Capitolo X - Presidenza

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Alma

Dagli altoparlanti sento chiamare il mio nome. Quel diffusore di plastica attaccato al soffitto rimbomba un fastidioso suono metallico interrotto da piccole interferenze. Abbasso le braccia rassegnata, lasciandole sbattere contro i fianchi. Scendo dal tavolo della mensa e inizio a camminare lungo il corridoio prima di raggiungere la stanza della tortura: l'ufficio del preside.

Da dietro sento provenire dei passi pesanti i quali mi incutono una curiosità che mi obbliga a voltarmi. Roan sta correndo nel tentativo di raggiungermi e quando si affianca a me, gli manca il fiato e lo sento ansimare. Senza troppi giri di parole, mi stringe la mano incrociando le sue dita alla mie in segno di consolazione. Dopodiché, mi mostra un sorriso spensierato e mi rassicura facendo piccoli cenni con la testa.

Ci sediamo insieme nella sala d'attesa. La stanza è buia e le sedie grigie e scomode rendono quella piccola camera ancora più inquietante.
Sulle pareti sono appesi dei quadri che raffigurano la dinastia dei presidi della scuola e leggendo i nomi, mi rendo conto che tutti coloro che avevano avuto il posto prima di Reiston erano stati sempre e comunque un Reiston.

Non avevo mai aspettato qui prima d'ora, il preside mi aveva sempre accolto subito nel suo ufficio perciò non mi ero mai accorta dei particolari della stanza, al contrario, oggi non mi sento come le altre volte in cui sono stata qui e neanche il posto sembra essere quello di sempre.

Continuo a guardarmi intorno e noto sempre di più gli aspetti inusuali di quell'atrio: la carta da parati è verde e invecchiata e delle macchie gialle hanno invaso il colore spento, e non è solo l'aspetto visivo che mi porta a immaginarmi quel posto trent'anni prima, ma persino l'odore di muffa impregnato nella vernice del soffitto mi provoca un senso di nausea; non ci sono finestre e la luce è davvero fioca, quasi a farci sentire in un vecchio seminterrato di una casa abbandonata e una miriade di piante, piazzate qua e là sul pavimento scricchiolante, hanno perso il colore vivo e fresco delle foglie, trasformandosi in un colore scuro e malato.

La porta si apre e finalmente uno spiraglio di luce trapela nel buio, facendo probabilmente gioire le piante. Le due stanze ora sono collegate, e alzandomi in piedi riesco a vedere tutto l'ufficio per intero. Reiston, con un delicato gesto della mano e stringendo le labbra, mi invita ad entrare e sedermi, chiedendo gentilmente a Roan di aspettarmi fuori.

Mi siedo di fronte alla sua scrivania mentre lui sta in piedi davanti alla macchina del caffè. Mi chiede se gradisco bere qualcosa, ma rifiuto scuotendo la testa. L'odore della torrefazione dei chicchi di caffè riempie la stanza. Il preside si accomoda e ci guardiamo negli occhi mentre alza la sua tazza e la porta vicino alle labbra. Prende un sorso che tiene in bocca per qualche secondo prima di deglutire. Sbuffa mentre appoggia la tazzina sulla scrivania, poi unisce le mani sfregandole e scrolla il capo.
Mi sento come se fossi davanti a un giudice in attesa del verdetto finale. La sua espressione emana rabbia e preoccupazione. Chiude gli occhi e si avvicina allo schienale della sua sedia in pelle. 'Forza Reiston, finiamola in fretta'. Vorrei dirgli, ma resto muta, in attesa che inizi a parlare.

«Domani inizierai le sedute psicologiche con la signorina Cooper. È giovane e sa capire gli adolescenti come nessun altro.»
Inarco le sopracciglia stupita. «Cosa?!» Alzo la voce.
«Vedrai, ti farà bene. Tutte queste perdite devono aver influito sulla tua salute mentale, i tuoi genitori, anche se non li ricordi. Poi...» Prende aria. «Derek, quello deve essere stato un colpo duro.» Sussurra come se parlando a bassa voce facesse meno male.
«Lei non sa niente. Non ho bisogno di nessuna psicologa e non perderò il mio tempo così.» Lui si sporge verso di me.
«Ho promesso ai tuoi genitori che mi prenderò cura della loro figlia, così come posso, perciò questo è ciò che farai.»

Quella frase mi provoca un senso di bruciore nel petto che sale fino a incendiarmi le tempie, la rabbia prende il sopravvento e mi annebbia la mente non facendomi più seguire una logica. Così, inizio a vomitare parole non curandomi della persona di fronte e del contesto.

Mi alzo in piedi e sbatto una mano sulla sua scrivania.
«Avete preso tutti un sacco di incarichi dai miei genitori, ma sono stanca. Non sono pazza, certo non sarò normalissima, ma di sicuro non psicopatica come quella Eva, lei sì che è pazza. Perciò, fate fare queste sedute spirituali a lei, non a me..»

Sorride. «Non è spirituale.» Mi rassicura.
«Non importa, tutti gli psicologi sono come quelli che bussano alla porta per farti cambiare idea sulla religione.»
Si mette dritto e non accetta più repliche. «Domani sarà la prima seduta e le continuerai finché la signorina Cooper lo riterrà necessario e se non lo farai, non passerai l'anno. La decisione è tua.»

Sbatto lo zaino per terra con le mani sudate dalla rabbia e dalla delusione. Mi asciugo velocemente sul tessuto della gonna mentre delle parole di troppo fuoriescono dalla mia bocca senza volere.

«Quella zoccola...» Il preside si irrigidisce.
«Le parole, signorina Malet.»
Ma ogni discorso che Reiston cerca di farmi, la mia pazienza diminuisce.
«Le parole? Il problema qui è il linguaggio? Ho solo descritto le caratteristiche di Eva.»

Nei suoi occhi noto la delusione e sento il suo tono cambiare come se parlasse a una persona ormai sconosciuta.
«Non ci siamo, per questo le firmo anche due ore di punizione per oggi pomeriggio e se continuo così passerai più tempo a scuola che a casa, Alma.»
Mi allunga un foglio bianco con l'aula in cui dirigermi una volta terminate le lezioni. Lo fisso e non riesco a credere quando leggo che è proprio l'aula di arte, magnifico.
«Perfetto. Farò come dice lei, ma sappia che non ho alcun problema e tutto questo è una grandissima perdita di tempo.»
Mi appoggia una mano sulla spalla.
«Niente è una perdita di tempo se puoi sfruttare il momento per imparare qualcosa.» Annuisco. Non ho più le forze per ribattere.

Dieci minuti prima...

Le aule sono vuote e così anche i corridoi. Un tumulto di persone si ammassa nella sala mensa. Margot, Lance e Corbin corrono verso di me.
Mi indicano l'armadietto di Eva e noto subito un foglio con la dicitura 'assassina' che è stato appeso con un pezzettino di scotch. Mi avvicino e lo strappo via.
«Cosa significa tutto questo?»
«Tutti sanno cos'è successo ieri sera al ristorante in riva al mare, Alma. Se la stanno tutti prendendo con Eva.» Mi racconta Corbin sistemandosi i capelli biondi e lunghi prima di rimettersi il cappello.

Mi incammino verso la mensa, ma la mano di qualcuno mi ferma. Riesco a riconoscere subito quella pelle soffice, ma il tocco questa volta è diverso dal solito, perché è forte e deciso. «Non andare.» Roan mi avvisa caldamente seguito da Lance. La sua voce non concorda con la forza che applica sul mio braccio.

Dei ragazzi ci passano di fianco con dei cartelli in mano con la stessa parola scritta sul foglio dell'armadietto e senza prestare la minima attenzione, spintonano Corbin facendogli cadere gli occhiali.

«Roan, togliti dalla mia strada. Eva non ha commesso nessun crimine, sono io che non so nuotare. È stato un gesto cattivo, è vero, ma questo non la rende un'assassina e non voglio che passi questo tipo di messaggio.»

La sua presa si affievolisce fino a lasciarmi andare. Vedo nel suo sguardo la delusione di una persona che non mi riconosce più. Nonostante io sia sempre quella che difende gli altri, in un'altra circostanza non lo farei per qualcuno che ha tentato di uccidermi la sera prima, ma Eva è appena arrivata, è amica di Dax, la sorella del ragazzo che piace a Margot e non posso lasciare che tutta la scuola pensi questo di lei.

Gli adolescenti non sono cattivi, ma sono annoiati; per capirlo ho avuto bisogno di molto tempo. Ogni novità che attraversa i corridoi della scuola, loro sono pronti ad afferrarla, modificarla e passarla ad altri. Le notizie circolano, vengono stravolte e stravolgono.

Prendo Margot per mano. Intanto Corbin si rimette gli occhiali e ci segue, anche se non credo che lo faccia per me, quanto per la curiosità che lo divora. Roan rimane dietro con Lance, ma senza seguirci.

Mi faccio spazio tra le persone con i gomiti e le spalle. Arrivo in mezzo all'aula e salgo in piedi su uno dei tavoli. Trovo subito quegli occhi color caramello, mi guardano con disapprovazione. 'Non ti preoccupare' gli mimo con le labbra. Lui si avvicina al tavolo e noto subito i suoi capelli morbidi che cadono all'indietro mentre mi guarda e mi chiede di scendere. Eva mi fissa innervosita, non riesce proprio a sopportarmi e vorrei sapere il motivo.

«Scusate.» Grido, ma nessuno mi presta attenzione. «Gente!» Cerco di attirare la loro curiosità, ma neanche questa volta riesco a farmi sentire. Sbatto un piatto a terra e improvvisamente la massa di persone mi guarda.

Il cuore mi batte a mille e le mani mi tremano facendo muovere tutto il mio corpo, non ho preparato un discorso e non so neanche cosa inventarmi.

«Alma, quella quasi morta ieri sera. Vi ricordate?» Aggiunge Margot, facendomi agitare di più. I mormorii mi creano disagio. 'Oh, guarda, è viva. Non è annegata alla fine. La teneva con la testa sott'acqua.' Cerco di distrarmi da quelle voci.

«Eva non è un'assassina, come vedete sono qui e sto bene.» La gente inizia a schiamazzare e a contrariarsi per quello che sto dicendo. «Ok, ok. D'accordo. Ora vi spiego. Non potete trasformare una voce sentita in giro in qualcosa di così pericoloso, rischiate di mettere qualcuno dietro le sbarre.»

Le voci aumentano e anche il volume. Margot sale anche lei sul tavolo.
«Fate silenzio, coglioni, ascoltate.» Urla con tutta l'aria che ha nei polmoni. Le signore che si occupano di riempire i piatti rimangono di sasso con i mestoli in mano.

«Eva non ha fatto niente. Mi sono buttata in acqua.» Non trovo niente di meglio da dire. Non tardano certo a giudicarmi e farmi passare per la ragazza suicida. Un ragazzo urla da un angolo opposto il mio nome e fischia.
Mi gratto la testa senza sapere più come proseguire, ma ormai parlano tutti di altro e l'ammasso di persone si è dissolto, almeno hanno smesso di dire 'assassina'.

Dagli altoparlanti sento chiamare il mio nome. «Alma Malet, ripeto, Alma Malet in presidenza. ORA. E gli altri nelle loro classi. SUBITO.»

Dax mi porge il braccio per scendere. Mi aggrappo e con un saltino sono giù.
«Cosa ti salta in mente? Sei pazza? Per cosa, per difendere Eva? Ha sbagliato.»
Lei lo guarda con la coda dell'occhio, anche se lontana sembra abbia sentito le parole di Dax.
«Sì, ma non ha ucciso nessuno. E ora scusami, ma ho un appuntamento, nel caso non avessi sentito.»

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