Capitolo quindici

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"Paradiso inesplorato"



Isabel indietreggiò, Elijah seguì ogni suo passo con estrema attenzione.

«Cosa ci fai qui?» Le chiese.

Nessuna risposta.

Non si aspettava mica di riceverne una, ma valeva la pena tentare, provare a intavolare una conversazione con quella dolce, magnifica, fata delle fiabe che ora se ne stava in piedi a fissare il bosco oltre le sue spalle. Elijah inclinò il capo, lasciando che i suoi occhi le scorressero addosso: i vestiti che indossava la rendevano così eterea, così bella e irreale che gli pareva di vivere un sogno. Uno di quelli in cui la materia non esiste, dove il confine fra cielo e terra viene squarciato dalla magnificità di un istante, da una luce che sembra provenire dall'alto di un paradiso ancora inesplorato.

Bella.
Bella e splendente.
Tuttavia, non fu questo ciò che le disse...

«Parlo con te! Cosa diavolo ci fai qui fuori?» Domandò ancora, questa volta con un tono più brusco.

Silenzio.

Solo il fruscio dei rami colmava quell'insolita quiete fra di loro. Isabel continuava a dargli le spalle. In piedi e ancora in mobile aguzzò la vista, nel tentativo di studiare lo spazio circostante: non c'era alcuna via di fuga, niente che potesse permetterle di scappare in sicurezza, il bivio appena incrociato le avrebbe concesso un aiuto, il tempo necessario per allontanarsi da lui, o quanto meno provarci.
Ma sarebbe stato inutile, considerando che i cancelli della villa erano già chiusi.

Vale la pena tentare?

La risposta che si diede bastò a farle muovere il primo passo.

Poi il secondo.
E poi il terzo.

«Lo sai che ti riacciufferei!»

Isabel sobbalzò.

Elijah la studiava, accorto «e a quel punto sarei costretto a rincorrerti, a gettarti atterra, a compiere azioni discutibili, azioni che disprezzi. Sai a cosa mi riferisco. A te la scelta, fatina», fu una fatica per lui, pronunciare quelle simili idiozie. Baciare lei, il suo corpo, la sua pelle calda, erano tutt'altro che gesti beffardi e deplorevoli, ma dovette dirlo. Era costretto a farlo, quella fata maledetta lo costringeva a farlo. Non poteva perderla, ma adirarla certamente sì.
E fu proprio ciò che accadde.

La donna rimase in silenzio, concentrata ed esitante.
In mezzo a tutta quella dannata circostanza la sua mente andò vagando, rispolverando la conversazione avuta con Felicity qualche ora prima. La domestica gentile, che tanto millantava la bontà di quell'uomo, il suo cuore puro e gentile, tormentato da chissà quali cruci sconosciuti.

Tsz, che assurdità, sapeva di non sbagliarsi!

Elijah non era buono, men che meno afflitto o tormentato. Era pericoloso, imprevedibile, ignobile, un essere privo di coscienza, in grado di manipolare chiunque.
Ormai lo sapeva.

Sì, lo sapeva, e tuttavia scelse di ignorarlo comunque!

Quattro passi.
Cinque.
Sei.

«Tsk-tsk, non farlo» l'ammonì lui, vedendola avanzare verso il bosco.
«Non farmelo fare Isabel, non darmi un pretesto per baciarti perché lo coglierei al volo. Non voglio farlo, non costringermi a usare le maniere forti, iniziano a stancarmi» ammise, vagamente seccato.

Isabel, a quel punto, si lasciò scappare un ringhio frustrato: in piedi com'era si voltò ad affrontarlo.
«Vi divertite a torturarmi?!»

«Affatto!» Elijah aggrottò la fronte.
«Se mi ascoltassi non dovrei arrivare a tanto.»

«Cosa dovrei ascoltare? A cosa dovrei obbedire? Mi avete già rinchiusa qui, ora non posso neppure ignorarvi!»

«Mi dispiace che tu la veda in questo modo, villa Brown non è una prigione. Questa è la tua nuova casa e mi piacerebbe che tu iniziassi a vederla come tale.»

«Casa?» ripetè lei, con un tono che Elijah giudicò irrisorio.
«Questa non è...casa! È un dannato incubo e voi mi ci avete trascinata dentro!»

Elijah sospirò «mi dispiace, ma è una misura necessaria alla tua incolumità.»

«Che voi stesso avete messo a repentaglio!»

«E me ne rammarico...» Elijah si leccò le labbra, lentamente.
«Per questo intendo occuparmi di te e della tua sicurezza» affermò, con fastidiosa ovvietà.

Isabel lo guardò a bocca aperta «della mia sicurezza? Questa è cosa più stupida che mi abbiate mai detto!»

«O la più veritiera...»
Elijah le andò più vicino, con calma, a piccoli passi. I suoi piedi affondarono nella neve, lasciando che il tessuto dei calzini s'inzuppasse d'acqua. Gli importava solo di lei.
«È la cosa più sincera che abbia mai detto, forse la meno egoistica di tutti i tempi, te lo assicuro.»

«Non per me» Isabel indietreggiò di molti, moltissimi passi che a Elijah sembrarono infiniti. «Per me è l'ennesima conferma, un'altra delle verità che già conosco: l'unica cosa che v'interessa proteggere è il vostro ego! Siete così concentrato su voi stesso che dimenticate il benessere di chi vi sta attorno, di chi prova in tutti i modi a sopravvivere, a sopravvivere a voi!»

L'uomo confermò con un cenno placido le sue parole. «È vero», ammise. «Non ho interesse nell'occuparmi di cose o di persone che trovo insignificanti, irrilevanti. Ma tu ti sbagli, commetti un grave errore; il tuo acume non è poi così spiccato come pensavo...» Quell'ammissione lo divertì: Isabel non era una donna pragmatica, era certo che da lì a poco lo avrebbe incalzato. Ma quella volta, solo per quella volta, non fu così. Lei lo guardava in silenzio, in piedi e immobile, in balia del gelo che sembrava aver fermato il tempo.

Bella.
Bella e luminosa come poche cose.

E allora lui ne approfittò, le sue labbra si schiusero, avventate e incoscienti, pronte a tradire un segreto inviolabile stipulato tra la mente e il cuore. Non seppe spiegare il motivo che lo spinse a rivelarlo, eppure lo fece. Che le condizioni particolarmente angoscianti di quella mattina avessero avuto la meglio? In quel momento non se ne curò. Non ebbe il tempo di riflettere, di trattenere le parole...

«L'errore che commetti è pensare che tu appartenga a loro, Isabel, che tu non abbia valore per me. Tu sei...sei come una stella, luminosa, brillante, e io non sono altro, se non l'oscurità che ti ruota attorno. Sarei incapace di spegnerti, ma tu sei in grado di ravvivarmi, di rischiarare il vuoto che mi inghiotte, che mi tiene prigioniero. È così» ribadì Elijah, parlando più che altro a se stesso. «Ti ho rinchiusa qui è vero, ti ho privato della tua vita, della tua libertà, dei tuoi affetti, ma non l'ho mai voluto, o meglio, non così. Niente di tutto questo è stato intenzionale. È semplicemente una dannata conseguenza, un intoppo che non avevo considerato...»

«E perché avreste dovuto, in fondo, come ho detto, non ve ne importa niente, niente di niente!» Isabel, se possibile, appariva più infuriata di prima; a giudicare dal tono fermo e brusco con il quale gli aveva parlato, sembrava non aver fatto caso al suo sermone, non gli aveva dato peso. Non gli aveva creduto. Eppure, l'aveva colpita, in qualche modo. Insomma era pur sempre fatta di carne, e la carne, in quanto tale, è debole, incapace di resistere alle tentazioni umane, quelle subdole e avventate che cedono il controllo a impulsi primitivi, indomabili. E quell'uomo, beffardo e terribilmente adulante, lo era.

Ecco il testo corretto con la punteggiatura:

Una fantasia irrealistica, scottante, pericolosa, in grado di smuovere in lei desideri fin troppo arditi. E quelle dannate bugie ne erano la prova. Era arrabbiata sì, ma con se stessa! Con la parte più irrazionale di lei, che da quella mattina, da quel bacio furente e passionale, non smetteva di bramare attenzioni dalle labbra che tanto l'avevano incendiata. Dalle sue labbra, quel peccato dolce e morbido che sapeva di scotch e pessime decisioni. Ed ora, in mezzo al freddo che le intorpidiva le dita, le desiderava ancora. Desiderava sfiorarle, che loro sfiorassero lei, le sue guance rosse, il suo corpo intirizzite, il suo cuore dubbioso e in lotta, che tanto detestava quella spinosa diatriba. Quell'inverosimile realtà!

Sospirò, stanca e confusa.

Entrambi rimasero in silenzio, a guardarsi, a studiarsi con parsimonia. Il vento soffiava appena, quasi non volesse interrompere quella folle disputa. Elijah continuava a interpellarsi, a interrogarsi sul perché le avesse dette quelle simili parole, sul perché non si fosse limitato a trascinarla dentro con le buone o con le cattive, a portare le ortensie che stringeva in mano ai fantasmi del suo passato, al sepolcro in cui giaceva parte della sua umanità.

Già, perché non lo aveva fatto?

Se lo chiese, o sì, diverse volte, tanto quanto lei. Anche Isabel, d'altro canto, si interrogava, ma non voleva darsi risposte. Aveva l'impressione che non le sarebbero piaciute.
«Non voglio essere il tuo carceriere, Isabel.» Elijah si pronunciò, ponendo fine al loro mutismo. Glielo disse guardandola negli occhi, come se ciò bastasse a confermare le sue parole.

Parole che Isabel parve non avvalorare; con un'acida espressione fece un gesto della mano, indicando lo spazio attorno a loro. «Per questo è un po' tardi, non trovate?»
Che razza di uomo era quello che le stava davanti?
Uno psicopatico senz'altro, un folle senza cuore, un'anima irrimediabilmente dannata che si beffava di lei, dei suoi sentimenti, del suo cuore fragile e tormentato.
La rinchiudeva, la molestava, distruggeva la sua vita, le disturbava il sonno, e poi si mostrava gentile, buono, quasi premuroso, un insolito gentiluomo.

In che guai era finita stavolta?

«Posso ancora rimediare...» la voce di Elijah la riscosse.
«Se me ne darai modo, te lo dimostrerò.»

Isabel lo guardò, dapprima interdetta, poi ridacchiò, come se trovasse la cosa terribilmente stupida. «Ho scelta, Signor Brown? Posso davvero rifiutarmi?»

«Elijah! Chiamami per nome ti ho detto!»

«No, non lo farò» lei scosse la testa, questa volta senza paura, con noncuranza, la stessa che lui aveva mostrato nell'esprimere la sua totale indifferenza verso il genere umano. «Volete convincermi? Farmi cambiare idea su di voi? Bene, costringermi a un'intimità tra noi non è la strategia migliore.» Elijah credeva che il suo pensiero fosse ovvio, irrefutabile, ma venne smantellato dalla spavalderia improvvisa di lei. Sembrava sicura, in un modo che lo mise a disagio, che lo portò a interrogarsi, a riflettere sulla sua prossima mossa.

Ma fu Isabel, in modo del tutto inaspettato, a precedere le sue intenzioni: spinta da chissà quale stupido coraggio, avanzò di un passo.

Poi un altro.
E un altro ancora.

Ma questa volta, non verso il bosco, bensì, in direzione dell'uomo che, con un espressione vagamente truce, studiava accorto i suoi movimenti: Elijah la vedeva avvicinarsi senza la benché minima idea di ciò che avesse in mente, ma decise di non intralciare i suoi piani, di non ostacolarla. Era curioso e frenetico, desiderava starle vicino, sentire il suo profumo, sfiorarla ancora, se poteva.

Come avrebbe fatto a rifiutare una simile occasione?
L'agnello, che casto e incosciente si muoveva verso il lupo cattivo.
Era per caso il suo giorno fortunato?

Elijah la guardò, ancora, i suoi passi erano lenti, ponderati da chissà quale ragione effimera che detestava a priori. Doveva muoversi accidenti, così rischiava di provocarlo, di scatenare la sua immorale irruenza, la sua dannata impazienza. Non era un uomo tollerante, men che meno indulgente, se non si fosse sbrigata l'avrebbe acciuffata, lesto come un ladro, le conveniva accelerare il passo.
Ma non glielo disse, non ancora perlomeno, si costrinse a non farlo e ad aspettare.

Ancora.
E ancora.

Per istanti, secondi, che gli apparvero infinitamente lunghi.
Attimi che alla fine si rivelarono amari: Isabel terminò la sua avanzata, giusto qualche passo prima di finirgli addosso.

Maledizione!
Aveva cantato cantato vittoria troppo presto.
Ora la voglia di afferrarla era tanta, prepotente e boriosa, ma dovette resistere, quanto meno provare a trattenersi.
La sua fata era lì che lo guardava con aspettativa, come se persino lei fosse pronta a un suo gesto sconsiderato.
Ma non fu questo ciò che accadde.

Dalla sua indecifrabile espressione, Isabel capì che poteva pronunciarsi. Sembrava non volerla accattare, non in quel momento, perlomeno.
«Ho bisogno di chiedervi una cosa...» esordì lei, senza osare guardarlo in faccia.
Era tutto, troppo, imbarazzante.

L'espressione di Elijah cambiò. Improvvisamente si fece quasi più seria, senza sapere bene il perché.
«Quello che vuoi, chiedi pure.»

Isabel apparve ancora titubante; fra il nervosismo che pareva consumarla, si morse il labbro, infierendo con violenza sulla carne morbida e rossiccia. Elijah, debole e vizioso, la osservò in silenzio, frastornato dall'inumana bellezza che quella donna sembrava emanare: le sue gote leggermente imporporate, i suoi occhi verde muschio, chinini sul terriccio innevato, le onde dorate che le cadevano sulle spalle, il bianco delle sue vesti, nuove, meravigliosamente abbinate, che esaltavano la sua aura così ingenua e pura...

Un angelo, senz'altro, una creatura paradisiaca.

Ma tutto parve aggravarsi, quando, finalmente, lei lo guardò.
Il suo viso morbido, diafano, etereo, innocente, lo portò a indietreggiare di molti, moltissimi passi indietro.
Quella donna era pericolosa, non c'era alcun dubbio, minava il suo autocontrollo in maniera inaccettabile.

Ispirò, a fondo, più a fondo che poteva. Doveva incatenare la ragione, costringere se stesso a rimanere dov'era, a non gettare all'aria i suoi buoni propositi. Non poteva baciarla, abbracciarla con forza, prenderla in un bosco, nel suo bosco, a un passo dalla villa! 

No, no era una pessima idea.
Matthias, come minimo, lo avrebbe strangolato.

Ma, oh quanto avrebbe voluto farlo!
Assolutamente.
E senz'altro lo avrebbe fatto, se le condizioni fossero state...diverse.
Se il posto fosse stato diverso.
Se, lei, fosse stata diversa.

Meno ostinata, ecco tutto.

Ma non lo era e in quel momento la maledisse per questo. Sì, lo fece, dannazione! Lei, e i passi che li separavano, il suo corpo che ancora non poteva avere, che non poteva stringere, consumare con forza, con assoluta avidità. Lei e la sua stupida pertinacia, la sua lodevole moralità, la sua innata perspicacia, il suo ammirevole coraggio.

Tutto in lei era una tentazione irresistibile, attraente in maniera incommensurabile.

Per questo doveva resistere, costringere se stesso a incatenare il proprio istinto e ad ascoltare ciò che lei aveva da dire, se fosse stata pronta a farlo. Ma a giudicare dallo sguardo confuso con il quale stava ad analizzarlo, sembrava, perlomeno, non esserlo più.

Perché si era allontanato? In quel momento non glielo domandò, il quesito che le ronzava in testa era nettamente più interessante, il motivo per il quale si era presa la briga di seguirlo: i fiori. Erano per lei? E se lo fossero stati, davvero credeva di poter sistemare i suoi misfatti con...un mazzo di ortensie?
Non le preferiva neanche!

«Cosa volevi chiedermi, Isabel?» la voce di Elijah la riscosse.

Chiedere era la cosa giusta?
Era davvero disposta a saperlo?
Isabel si interrogò un istante, ancora indecisa e in lotta con se stessa. Ma, poi alla fine, parve rincuorarsi.

Diamine sì, che se ne andasse pure al diavolo, perché mai avrebbe dovuto mollare?
Proprio ora che era così vicino a scoprirlo?
Ora, che era a un passo dall'umiliarlo?
No, non se ne parla, era decisa a rovinargli i piani e così avrebbe fatto.

Isabel fece un passo avanti, pronta a chiedere quindi.
«I fiori, sono per me?» esordì, con tono incurante, del tutto privo di insicurezza. Elijah, a quel punto, parve confuso dapprima, ma poi, un istante dopo, sembrò rammentare, capire ciò di cui lei stava parlando: chinò lo sguardo sulla mano serrata, quella che ancora stringeva il mazzo di ortensie.
Giusto le ortensie!

Lily.
L'aveva dimenticata, ancora.

Elijah sentì il suo cuore andare in mille pezzi.
In tante piccole schegge che gli trafissero il petto.
Non poteva crederci, due volte in un giorno, entrambe per lo stesso motivo.
Per lei.
Isabel.
Quella stupida fata incosciente!

«No, non sono per te» le disse lapidario, dopo una breve riflessione. Elijah strinse il mazzo, con forza, tanto che le sue nocche divennero violacee. Il suo tono era cambiato, non era più dolce e seducente, ma duro e severo, quasi minaccioso. Persino la sua espressione si era stravolta dalla rabbia.

Non poteva crederci, aveva scordato Lily, suo figlio, il dolore che li teneva uniti, che li legava persino dopo la loro morte. Aveva un nodo in gola a pensarci. Li aveva abbandonati, ancora e stavolta nel modo peggiore possibile: accecato da un miraggio, da una luce pressoché inesistente!

Isabel non era Lily, e neanche pretendeva che lo fosse, che lo diventasse, che le somigliasse.
Ma, come?
Come avrebbe fatto a sopravvivere, a ricostruire la sua vita accanto a Isabel sapendo che Lily era morta a causa sua?
Quella consapevolezza lo sconvolse.

«Ho-ho detto qualcosa di sbagliato?» la voce flebile di Isabel si fece coraggio. Era come paralizzata, spaventata dal suo cambio repentino. Non voleva mica scusarsi, assolutamente no, non era quello lo scopo della sua domanda.

Ma quell'assurdo atteggiamento la spaventava, la indusse a indietreggiare, a mantenere le distanze.
Non riusciva a capire cosa lo rendesse così agitato, cosa ci fosse di così aberrante.
Forse voleva risparmiarle un imbarazzante confessione?
No, non era quello.
C'era...c'era qualcos'altro, qualcosa, che malgrado i suoi sforzi, non riuscì a capire.

Ma Elijah, d'altro canto, sembrava non aver nessuna intenzione di schiarirle le idee: in maniera brusca, improvvisamente, le indicò la villa.
«Va dentro Isabel, arriverò a breve, aspettami lì» le ordinò, con un tono che non ammetteva repliche.

La bocca di Isabel si aprì, lentamente, in cerca di parole giuste da dire, eppure non ne uscì alcun suono. Non voleva andare via, per qualche insolita ragione voleva restare, voleva capire!

Elijah sospirò, stanco e spazientito. Non poteva perdere altro tempo, Lily aveva aspettato abbastanza.
«Vattene Isabel, torna dentro ho detto!»
La mano libera, che fino a quel momento era rimasta stretta a pugno lungo il fianco, cominciò a chiudersi e aprirsi nervosamente. Non era in se, doveva andare via, ora!

Con un leggero spintone superò Isabel, ancora in piedi, interdetta e scossa. Il suo passo frenetico s'interruppe poco prima di sparire fra le querce che li circondavano, alte e maestose: non si voltò, ma il monito che le disse ad alta voce, bastò a metterle i brividi.

«Se solo ti azzardi a seguirmi, Isabel, se solo ci provi...»

Quella frase restò in sospeso, dura e raggelante.
Il suo tacito significato bastava a rendere chiari i suoi intenti, nel caso non gli avesse obbedito.
Lei lo sapeva, sapeva già tutto.
Non poteva rischiare.

Isabel sentì gli occhi pizzicare, ma non rispose, non disse niente, rimase in silenzio, congelata.
Elijah, di rimando, non aggiunse altro. Era stato chiaro!
Dopodiché la sua figura scomparve, inghiottito dal brolo sconfinato e rigoglioso che ricopriva il perimetro della villa.

Che maledizione atroce, la sua.

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