▴Otto▴

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L'anziana signora mi guardava ancora immobile. Stava valutando se credermi oppure no, o - chi lo sa - se fidarsi o prendermi per matta.

Dopo secondi che mi parvero interminabili, la vidi allontanarsi per tornare poco dopo con un grosso bicchiere d'acqua. Me lo porse e mi fece un sorriso.

Afferrai il bicchiere e lo scolai in nulla. Avevo ancora le mani che tremavano dalla tensione, ma avevo bisogno di quel bicchiere d'acqua. La ringraziai e le porsi il bicchiere vuoto.

La signora mi fece segno di alzarmi e seguirla. Indicò il telefono. Poi con l'indice si toccò le labbra e scosse la testa. «Lei è muta?» le chiesi e lei annuì debolmente.

Mi indicò nuovamente il telefono e fece il segno delle manette.

La signora giustamente mi suggeriva di chiamare la polizia. Era la cosa più logica da fare. Ma la situazione era complicata. La guardai triste e le dissi «Non lo so, hanno minacciato una mia amica, se chiamo la polizia le porteranno via il suo bambino»

La signora mi guardò e si toccò sul petto, come a dire "ci penso io!"

La vidi aprire un cassettino e cercare sulla sua rubrica. Mi indicò un numero. «Signora, chi è che può aiutarmi?»

Mi fece segno di aspettare e qualche istante dopo tornò con un foglietto e una foto. Mi porse la fotografia che ritraeva un ragazzo vestito da poliziotto sotto braccio all'anziana signora ed entrambi sorridevano verso l'obiettivo.

Poi mi tese il foglietto.

Puoi fidarti di lui è mio nipote, può aiutarti.

Ero combattuta. Ma in fondo avevo dato una via di fuga a Joy e al suo bambino. Io, al contrario, stavo rischiando davvero grosso e da sola non sapevo quanto avrei potuto fare. Feci un cenno di assenso e composi il numero. Dopo pochi squilli una voce maschile mi rispose. La signora mi indicò il nome sulla foto: Sebastian.

«Parlo con Sebastian?»

«Sì, chi è?»

«Mi chiamo Shana e mi trovo a casa di tua nonna. Ho bisogno di aiuto e lei mi ha detto che posso fidarmi di te.»

«Shana, dimmi di cosa si tratta e vedrò che posso fare.»

«La cosa è abbastanza complicata, preferirei parlarne di persona, se è possibile.»

«Va bene, allora appena posso vedo di raggiungerti lì.»

Agganciai.

Stavo facendo la cosa giusta? O stavo solamente complicando ancora più il quadro della situazione? Non ne avevo assolutamente idea.

Fatto sta che mi ritrovai in quella casa, e credo che fosse più opera del destino che non un semplice caso fortuito. Se è vero che le cose seguono una loro logica a noi del tutto estranea, allora qualcuno o qualcosa in quel momento aveva voluto che mi ritrovassi nella casa di quella signora e forse finalmente una cosa giusta la stavo facendo, anche se non volevo sperarci troppo. La situazione era ancora in ballo e non avevo risolto praticamente nulla, sebbene avessi fatto un piccolo passo, anzi piccolissimo, che avrebbe potuto benissimo ritorcersi contro di me.

Avevo avvisato la signora e lei mi aveva invitata a seguirla nella cucina.

Mi accomodai lentamente, perché il ginocchio sinistro, su cui ero caduta dalla macchina, aveva cominciato a bruciare terribilmente.

Ne approfittai per mandare un messaggio a Joy, affinché mi avvisasse non appena fosse stata al sicuro con il bambino. Solo così, sapendoli al sani e salvi, mi sarei sentita più libera di parlare con Sebastian.

Addentai qualche biscotto gentilmente offertomi e le chiesi se potevo usare il bagno.

Davanti allo specchio non riuscivo a riconoscermi. A causa del vento e della corsa, i capelli avevano un aspetto indefinito, qualche graffio spiccava sul lato sinistro del volto, la felpa era strappata all'altezza del gomito e i leggins erano oramai inesistenti sul ginocchio sinistro. Il sangue si era raggrumato sulle ferite ed in alcuni punti la pelle iniziava a mostrare le tinte violacee di un ematoma.

Pulii meglio che potei le escoriazioni e con il foulard della mattina e creai una specie di fasciatura intorno al ginocchio. Infine, resi un tantino più presentabili i miei capelli legandoli in una coda alta.

Una volta uscita dal bagno e tornata lentamente verso la cucina, al mio posto trovai seduto un ragazzo in divisa.

Vidi la signora indicarmi e lui si voltò nella mia direzione. Si alzò dalla sedia e venne a stringermi la mano.

«Io sono Sebastian, tu devi essere Shana. Dimmi tutto.»

Era poco più alto di me, con la corporatura robusta tipica di chi pratica attività fisica ed un viso dolce dall'espressione affabile in cui spiccavano due occhi azzurrissimi che non passavano affatto inosservati e sul mento e le guance un lieve accento di barba castano miele come i capelli corti e ordinati.

«Quello che dico però non voglio sia una denuncia ufficiale, almeno per ora. Avrei bisogno di un consiglio, ma non da agente di polizia.»

«Rimane solo tra noi, puoi fidarti.»

Puoi fidarti. Per me, era molto difficile fidarmi e ancora di più affidarmi o chiedere aiuto. Ero abituata a cavarmela da sola, ma al momento non avevo valide alternative. Così decisi di parlare.

«Stanno minacciando mio padre e non so se lui abbia già preso provvedimenti o se sia a conoscenza di questa cosa. L'ho scoperto solo oggi e ho letto alcune e-mail minatorie nel suo ufficio.»

«Che genere di e-mail?»

«Cose del tipo "pagherai per quello che hai fatto, non solo con lo stipendio".

Stamattina, mentre ero nel suo ufficio, è arrivata una busta con dentro una ciocca di miei capelli.»

Mi guardava attento e rifletteva. «L'hai con te? Potrei inviarla in laboratorio per vedere se effettivamente i capelli possano essere i tuoi, un'analisi del dna potrebbe fugare qualsiasi dubbio.»

«Non voglio mettere in mezzo la polizia. Hanno minacciato una mia cara amica e il suo bambino. Non voglio che accada nulla a loro!»

«Ti ho già detto che la cosa rimane tra me e te, ma dovresti anche capire se tuo padre sta facendo - o ha già fatto - qualcosa a riguardo. Potrebbe essere già stata aperta un'indagine, senza con questo averla resa nota. Al momento non ho molte informazioni, potrei chiedere o verificare direttamente in centrale se è giunta una denuncia o se tuo padre abbia fatto presente la situazione»

«Ma se non sappiamo nemmeno da chi provengono le minacce? Oggi hanno tentato di rapirmi e il soggetto in questione aveva una pistola ed era vestito esattamente come te!»

«Shana, da come parli la cosa non è di poco conto. Da solo ho le mani legate, ma con l'aiuto degli altri agenti potremmo difendere te, la tua amica e la tua famiglia.»

«Avevi detto che sarebbe rimasto solo tra noi, la cosa!» esclamai, alzandomi di scatto dalla sedia, intenzionata ad andare via.

Lui si alzò con me. «E la cosa rimane tra noi, almeno fino a che tu non cambi idea; eppure, materialmente parlando, posso aiutarti fino ad un certo punto, ma tu dovrai collaborare passandomi tutte le informazioni che hai.»

Era serio e deciso, uno che sa quel che fa e quel che dice. La signora mi era venuta vicino e mi aveva messo una mano sulla spalla. Quel gesto per lei così naturale mi aveva colta di sorpresa e mi aveva destabilizzata. Non ero abituata a quel genere di contatto fisico, anzi a nessuno segno di affetto.

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