Capitolo cinquantuno

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"Cosa saremmo noi, senza l'amore?"



Non guardami così, mi si aggroviglia il cuore!
-DARK FLOWER


Villa Brown, ore 19:30

Felicity Devis stava stendendo i panni fuori dalla finestra con cura meticolosa, affrontando il freddo pungente che investiva l'aria e faceva ghiacciare le sue guance. Con mani agili, appendeva le magliette una per una sui fili dello stendino, creando un quadro ordinato e colorato nel gelido scenario. Nel cestino dei panni aveva trovato uno dei vecchi indumenti di Isabel: la prima gonna malconcia con cui l'aveva vista arrivare il giorno in cui Rick le aveva sparato.

Aveva voluto conservarla in nome del suo ricordo: era passato molto tempo dall'ultima volta che aveva visto Isabel, e nel suo cuore sperava sinceramente che stesse bene. Sentiva la mancanza della sua compagnia, dei momenti in cui sistemava i suoi abiti sontuosi, delle chiacchiere durante il tè o anche solo di vederla passeggiare tra gli anditi ormai desolati della villa. Il luogo sembrava vuoto da quando il padrone e la sua famiglia erano spariti, ma ancor più tetra e triste era diventata la servitù: non c'erano più risate, o pettegolezzi, era tutto spento e malinconico.

Strinse un altro panno per eliminarne l'acqua che gocciolò sul pavimento.
«Oh signorina Turner, tornate presto...» sospirò.

Tuttavia, mentre procedeva con il suo compito quotidiano, una visione macabra la colpì improvvisamente, facendola rabbrividire.
Era una dettaglio sinistro che attirò la sua attenzione e le fece gelare il sangue: un corpo era appeso ai cancelli della villa.

***

Grindelwald, Svizzera.

Isabel rimase assorta a osservare la collina che si stagliava oltre la finestra. La Svizzera esercitava un fascino intramontabile, come se il tempo stesso si fermasse tra i suoi campi coltivati, tra i solchi tracciati dagli aratri antichi, nel fruscio sereno dei ruscelli che attraversavano la campagna, in mezzo alle cime verdi e soleggiate delle montagne.

Avrebbe voluto esplorare quel luogo incantato, immergersi nella magia degli antichi villaggi, contemplare la bellezza dei laghi scintillanti, e invece si trovava immischiata in mezzo a un incubo terrificante.

Si erano portati via sua zia Clorinda, o meglio, sua nonna per quanto ne sapesse, l'unica parte positiva della sua vita, l'unica che valesse la pena ricordare.
Era ancora viva? O era già morta? Chi poteva dirlo. Solo la squadra di ricognizione che era partita a cercarla avrebbe potuto rispondere a quella domanda.

Sperava che stesse bene, che Rick non le avesse fatto del male. Malgrado tutto, Isabel non covava rancore; era un'emozione che, col tempo, aveva imparato a tenere a distanza. Era pesante dover costantemente rammentare il motivo per cui si odia qualcuno, ricordare le azioni commesse, il dolore inflitto.
In tutto ciò, si perde di vista la vera essenza della vita.

Aveva così tante domande da farle, voleva chiederle il motivo per cui le avesse nascosto una verità così grande, quella che riguardava i suoi genitori.

Probabilmente la risposta avrebbe fatto riferimento alla sua incolumità, Isabel poteva già immaginare quale sarebbe stata: "Perché volevo proteggerti", avrebbe detto, da qualcosa che non poteva cambiare e che avrebbe faticato ad accettare.

Tuttavia, sapeva che, anche se fossero riusciti a trovarla, non ci sarebbe stato alcun confronto.
La testa di Clorinda era avvolta dalla nebbia, la malattia aveva cancellato ogni traccia che potesse ricondurla al passato.
Non le restava che sperare di riabbracciarla.

«Fortuna che non l'abbia ucciso...» trasalì quando la voce di Elijah rimbombò nella loro camera da letto.
«Mi sarebbe piaciuto staccare la testa a quel figlio di puttana!»

Isabel si voltò, trovandolo alle sue spalle: Elijah sembrava teso e nervoso, seduto sul letto al centro della camera. Le spalle larghe erano curve, lo sguardo rigido e concentrato, come se stesse trattenendo un'agitazione interna. Indossava ancora gli abiti eleganti di quella mattina, i completi scuri si fondevano armoniosamente con la sua aura magnetica; non indossava la giacca, ma la camicia blu notte faceva risaltare il colore intenso dei suoi occhi. Era un uomo così seducente, si sentiva affascinata e, al contempo, un po' intimidita dalla sua aura fieramente maschile.

«Di certo ti avrei aiutato a umiliarlo, se non mi avessi costretta a scusarmi con lui...» Isabel tornò a guardare il cielo. Era quasi buio ormai, la luce del giorno stava rapidamente svanendo, mentre il tramonto colorava il cielo di tonalità arancioni suggestive.

Elijah non riuscì a restare impassibile «era prima che pretendesse di uscire con te, maledizione!» balzò in piedi puntandole un dito contro.
«Se l'avessi immaginato, io...non te lo avrei mai chiesto, Isabel, mai

Era chiaro di chi e di cosa stessero parlando: di Frederick e della proposta indecente che aveva fatto a Isabel.

A quel punto anche lei si voltò.
«Ma non hai preteso che facesse ammenda per la sua vergognosa sfrontatezza!» si ribellò.
Doveva aver perso la capacità di chiudere la bocca.

Elijah sembrò sul punto di perdere la pazienza: avanzò fino a spingerla a sé, non per essere dolce, ma per trattenersi dal distruggere qualcos'altro.
Sarebbe stato più semplice per lui evitare di cedere alla rabbia, avendola accanto.
Non le avrebbe mai fatto del male.
«E come avrei potuto, Isabel? Non capisci quanto siano pericolose le persone con cui abbiamo a che fare? Quello che ho fatto, appendendolo al muro, è stato già un rischio enorme! L'ho quasi ucciso per te, non è abbastanza?»

«Nessuna punizione sarà mai sufficiente con tizi così ripugnanti!» Isabel non rifiutò il suo tocco, tanto meno cercò di spostarlo via. «Ma non accetto quello che ha provato a fare con me...»

«Ti prego, non ricordarmelo!»

«Ma...»

«Ho detto ti prego!» Elijah non riusciva a sopportare l'idea che un uomo avesse osato comportarsi così meschinamente con Isabel. Il ricordo della proposta fatta da Fred lo rendeva più nervoso di un animale selvaggio affamato da mesi. Stentava ancora a crederci.
«Sei qui con me, adesso, conta solo questo fata...»
Si chinò a cercare le sue labbra, Isabel fece finta di negargliele ritraendosi appena, ma...quando i loro occhi si incontrano non ci fu più alcuna resistenza.

Non esisteva, non poteva esserci niente di più forte dell'amore che li legava.

Elijah la baciò con passione, e per un attimo ebbe la sensazione che la collera si stesse dissipando.
Le mani si incollarono al suo corpo, si pietrificarono su di esso mentre con dolce lentezza esplorava la sua bocca. Fece scorrere la mano lungo la sua schiena, lentamente, poi le dita si fermarono a descrivere dei cerchi nella zona lombare. Il rossore si diffuse sul collo di Isabel, vivido come una rosa rampicante, il rumore del sangue le pulsava nelle orecchie: non potevano restare così vicini senza aver voglia di fare l'amore. Sembravano due calamite costantemente attratte, neanche la gravità poteva separarle.

«Parliamo d'altro, distraimi o...andrò a ucciderlo» le disse debolmente. In realtà ora che l'aveva cosi vicina il suo unico bisogno era quello di spogliarla, ma si trattenne. La sua fata era incinta e, cosa ancor più preoccupante, aveva avuto un grave malore. Sarebbe stato da veri villani approfittarsi di lei nelle sue fragili condizioni.

«O potremmo non parlare» Isabel fece aderire maggiormente i loro corpi, «non sono l'unica che non tarda a ignorare le promesse a quanto pare...»

«Che intendi?» le chiese, baciandole la nuca.

«Di sotto, mi avete accennato una forma di violenza alquanto piacevole, signor Brown: aspetto con ansia le mie sculacciate...» Isabel guidò le sue mani sempre più giù, fino a raggiungere il solco pronunciato delle sue natiche sode.

Elijah gliele accarezzò oziosamente «sei davvero diabolica, fata, una diavolessa pronta a risucchiarmi l'anima...»

«Come tu hai fatto con la mia» Isabel si alzò in punta di piedi, premendo la fronte sulla sua.
Si lasciò andare a un lungo respiro e lui fece lo stesso.
«Quando sono venuta qui qualche settimana fa, ero piena di speranza; avrei voluto visitare questo posto, che fossimo felici, liberi in qualche modo.
Avevo scordato Rick, avevo dimenticato tutto il dolore...c'eravamo solo tu, io e i sentimenti che non sapevo ancora di provare. O forse non volevo accettarli perché credevo che non te li meritassi e che io non meritassi la vita che ti ostinavi a offrirmi...»

Elijah l'ascoltava, tenendo a freno la voglia di far aderire la pelle alla sua, ma ogni parola pronunciata da lei rendeva quel compito tremendamente insopportabile.

«Mentre adesso, quando ti guardo, mi rendo conto che non c'è nulla che vorrei di più al mondo, non solo in questa vita, ma anche nella prossima, se ci fosse, che te, solo te!» ammise lei, un po' commossa.
Deglutì toccandogli il viso, caldo e rasato, gli occhi di un blu intenso come il mare in una notte senza luna.

«Oh, fata» fece lui sottovoce, e con delicatezza la prese ancora tra le braccia.
«Quindi non te ne penti?» allungò una mano per carezzarle la guancia arrossata.
Era così bella, la sua Isabel...
Non avrebbe mai smesso di pensarlo, di amarla.
Non ne avrebbe avuto la forza.

«Di cosa?» Isabel chiuse gli occhi, adagiando la guancia sul suo palmo.

Elijah esitò, «di me..e di te» rispose in fine.

Isabel sollevò la testa alla sua domanda, la luce dorata del crepuscolo accarezzò i suoi lineamenti, facendo emergere un verde profondo nei suoi smeraldi, un verde che catturava l'attenzione con la sua brillantezza.
Isabel sorrise, e lui si sentì felice.
«Ti ho appena detto che sarei pronta a morire con te!»

Elijah dovette sforzarsi di non denudarla.
Ancora una volta.
«Sì ma, sai...sono un uomo fatto di conferme, amore mio

«Di infinite conferme» ridacchiò Isabel.

«Esatto, e con te non mi basteranno mai!» le mise le braccia attorno alla vita, cullandola piano. Isabel si appoggiò sul suo petto ampio e robusto, sentendo i peli rizzare sulla pelle. Non poteva farci niente, Elijah l'aveva conquistata e con lei corpo e coscienza.
«Quindi? Mi aspetto ancora una risposta» si affrettò a sollecitarla, quando la vide ancora ammutolita.

Isabel scosse la testa, di poco «no, mai, non posso!»

Elijah incarcò un sopracciglio «non puoi o non vuoi?»

Lei si lasciò trasportare da un sorriso nostalgico mentre tornava a riflettere sulle loro conversazioni iniziali, quelle che li avevano avvicinati per la prima volta. Ripensò al momento in cui, con rabbia, gli aveva gridato di andarsene, ma lui, testardo come un mulo, l'aveva semplicemente ignorata. Ancora nitida nella sua mente, c'era la risposta audace che lui le aveva dato quando, incuriosita dal suo rifiuto, aveva scavato più a fondo.

"Non posso, e non voglio..." le aveva detto.

«Non posso...e non voglio!» ripeté lei, quasi sognante.
«Me lo ha detto lei signor Brown, per essere felici ci vuole coraggio e io...io non voglio più avere paura.»

Elijah lasciò che la distanza tra loro si accorciasse fino a un minimo assoluto. Sfiorò dolcemente le sue labbra e, trattenendo il respiro, ne seguì i contorni.
«Non posso credere che tu sia mia, a volte stento a crederlo» le sussurrò all'orecchio, strofinandogli la guancia con il mento. Si sentiva come estasiato dalla presenza di Isabel.

Quella donna possedeva il potere di dissolvere qualsiasi barriera emotiva, quando le stava accanto il suo cuore batteva con una forza tale da sembrare sul punto di fuoriuscire dal petto. Non poteva credere che fosse stata proprio lei a pronunciare quelle parole, considerando quante volte aveva giurato di detestarlo in passato...

«Anch'io!» la voce di Isabel era così dolce, troppo dolce.
«Rimarrai con me?» gli chiese poi all'improvviso, senza sapere il perché. O forse lo sapeva ma si rifiutava di rivelare il motivo ad alta voce per timore di renderlo ancora più reale: Rick de la Cruà.
«So che ho appena detto che la paura è da accantonare, tuttavia...»

«I sentimenti sono importanti, fata, di qualunque natura siano, qualunque sia la motivazione», Elijah la tenne stretta, così stretta che a Isabel parve di fondersi in lui.
«Neanche la morte potrebbe portarmi via da te, riuscirei a eludere anche quella!»

«E come puoi dirlo?» Isabel provò a staccarsi, ma Elijah la trattenne, passandole una mano dietro la nuca.

«Condividiamo lo stesso terrore amore mio: Rick è la minaccia che tormenta anche me e affligge la mia famiglia, la nostra famiglia. Ma non devi preoccuparti: troveremo un modo per ucciderlo!»

«E se non dovessi riuscirci? Se tu...»

«Il fallimento non è contemplato! In un modo o nell'altro avrò la sua testa, questo è un giuramento che faccio su nostro figlio, fata. Non permetterò mai, né a lui né a nessun'altro di farvi del male!» Elijah si mostrò risoluto in maniera convincente, forse anche troppo.

Non voleva nemmeno pensare a quel mostro mentre la sua fata gli era così vicina. Preferiva ignorare il fatto che lo stesse cercando, che la sua vita fosse in pericolo, appesa a un filo di rasoio pronto a spezzarsi. C'era qualcosa di più importante di lui e del suo fato: quello di Isabel e del loro bambino. Ancora faticava a credere che dentro di lei stesse crescendo una nuova vita, e Dio solo sapeva quant'era impaziente di conoscerla!

«Non potrei vivere senza te, fata, sarebbe una condanna eterna...» si decise a dire, parlandole all'orecchio.

«Non dovrai, infatti» ripose Isabel in un mormorio, poi si guardarono, ancora. Elijah la osservò con un lieve affanno mentre respirava, ammirando la sinuosità con cui la purezza e il desiderio si riflettevano alternativamente sul suo viso. Con la punta del naso tracciò un percorso infuocato, che partiva dal mento sino ad arrivare al suo orecchio. Isabel si aggrappò ai suoi avambracci di ferro, per timore che le gambe avrebbero ceduto.

Elijah ispirò a pieni polmoni il dolce profumo che emanava la sua pelle. Sapeva di fresco e lavanda.
«Il tuo profumo...»

«Che ha che non va il mio profumo...»

Elijah sorrise «è il mio odore, preferito!»
Doveva andarci piano, se lo era imposto, ma...
Cristo, non riuscì più a trattenersi: si impossessò delle sue labbra, dischiudendole con la lingua. Lei gemette, premendo il seno sul petto di Elijah che emise un verso roco e soffocato: le afferrò le natiche, sollevandola, per depositarla infine sul letto.

«Isabel, non posso resistere ancora» l'avvisò, sistemandosi in ginocchio sul bordo del letto.
«Se tu non dovessi volerlo, va via...ora!»

Isabel, in tutta risposta, lo strattonò per la camicia facendolo abbassare su di se.
«Vieni qui, dannato sciocco!»

Elijah non se lo fece ripetere due volte.
Si piegò in avanti poggiando le labbra su quelle calde e salate della sua fata, come se avesse voluto rubarle l'anima. Cielo quanto gli era mancato rivivere la deliziosa danza che precedeva l'atto, quella fase in cui l'uno scopre l'altro pezzo dopo pezzo. Non la toccava da a malapena un giorno, ma a lui sembrava trascorsa un'eternità.

La prese in braccio sistemandola sopra le sue ginocchia. Con frenesia prese a sollevarle la maglietta, lanciando via qualsiasi indumento gli fosse d'intralcio. I suoi seni penzolanti rimasero lì, invitanti e mature come due ciliegie d'estate, in attesa che li assaggiasse.
Elijah li osservò in tralice; ancora una volta avvicinò il viso al suo, parlandole.
«Non riuscirò mai ad abituarmi a una simile vista, fata. Non ce la farò mai...mai!»

La incalzò di nuovo, esigente e famelico, invaso da una libido estrema, da una foga appassionata che lo accecava. Mentre la invadeva con la lingua, allungò una mano a serrarle un fianco, l'avvertì sussultare ma non le diede tempo di ribellarsi: le carezzò le spalle, la schiena, i fianchi, fino a raggiungere le natiche tornite. Le serrò con entrambe le mani.

Isabel si sentì sopraffatta da una vertigine che le impediva di pensare, di fermarsi, di ricordare quanto la sua vita fosse in frantumi sotto il peso di un destino implacabile. I baci che lui le donava la trasportavano in un'altra dimensione, voleva dimenticare tutto, anche solo per un attimo. Le sue paure, il suo dolore, la sofferenza che la circondava: voleva che ogni cosa svanisse, che si dissolvesse nel piacere al quale desiderava ardentemente abbandonarsi.

Elijah si sistemò tra le sue cosce aperte. Senza smettere di baciarla, lasciò che una mano si infilasse tra i loro corpi: con le dita prese a sbottonarle i jeans, toccandola, proprio lì all'apice del suo piacere.

Isabel cominciò ad ansimare, morbida e dolce, pronta per lui.
«Amore...» stava palpitando, pretendendo di più, mentre gemeva intorno alla presa di Elijah. Gemeva e si strusciavo contro le sue dita, muovendo i fianchi come meglio poteva nello spazio limitato del letto.

Elijah non si perse neanche un momento, sentendo il tessuto diventare più umido al tatto. La guardava come se avesse voluto celebrarla, bearsi del modo in cui accettava il suo tocco erotico. Proseguì con la scia di baci lungo la linea della spalla, mentre raccoglieva nella mano libera un seno tondo e candido. I capezzoli erano già duri, forse per il modo in cui la guardava, forse per l'anticipazione di ciò che stava per accadere.

«Mi fai impazzire, fata...mi fai impazzire» la blandì, interrompendo il contatto solo perché intendeva spogliarla del resto. Voleva di più, placare l'anelito che gli infiammava i lombi e affondare in lei fino a esserne sazio!

La fece sdraiata di nuovo, ritirando la mano, Isabel protestò «Elijah!» ma lui si affrettò a farla tacere, manifestando le sue intenzioni, facendole capire che non si sarebbe fermato. Le abbassò la zip, poi tirò giù i suoi jeans, fino a lanciarli via ai piedi della sedia difronte al comodino.

Le sue cosce erano lisce e burrose, Elijah ci posò le  labbra, mentre armeggiava per spogliarsi.
Avere una donna come Isabel era un autentico privilegio, un miracolo assoluto donatogli dal cielo. Avrebbe ringraziato per il resto della sua misera e insignificante vita, consapevole di essere l'uomo più immeritevole della terra. Nonostante non si sentisse degno di possedere un dono così prezioso, qualcuno aveva comunque deciso di concederglielo.

Era un fenomeno eccezionale.

Lei sollevò il bacino per andargli incontro ed Elijah, nello slancio del momento, si lasciò andare ad assestarle un piccolo morso. Si liberò quasi subito dai suoi confini di stoffa, ma non sembrò soddisfatto; osservò il tesoro celato oltre gli slip, con quegli occhi penetranti puntati su di lei così intensamente che era sicura che avrebbero fatto dei buchi nella parte superiore del suo cranio.

Era pronta, pronta a offrirsi a lui.
Posò una mano sul monte di Venere, lei si coprì la bocca per soffocare un grido di piacere. Le dita dell'uomo superarono l'ostacolo, raggiungendo le sue calde pieghe, accarezzandole e sfregandole con diabolica lentezza.

Isabel iniziò a tremare: agitata, con il viso paonazzo e gli occhi sbarrati, scosse la testa. Voleva che continuasse a toccarla, che la prendesse come aveva fatto la notte precedente e avrebbe fatto nelle notti a venire. Voleva che i loro corpi si fondessero in un'unica, grandiosa unione, con la stessa forza che legava le loro anime dominate dall'amore e dal caos del loro smanioso sentimento.

Lo amava più di quanto avesse mai amato se stessa. Quant'era stata ingenua a credere di poter resistere a un'emozione così travolgente, a essere più forte della passione, più forte della rabbia che li incendiava quando si trovavano lontani l'uno dall'altro.
Non c'era niente che potesse dividerli, niente che potesse attenuare il loro amore.

E questo la terrorizzava.
Era legata a lui irrevocabilmente, senza possibilità di tornare indietro, senza via di fuga.
Lui le apparteneva e lei apparteneva a lui.

Neanche l'odio e la vendetta di Rick avrebbero potuto spazzare via quello che di buono avevano seminato.

«Non fermarti...» piegò il capo all'indietro e, con entrambe le mani, afferrò ciocche scure dei capelli di Elijah che, dopo averla vista raggiungere l'apice del desiderio, si sdraiò sopra di lei, appoggiando il membro rigido sulla sua femminilità, calda, pulsante e bagnata.

«Dii che mi ami, fata...dillo!» la pregò, prima di entrare.
«Elijah...»
«Dillo, fata, dii che sei mia, che sarai sempre mia!»
«Sono tua, amore. Sarò sempre tua!»

***

Qualche ora più tardi, dopo aver consumato le loro energie, si ritrovarono ad apprezzare la dolce quiete che invadeva i loro corpi. Elijah l'avvinghiò di più a sé; Isabel percepiva i battiti del suo cuore, il calore sprigionato dal suo petto sudato. Si strinse a lui sollevando una gamba sul suo fianco, Elijah le circondò l'addome con il braccio, lasciando che si accoccolasse.
«Allora non hai messo di trattarmi come una donna?» scherzò, giocherellando con la leggera peluria che gli spuntava dal busto tornito.

«Ti ho detto che non avremmo fatto niente in ospedale, non che ti avrei trattata con i guanti bianchi, fata» Elijah teneva gli occhi chiusi, l'espressione serena e beata.

«Me ne sono accorta, sì» disse Isabel, prendendogli una guancia e baciandola, poi tirò su la coperta per coprirli entrambi.
«Non dovremmo tornare di sotto? Si staranno chiedendo dove siamo finiti...»

«Dovremmo sì, ma non mi va» Elijah si voltò, i suoi occhi si posarono avidi sulla sua figura. E si maledisse: quella donna era il peccato, il vizio incarnato. Doveva riprendere il controllo di se stesso e, soprattutto, delle sue dannate pulsioni, o avrebbe rischiato di dar vita a un'altra delle sue sconce maratone.
«Vorrei restare qui, con te...»

«Anch'io! Ma tua zia verrà sicuramente a cercarci e non vorrei trovarmi costretta a spiegarle come siamo finiti a letto insieme!»

«È semplice, amore mio, era inevitabile...non potevo farci niente: è stata colpa tua.»

«Colpa mia?» Isabel si indicò con fare divertito.
Si riavviò i capelli, sistemando alcune ciocche dietro le orecchie, «sai, non credo che avessi l'aria di un uomo costretto...»

«Certo che no, ma vedi...» lui si girò su un fianco in modo che potesse guardarla meglio, «se tu non fossi così piccola e arrapante io avrei potuto rispettare la tua virtù ed esimerti dal fattaccio appena compiuto.
E invece no, mi hai obbligato a soddisfare i piaceri della carne a causa del tuo viso splendido, delle tue labbra rosee come un prezioso rubino...» le respirò tra i capelli, la sua mano si posò sul suo fianco e si abbassò per stringerle il sedere.
«Ammettilo non mi hai lasciato scelta, diavolessa!»

Isabel non si ritrasse dal suo tocco, ma non potè neanche evitare di ridere «mentirei se affermassi il contrario, signor Brown!»

Elijah apri la bocca, fingendosi perplesso.
«Quindi ammetti di avermi sedotto?»

«Sì, sono colpevole vostro onore...» Isabel si sollevò, posizionandosi a cavalcioni su di lui. Era ancora nuda, ma quel particolare non la disturbava più oramai; non provava imbarazzo nel farsi vedere, ed Elijah lo adorava.

«Se non scendete subito, potrei rendermi complice delle vostre misfatte, miss Turner, di nuovo, e la cosa andrebbe per le lunghe» Elijah le palpò la pelle vicino ai glutei, «sarebbe opportuno per voi fare la brava, altrimenti gli inquilini della villa saranno costretti a tapparsi le orecchie a causa delle vostre urla.»

Isabel si toccò le guance, che sorprendentemente percepì in fiamme. Non potè che sentirsi eccitata: era come se tutto il suo corpo reagisse alla sua sola presenza, alle sue frasi cariche di depravazione. Si rilassava e si infiammava al tempo stesso, uno strano dualismo interno che le scatenava una particolare attrazione elettrica. Lo voleva addosso, sotto di sè, dentro di sé ancora una volta, forse all'infinito, e l'idea sembrò incoraggiarla a muoversi sopra di lui...
Lentamente.

Elijah non si negò a lei, anzi, la guardò piuttosto divertito - e lusingato- a dire il vero.
«Non siete d'accordo?» sussurrò, lasciandole carezze lungo la schiena.

Isabel fece di no con la testa «uhm, temo di dover dissentire, signor Brown...» fu in procinto di prendere le sue mani per guidarle sopra i suoi seni, ma qualcuno bussò da dietro la porta. Isabel sobbalzò e si nascose rapidamente sotto le coperte accanto a Elijah, il quale si affrettò a coprirla con urgenza.

«Maledizione», imprecò mentre recuperava i boxer dal pavimento, «chi è?» chiese poi a voce alta, propositivamente, in modo che l'intruso potesse sentire la sua irritazione.

Quasi come se l'avessero evocata, Clodette intervenne esortandoli a non ignorare il suo avvertimento.
«Voi due! Vi aspetto al piano di sotto, non ve lo ripeterò due volte...» La sua voce era categorica e senza possibilità di appello. «È la vigilia di Natale, ceneremo tutti insieme: ho preparato il tacchino al forno, le patate, e dolci per riempire le pance di un esercito. Mia nipote deve mangiare, mi aspetto di vederla seduta a tavola entro dieci minuti!»

Elijah roteò gli occhi, infastidito.
«Si da il caso che il vero nipote qui sia solo io...»

Clodette non permise repliche. «Non discutere! Vi voglio puliti e presentabili entro...»

«Dieci minuti, sì, lo hai già detto!» concluse Elijah con un tono leggermente angustiato. Aveva quasi dimenticato il cenone che Clodette stava preparando sin dalle prime luci dell'alba. Sarebbe stata disposta a tutto pur di non sprecare cibo e di avere i suoi nipoti seduti intorno al tavolo come una vera famiglia felice.

Sebbene di felice, in quella storia, ci fosse ben poco.

La situazione era chiaramente un impaccio, e tuttavia non potevano esimersi. Isabel, ansiosa e attenta, rimase ferma prima di parlare, come se volesse assicurarsi che Clodette fosse andata via. Affinò l'udito, cercando qualsiasi rumore che potesse indicare la sua presenza, ma il silenzio, invece, confermò che se ne fosse già andata.

«Te lo avevo detto!» Isabel cercò di sollevarsi ma Elijah la intrappolò a letto, baciandole dolcemente la sommità della testa.

«Non mi importa, fata...rimarrai qui fino a un nuovo ordine!»

Isabel sgranò le palpebre in maniera allarmata.
«Elijah, non abbiamo tempo rivestiti!»

«No, non lo farò e indovina chi altro non lo farà?»

«Oh santo cielo, sei impossibile a volte!»

La osservò ancora per qualche attimo, indeciso sul da farsi, poi si massaggiò il mento, mormorandole sornione: «ma come? Non volevi le mie sculacciate?»

Isabel gli lanciò un'occhiata torva «non me ne hai date già abbastanza?»

Elijah le spostò un capello dal viso e si soffermò a fissarle le labbra, così rosse, così peccaminose...
«No, il tuo bel culetto è ancora bianco, dobbiamo rimediare!»

«Elijah!»

«Andiamo, solo cinque minuti...» brontolò, tenendola ferma mentre lei si ostinava a dimenarsi.

«Ci credi davvero quando lo dici?»

«A cosa?» le rispose sghignazzando.

Isabel scosse la testa «sai di che parlo, Clodette e gli altri potrebbe terminare la cena e noi saremmo ancora a qui a sfondare il materasso!»

«A sfondare il materasso?» rise l'altro.
«È esattamente ciò che avevo in mente!»
Isabel tentò di sfuggire all'abbraccio vigoroso di Elijah, ma lui, complice e giocoso, la trattenne e la intrappolò sotto di sé. Provò a dibattersi ancora, però ogni suo tentativo risultò inutile, poiché l'uomo possedeva una forza che andava ben oltre la sua.

Lei sbuffò incrociando le braccia al petto «non ti arrenderai, vero?»

Lui finse di pensarci «un altro bacio e forse...potrei cambiare idea, anzi no» lui sciolse la barriera che le copriva il seno, intrappolandole i polsi sulla testa così che non potesse protestare.
«Un altro bacio e sarò clemente: cinque sculacciate e potremo andare!»

Isabel sentì le gambe cederle.
«Te lo puoi scordare!»

Elijah aumentò la presa sui suoi polsi, senza tuttavia stringere troppo. Non era sua intenzione farle del male, ma quella donna lo stava mettendo in difficoltà.
Accadeva troppo spesso ultimamente.
«Allora che Dio che abbia pietà del materasso!» pronunciò solenne.

Isabel storse il naso, cercando di trattenere una risata. Non voleva dargliela vinta, non doveva farlo...
Ma poi, la sua risata fresca e genuina risuonò nell'aria, riempiendo la stanza di allegria e calore.
Elijah sentì un'intensa ondata di amore scaturire nel suo petto al solo vederla così felice. Era uno spettacolo meraviglioso, il più bello che avesse mai visto.

Isabel avrebbe voluto nascondere il suo viso per l'imbarazzo, ma le sue giunture erano intrappolati e, per una volta, non gli dispiacque affatto.
Il suono gioioso della sua risata andò scemando mentre si accorgeva dello sguardo intenso di Elijah. Lui la ammirava in silenzio, come se fosse completamente affascinato da lei!

«Sei bellissima...» riuscì a sussurrarle, prima che il verde muschio dei suoi occhi lo risucchiasse.

Lei riprese fiato, socchiudendo le palpebre.
«Hai detto cinque minuti?» chiese alzando la testa e cercando di incontrare le sue labbra.

«È quello che ho detto, sì» Elijah si sporse a baciarle. Il suo respiro le accarezzò la nuca.

Isabel si scostò, giusto il tempo di dire: «facciamo anche venti!»

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