Capitolo quattordici

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"Ti sono mancato?"


Quel punto preciso in cui il desiderio diventa esigenza.
È proprio lì che nascono il tormento e l'ossessione.
-Fabrizio Caramagna


Tutti erano a conoscenza che una donna dall'incantevole aspetto alloggiasse nelle stanze del padrone. Una donna dal portamento elegante, simile a quello di una dama fine e leggiadra, una straordinaria visione di grazia e bellezza che si mischiavano a esaltare la figura di Isabel, ora intenta ad ammirare il giardino della villa: un brolo soffice e sconfinato, ricoperto dalla neve ormai attecchita al suolo.

Tutti i domestici lo sapevano e tutti, per quanto la faccenda risultasse controversa, desideravano scoprire di più su quell'adorabile fanciulla dallo sguardo spento e malinconico quanto il paesaggio all'esterno. Ma tutti, a discapito delle loro intenzioni, si limitarono a osservarla da lontano mentre con cura accarezzava la stoffa pregiata delle tende; nessuno voleva affrontare la questione, nessuno voleva perdere il posto o rischiare di adirare il padrone. Elijah poteva essere ben più terribile di quanto già non suggerissero le sue azioni.

E Isabel lo sapeva bene.
Oh, come lo sapeva!

Il bacio di quella mattina ne era la prova. Non riusciva a smettere di pensarci: era stato un contatto carico di passione, una maledizione scagliatale addosso con violenza e furia, con un ardore sconosciuto, con un fuoco...diverso, che non aveva niente a che vedere con quello della notte precedente.
Non era stato un attacco brutale, bensì una specie di rivendicazione, un messaggio chiaro che si esprimeva a gran voce: tu, mi appartieni!

Le aveva inciso quelle parole addosso, gliele aveva cucite ad arte in modo che potesse continuare a leggerle anche se lui non si trovava con lei. Anche se i suoi occhi non potevano urlarle la potenza di quell'esigenza, di quel gesto tanto inaudito e indelicato da risultarle insopportabile.

Non tollerava i brividi che le devastavano il cuore ogni volta che i suoi occhi si chiudevano a ricordare quei momenti di tormento, di profonda confusione, di odioso piacere; il fatto che una piccola parte del suo corpo desiderasse quelle viscide attenzioni le contorceva lo stomaco!

Le ricordava perché le paternali della zia Clorinda fossero così importanti: gli uomini, per quanto esseri capaci di grandi cose, possono trasformarsi in creature viscide, con intenzioni altrettanto viscide. E quell'uomo, per quanto bello e maledetto, reincarnava perfettamente quelle spregevoli qualità!

Come avrebbe fatto a tollerare ancora il suo tocco?
O il tocco di chiunque altro?
C'era modo di sfuggire a tutto quel calvario insopportabile?

Sospirò, il vento cullava i suoi tormenti come la carezza materna che non ebbe mai ricevuto. Le sfiorava il viso, i capelli, le suggeriva che qualcuno, fra l'irrealisticità della cosa, poteva essere in ascolto. Una qualche forza sconosciuta che avrebbe potuto salvarla se avesse voluto. Eppure si ostinava a non farlo.

«Oh...ma che meraviglia, signorina, quel vestito le sta un incanto!» una voce dal tono giulivo richiamò la sua attenzione: era Felicity, la domestica che qualche ora prima, con incredibile garbo e gentilezza, l'aveva condotta nuovamente nelle "sue" stanze. A discapito di ciò che credeva, la dependance dentro la quale Elijah l'aveva rinchiusa avrebbe continuato a ospitarla per tutto il suo soggiorno alla villa.

Che maledizione!

«Oh...sì, il vestito, grazie» Isabel lanciò una rapida occhiata all'abito che la governante si era premurata di farle indossare: era un tripudio di eleganza e raffinatezza, dalle linee fluide. Lo chiffon che ricopriva il bustino aderente esaltava le forme morbide del suo décolleté, la gonna lunga filata in seta avvolgeva il suo corpo senza appesantirlo, anzi, pareva donarle candore, esaltare il rossore delle sue gote, i suoi occhi verde muschio, le onde dorate che le cadevano oltre spalle. Ora non somigliava più a una sguattera, a una donna senza arti o parti, anzi! Sembrava quasi una dama d'alto borgo, una fanciulla rispettabile e addirittura meritevole d'amore, per lei che l'amore l'aveva solo immaginato.

«Figuratevi, sarò di parte ma...siete splendida, un incanto assoluto, un sogno!» aggiunse Felicity, sorridendole con garbo. La sua presenza alla villa pareva allietarla più del previsto e il che la stranì: Isabel non era abituata a ricevere simili cortesie, ma si sforzò di ricambiarle.

«Siete gentile, grazie...» rispose, sorridendole con modestia. «Ma temo di essere niente che meno di una disoccupata nei guai» scherzò.

«Oh non dite sciocchezze!» Felicity scosse il capo.
«So che il padrone vi ha assunta come insegnante di Thómas, non siete affatto una squinternata in mezzo a una strada.»

«Ma vorrei esserlo in realtà, vorrei essere lì, in mezzo a una strada purché in libertà» ammise, incapace di fermare le parole, quel treno in corsa che parve colpire Felicity: il tono incurante che aveva usato nel pronunciare quella simile affermazione, doveva averla scossa più del previsto.

«Per l'amor del cielo non dite fesserie!» la domestica le si avvicinò, irata. «Sono davvero felice che voi siate qui e fidatevi, con il tempo lo sarete anche voi. So che in questo momento, a giudicare da quel che avete detto, vi è difficile crederlo ma vedrete... sarà così, abbiate fede, io so quel che dico!» sorrise, muovendo un passo in avanti per osservarla meglio. «Il padrone è solitamente più che un gentiluomo, il fatto che vi abbia regalato persino la sua stanza lo dimostra, non trovate?»

«Un...gentiluomo, sì» mormorò Isabel in tono evasivo. "Che strano modo di definire quell'ammasso di crudeltà", pensò. In realtà a Isabel venivano in mente epiteti nettamente peggiori di quello pronunciato dalla governante, ma si limitò a ripetere quello che lei aveva detto. Insultarlo non l'avrebbe liberata, anzi, con ogni probabilità non avrebbe fatto che peggiorare le cose. Ormai lo sapeva, il suo dannato temperamento era deleterio in un ambiente come quello.

Felicity rimase muta per qualche secondo, squadrando Isabel con l'aria di chi non sapeva se pronunciarsi o meno. «Cara, c'è...c'è qualcosa che vi turba, per caso?»

Isabel fece spallucce. «Dovrebbe esserci qualcosa?»

«Non saprei, ditemelo voi.»

«Nulla che possa riguardarvi, ve lo assicuro. Siete stata gentile con me, non lo dimenticherò.»

Felicity continuò a mostrarsi titubante «per me è un piacere madame, anzi, se posso permettermi...»
La domestica si avvicinò a lei, con cautela.
«So che ci conosciamo appena, non condividiamo che uno straccio di confidenza ma...non posso che rincuorarvi sui metodi bruschi del padrone, lui-lui non è cattivo.»

Isabel scosse debolmente la testa.
«Cosa ti fa pensare che sia Elijah il problema?»

Felicity si morse il labbro inferiore: il suo sguardo divenne improvvisamente più grave.
«La scorsa notte, ho sentito cosa vi ha detto, cosa vi ha fatto...»

«Avete sentito?!»
Isabel la fissò perplessa, colta alla sprovvista.

«Come non avrei potuto ero dietro la porta. Mi dispiace tanto, sono certa che seppur in maniera discutibile, il padrone intendeva solo convincervi a restare.»

«Convincermi a restare?» ripetè l'altra.
«Temo abbia fallito miseramente! Non ho nessuna intenzione di rimanere qui.»

«Lo so, la vostra scappatella mattutina me lo ha confermato» sorrise mestamente.
«Oh! Approposito» la domestica scosse il capo con forza.
«Vi prego...non fatelo mai più! Il padrone voleva ucciderci tutti, ci ha definito dei buzzurri incompetenti per l'intera mattinata.»

Isabel sospirò «mi dispiace, non volevo mettervi nei guai.»

«Oh non si preoccupi cara, non è di certo colpa vostra. A rammaricarmi sono i modi del padrone; ogni tanto diventa...»

«Vile? Ripugnante? Arrogante?» Isabel la interruppe bruscamente, accentuando una smorfia di scherno.

«Pensavo più a scontroso e cocciuto ma...anche questo va bene» ridacchiò Felicity, ora nettamente più a suo agio accanto a Isabel, che di rimando, le sorrideva con simpatia. Contrariamente a ciò che pensava non era così male averla attorno: quella deliziosa domestica si stava rivelando un'amabile interlocutrice!

Tuttavia, per quanto la sua vicinanza la facesse sentire meno sola, Isabel non era ancora pronta a fidarsi. In fondo, per quel che ne sapeva, Felicity lavorava per l'uomo che la teneva in catene. Una valutazione che la donna non ci mise molto a leggerle in faccia.

«Mi dispiace tanto madame, il padrone non è una persona facile, ma ve lo ribadisco, non nutre alcun piacere nel fare del male agli altri. Non è cattivo è semplicemente un buono che ha bisogno di ricordarlo, di sapere che in fondo, molto in fondo è buono.»

Isabel rise.
Una risata dura, amara, ricca di risentimento.
«Oltre che a essere gentile siete persino divertente, una qualità che in questo momento non apprezzo affatto! Quell'uomo non è buono, non è neanche l'ombra di un essere capace di provare compassione!»

«Fidatevi, vi sbagliate!» intervenne Felicity, come se ciò potesse spiegare tutto.
«Non ve lo direi se non fossi assolutamente sicura di quanto sostengo...»

«Quello che affermate è probabilmente frutto di ciò che volete vedere Felicity, e mi dispiace per questo. A quanto pare riesce a soggiogare tutti con la sua stupida messa in scena da uomo per bene, ma non con me no, con me non funziona. Io ho visto tutt'altro...un mostro che tenta disperatamente di apparire umano!»

«Madame...»

«Mi ha fatta licenziare, ha messo a repentaglio la mia vita e poi, in virtù di chissà quale pentimento, mi ha rinchiusa qui dentro! Mi ha umiliata, costretta a subire le sue stupide avance, dei baci che non volevo, che non desideravo, ma che ora mi trovo costretta a sopportare. Mi ha sminuita, ha sminuito il mio lavoro, i miei sogni, tutta la mia dannata vita con la sua stupida presunzione, con la sua dannata saccenza insopportabile! Non venitemi a dire chi è quest'uomo, Felicity, perché non vi credo e oltretutto mi allontanate. Pensavo voleste essermi amica...»

«Ma lo voglio madame! Credetemi, non avevo nessuna intenzione di...»

«Di offendermi? Di illudermi? Di ingannarmi con una realtà pressoché inesistente?!» Isabel serrò i pugni.
«Non azzardatevi mai più a dirmi chi è Elijah, perché sì, non fareste che offendermi!»

Lo sguardo di Isabel, visibilmente irato, rimase puntato sulla domestica, che ora appariva dispiaciuta certo, ma al contempo...quasi attonita: non si sarebbe mai aspettata un resoconto simile. Era a conoscenza dei modi decisamente bruschi di Elijah, ma non lo credeva capace di azioni simili; doveva aver sopravvalutato la sua bontà più del previsto!

«Mi dispiace molto signorina, davvero, mi perdoni!»
si affrettò a dire lei, tentando di rimediare ai suoi interventi inopportuni.
«Non immaginavo niente di simile, sono profondamente desolata, allibita, credevo che...»

«Cosa? Che fosse buono?» domandò Isabel con sdegno.

Quella domestica era stata l'unica a trattarla con garbo e gentilezza, si sentiva in colpa nel metterla così in difficoltà. Ciononostante, malgrado il dispiacere, sentiva di doverlo fare, di dover annientare ogni parola di conforto legata a quell'uomo spregevole. Isabel non era mai stata una donna particolarmente vendicativa, anzi, il suo spirito innocuo spiccava in molteplici occasioni, soprattutto quando si trattava di porgere l'altra guancia al nemico.

Ma l'arrivo improvviso di Elijah sembrava averla trasformata in un cumulo di rabbia e frustrazione!

«Lui è peggio di quanto pensiate...» proseguì la bionda, ignorando il disagio di Felicity.
«Se davvero volete essermi amica non parlatemi di lui, né dei suoi finti modi da cavaliere. Capisco che, in quanto sua dipendente, sei tenuta a parlarne solo che bene, ma non con me ti prego. A me non raccontare frottole simili non le sopporto!»

«Ma madame non sono menzogne, se solo mi lasciaste spiegare...»

Isabel scosse la testa, categorica.
«Non me ne importa niente!» chiarì in tono fermo.
«Se non vi dispiace vorrei cambiare discorso, davvero, questo mi sta causando una certa pena.»

E lei odiava imputarsi condanne inutili.

Felicity parve sul punto di ribattere, ma alla fine non lo fece. In quanto nuova governante di Isabel, era suo dovere rispettare certi limiti, alcuni dei confini invalicabili imposti dall'alta società: quelli come lei non contavano niente, non erano niente. E il niente non può permettersi di disturbare, di interferire in situazioni spinose, di causare malesseri.
Doveva lasciarla in pace, doveva smettere di importunare quella povera anima, che di pene, ne aveva già a sufficienza.
Doveva smettere di impicciarsi, di tentare l'impossibile nel difendere quell'uomo tanto scellerato!

Ma...se solo avesse voluto ascoltare!

Ascoltare la storia di quella bestia che si comportava come se effettivamente lo fosse...
Ma che in verità, non lo era affatto...
Allora forse tutto cambierebbe, lei cambierebbe idea, tutto si tramuterebbe in una fiaba dal dolce lieto fine, una di quelle storie di magia in cui l'amore trionfa, alzando la coppa sulle tenebre sconfitte...

Ma non lo fece, perché proprio non voleva ascoltare.

Felicity rimase in religioso silenzio, rispettando il volere della donna dall'incantevole aspetto che alloggiava nelle stanze del padrone. Poco dopo si sarebbe congedata con un mesto inchino, chiudendosi la porta alle spalle.
I passi che percosse lungo il corridoio furono brevi.
Brevi a tal punto da poter sentire i singhiozzi di Isabel.
Quella dannata storia di lieto fine, in realtà, aveva ben poco.

***

Non era un posto sicuro per lei.
Non era sicuro per niente.
Neanche un po'.
E tuttavia, rimase dov'era.
Girovagando in mezzo al giardino della villa, trovò una panchina giallognola seminascosta da un folto cespuglio innevato: sola e senza una meta, si sedette. Quella mattina l'aria sembrava più gelida, quasi perforante. Isabel si strinse nel suo nuovo cappotto bianco, la morbida pelliccia che avvolgeva il cappuccio le solleticò la pelle diafana, in contrasto con il dolce rosso che le tingeva le guance.

Erano passate un paio d'ore dalla "lite" con Felicity, ore trascorse a disperarsi, a rimuginare sulla sua stupida vita, sulla ragione della sua miserabile esistenza. Per quanto desiderasse fuggire, alla fine non lo fece, non aveva speranze in trappola com'era: i domestici perlustravano costantemente il corridoio affacciato alla sua stanza, porte e finestre erano state sigillate, i cancelli della villa sbarrati. Persino lei veniva controllata da alcuni camerieri, assunti dallo stesso Elijah per tenerla d'occhio: non poteva muovere un passo fuori dalla sua camera, senza che una piccola scorta non si mobilitasse a seguirla!

Nessuno di loro voleva ritrovarsi ad affrontare Elijah, soprattutto se questo comportava un possibile licenziamento. Quella donna rappresentava un problema e in quanto tale, se ne sarebbero occupati senza destare alcun fastidio e questa volta senza commettere errori. O così credevano, almeno.

Ciò nonostante, Isabel non era certo in catene, particolare che lei stessa ci tenne a precisare: minacciò di scatenare l'inferno, se quanto meno, non le avessero concesso di stare in giardino! Tutta quella situazione era irreale, non avrebbe mai sottostato a regole così balorde, non si sarebbe mai piegata al volere di quel mostro senza cuore. Poter stare all'aperto era un suo dannato diritto, e in quanto tale, avrebbe fatto di tutto per rispettarlo, lui non poteva privarla anche di questo!

Già, quante cose ancora avrebbe continuato a strapparle via? Non aveva risposte.

Sospirò, alzò lo sguardo verso il cielo azzurro, limpido, chiaro. Sapeva di pace.
Le era rimasto solo quello ormai, misere emozioni suscitate da ciò che era invalicabile e irraggiungibile, sereno e trasparente. Anzi, a voler essere sinceri, si chiese persino se avesse mai posseduto davvero qualcosa, se tutti i suoi traguardi fossero stati merito della buona sorte e non del suo duro lavoro. L'arrivo di Elijah aveva messo in discussione qualsiasi cosa, persino la realtà di cui faceva parte. Il fatto che il suo cuore desiderasse le sue attenzioni, non poteva che fare altrimenti! Quelle maledette avance erano per lei la morte dell'anima, un controsenso gigantesco: per quanto odiate, erano capaci di lasciarle addosso sensazioni scomode e pungenti, inaspettate e prive di ogni morale.

Doveva essere impazzita, non c'era altra spiegazione.

"Ma il cuore illogico, irrazionale, non può e non deve prevalere", citava un vecchio libro.
Doveva aggrapparsi alla realtà e restare fedele a se stessa!

Quelle sensazioni non erano razionali, ma frutto di un corpo inesperto, acerbo nel gestire simili attenzioni, determinati impulsi che poco avevano a che fare con la purezza dello spirito. Non c'era molto su cui riflettere, combatterle il più possibile era l'unica soluzione, la scelta più semplice, per entrambi. Ecco perché lo detestava, lo detestava in maniera inquantificabile: l'aveva ferita, poi illusa e ingabbiata. L'asciata lì, in un mezzo a un mondo che non le apparteneva, senza prospettive o speranze, in balia di emozioni irruenti che le scombussolavano il petto!

Quelle erano le conseguenze peggiori di tutte.
E non solo quelle: da lì a poco avrebbe dovuto nuovamente sopportare le sue avance...

Un auto parcheggiò difronte ai cancelli della villa.
Una vettura che avrebbe riconosciuto fra mille, persino a distanza di anni.
Era quella di Elijah. Il diavolo era tornato!

Scappa!

Seguendo l'istinto, corse in direzione di un grosso arbusto poco distante da lei, dietro al quale si nascose furtivamente. Non voleva essere vista, tanto meno sottostare ad altre stupide carezze indesiderate: l'imbarazzo che ne susseguiva era per lei insopportabile!

Nel frattempo, la vettura fece il suo ingresso oltre i cancelli indorati della villa, che imponenti si spalancavano ad accogliere il padrone di casa: Elijah scese dalla vettura, bello e dannato proprio come lo aveva lasciato. Teneva in mano un mazzo di rose bianche, i gambi avvolti da un nastrino azzurro.

Isabel ridusse gli occhi a due fessure.
"Crede di potermi avere con degli stupidi  fiori?"
Pensò indignata, mentre l'osservava avanzare lungo lo spiazzale. Ma a discapito di ciò che credeva, non era lei la sua destinazione, non quella volta perlomeno: nascosta com'era, lo vide lanciare un rapido sguardo alla villa, prima di addentrarsi verso il giardino. Fortunatamente, il viale da lui imboccato era distante da Isabel, la quale riuscì a chinarsi abbastanza da non farsi vedere.

Era certa, l'avrebbe seguito, eccome se l'avrebbe fatto!

Attese che fosse abbastanza lontano da poter avanzare con cautela: le fronde che oscillavano mosse dal vento, camuffavano lo scricchiolio prodotto dai rami al suolo, che senza volerlo, si ritrovava a calpestare a causa del suo passo frenetico. Isabel non era mai stata una donna impavida, il cuore nel petto le batteva come un dannato; in tutta franchezza, credeva di svenire da un momento all'altro, di essere più vicina che mai alla morte. Ma quell'emozionante flusso di energie era tutt'altro che deleterio, anzi: non si era mai sentita più viva di così!

Avanzò ancora, evitando frasche e neve nella quale tentò di non ruzzolare. Elijah camminava avanti, il suo passo era deciso, sembrava non essersi accorto della sua presenza e il che la rincuorava. La spingeva a proseguire con temperanza e determinazione, ma senza sapere bene il perché.

Era curiosa di beccarlo in compagnia di un'altra donna?
Per chi erano quei fiori?
E perché diavolo voleva saperlo?

Scosse la testa come per snebbiarsi la mente; quello non era certo il posto e il momento adatto per analizzare le sue emozioni, doveva fare attenzione, doveva...

Un attimo, dov'era finito Elijah?!

Nell'evitare alcuni arbusti l'aveva perso di vista: quel dannato giardino era incredibilmente grande e dispersivo!

«Maledizione!» imprecò sotto voce.

Proseguendo, notò che il sentiero che aveva percorso continuava verso un bivio a lei sconosciuto: che avesse già imboccato la direzione giusta?
In tal caso come avrebbe fatto a raggiungerlo?

Sospirò, il fiato si condensò nell'aria gelida che le pizzicava le guance. Il terrore la invase nuovamente, non riusciva più a proseguire. Forse avrebbe dovuto lasciar perdere e tornare alla villa, i domestici che le avevano concesso quell'ora d'aria, potevano essere preoccupati.

I domestici?
Preoccupati?

Ma che se ne andassero pure al diavolo, perché mai avrebbe dovuto mollare e concedere privacy a quel viscido manipolatore? No, non se ne parla, era decisa a rovinare qualsiasi piano avesse in mente. Muovendosi a tentoni aguzzò la vista, ispezionando attentamente la strada che aveva percorso: ora che l'osservava meglio, notò che non era poi così distante da lei. Elijah non poteva essere andato lontano e soprattutto in...così poco tempo.

Oh, merda.

«Ti sono mancato fata?» una voce calda oltre le sue spalle la colse alla sprovvista.

Isabel si pietrificò.
Elijah l'aveva trovata.

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