// Capitolo 3 //

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Sì sono tornata e sì vi sto presentando la mia arte nella sua versione più caotica e storta.

//

Una volta sono stato a casa di Nica.

Casa sua è molto più piccola rispetto alla mia e condivide la camera con i suoi fratellini, Yuu e Sota. Hotaru dorme ancora con i genitori.

La loro abitazione sta proprio sopra il negozio, perciò l'odore di pane sfornato è sempre nei dintorni.

Mi piace l'odore del pane.

Soprattutto quando lo fa la mia amica, perché ci mette tanti coloranti alimentari insieme ed il pane diventa molto bello.

E mangiarlo insieme a lei lo fa sembrare più buono.

/-/

Stare attenta in classe era diventato qualcosa di impossibile per me.

Passavo le mie intere giornate a pensare a quel ragazzo incontrato nel parco.

"Moon..." ripetei a me stessa a voce bassa.

"E' perché era sera? Davvero poco originale!" pensai, sorridendo.

Controllai la posizione delle lancette nel quadrante del mio orologio da polso.

Ancora pochi minuti al suono dell'ultima campanella, per coloro che non seguivano nessun club.

Riuscivo a sentire il battito del mio cuore iniziare a martellare, così forte seppur non avessi fatto nulla in particolare fino a quel momento.

Forse era solo ogni più piccolo frammento di me che fremeva e che desiderava incontrarlo di nuovo.

Non ci eravamo fermati a chiacchierare la sera prima, perché non appena avevo provato ad aprire una prima conversazione decente da me il suo cellulare era squillato, e lui era scappato con un "scusami, mi chiamano a casa".

Tutto ciò che gli avevo dato in rimando era stato un cenno apprensivo del capo, in completo silenzio e con gli occhi che brillavano per non sapevo ben cosa.

Percepivo un certo fascino nell'aria intorno a lui, forse era la voce calda che mi era già parso di sentire.

Non conoscevo molte persone, dato che la mia condizione mi rendeva particolarmente difficile riconoscere qualcuno da qualcun altro.

Individuavo chiaramente solo chi trovavo al mio fianco più spesso, come i miei stretti familiari e i miei amici più vicini. Voci, fisici e capigliature, principalmente, ma talvolta anche tramite i vestiti, per come avevo imparato a notare come si vestivano.

Poggiai una guancia sul palmo della mano, distraendomi nuovamente dalla spiegazione del professore.

"Mi chiedo se andando al parco anche stasera lo incontrerò di nuovo..." sbuffai, soffiando via un ciuffo di capelli che mi era caduto scompostamente davanti agli occhi.                                                                                                                                                                                                                                                           
La mia mente si spostò quindi su Todoroki.

Neanche lui frequentava nessun club, questo perché spesso spendeva il suo tempo libero per allenarsi.

Avevo sentito dire che si sarebbe iscritto alla Yuuei, la prestigiosissima scuola che forma eroi.

Non era però una cosa inaspettata, tutto sommato. Suo padre era l'eroe numero due in Giappone e aveva studiato nello stesso liceo da giovane, anche se si escludevano le sue origini, Todoroki Shoto era ugualmente un individuo idoneo per percorrere una carriera eroica.

Io invece non possedevo capacità fisiche particolari, e non disponevo di un quirk benché minimamente utile in lotte o salvataggi, o qualunque altra cosa avesse a che fare con il mondo degli eroi. 

La mia unicità consisteva nell'inibire o modificare la percezione del gusto degli altri, ed un potere simile non può servire a molto se non fare scherzi alla gente o intossicare qualcuno senza che se ne accorga...

...giuro che non l'ho mai fatto.

Se c'era qualcuno nella mia famiglia che avrebbe potuto sfondare come Hero, doveva per forza essere Hotaru, che aveva un'unicità simile alla mia ma che influenzava la vista altrui.

Poi beh, Jun non aveva ancora manifestato poteri particolari, perciò di lui non potevo ancora dire nulla.

Far arrabbiare Hotaru era un bel problema, perché nonostante avesse solo otto anni sembrava padroneggiare bene il suo quirk.

Non è una bella cosa essere vittima di un blackout improvviso, che poi in realtà neanche esiste.

E Hotaru si arrabbiava pure spesso, perché era sempre stata una tipa dall'arrabbiatura facile ed in casa eravamo sette in tutto.

Non si aveva mai un attimo di pace, insomma.

Il trillare della campanella mi destò dai vaghi pensieri in cui mi ero persa, anche se ormai non riuscivo neanche a seguire quello che stavo pensando.

Scossi la testa freneticamente per ridarmi una svegliata, afferrando per una spallina lo zaino appoggiato alla gamba del banco.

Lo aprii e iniziai a ficcarci dentro tutte le mie cose alla rinfusa, non curandomi degli astucci mezzi aperti e delle orecchie che sarebbero potute venire agli angoli dei libri.

Ci sarebbe stato tempo poi per pentirsi di tale scelta, ma allora non m'importava.

A passo svelto uscii dall'aula, augurando una buona giornata ai miei compagni e al professore.

Forse era il desiderio di far sorridere di nuovo quel curioso sconosciuto a spingermi ad andarmene.

//

"SORELLONA!" spalancò la porta di camera mia Jun, il mio fratellino più piccolo.

Mi voltai di soprassalto, spaventata dal brusco modo con cui era entrato.

Lo osservai confusa, notando come i suoi capelli [c/c] erano tutti scompigliati, il suo fiato era corto e la faccia era imbrattata del classico inchiostro colorato dei pennarelli.

Il bambino prese un grande respiro, come per ricaricare le batterie, e con incredibile convinzione urlò "MI PRESTI LO SCOTCH?" come ogni normale bambino di quattro anni.

Mi lasciai scappare un sorriso davanti alla scena, tirando fuori da uno dei cassetti della scrivania un rotolino di nastro adesivo e porgendoglielo.

Vidi il piccolo sfrecciare di nuovo nel corridoio, ma neanche un minuto dopo aveva fatto nuovamente irruzione nella mia stanza.

"MI AIUTI PER FAVORE? NON TROVO IL... COSO" disse, dandomi di nuovo il nastro.

Risi. "Ho capito, non trovi il coso" ripetei, staccando dal resto del rotolo l'estremità appiccicosa.

"GRAZIE!" esclamò con occhi luccicanti, attaccandosi al dito la striscia adesiva per assicurarsi di non perdere di nuovo il 'coso'.

E una volta uscito, tornò di nuovo.

"Sorellona, non ci arrivo. Mi aiuti di nuovo?"

Sospirai divertita, seguendolo fino in camera sua.

O meglio, la camera che condivideva con Sota e Yuu.

Loro tre dormivano insieme, mentre io condividevo la mia con Hotaru.

Non era una casa esattamente grande, ma per quel che serviva potevamo definirla spaziosa.

Insomma, lo spazio c'era.

"LI' LI'!" indicò il [c/c] una parte del muro, ancora non coperta dai suoi disegni.

"Vuoi che ti aiuti ad attaccare il disegno lì?" gli chiesi, e lui annuì energicamente.

"MI ALZI?" domandò poi, con la faccia di uno che aspettava solo una risposta positiva.

Mi trovai quindi a sollevarlo sulle spalle, mentre con molta goffaggine tagliuzzava pezzi di scotch e li incollava al foglio e alla parete.

"FATTO! HO FATTO SORELLONA!" gioì il bambino, pattandomi la testa in segno di rimetterlo giù.

Diedi finalmente un'occhiata alla sua nuova opera d'arte, notando che aveva disegnato qualcosa di diverso dal solito.

Su quella parete di automobiline quadrate, draghi contorti e sputafuoco, animali buffi e semplici scarabocchi, per la prima volta vedevo delle persone.

La nostra famiglia, per essere più precisi.

Non era nulla di speciale, un comunissimo disegno di quelli che fanno i bambini a scuola.

Eppure, guardare quei i sorrisi tracciati col pennarello rosso e le mani rosa shocking che s'intrecciavano mi aveva fatto inconsciamente incurvare le labbra.

Certo, non nell'estremo modo con cui Jun mi aveva rappresentata, ma una specie.

"E' bellissimo, Jun" gli sorrisi, stringendogli la mano.

Lui si limitò a spalancare la bocca, fiero di aver ricevuto delle lodi.

"Oi, è pronto da mangiare. Vi muovete o posso mangiare la vostra parte, che la mamma vi ha chiamati quattro volte?" sbuffò Yuu, facendo sbucare solo la testa da dietro la porta.

"HAH, SCIOCCO DA PARTE TUA PENSARE CHE IO NON STIA GIA' MANGIANDO LA LORO PARTE!" esclamò dal piano inferiore Sota, chiaramente a bocca piena.

Mi misi Jun in spalla, come un sacco di patate, scattando giù per le scale in fretta e furia e con Yuu proprio dietro di noi.

"SOTA, PICCOLO BASTAR-"

"[T/N]-NEE! NON DIRE PAROLACCE DAVANTI A JUN!"

"BESTIA DI SATANA, PICCOLO BASTAR-"

"[T/N]-NEE, NO."

"IO TE LO DICO, YUU. SE NON RIESCO A PRENDERE IL BIS, SAPPI CHE ANCHE TU LE PRENDI."

"MI STAI MINACCIANDO? QUESTA E' VIOLENZA INGIUSTIFICATA!"

"E' UNA SESSIONE DI CAREZZE AD ALTA VELOCITA', ED E' COMPLETAMENTE GIUSTIFICATA."

"ESISTONO ALTRI MODI PER DIRMI CHE HAI INTENZIONE DI PRENDERMI A SCHIAFFI."

"BUON APPETITO, FIGURE FAMILIARI CHE STANNO PERDENDO LA MIA FIDUCIA E IL MIO RISPETTO."

Una cena normale, insomma.

"Salvo Jun, naturalmente. Jun è la mia unica gioia qui."

"Ecco, figlia problematica, a te le polpette più grandi che sennò ti lamenti dicendo che faccio favoritismi e che ti odio."

"Salvo Jun e la mamma, naturalmente. Jun e la mamma sono le mie uniche gioie qui."

"MAMMA QUESTO E' FAVORITISMO! MI ODI, VERO?"

"Sota, zitto e mangia."

Una volta finito il pasto ci riunimmo tutti intorno al tavolo, escludendo il più piccolo tra noi.

Ci scambiammo sguardi da "non perderò" e scegliemmo la nostra mossa.

La mamma annuì con un cenno e si levò il grembiule, guardando come la sfida giornaliera si sarebbe conclusa.

Papà invece, che aveva già perso le ultime due volte, era stato esonerato dall'incontro ed era già andato ad appropriarsi della televisione.

Rimanevamo solo noi, i figli.

"SASSO, CARTA, FORBICI!" esclamammo.

Il mio viso si contorse in una smorfia, notando come Yuu e Hotaru avevano battuto il mio sasso con la loro carta.

I due girarono i tacchi senza troppi giri di parole, lasciandomi in cucina con mia madre e il mio secondo fratello.

Lui schioccò la lingua con fare spavaldo.

"Stasera li lavi tu i piatti" affermò certo.

"Ti piacerebbe" gli risposi, buttando giù la mia mossa insieme a lui.

Osservai con piacere come la sua espressione sicura di sé si trasformava sempre più rapidamente in una disgustata.

"NO! DANNAZIONE! SAPEVO CHE DOVEVO FARE CARTA!"

"AHAHAH! FRATELLO SCHIAVO, ZITTO E LAVA!"

"NON FUNZIONA COSI', NON FA RIMA!"

"PREFERISCI 'FRATELLO SCHIAVO, ZITTO E LAVA O TI MENO'?"

"TUA MADRE!"

"ABBIAMO LA STESSA MADRE!"

"Già, e la suddetta madre è pure qui."

"DANNAZIONE!" sbatté il piede a terra il dodicenne.

"Signorino, conosci le regole. Su, al lavandino" gli intimò la donna, lasciando cadere sulla sua spalla il grembiule nero.

Risi compiaciuta, incamminandomi a mia volta verso il salotto, quando sempre lei mi fermò, chiamandomi per nome.

La vidi porgermi un sacchetto di plastica.

"Che c'è dentro?" domandai.

"E' una torta. E' il compleanno della signora Himesaki oggi e non sono riuscita a portagliela prima."

"La signora Himesaki? La vicina della nostra prima casa?"

"Sì, proprio lei. Portagliela per favore, e torna il prima possibile" disse, con una voce che non accetta un no come risposta.

Sospirai, afferrando la busta e lasciandola un attimo sul tavolino, tornando in camera per cambiarmi con dei vestiti da fuori.

Sulla porta di casa, mentre indossavo frettolosamente delle scarpe da ginnastica, mio padre mi chiese se non avevo intenzione di portare con me una felpa, dato che di sera faceva comunque freschino.

Forse per lui una t-shirt e una salopette estiva erano troppo leggere per me, ma ormai ero già uscita, e mi ero già persa la testa fra le nuvole.

Il cielo non era ancora proprio buio, ma si potevano vedere chiaramente quei segni che preannunciano l'arrivo della tarda sera.

Con gli auricolari ascoltavo canzoni in ordine casuale, senza badare a niente e a nessuno.

Ogni tanto vedevo qualcuno passare, ma a causa della distrazione sembravano tutti soltanto ombre.

Quindici minuti di camminata dopo, giunsi finalmente a casa Himesaki.

Suonai il citofono, sperando che la donna quella sera si trovasse a casa.

Poco dopo, la stessa tipa di anni fa mi venne ad aprire, accogliendomi addirittura dentro la sua abitazione.

Ci ero entrata un paio di volte da bambina, e l'arredamento non era cambiato di una virgola.

Ci mettemmo a conversare del più e del meno, principalmente di come stava la mia famiglia e di come stava proseguendo la mia vita.

Notai con una punta di felicità che lei era rimasta la stessa donna simpatica e allegra di sempre.

Mentre l'aspettavo seduta al suo tavolino la vidi tornare dalla cucina con un bollitore fumante.

"Un po' di tè?" domandò.

Scossi una mano con un sorriso, in segno di gentile negazione.

"Non posso fermarmi ancora a lungo, signora..."

La donna si fermò, smettendo di versare la bevanda calda nella sua tazzina di porcellana verde.

"Cosa? Mmh, che peccato però! Mi sarebbe piaciuto parlare ancora un po'!" sbuffò lei, un po' triste.

Mi lasciai scappare una leggera risata, guardando come aveva lasciato la teiera per andare a prendere la sua giacchetta.

"Su, ti accompagno alla porta" mi spronò ad alzarmi dal cuscino e a seguirla fino all'ingresso, da brava padrona di casa.

Si fermò proprio sulla soglia, osservando silenziosamente come indossavo di nuovo le scarpe.

"Grazie ancora per la torta, [T/n]-chan, ho apprezzato veramente tanto il pensiero" disse, e percepii un sorriso sul suo volto.

Mi esibii in un ultimo inchino prima di uscire dalla porta, soffermandomi un attimo a cercare qualche punto luminoso.

Di stelle non ce n'era quella sera, solo un solitario spicchio di luna che silenziosamente osservava dall'alto.

I lampioni erano ormai accesi e illuminavano solo alcuni tratti della strada asfaltata.

Lanciai una rapida occhiata al cellulare, che dichiarava che erano le non-troppo-tardi-per-tornare-a-casa.

Separando con cautela il telefonino dalla sua custodia tirai fuori una delle tre banconote da 1000 yen che tenevo per le emergenze.

L'emergenza attuale era un 'ho voglia di ghiacciolo e il conbini sull'altra strada vende quelli che ti permettono di prenderne un altro gratis se sei fortunato'.

Già sulla via di casa, ma al passo di qualcuno che se la prende piuttosto comodo, gustavo fra le labbra il ghiacciolo mentre mi facevo aria con l'altra mano.

Non mi ero messa gli auricolari, ma nella mia mente era già partita una delle mie tante playllist casuali.

Parole in inglese mi scorrevano nella testa, un po' confuse a dire il vero, ma chiare abbastanza da distrarmi per l'ennesima volta.

Riuscivo ancora a sentire, seppur vagamente, il suono dei sassolini schiacciati lungo il tragitto sotto le canzoni borbottate né troppo piano né troppo forte.

Senza che neanche me ne accorgessi mi ero fermata davanti al parchetto.

Lo stesso in cui anni prima avevo speso parte della mia infanzia e dove proprio di recente avevo incontrato lo strano ma in qualche modo intrigante tipo.

Mi ritrovai a sbattere ripetutamente le palpebre come, avvicinandomi dopo aver deciso di dondolarmi giusto qualche minuto sull'altalena, ci ritrovai qualcun altro.

"Di solito a quest'ora non c'è mai nessuno" mi sono detta, credendo di farlo mentalmente.

"Eppure eccomi" rise il ragazzo.

E con il ragazzo intendo lo strano ma in qualche modo intrigante tipo di prima.

"Moon!" esclamai.

Immaginai che quel piccolo sospiro divertito che si lasciò scappare accompagnasse un sorriso.

Lo conoscevo da giusto due giorni eppure ero riuscita a riconoscere la sua voce con quasi estrema certezza in un attimo.

Non esitai ulteriori secondi nel sedermi proprio al suo fianco, quasi rischiando di cadere all'indietro.

"Come mai sei sempre nei paraggi?"

"Abito qui vicino. Tu invece?"

"Ero da un'amica di famiglia."

Cadde un silenzio quasi imbarazzante.

Quasi perché non credo possa esistere qualcosa di più imbarazzante di me mentre cerco di avere una conversazione normale e senza sembrare stupida.

Cioè non mi sono mai data quest'impressione ma molti mi dicono che ogni volta che attaccano discorso con me appaio in estremo disagio.

Scossi la testa con forza, risvegliatami dai miei pensieri solo dalla voce del mio... amico? Posso già chiamarlo così?

"Ti si è sciolto il ghiacciolo" mi fece notare, indicando la mia mano destra.

"Come? Cosa di-aHH! NOOO ACCIDENTII!!"

Provai disperatamente a pulire quelle macchie appiccicose dai miei pantaloncini nuovi, senza successo naturalmente.

Sono un disastro ambulante e lo so pure.

Una leggera risata riempì per un attimo il silenzio.

Ancora una volta, mi parve di aver già sentito quel suono.

Un suono che conoscevo da più di giusto due giorni.

"Almeno hai vinto?"

Tirai un calcio alla sabbia sottostante.

"No."

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro