acqua diritto in faccia.
Ne ho abbastanza.

Tiro fuori il cellulare, fingo di guardare qualcosa e poi mi tiro in piedi.
«Scusate, io ora devo proprio andare... Emergenza di lavoro» taglio corto sventolando il cellulare.

Sofia cerca di ribattere e chiedere di restare un altro po', ma mi invento un'altra scusa, su alcune clausole contrattuali (che a quanto pare funziona davvero meglio di quanto immaginassi), e raggiungo l'uscita pronta per scappare via quando però mi ricordo della giacca al piano superiore, quindi vado in fretta e furia su per le scale.

Non appena la recupero faccio per uscire dalla stanza ma Logan che mi appare davanti mi ferma.

«Mi dispiace molto... Mia madre parla sempre un po' troppo.»

Alzo di getto gli occhi.
«E tu dici un sacco di puttanate» replico lasciandolo di sasso col mio improvviso tono di voce. «Seattle. Ma davvero?» chiedo per niente divertita e faccio per passargli affianco ma mi blocca con una mano.

«Aspetta, io-» fa per parlare. Strattono il braccio con un movimento secco ricolmo di una rabbia che pensavo di aver seppellito, almeno nei suoi confronti.

«Non ti voglio sentire. Io me ne vado» sibilo e gli giro le spalle scendendo in fretta e furia le scale. Infilo la giacca, tiro la porta d'ingresso e attraverso il sentiero che porta fino al vialetto.
Monto in sella, e Logan riappare e si mette davanti la moto.
Alza le mani in aria.
«Io... I-io non sapevo che dirle, okay? Non sapevo che dirle, quindi ho usato la prima cosa che mi è passata per la testa in quel momento, ma-»

«Levati di mezzo» lo interrompo e gli faccio segno di spostarsi ma lui non lo fa. Sospiro pesantemente.

«Possiamo parlare un solo second-»
Giro la chiave e il motore della moto lo ferma.
«È alto» ripeto incazzata col sangue che mi ribolle nelle vene. Lui aggrotta la fronte.
«Potevi tacere piuttosto e non dire niente, ma no!» gli sbraito contro.

«Che avrei dovuto dire?» spalanca le braccia innervosito. «Riempirlo di complimenti? Ma che diavolo?! Te lo frequenti tu, mica io! Ti ho perfino dato quel numero per farti stare meglio, per sapere dove cazzo fosse finito e adesso dici che è in Australia e lo scopro a cena a casa mia! Hai un maledetto stalker come se non fosse già abbastanza assurda come cosa e lui invece? Dov'è? A preparare spaghetti in un ristorante nella fottuta Australia?!»

Rimango di sasso.
«Tu non sai un cazzo» sibilo.

«Certo che non so un cazzo! Non mi parli! Non mi dici niente! Credevo fossimo tornati amici e invece preferisci di gran lunga il tuo Ethan a me! Insomma, ma che cazzo?!»
La sua gelosia verso Ethan mi è nuova tanto che lo fisso come un pesce lesso e quasi non rido per la situazione che si sta creando, ai limiti dell'assurdo.

Logan indica la sua casa.
«E là dentro, invece? Che avrei dovuto dire di Nicholas? L'hai riempito abbastanza di complimenti, mi pare. No? "Oh, lui era un Marine, ha fatto il poliziotto! Oh! Aspetta! Ha frequentato un collegio e adesso... Sì! Adesso fa lo chef! E poi l'ho conosciuto così, abbiamo fatto così, e poi è successo quest'altro"!» scimmiotta ridendo per il nervoso che alimenta solo di più la mia rabbia.

«Sei geloso?! Adesso sei geloso?! Non solo di Nick evidentemente ma anche di Ethan! Ma che diavolo vuoi da me?! Che diavolo vuoi dalla mia vita?!» gli sbraito contro a denti stretti ormai esasperata.

«Forse non elogiare il tuo fidanzato alla mia festa di compleanno, nella mia famiglia e dentro la mia stracazzo di casa!» urla infervorato così tanto che mi lascia di stucco.

«È stata tua madre a fare quelle domande!» gli indico la sua stracazzo di casa. «Se non ti andava bene avresti dovuto aprire la cazzo di bocca e dirle di stare zitta! E ora levati di mezzo» ordino ormai al limite della sopportazione con un gesto di mano.

Lui però è come se tutto d'un tratto si bloccasse a tal punto che la rabbia di poco fa gli scivola completamente via. Mi fissa e sul viso gli compare un'espressione mortificata.

«N... no, no, aspetta, aspetta un secondo, io... Io non volevo dire quelle cose e... Mi dispiace davvero tanto e so che non avrei dovuto e che...»

Scendo dalla moto e gli mollo uno spintone con tutta la rabbia che ho in corpo.
«Vai a farti fottere!» ringhio incazzata con le guance che mi vanno a fuoco. Gli ho detto di spostarsi, non lo voglio più ascoltare.
«Tu! La tua casa! La tua famiglia! Le tue bugie! E la tua gelosia... Dio! Non ti sopporto! Hai capito?! Non ti sopporto quando fai così! Quando ti comporti così — lo indico con le mani che mi tremano per la rabbia — e fai il bambino che piange perché non gli hanno comprato le caramelle che voleva! Sei un viziato del cazzo, Cisco! Ecco cosa sei! Non ti piace non avere quello che vuoi e quindi fai i capricci! Ma cresci un po' porca di quella puttana! Oh, e il tuo famoso contatto telefonico, invece?» chiedo ridendo. «Ficcatelo su per il culo perché tanto non l'ho usato! Perché Tyler aveva detto che Nick fosse morto in Iraq e invece ho scoperto che sta in Australia perché qualcosa, in quel Medio Oriente del cazzo, l'ha traumatizzato! Ecco perché non è qui! Ma tu che cazzo ne sai?! Mhm? Tu? Tu che ogni volta che fai una buona azione poi me la rinfacci! Ogni singola dannata volta me la rinfacci!» urlo a squarciagola e sento le fottute corde vocali andarmi a fuoco.

«E poi? Ah! Già! Poi non fai altro che fare commentini e osservazioni del cazzo sull'età di Nick! Farmi notare che è più grande! Sì! È più grande! È molto più grande di me, e allora?! E allora, cosa?!» sibilo e gli punto un dico contro. «Nicholas non mi mente come invece tu fai! Hai perfino mentito a tua madre! Ma che cazzo ti dice la testa?! Eh?! A tua madre, Cisco! Era troppo difficile dirle che stavo di merda e che tu mi hai mollata come se non valessi più un cazzo?! Mhm?! Oh... ma certo, ti avrebbe reso un figlio di merda e lei si sarebbe chiesta "Ma chi ho cresciuto? In cosa ho fallito?" No, tu hai preferito dirle che mi sono trasferita! Che avessi riallacciato con mio padre quando lui si è dimenticato della mia fottuta esistenza!» mi indico con le lacrime agli occhi per il senso disgusto che mi crea in questo preciso istante. Lui, già. Mi provoca solo schifo. Uno immenso, viscerale. Ha usato qualcosa che mi ha letteralmente distrutta, che mi ha fatto perdere tutto, che quasi mi ha portato al suicidio per salvarsi di fronte alla madre.
Ma che bastardo!

«Perciò fottiti!»
Sputo con le corde vocali che mi bruciano, che mi fanno un male cane. Mi lascio andare in una risata nervosa, isterica. Gli indico la sua casa. «E poi... poi tua madre che pensava davvero che io... tu ed io?» ci indico scuotendo la testa e indietreggio.
«Piuttosto mi ammazzo che mettermi con te e... addirittura sposarti! Ma vattene al diavolo!» esclamo schifata.

Lui resta di sasso. Ma che cazzo si aspettava che sarebbe successo? Che ci saremmo fatti tutti una grande risata sulla nostra situazione? Che avrei detto "Oh, sono sicura che Cisco alla fine troverà qualcuno adatto a lui perché noi due siamo solo amici"?

Nemmeno amici riusciamo ad essere, dannazione. Perché lui mi mente. Ogni volta che finalmente penso che tutto va bene, lui mi mente. Finisce sempre così.

«Ti prego... resta, parliamone e io cercherò di farmi perdonare, troverò un modo, uno qualsiasi, farò ogni cosa tu vorrai, b-basta... basta solo che tu adesso resti qui con me. Non te ne andare» mi viene incontro provando ad afferrare una mia mano ma mi scosto.

«No» dico e me ne torno verso la mia moto.

«Ronnie, ti prego, non... non andare via, io... mi dispiace, mi dispiace, lo ripeterò all'infinito se ce ne sarà bisogno finché non-»

«A me dispiace solo aver sprecato così tanto tempo dietro uno come te» lo fermo infilando i guanti con rabbia, talmente tanta che mi tremano le mani.
«Forse come padre sarai anche bravo, ma per il resto fai veramente schifo, soprattutto come amico» mormoro a denti stretti avvelenata fin dentro l'anima. I miei occhi sono appannati dalle lacrime, mi bruciano, il naso mi pizzica e io voglio solo andarmene via immediatamente da questo posto.

«Ti prego... Ronnie, ti prego, io ti scongiuro: resta. Resta qui, vorrei solo farmi perdonare, vorrei farti capire che non è stato-»

«Levati dal cazzo» ordino perché mi sta proprio davanti alla moto.
«Ti ho detto di spostarti» ripeto col fiato pesante, tremolante. Infuriata, scendo e vado da lui.
«Ti ho detto di spostarti» ripeto ancora spingendolo via.

La mia mano viene afferrata, lui mi tira a sé e succede tutto troppo rapidamente.
Sbarro gli occhi quando mi trovo con le labbra sono sulle mie. Rabbrividisco fin dentro le gambe che mi diventano gelatina. Il respiro mi si spezza direttamente in gola mentre il mio battito cardiaco si è arrestato come di getto.

Solo quando si stacca, il mio cervello si rimette in moto. Lo guardo spiazzata e mia mano si muove come di conseguenza.
Lo schiaffo gli fa girare il viso di lato.

«Ma che cazzo ti dice la testa?» sibilo incredula e indietreggio. Ad occhi sbarrati mi guarda con la mano sul viso proprio dove l'ho colpito mentre il mio cuore batte all'impazzata tanto da sentirlo in gola. Col dorso della mano mi pulisco le labbra. I miei occhi scivolano alla mia sinistra, verso la casa e incontrano quelli di Sofia. Merda.

A qualche passo fuori dall'uscio della porta ci sta fissando, alle sue spalle c'è Teresa, Lucas e qualche altra persone che non riconosco.
Evidentemente abbiano attirato l'attenzione perché noi due non sappiamo fare gli amici ma siamo molto bravi a litigare. Cazzo, litigare ci riesce benissimo.

«Alla faccia dell'amicizia...» mormoro e monto in sella alla moto sotto lo sguardo di sua madre che non ha il coraggio di avvicinarsi. Non so quanto ha sentito, forse abbastanza. Ma non mi importa perché io in questo posto non mi farò mai più vedere perciò fanculo quello che potrebbe pensare della sua niñita.

Non aspetto oltre. Infilo il casco e sfreccio via a massima velocità.
Che idea del cazzo è stata venire qui. Al diavolo lui, il suo comportamento del cazzo, il suo bacio. Diceva di voler essere amici, e mi ha baciata. Al diavolo lui e tutte le sue bugie. Ma come ha osato? Giustificare la mia scomparsa con quello che più mi ha fatto male? Come ha potuto?

Torno dentro l'appartamento con le mani che mi tremano con violenza. Vorrei spaccare qualcosa, sbucciarmi le nocche solo per provare qualcosa di fisico e concentrarmi sul dolore così da tenere a freno tutto quello che sto provando in questo istante.

Merda... ho davvero pensato che qualcosa tra noi fosse cambiato, che stessimo finalmente bene, che le menzogne fossero finite e invece ecco che ne spunta fuori un'altra ed ecco che lui rifà gli stessi errori. Ripercorre ancora e ancora quello che non siamo mai stati, la nostra relazione incasinata, e aggiunge un altro pezzo al suo immenso puzzle di stronzate.

Mi ha baciata.
Perché? Che si aspettava? Che la mia rabbia sarebbe svanita solo perché lui è... cosa? Chi è Logan Price per me? Non lo so nemmeno io più. Oggi ha compiuto venticinque fottutissimi anni e non li dimostra affatto. Non è più un ragazzino, non è più nemmeno la persona che ho conosciuto quando mi sono trasferita a San Francisco per l'università. È diverso, entrambi lo siamo eppure lui evidentemente non vuole accettarlo.

Nel buio sfilo gli anfibi e mi butto sul divano esausta da questa serata di merda.
Lo squillo mi fa imprecare tra i denti. Infilo la mano nei pantaloni, prendo il cellulare e lo attacco all'orecchio.

«Mhm...»

«È qui.»

Corruccio la fronte.
«Mhm?» mugugno confusa.

«Lui è qui.»
Schiudo gli occhi dando un'occhiata allo schermo e la luce mi acceca per un istante.
"Figlio di puttana" mi appare in alto a caratteri cubitali. Kieran.

«Chi?» sospiro pesantemente riattaccando il cellulare all'orecchio.
«Nick è qui.»

Fatico a metabolizzare l'informazione tant'è che resto in silenzio per diversi, lunghissimi istanti.
«Chi?» domando frastornata.

Silenzio.

«Brutta stronza ti vuoi dare una svegliata?» mi sgrida tutto d'un tratto e nel tentativo di allontanare il cellulare questo mi scivola e cade sul divano.

«Cazzo...» mormoro intanto che lo recupero frettolosamente.
«Che cazzo ti urli?» gli urlo a mia volta contro e mi sento una completa deficiente.

«Nicholas è qui. È a San Francisco.»

Silenzio. Metabolizzo. Ancora silenzio e poi sbarro gli occhi e mi alzo di getto. O quantomeno era l'intenzione ma i piedi mi si attorcigliano nella coperta in fondo al divano e cado sul pavimento.

Mormoro una imprecazione, recupero il cellulare e scalcio via la coperta cercando rapidamente le mie scarpe.

«S...sei sicuro? Dove? Dov'è?» chiedo mentre infilo una scarpa. «Aspetta, tu come lo sai?» chiedo subito dopo e cerco l'altra scarpa. Ma dove cazzo è? Alla fine ci inciampo in essa. La infilo e raggiungo la porta attraversando come una furia il soggiorno senza guardarmi a destra e sinistra, e sbatto contro lo spigolo del muro prima dell'entrata. Mi cade di nuovo il cellulare.

Mi chino e mi affretto a riprenderlo per la milionesima volta e nel farlo rabbrividisco copiosamente fin dentro le ossa. Il mio respiro si ferma per qualche istante.
La flebile luce che filtra dalle tende mezze tirate delle due finestre lo illuminano.

In piedi, il cappuccio tirato, è esattamente dietro lo schienale del divano a una manciata di passi.

Lui è qui.

***

Angolo autrice

Mhmm... Beh che dire, tanta roba.

Vorrei prendere a schiaffi io stessa Logan perché è un cretino. Cioè boh non so che gli passa per la testa.

Comunque carina la serenata a inizio capitolo ahaha

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