Capitolo XII - Grido d'aiuto

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Dax

La strada verso casa di Alma non sarebbe poi così lunga se usassi la velocità soprannaturale che possiedo, ma passeggiare assorto dai miei pensieri è una della cose che più mi manca.

Quando smetti di essere te stesso, si perdono nel tempo anche le piccole cose che un giorno ti rendevano felice, lasciando spazio solo a ricordi lontanissimi.

Alla fine, per ricordami chi ero, decido di camminare a passo lento, mi guardo intorno e noto che gli alberi hanno ricoperto di foglie gialle e arancioni la strada. Ammiro il cielo tanto chiaro per una giornata d'autunno, le nuvole bianche si mescolano tra di loro creando una distesa soffice.

Per la prima volta dopo tanto, mi accorgo del ticchettio dell'orologio, un rumore ostinato, secco e regolare che ricorda lo scadere del tempo, ma in realtà, quanto ne abbiamo? Una domanda che ci poniamo spesso pur sapendo di non poter avere la risposta, fino al giorno in cui finisce. Io però lo so, il mio tempo è illimitato, immenso, un filo che può essere tirato per sempre, un libro dove le pagine non terminano mai, una penna da cui l'inchiostro esce ininterrotto, così come il sangue sporco scorre nelle mie vene, incessante.

Il desiderio di una fine certa mi fa sentire un ardore che mi attraversa tutto il corpo. Stringo le mani a pungo e lascio scivolare ciò che mi è stato tolto e che non potrò riavere mai più. Mi passo una mano tra i capelli levando via le goccioline di sudore.

Calpesto il cemento meticolosamente e guardandolo mi rendo conto che in tutti questi anni non è cambiato davvero niente, le case sono le stesse, tutte simmetriche e dello stesso colore, in cui vivono le stesse persone, che poggiano i piedi sulla medesima strada, che porta nei soliti luoghi. Il parco alla mia sinistra attira la mia attenzione e ripenso ai giorni della mia infanzia, quando giocavo con Margi. Mi addentro e mi siedo sull'altalena, proprio come la ricordavo. Dondolo come se avessi ancora cinque anni, mi sento spensierato e felice.

Siamo tutti così attratti dal passato, come se fossimo tenuti da una calamita, stretti a quello che abbiamo vissuto e invece così lontani dal futuro, incuranti di costruire un mondo più bello di quello che è stato. I ricordi ci tengono prigionieri, quelli felici e quelli tristi. La felicità, nella sua limitatezza, rimane a lungo dentro di noi, facendoci sperare in altri momenti di gioia. La tristezza, che per quanto duri quanto la felicità, rimane in eterno. La paura ci porta nel passato, a voler ripercorrere la felicità e a evitare la tristezza.

La cosa più contrastante della mi trasformazione sono sicuramente le sensazioni. Una creatura maligna, portata a perdere tutti i sentimenti, tranne la malvagità, che però sente tutte le emozioni amplificate, anche quelle più compassionevoli.

Davanti a casa di Alma penso alle parole più giuste da dire, agli sbagli che ho commesso e alle giustificazioni che posso proporre. Busso alla porta e la sagoma di Edith è come un colpo che mi fa tremare le gambe.

Solo oggi è stata dimessa  dall'ospedale e le sue condizioni sembrano già essere peggiorate. A stento si regge in piedi, mentre Michael la sostiene accarezzandole il braccio. Mi fa cenno con gli occhi di entrare, faccio un passo lungo e mi blocco subito dopo aver passato l'ingresso. Il corpo respinge ogni odore di quella casa, il sudore mi ricopre la fronte e la maglia si inzuppa di tutte le insicurezze che mi sono portato quando ho oltrepassato quella soglia. Faccio scivolare le mani sui pantaloni per asciugare i palmi. Qualcosa mi spinge verso l'esterno della casa.

All'improvviso la pelle si raggrinzisce, sento freddo e un brivido mi percorre la colonna vertebrale. Edith mi accenna un sorriso debole mentre regge la mano di Michael.

«Sei tale uguale a tuo zio.» Mi confessa.
«Non ho mai conosciuto mio zio...»
«Basta una strega, anche debole e malata come me, e siete già scombussolati.» Professa sedendosi sul divano e continua
«Siediti pure anche tu, non ti posso più fare niente, ormai.»

Mi gratto la testa e mi avvicino, prendo una sedia e mi metto di fronte a loro. La tensione si smorza e finalmente riesco a dire le prime parole. «Quando eri all'ospedale Alma ti ha donato il suo sangue che pareva averti salvata, ma ora, non so cosa sia successo, lei ricorda ogni cosa, nonostante io...» Scuote la testa in segno di disapprovazione.
«Sei stato in una scuola privilegiata per farti insegnare quello che sei e non ti hanno detto nulla.» Gli occhi di Edith sono stanchi, parla a fatica e le mani le tremano appoggiate a un bastone.
«Sono malata, Dax. Sono stata investita, è vero, qualcuno ha cercato di uccidermi per rendere Alma vulnerabile e senza protezione, probabilmente non sapendo della mia malattia.» Tossisce.

Michael si alza e le porta un bicchiere d'acqua. Mi chiede gentilmente se desidero bere qualcosa, rispondo di no e ringrazio.

«Purtroppo Dax, la malattia che mi porto dietro è una condanna. I poteri mi sono stati tolti e non riesco più a controllare nemmeno quelli di Alma.»

La fisso negli occhi con tristezza perché so quanto ha cercato di tenere sua nipote lontana da questo mondo e per tutti questi anni ci è riuscita. L'ha protetta come solo una mamma farebbe.

«Non voglio dirle che sto morendo, Dax. Il dolore sarebbe troppo straziante per lei. Ha subìto così tante morti che non so nemmeno come affrontare il discorso. Ho pensato di avere abbastanza tempo per poterla proteggere, per poterle spiegare, abbastanza affinché potesse scegliere lei cosa fare con il suo dono, ma, come succede sempre, ciò che pianifichi non è mai ciò che accade.»

Prendo aria, mi porto la mano alla bocca, serro le labbra e cerco di essere razionale.
«Edith, non puoi nasconderglielo, non se lo merita, non è giusto. Credo che saperlo le farebbe meno male che svegliarsi un giorno e non trovarti più. Non farle questo.»

I suoi occhi diventano lucidi e una lacrima si trascina sulla guancia fino a toccarle il mento. Il suo respiro diventa sempre più affannoso e una sola lacrima si trasforma in un pianto liberatorio e un grido disperato d'aiuto, nello stesso modo in cui una goccia diventa pioggia.

Vorrei avvicinarmi e abbracciarla, ma purtroppo le nostre nature differenti ci impediscono di toccarci. Si asciuga le lacrime con il dorso della mano e riprende a parlare.

«Voi due dovete stare lontani l'uno dall'altra. I vostri destini sono separati da un filo molto sottile, una volta spezzato non si torna indietro. Scatenerete guerre che porteranno a molte morti. Non fare lo stesso errore di tuo zio, Marcus. Lo so che l'attrazione ti spezza ogni giorno, lo so che un vampiro sarà sempre attratto dai poteri di una strega e una strega sarà sempre allettata dalla forza di un vampiro, esseri complementari, ma obbligati a rimanere separati, per sempre. La ucciderai altrimenti, Dax.» Mi ferisce con le sue parole taglienti.

«Non voglio farle alcun male.» Mi alzo sgarbato dalla sedia.
«Sono solo venuto perché non so come gestire questa situazione e mamma e papà non mi aiuterebbero.»
Un sorriso ironico le si disegna sul volto.
«Alma ha il diritto di sapere la verità.» Ribatto velocemente per concludere la frase.
Edith si alza in piedi, lasciando cadere il bastone a cui si aggrappava fino a poco prima, ma Marcus prende la parola, non dandole il tempo di rispondermi.
«Ma non sei tu quello a cui spetta il compito di dirlo. Stai lontano. Sai qual è la maledizione che incombe sulle nostre famiglie, non fare soffrire chi ti ama e non fare soffrire Alma. Vivi la tua vita lontano da lei, da noi, dalla nostra famiglia e dai Malet.» I suoi occhi si trasformano in un colore sabbia bruciata.

Il repulso che mi crea mi spinge verso la porta d'ingresso. Quando Michael finisce di parlare si gira verso Edith e le sue sclere tornano finalmente del loro colore naturale. Indietreggio non distogliendo lo sguardo fino a sbattere contro la parete.
«Cerco di proteggerla esattamente come voi.»

Apro la porta e mi volto per uscire quando la voce di Edith mi interrompe di nuovo.
«Allora stai lontano dalla nostra famiglia.»

Esco e chiudo la porta sbattendola alle mie spalle. Il loro discorso è un martirio che diventa un circolo vizioso nella mia mente. Mi aspettavo condiscendenza e ho ricevuto l'esatto contrario, intransigenza. Questa volta la strada di ritorno non mi crea più ricordi piacevoli, ma solo rancore. La mia vita è scritta da qualcuno che è vissuto prima di me, che non ha accettato la nostra natura. Gli esseri umani tanto quanto quelli soprannaturali hanno sempre cercato la libertà, ma quando hanno avuto la possibilità di ottenerla qualche altro essere si è opposto.

Nel mondo non vice l'indipendenza, ma la sottomissione. Le creature hanno sempre voluto governare, il più forte sul più debole. La pace non esisterà mai, non saremo mai liberi finché non troveremo l'armonia di vivere tutti insieme, uguali, forti e fragili, emancipati gli uni dagli altri, questa è la vera libertà.

Penso a cosa dire quando mi presenterò davanti a lei, la curiosità la annebbierà e mi porrà domande continue e io starò in silenzio e quella incomunicabilità ucciderà entrambi. 'Sai, dobbiamo stare lontani. Sei destinata a un mago.' Mi riderà in faccia. Fanculo, non so cosa dirle. 

La rabbia mi annienta e le vene si colorano di rosso sangue e si diramano in piccole striature su tutto il corpo. Mi fermo e appoggio le mani a un muretto, mi sorreggo mentre il mio corpo cambia da umano a essere della notte. 'L'autocontrollo, Dax, autocontrollo. Non vuoi ferire nessuno.' E invece lo voglio con tutto me stesso. Voglio ferire chiunque abbia imposto queste leggi sulla natura e chiunque le abbia accettate.

Il desiderio di uccidere mi tormenta l'anima e tutto l'organismo. 'Non qui, non qui. Mi potrebbero vedere.' Con una velocità nettamente superiore a qualunque umano, mi sposto dietro una casa e cerco di calmare il mostro che vive dentro di me.

Senza resistere oltre, il sangue schizza su ogni parte della mia faccia, la bocca si riempie di liquido rosso e il sapore metallico mi placa la rabbia che avevo accumulato fino a quel momento.
Mi godo l'odore e la piacevole sensazione che ora mi permette di respirare leggero.
Quell'attimo, però, dura meno del previsto. La leggerezza si trasforma molto presto in sensi di colpa e guardo l'animale che tengo per la testa ormai privo di vita.

Cazzo, un altro gatto morto. Devo smetterla di uccidere questi piccoli esseri per colpa della mia irascibilità. Vorrei piangere per il rimpianto di avergli tolto i giorni, ma la verità è che la vita di quella creatura, per me, non ha molta importanza. Non mi piace uccidere, però sarebbe piuttosto crudele se sfogassi questi momenti di ira sugli esseri umani.

I denti rientrano nelle gengive, le vene si tingono del solito verde-viola e gli occhi mutano alla loro autentica tinta.

Mi guardo velocemente intorno e le strade sono ancora vuote. Fisso l'animale ancora tra le mie mani sporche di sangue e penso a come liberarmene. I vicini inizieranno a farsi domande se continuano a sparire i loro pelosetti. Attraverso la strada e adagio il corpo del gatto vicino al marciapiede, lasciando l'immagine di un guidatore che non ha avuto tempo di frenare e l'ha investito.

Devo togliermi l'odore di dosso e anche ogni traccia dell'accaduto. Mi fiondo sulla fontanella del parco, faccio scorrere l'acqua e sfrego le mani con tutta l'energia che possiedo per lavare via la coscienza sporca. Per quanto mi sforzi di non avere ripensamenti su quello che faccio, alla fine li ho sempre e combatto per cambiare, perché se continuo così, un giorno mi odierò talmente tanto da...

«Dax, non dovresti essere a scuola?»
La sua voce interrompe i miei pensieri, ma l'ansia mi percuote con una violenza indomabile.
«Mamma?»

Non sono mai stato un gran bugiardo e nemmeno adesso lo sono, ma così lontano da casa, hanno smesso tutti di conoscermi, compresa mia madre.

Mi alzo lentamente dopo essermi sciacquato ogni strato di vergogna e la guardo negli occhi.
«Ho saltato l'ora perché la prof non c'era, ma ora devo tornare perché sono in punizione.»
«Dax, non so cosa tu abbia fatto, ma dobbiamo parlare e lo faremo quando torni a casa.»
Annuisco per non dare possibilità a ulteriori discussioni.

Sia io che mia madre ci voltiamo in direzioni opposte e continuiamo sulle nostre strade, lei facendo finta di essersi lasciata ingannare e io pensando di esserci riuscito, ma il sangue ancora ben impregnato sulle scarpe mi aveva tradito.

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