Capitolo 1 [REVISIONATO]

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[Dodici anni dopo]

Autumn
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È una notte piovosa a Londra, questo 24 novembre. Il cielo soprastante a tutto ciò che di umano è stato creato, è ora di un colore tetro e offuscato dalla violenza di piccole gocce d'acqua che si scontrano sull'asfalto trafficato della città.  

Il luogo, che osservo da una piccola finestra di un appartamento apparentemente silenzioso, sembra così piccolo e insignificante ai miei occhi vaganti. Il paesaggio, così come i passanti, non mi è familiare visto che mi sono trasferita qui da poco, e ora godo della calda temperatura che avvolge il piccolo monolocale che ho affittato per la notte. 

A farmi compagnia in questa fredda città c'è il mio gatto, Everest: un bellissimo micio di razza Bombay, con un mantello più nero della notte e degli occhi gialli lucenti che si contraddistinguono in mezzo all'oscurità. 

Anche questa notte non riesco a conciliare il sonno, ed è per questo che mi trovo rannicchiata sul divano del salotto con Everest sulle gambe, una tazza di tè caldo tra le mani e lo sguardo perso fuori dalla finestra. 

 Osservo i passanti come fossero delle piccole formiche inzuppate dalla pioggia frenetica e, nel contempo, penso a quale tra questi potrebbe essere la mia prossima vittima nella nuova città. Dopo tutto è solo il mio primo giorno qui e avrò tutto il tempo necessario per studiare gli abitanti e concepire le loro abitudini così da coglierli impreparati; però a me piace il rischio, quindi considerando il sonno assente decido di vestirmi e fare un giro fuori. 

Mi vesto abbastanza pesante visto le temperature basse e prendo un ombrello per potermi riparare dalla pioggia copiosa, raccolgo i capelli neri dentro un cappellino di lana e esco dall'appartamento insieme a Everest. 

Mi incammino verso l'uscita dell'edificio a tre piani e appena sorpassata la porta d'ingresso una violenta folata di vento mi avvolge il viso facendomi rabbrividire da capo a piedi, mi stringo nel pesante cappotto e mi avvio, con Everest a seguito, verso le strade fredde di questa città indenne ancora per poco. 

I miei passi vengono accompagnati dal rumore della pioggia che si scontra sul suolo scorticato e consumato, la strada davanti a me è spianata da alcuni fanali che emettono una luce bianca che fa sembrare il mio viso ancora più pallido di quanto già non sia. 

Socchiudo gli occhi a causa delle luci troppo forti, in contrasto con il buio pece circostante. 

Amo i luoghi freddi, la pioggia, la neve e rifugiarmi in una buonissima tazza di cioccolata calda. Il mio passo è lento, delicato, quasi non si sente il rumore degli stivali che affondano nelle pozzanghere facendo schizzare l'acqua, attutito invece da quello della pioggia. Mentre attorno a me la gente corre e schiamazza, probabilmente per trovare un riparo dalla pioggia e dal freddo agghiacciante. 

Adesso mi trovo sul ciglio di una strada in periferia, non ho scelto il centro città per evitare la confusione, non lo scelgo mai, ma è ancora mezzanotte e ci sono molti giovani in giro che schiamazzano e si divertono tra di loro, presumibilmente pronti ad irrompere in qualche locale per sbronzarsi fino all'alba. 

Ritengo di essere sempre stata una ragazza per bene, educata fin da piccola dai miei genitori e colma di affetto da parte di Aiden, anche se il nostro periodo di spensieratezza che solitamente caratterizza i bambini è presto stato stroncato dalla separazione dei nostri genitori. 

Siamo un po’ stati abbandonati a noi stessi e costretti a crescere da soli, senza una figura paterna o materna a prendersi cura di noi. 

Non siamo stati affidati agli assistenti sociali soltanto perché abitavamo in un paese dimenticato da tutti, abbandonato dalle periferie di Londra. A malapena lì si trovava un supermarket... Figuriamoci una casa famiglia. 

Ce la siamo comunque cavata io e Aiden, con non pochi problemi però, scortati dai traumi infantili che ci hanno accompagnato per tutta l’adolescenza. I nostri genitori non ci hanno nemmeno provato a fare i genitori. 

Ricordo come se fosse ieri quel giorno di tanti anni fa, che cambiò per sempre la nostra vita. 

Mio padre continuava a tornare a casa ubriaco fradicio, con una ragazza diversa ogni volta. 

Sicuramente non era la prima volta che riempiva la casa con la sua puzza di alcol addosso e qualche ragazzina che lo reggeva in piedi, ma la situazione era diventata veramente insostenibile. 

È lì che si manifestarono i miei poteri per la prima volta, quando mio padre tornava sempre più ubriaco e mia madre ne subiva le conseguenze, svegliandosi il mattino successivo quotidianamente con un nuovo livido presente sulla sua pelle. 

Una notte, stanca di vedere mia madre soffrire per quello stronzo e insensibile di papà, decisi di usufruire finalmente dei miei poteri, che tenevo a bada da 5 anni, esercitandomi nella mia stanzetta ed aiutata da Aiden. 

Ma quella volta sono arrivata al limite della sopportazione. Dunque, andai nel salotto, decisa a dare un taglio a tutto questo. 

Lucas, che ormai non aveva neanche la dignità di essere chiamato "padre", aveva preso posto fisso per dormire sul divano, almeno su questo erano stati d'accordo sia lui sia mia madre. Lo guardai dormire, con i capelli neri, uguali ai miei, bagnati e arruffati sulla tempia, le guance arrossate dalla sbornia e la puzza d'alcol che si sentiva a metri di distanza. Lo osservai per un'ultima volta, sperando di non diventare come lui: disteso inerme, con i vestiti stropicciati e la fronte grondante di sudore. 

Era così patetico e vulnerabile che mi sarebbe bastato soltanto un coltello conficcato nel petto per mettere fine alla sua miserabile vita, e invece volevo provare i miei poteri, quelli che mi bruciavano dentro frementi di uscire per scatenare il caos. 

Poggiai una mano sul petto di Lucas, mi concentrai e presto successe ciò che ancora non ero pronta a gestire: dalla mia mano fuoriuscì un vapore dal color nero che si districava sul corpo sdraiato. I miei capelli si alzarono in aria, fluttuando e facendo concorrenza alla forza di gravità, per un attimo chiusi gli occhi a causa di un bruciore improvviso in essi e quando li riaprì osservai sullo specchio di fronte a me come diventarono neri, inclusa la sclera. Il vapore nero si strinse attorno al collo dell'uomo facendogli spalancare gli occhi, scalciava cercando di liberarsi, ma Everest, restando nelle sue piccole somiglianze da gatto, prontamente si trasformò in una creatura a due teste, con una lingua lunga che avvolse sulle sue gambe per tenerlo fermo, lo guardò con gli occhi diventati rossi e lo ipnotizzò sul posto, lasciando libero spazio al mio lavoro. 

Presto i battiti cardiaci di Lucas cominciarono ad aumentare, la pelle sottoposta alla pressione diventò di un colore bluastro e le pupille degli occhi si strinsero nel diametro; il respiro cominciò a mancargli sempre più e rapidamente il battito cardiaco iniziò ad essere sempre più debole e lento fino a fermarsi del tutto. Continuai a stringere per assicurarmi della sua morte, ma, esagerando, improvvisamente il vapore si trasformò in una lama affilata, sotto forma di quel miscuglio di sostanze, e tagliò la testa nettamente all'uomo. Quest'ultima, staccata dal corpo, rotolò sul pavimento e si fermò ai miei piedi. 

In quel momento mi sentì in pace con me stessa, ma più tardi scoprì qualcosa che cambiò completamente il modo di vedere questo dono nelle mie mani, e lo capì esattamente quando vidi mio fratello sull'uscio della cucina, con uno sguardo deluso in volto, come chi aveva osservato per tutto il tempo la scena e sperava che mi sarei fermata prima che potesse accadere l’irrimediabile.  

Adesso tutto quello che riguarda il mio passato è soltanto un ricordo lontano. Mio padre è morto quella notte e mia madre si è tolta la vita pochi anni dopo, probabilmente certa di vivere con un'assassina, come se una bambina innocente potesse fare questo. Non sono mai riuscita a convincere mia madre del contrario; tuttavia, non ne ho sentito la mancanza e neanche disgusto quando l'ho trovata penzolante, con il collo retto da una corda, su un albero nel cortile della casa.  Da bambina non avevo mai amato quel giardino, ma adesso trovo qualcosa di inquietantemente attraente in quel posto, probabilmente a causa dei ricordi del corpo sventrato di mia madre, da cui mi cibavo quando i miei poteri mi lasciavano sfinita. 

Certe volte provo un senso di soddisfazione se solo penso a quanto era buona e saporita quella carne pregna del mio stesso sangue. Era pur sempre mia madre, ma il suo egoismo rese amaro l'ultimo boccone. Non era mai stata una madre presente, sembrava vivere del solo amore che quell'uomo fingeva di darle, eppure continuò ad amarlo anche quando lui non ricambiava più. 

L'unico rimpianto, che mi porterò dentro finché non lo rivedrò, è quello di essermi separata da mio fratello, per evitare di combinare casini con i nostri poteri. 

Ed è stata proprio quella notte che il nostro rapporto si è dilaniato... 

Aiden è rimasto molto deluso dal mio comportamento, e nonostante si fosse preso sempre cura di me in assenza dei nostri genitori, non appena ne ha avuto l'opportunità, compiuta la maggiore età, se n'è andato, lasciandomi sola per andare a studiare al college lontano da qui. Probabilmente per scappare dal dolore che quella casa gli provocava o per scappare da una sorella che ha ucciso i suoi genitori sotto i suoi occhi. 

Per giorni sono stata a crogiolarmi nel dolore per l'abbandono di mio fratello, ma ben presto anch'io decisi di andarmene da quella casa. Ho preso con me tutto ciò che poteva servirmi e ho iniziato a spostarmi da un luogo all'altro senza stare più di un mese nella stessa città, così da potermi sfamare senza destare sospetti.  

Vengo distolta dai pensieri soltanto al passaggio di una macchina che si scontra con una pozzanghera e mi schizza l'acqua addosso. Sento un ringhio da parte di Everest, ormai bagnato, e uno sbuffo da parte mia, come se i ricordi non fossero già abbastanza agghiaccianti. Lancio uno sguardo al mio gatto che cerca di ripararsi sotto le tettoie a cui passiamo accanto, e poi faccio vagare lo sguardo attorno a me nella speranza di trovare qualcuno da mangiare. 

Continuando a camminare sul marciapiede bagnato e svoltando a sinistra, finalmente noto un piccolo bar alla fine della strada, con delle vetrate laterali da cui all’esterno si possono vedere i tavolini di legno occupati dalla gente e i camerieri che portano vassoi a destra e a sinistra. La struttura è completamente in legno scuro e man mano che mi avvicino la scritta a led “Chocolate Nights” diventa sempre più luminosa. 

Mi dirigo in quella direzione e, appena varcata la porta d'ingresso, vengo pervasa da un calore circostante che mi avvolge e un odore zuccherino proveniente da dietro il bancone di fronte alla porta d'ingresso. 

Prima di accomodarmi osservo l'ambiente per studiarne le caratteristiche: si tratta di un semplice bar dai toni caldi come il giallo e il rosso, c'è un forte odore di caffè e biscotti appena sfornati e il luogo è occupato da una decina di persone, intente a mangiare e dialogare tra loro.  

L’atmosfera è accogliente. 

Decido di prendere posto insieme ad Everest in un tavolino situato in fondo, mi accomodo nella sedia in legno e aspetto che qualcuno venga per prendere il mio ordine. Presto un cameriere mi nota e si dirige verso di me. 

«Salve, cosa desidera?» mi chiede un ragazzo molto alto, con capelli neri corti, gli occhi verdi, un piercing che trafora il suo sopracciglio sinistro e vari tatuaggi che si districano da sotto la maglietta grigia arrotolata sui gomiti. Mi prendo qualche secondo per osservarlo rapidamente prima di rispondere. 

«Un caffè nero e una brioche vuota, grazie». 

«Arrivano subito», risponde dileguandosi, dopo aver scritto due righe nel suo taccuino. I movimenti delle sue dita vengono accompagnate dal rumore dei grandi anelli argentati che gli adornano le dita. 

Sospiro profondamente al solo pensiero di dover rovinare questo bel faccino, peccato. 

Passano un paio di minuti e presto il ragazzo, che sembra chiamarsi Damon dal cartellino agganciato nell'uniforme del bar che indossa, ritorna portandomi ciò che ho ordinato. 

«Buon appetito», mi augura per poi allontanarsi nuovamente, quasi sfuggente. 

Agguanto la tazza con dentro il mio caffè caldo e inizio a soffiarci dentro mentre osservo Damon, che con un sorrisetto sghembo sussurra qualcosa all'orecchio di quello che sembra il proprietario del locale e si dirige verso una porta, che pare essere l'uscita di servizio. 

Per un attimo mi prendo del tempo sorseggiando il mio caffè e spiluccando con le dita la brioche morbida, dopodiché mi guardo un po' intorno e, assicurandomi che nessuno mi veda e fingendo di dirigermi verso il bagno, svio i miei passi per seguire Damon, con Everest che zampetta dietro di me. 

Mi trovo davanti ad una piccola stanza, sicuramente lo spogliatoio per i dipendenti, e osservo da uno spiraglio lasciato dalla porta socchiusa Damon di spalle che si sta privando dell'uniforme. Lancio un'occhiata ad Everest facendo un cenno con la testa: si dovrebbe dirigere davanti al ragazzo per distrarlo mentre io lo colgo di sorpresa alle spalle.  

«Ma ehi, che ci fai tu qui?» sussurra Damon con voce calda non appena vede Everest davanti a lui, cominciando ad accarezzare il suo pelo scuro. 

Cammino silenziosamente di spalle verso di lui, creo un pugnale con i miei poteri, che ho imparato a gestire col tempo e, pronta ad accoltellarlo, punto la lama di vapore nero al suo collo, intenzionata a trafiggerlo e godermi della vista del suo sangue che esce copioso.  

Ma presto la mia azione viene fermata dal ragazzo che si gira velocemente, con gli occhi completamente bianchi e un'aura bianca che gli aleggia attorno. 

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