Capitolo XI - Ricordi

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Alma

Quando apro la porta per uscire dall'ufficio del preside, incrocio gli occhi color olivina di Roan che è ancora seduto dove lo avevo lasciato.
Mi guarda incalzante nell'attesa che delle parole escano dalla mia bocca, ma sono così arrabbiata e delusa da me, per prima, e dalla decisione di Reiston, che rimango paralizzata.

Rimaniamo in mezzo al corridoio, mentre Roan mi fissa e io continuo a osservare in modo assente il muro dietro di lui, il suo viso diventa sfuocato e l'unica cosa a cui riesco a pensare è Derek. È come una pugnalata ogni volta che il suo nome viene pronunciato. La sera prima è stata realmente devastante, malgrado mi sia sforzata di riprendermi velocemente e non ho manifestato i sentimenti che bruciavano dentro di me, l'acqua non mi è entrata solo nei polmoni, ma ha influito sulla mia mente e sul mio cuore.

Non ho lottato, e lo so. Cercavo i suoi occhi dentro quel mare freddo, tentavo di stringergli la mano e di sentire solo un'altra volta il suo profumo, ma non era lì: Derek non c'è più e ieri sera l'ho percepito, perché quando ho chiuso gli occhi non c'ero più nemmeno io. Ogni speranza è morta in quell'acqua insieme a lui.

«Allora? Non mi racconti nulla?» Sento la voce di Roan come un sottofondo leggero.
«Sono solo in punizione oggi pomeriggio.» Gli faccio sapere distratta.

Non ho voglia di parlare e nemmeno di dirgli che devo andare da uno strizzacervelli.

«Se non ti mettessi sempre in mezzo al gruppo di Dax....» Sbuffa.

In quel istante tutto ciò a cui pensavo prima, svanisce. Corrugo la fronte e sento i nervi a fior di pelle.

«Come, scusa?» Chiedo sperando in una risposta che non avrò mai.
«Quelli non sono come noi. Devi stare lontana da loro invece di metterti nei guai.»

Inizio ad agitare le mani, sento le guance scaldarsi e diventare rosse.
«Margot è la mia migliore amica e io esco quanto voglio con lei, punto numero uno. Dax lo conosco da quando sono nata, punto numero due. E, qualsiasi divergenza ci sia stata tra voi due, non mi interessa.»
Dal suo sguardo intuisco che non ha ancora finito. «Lo dico per il tuo bene, Alma, smettila di fare l'amica di tutti.»

Dei passi pesanti si avvicinano a noi. La velocità con cui Dax prende per la maglietta Roan e la forza con cui lo alza sbattendolo al muro, mi sconcertano perché le sue braccia sono ricoperte da muscoli ben evidenziati, ma che non giustificano la facilità con cui solleva il peso del rosso. Le vene del moro si accentuano sul collo ogni volta che preme sul petto di Roan e la sua espressione è piena di rabbia.

«L'amica di tutti? Dillo ancora se hai il coraggio.» Roan prende fiato per rispondere alla sua provocazione.
«Dax, lascialo! Lascialo! Per favore.» Tento di pregarlo, ma Dax sposta l'attenzione su di me soltanto per un secondo, poi le parole di Roan lo fanno voltare verso di lui. «I patti li sai, rispettali oppure no, ricorda solo che rischi la vita di qualcuno.» Quella frase... L'ho già sentita.

Improvvisamente avverto la testa appesantirsi, il dolore logorante mi sfibra fino a farmi raggomitolare a terra vicino ai piedi di Dax. Lo prego ancora di lasciare andare Roan e di non fargli male. Noncurante delle mie parole continua a rivolgersi al rosso. «Tu devi stare attento a come parli. È come se avessi offeso mia sorella.» Poi si avvicina al suo orecchio. «Non metterei mai in pericolo qualcuno a cui tengo, ma non vorrei neanche che frequentasse uno come te.» La sua mano diventa dei capelli di Roan ed emettendo un piccolo gemito lo lascia scivolare contro il muro.

Porta la mano al petto stringendola con l'altra. Sembra che in qualche modo non abbia più resistito al peso. Nel frattempo il preside Reiston era già uscito dal suo ufficio e ha guardato tutta la scena. Con la sua voce calma fa sapere a Dax che anche lui sarà in punizione oggi pomeriggio, poi rientra senza aggiungere altro.

Improvvisamente mi ricordo la giornata in ospedale. Dax che è venuto a prendermi insieme a Margot, il tragitto in macchina, l'assistente che mi ha preso il sangue e dopo cinque minuti non sapeva più chi fossi. E tu... Voi... Roan ha detto quelle parole. E qualcosa nella mia mente si è cancellato. Stringo forte le tempie tra le mani, il dolore mi costringe a smorfie involontarie.

Il moro si abbassa sulle ginocchia. «Stai bene?» Roan lo sposta e mi alza da terra barcollante, mi prende per mano e mi trascina via. Non ho la forza di andare in classe ora, così chiedo a Roan di andare.
Mi fermo vicino all'armadietto, non voglio che capisca. Una volta che ha svoltato l'angolo, percorro di nuovo tutto il corridoio fino a ritrovare Dax.

«Ho bisogno di parlarti, per favore.»
Lui mi guarda superficialmente. «Alma, vai da Roan. Divento pazzo quando sento certe cose. Perché stai con lui? Lo ami? Perché io non ci credo.»
«Dax, è più importante di quanto credi, io non capisco cosa mi stia succedendo, la testa, dei ricordi.» Non riesco a dire frasi compiute.

Non mi fa finire di parlare, chiude la porta dell'aula e si sposta verso di me portando il suo viso a pochi centimetri dal mio. «Sono stanco di giocare. Metti la tua vita in pericolo con Eva, ti prendi la colpa davanti a tutta la scuola, sei quasi morta e dopo nemmeno un'ora facevi finta di niente, ora Roan ti parla senza un briciolo di rispetto e tu lo proteggi? Sei venuta qua a rimproverarmi per averlo appeso al muro? A essere sincero lo rifarei altre mille volte. Dimmi, rossa, cosa vuoi da me?» Sono immobilizzata e incastrata tra le sue braccia appoggiate al muro. Respiro affannosamente perché averlo così vicino mi fa agitare. Abbasso lo sguardo, non riesco a sostenere il suo. «Io... Io non so perché ho questa fiducia in te. Qualcosa mi dice di credere in te. So cos'è successo in ospedale. Ho dei fortissimi dolori alla testa e ogni volta che quello strazio ritorna, ricordo qualcosa di nuovo, ma non riesco a spiegarmi come ho fatto a dimenticare. Ho bisogno di parlare con te. Tu eri lì.» Gli sussurro.

Scatta all'indietro dandomi finalmente spazio per respirare. Faccio dei profondi sospiri e mi ricompongo. Dax gira agitato per l'aula, si porta la mano alla bocca e si sfrega il mento, poi si gratta la testa e strizza gli occhi. Annuisce e i capelli si muovono graziosamente seguendo la testa. «Vai in classe, per favore. Ti prometto che ti dirò tutto.»
«No, voglio saperlo adesso.» Come se conoscesse il rumore dei suoi passi, Dax apre la porta mentre Lucien passa di lì. Il biondo mi afferra il braccio trascinandomi fuori dalla classe e chiudendo la porta. Mi dimeno liberandomi dalla sua presa. Apro la porta, ma in classe non c'è più traccia di Dax. Dov'è andato? Mi giro verso di lui cercando risposte alle mille domande che ho.

Mi offre la mano. «Andiamo, Alma.» Punto lo sguardo a terra. «Ho bisogno di un po' di aria prima.» Gli dico nella speranza che mi assecondi. Non dice una parola, ma la direzione che sta prendendo mi fa capire che mi sta portando in giardino.

Apre le porte. L'aria fredda mi invade le narici e mi percuote il corpo. Mi tolgo la giacca, voglio sentire di più quei brividi. Mi siedo sull'erba a lato dell'edificio per non farci vedere. Lucien si accende una sigaretta e l'odore mi riporta alla sera prima sul balcone con Dax. Il cuore mi batte forte e un vuoto allo stomaco mi fa piegare leggermente.

Le lacrime mi scendono senza poterle controllarle. Sento il bisogno di urlare, ma il posto non me lo permette. I suoi occhi azzurri si incrociano con i miei. Si piega sulle ginocchia e mi prende il viso fra le mani. «Non piangere, qualsiasi cosa sia, passerà.» Le parole gli escono senza empatia. Porta la sigaretta alla bocca e butta il fumo girando la testa dall'altra parte.

«Perché mi hai portata via? Come fai a farti controllare così da una persona?» Lucien scoppia in una risata maliziosa. «A cosa ti riferisci?» La sua domanda fa sorridere anche me. Possibile che non si renda conto di fare tutto ciò che detta Dax? «A chi mi riferisco, piuttosto.» Lancia via la sigaretta. «Nella tua famiglia c'è qualcuno che comanda più di qualcun altro, è inevitabile, succede in ogni famiglia. Nella scuola in cui siamo andati, ci hanno insegnato a vivere come una famiglia, che non è altro che un gruppo, ogni gruppo ha un capo, sempre. Il nostro era Dax.»
«Il più forte è il leader.» Replico. E lui annuisce.

«Ma ora siete qui. Avete le vostre famiglie accanto. Non avete più bisogno di una guida.» Scuote la testa lentamente cercando le parole. «Ti dirò una cosa che non ti farà stare bene, ma ti farà capire. Sei stata educata dagli zii, hai avuto loro come punto di riferimento da quando hai ricordi. Loro sono i leader. Immagina che domani i tuoi genitori tornino e improvvisamente il tuo capo deve cambiare. Non sarebbe semplice accettare i loro ordini. Io sono cresciuto con Dax. Per me, è lui. Non pretendo che tu sia d'accordo, ma pretendo che tu capisca.» Le sue parole mi trafiggono fino alle ossa. Sento il coltello passare ogni tessuto nel mio corpo. 'Non sai di cosa parli.'

Vorrei chiudere il discorso ma non riesco a non vomitare il dolore che sento dentro. «Ringrazia Dio, il cielo, il destino, la vita e ogni cosa su questa terra, perché tu i tuoi genitori li hai e finché avrai loro sarai sempre di qualcuno, sarai sempre protetto da qualcuno. Dax darebbe la vita per te come farebbero i tuoi genitori? L'amore che loro hanno nei tuoi confronti è incondizionato, è puro. Se domani i miei genitori tornassero, potrei rinunciare a metà della vita che mi rimane, rinuncerei anche a tutta la vita solo per passare un giorno con loro, per poterli vedere, toccare e abbracciare. Sei solo un ingrato che non sa apprezzare ciò che il destino ti ha offerto.» Mi alzo da terra. «Andiamo in classe.»

Nei corridoi Lucien mi sussurra:«Sì.» Mi volto verso di lui non capendo. «Sì alla domanda. Lo farebbe.»

Entriamo in classe, ci scusiamo per il ritardo. Lucien odora di fumo e la prof lo percepisce immediatamente. Cammino velocemente trai banchi per trovare un posto. Bernard si alza lasciandomi il posto vicino a Margot e lui si siede vicino a Lucien.

«Dove diavolo sei stata? Ultimamente sei strana.» Mi confessa. «Ah, io?» Le tiro una gomitata indicandole Bernard con lo sguardo. «Scusami, ma ieri sera dopo tutto quello che è successo non mi pareva il caso di raccontarti quanto io fossi felice.»
«Sarò sempre felice per te, lo sai.» Mi sorride caldamente.

La prof ci fissa e smettiamo di parlare fino a che lei non riprende. «È stato dolcissimo tutta la sera. Si è comportato come un vero gentiluomo. Abbiamo parlato di ogni cosa. Poi mi ha portata a casa e ci siamo baciati. È stato bellissimo, spero solo che non si sia accorto che non ho mai dato un bacio prima.»
«A chi signorina, Duval? Quale bacio?» Ci interrompe l'insegnante. Il viso di Margot arrossisce all'istante. «A proposito, suo fratello non ci degna della sua presenza oggi?» Mi intrometto nella discussione. «Aveva la febbre stamattina, è dovuto andare a casa.» Lei sbuffa. «Margot ha perso la lingua?» I compagni iniziano a ridere.

La prof riprende la sua lezione. «Ho un po' paura.» Mi scrive su un foglio. «Perché?» Lei mi prende il foglio dalle mani. «È amico di Dax, temo che possa essere come lui.» Non so cosa rispondere. La guardo con tenerezza. 'Siamo la media della cinque persone con cui usciamo.' Cito nella mia mente Jim Rohn. Lucien è privo di empatia, Dax è sempre stato uno stronzo fin da piccolo ed Eva è una pazza, non proprio una bella media, ma forse Bernard è colui che alza. Ci sono persone che non si adattano mai alla loro cerchia, eppure ci restano. La paura della solitudine? Io credo di sì. L'abitudine? Anche. Però, quando una persona è totalmente diversa da ciò che sono gli altri che lo circondano, l'unica possibilità che ha, è diventare come loro.

La campanella suona e Bernard si avvicina. «Margot, ti accompagno a casa io.» Poi si volta verso di me. «Hai bisogno di un passaggio, Alma?» Le mie labbra si incurvano leggermente. «Sono in punizione, devo restare altre due ore. Grazie.» Con un colpetto tocco la spalla di Margot. La guardo con una malizia genuina. «Chiamami.» Mima con le labbra.

Entro nella classe dove devo passare le prossime due ore e il preside Reiston è già seduto alla scrivania. «Volevo accertarmi che ti presentassi. E ricordati la seduta dalla psicologa domani.» Sbuffo mentre sbatto lo zaino sul banco. «Questi comportamenti denotano solo che ho ragione a pensarla così.» Le sue parole mi irritano. «No, denotano che sono stufa che lei non mi creda.» Si avvicina a me con dolcezza. «Alma, andare dallo psicologo può essere istruttivo, per crescere la tua persona e non ci andrai perché sei pazza, ma per evolvere il tuo essere interiore.» Riesce ad ammorbidire i miei sentimenti. «Sì, signore.»

Si volta per uscire dalla classe, ma lo interrompo. «Dax, non viene?» Mi guarda incuriosito. «Dax? Lui non ha alcuna punizione.» Alzo le sopracciglia rimando basita. «Preside, era davanti a me quando ha deciso, cosa le ha fatto cambiare idea?» Rimane in silenzio per qualche secondo. «Hai ragione, non dovevo cambiare idea.» Sorrido nel sentire la sua replica.

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