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Presi la busta contenente il messaggio minatorio che avevo nascosto con cura sotto il maglione e gliela porsi. Lui la aprì cautamente per ispezionarne il contenuto e notò la ciocca di capelli.

«Per essere sicuri che la ciocca sia realmente la tua, dovrò portarla in laboratorio. Però, ho bisogno di un tuo capello per fare il confronto.»

Avevo deciso di fidarmi. Non potevo tirarmi indietro. Passai una mano tra i capelli, lasciandone cadere qualcuno tra le dita, dopodiché lui li ripose in una busta di carta che sigillò.

«Non preoccuparti, non ne uscirà nessuna indagine ufficiale. Se hai anche altre cose che potrebbero essere utili o se hai notato qualche particolare...»

«Le lettere minatorie sono arrivate all'e-mail di mio padre, però non risultava alcun mittente.» Ero indecisa se parlargli del ragazzo biondo incontrato sul pullman, ma alla fine tacqui; in fondo non sapevo se realmente centrasse con tutta quella storia e per di più lo avevo perso di vista da quando ero uscita dal palazzo Wilson.

C'era poi ancora la questione del taccuino di pelle nero rovinato e di tutti quei numeri, ma quello aveva a che fare con mio padre, ed era una cosa a cui avrei dato risposta da sola.

«Capisco. Bene allora passo al commissariato per portare ad analizzare questi. Nel frattempo, ti converrebbe ritornare a casa tua.»

«NO!» gridai, improvvisamente spaventata. «Lì verrebbero a cercarmi di sicuro e poi non voglio vedere mio padre in questo momento.»

«Allora ti porto prima in ospedale a controllare che tu stia bene» asserì, guardando la fascia improvvisata che mi ero fatta sul ginocchio. « È stato l'uomo vestito da agente a farti questo?»

«Non è grave, penso sia una semplice sbucciatura. Te l'ho detto che hanno provato a rapirmi, così mi sono gettata dalla macchina in corsa. Me lo sono fatto durante la fuga.»

Prese le chiavi dell'auto. Diede un bacio sulla fronte a sua nonna e le sussurrò qualche parola all'orecchio. L'anziana sorrise e la scena mi riscaldò il cuore.

«Andiamo prima in ospedale e poi decidiamo il da farsi» mi disse deciso.

«Agli ordini» risposi sarcastica.

Ringraziai la signora che mi venne vicino e mi abbracciò forte. Per istinto mi irrigidii di nuovo, poi anch'io non potei fare a meno di sciogliermi in quel gesto così naturale per lei. Si toccò il cuore e poi toccò il mio e indicò casa sua.

«Ti sta dicendo che se vuoi casa sua è a disposizione per te» disse Sebastian mentre mi aspettava sull'uscio di casa.

Sorrisi alla signora e uscii dal piccolo appartamento che mi aveva dato rifugio. Prendemmo l'ascensore e scendemmo fin sotto il palazzo, dove si trovava il parcheggio.

Sebastian aprì gentilmente la portiera del passeggero per me e poi si accomodò a sua volta. Aveva una piccola e comune utilitaria, stracolma di fascicoli, contenitori di cibo vuoti e carte di caramelle.

«Scusa per lo stato pietoso della mia macchina, non pensavo di avere ospiti» ammise, arrossendo lievemente e guardando dritto di fronte a sé.

Quegli sprazzi di quotidianità e la sua semplicità, cose che non avevo mai avuto, mi sorpresero positivamente. Invidiavo già la vita che aveva quel ragazzo, perché sinceramente, era una vita comune, come quella che cercavo per me.

Feci un grosso respiro e decisi di fidarmi completamente di lui. Iniziai a raccontargli per filo e per segno quello che mi era accaduto dalla mattina, del fatto che mi sentivo spiata e che decisi di andar via dall'università prima. Tuttavia, evitai di dirgli di mio padre e del suo vizio dell'alcool, e anche del ragazzo biondo sul pullman. Gli riferii invece dell'ufficio e di quel che avevo trovato, ma non del libretto nero e della mia folle idea di far perdere le mie tracce ed infine lo misi al corrente dell'infelice incontro con il barbone e dell'accaduto a casa di Joy.

Lui aveva ascoltato tutto senza dire una parola, concentrato sulla guida.

Si fermò nel parcheggio del commissariato. Venne ad aprirmi la portiera e mi tese la mano per aiutarmi a scendere. Esitai un attimo prima di afferrarla, ma avevo bisogno di aiuto e la accettai. La sua pelle calda e ruvida a contatto con la mia mi fece uno strano effetto. Aveva una presa veramente salda, si poteva sentire la sua forza, non solo fisica, dal modo in cui aveva afferrato la mia mano.

Mi fece strada nel piccolo e affollato edificio grigio, fino a condurmi ad una piccola scrivania piena zeppa di oggetti. Mi accomodai.
«Torno subito» e lo vidi sparire in un corridoio laterale.

Era un vero caos, quella scrivania e dalle stesse carte di caramelle viste nella macchina di sicuro era la sua postazione di lavoro. Avevo letto da qualche parte che il disordine è tipico di menti creative ed intelligenti, sperai con tutto il cuore fosse vero.

Sulla scrivania notai una piccola cornice d'argento. La presi e mi imbattei in un Sebastian molto più giovane accanto ad una ragazza stupenda dai lunghi capelli biondi. Si guardavano intensamente negli occhi. Posai di nuovo la cornice e aspettai il suo ritorno. Non avevo nessun diritto di ficcanasare tra le sue cose, mi sentì in colpa.

Quando ritornò si sedette di fronte a me, rendendosi conto solo in quel momento del caos che regnava sovrano e cercò di fare un po' di ordine.

«Per le analisi il mio amico mi farà sapere domani mattina.» Poi prese un bel respiro e puntò i suoi occhi azzurro cielo nei miei. «Ho anche controllato tra le denunce arrivate, tuo padre non ne ha sporte, né in relazione a minacce e nemmeno riguardo la tua scomparsa» constatò serio.

«Non ne avevo dubbi, si ricorda di avere una figlia solo quando...» è ubriaco e in cerca di qualcuno su cui sfogare la sua ira, stavo per dire, ma mi fermai giusto in tempo.

«Quando?» chiese lui, fin troppo attento.
«Nulla, nulla, non dovevamo andare all'ospedale?» dissi cambiando argomento.

«Sì» rispose, notando il cambio repentino nella mia voce, ma non disse nulla, si limitò ad alzarsi e dirigersi di nuovo verso l'uscita del Commissariato.

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Ciao Lettori!! Buone Feste a tutti!!! Scusate se non ho aggiornato prima ma tra regali, parenti, amici e cenone non ho avuto proprio tempo!!

Un abbraccio forte a tutti e grazie per la pazienza









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