8. Caramello fuso

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«Sei sicura che vuoi andare da sola? Domani non ho lezione, andremo insieme.»

Alzo gli occhi su mio fratello che mi guarda corrucciato, appoggiato allo stipite della porta della mia camera.

«Matti, non è la prima volta che vado da sola. Ti mando un messaggio quando arrivo» affermo, aggiustandomi il laccio turchese della mia scarpa da trekking.

Mi osserva rassegnato e mi saluta per poi voltarsi verso le scale. Compie solo due passi prima che si giri di nuovo nella mia direzione. «Non inoltrarti in zone dove non prende il telefono: pretendo un messaggio ogni ora» mi ordina, puntando il suo dito indice verso di me.

«Va bene, ma credo che tu stia esagerando.»

Scuote la testa, ma alla fine decide davvero di uscire di casa. Per qualche minuto ho avuto il timore che cambiasse i suoi programmi per venire con me, il che sarebbe stato un grande problema.

Durante il pranzo di ieri ho notato che lui ed Elia vanno molto d'accordo, ma credo che lo guarderebbe come un cane a tre teste venuto per rapire la sua sorellina se sapesse che sto andando con lui.

Sento il cellulare vibrare sulla scrivania e mi alzo dal letto per vedere il mittente del messaggio: Noa.

Ci vediamo stamattina?

Digito velocemente una risposta negativa e poggio il telefono sul materasso per cercare una felpa pesante dentro l'armadio. La suoneria del dispositivo si propaga nella stanza e sbuffo mentre penso che cosa raccontare al mio amico. Potrei dirgli la verità. In fondo non è un vero e proprio appuntamento: è stata mia madre a incastrarmi. Lei e la sua paura che io rimanga da sola fino alla fine dei miei giorni.

«Noa, davvero, non posso stamattina.»

«Buongiorno anche a te, Carla» afferma una voce divertita al di là della linea. Una voce che è molto diversa da quella del mio collega. Più profonda.

Allontano il cellulare dall'orecchio per vedere lo schermo dove compare la scritta Etna. Ieri ho salvato il suo numero in rubrica con questo soprannome per evitare le domande di chiunque avesse visto il vero nome sullo schermo.

«Elia?»

«Esatto. Allora, ti passo a prendere?»

«No, grazie. Me lo hai già chiesto molte volte ieri.»

«La speranza è l'ultima a morire.»

Alzo gli occhi verso il soffitto. «Ci vediamo tra mezz'ora al rifugio Sapienza» dico prima di riagganciare.

Andare in macchina con lui non mi sembra una buona idea; preferisco avere un mezzo di trasporto indipendente nel caso in cui volessi fuggire. Ho avuto modo di scorgere il suo lato più socievole e divertente mentre dialogava tra un boccone e l'altro con mio fratello e mia madre, la quale, per la cronaca, non smetteva mai di lanciarmi delle occhiate eloquenti. Tuttavia, non dimentico l'atteggiamento stizzito del nostro primo incontro o quello avuto in discoteca.

Afferro lo zaino poggiato sulla sedia prima di scendere i gradini e uscire di casa. I raggi del sole mi scaldano il viso e mi fermo un breve istante sulla veranda, inclinando il capo verso l'alto per godermi la sensazione piacevole. Spero che anche in alta quota ci sia bel tempo per ammirare il panorama.

Salgo sull'auto e guido con moderazione durante il tragitto, specie lungo i tornanti della strada principale del versante sud dell'Etna, stando attenta a non farmi distrarre dal paesaggio variegato che mi circonda e che non smette di affascinarmi.

Quando arrivo al parcheggio del rifugio, cerco un posto non a pagamento tra i diversi pullman di turisti che ci sono. Pensavo non ci fosse confusione, essendo un giorno settimanale, ma non avevo tenuto conto dei visitatori giornalieri.

Trovo posto vicino a uno dei due crateri Silvestri e spengo la macchina. Prendo il cellulare dal portaoggetti e mando un messaggio a Elia per indicargli la mia posizione.

Non ricevendo subito una risposta, scendo dal veicolo per sgranchire le gambe. Osservo un gruppo di cinesi incamminarsi verso il sentiero del cratere e decido di seguirli. I piedi sprofondano nel terreno vulcanico, alzando una polvere dalle sfumature rossastre. Mi avvicino verso il bordo e mi sporgo per vedere l'avvallamento centrale. Ci sono delle persone che camminano sul fondale e diverse scritte composte con le pietre dai turisti.

«Buongiorno» mi sussurra una voce maschile al mio orecchio sinistro e, presa alla sprovvista, indietreggio all'istante, emettendo un verso gutturale per via dello spavento.

«Sei impazzito? È pericoloso impaurire la gente mentre è vicina a un dirupo!» esclamo con tono stridulo mentre poggio una mano sul cuore per rallentare i battiti accelerati.

Elia mi mostra uno dei suoi sorrisi pieni, sistemandosi meglio il cappellino grigio sulle orecchie per ripararsi dal vento.

«Tranquilla, ci sarei stato io pronto a salvarti se avessi perso l'equilibrio» ribatte, guardandomi con uno sguardo giocherellone che mi fa capire che mi sta prendendo in giro.

«Se hai smesso di fare lo sbruffone, ci conviene avviarci» dichiaro prima di incamminarmi verso la mia auto.

«Quale percorso vuoi fare?»

«Vorrei andare sulla Schiena dell'asino. È uno dei percorsi più veloci, ma c'è una delle mie viste preferite.» Apro lo sportello del passeggero e indosso la sciarpa e il cappello verde di lana.

«Che c'è? Hai paura di affrontare un percorso più lungo insieme a me?»

Lo scruto con la coda dell'occhio per vedere se sia serio o no, tuttavia non riesco a capirlo. Cammina con passo rilassato verso l'ingresso del percorso, con le mani nelle tasche del suo giubbotto blu e un'espressione serena sul viso.

«Se ti dicessi di sì, che mi risponderesti?»

«Che sei sincera.» Mi lancia un'occhiata limpida in cui riesco a vedervi una nota triste che non so decifrare.

Ci avviamo lungo il primo tratto in salita, quello più pesante per via del terreno disomogeneo. Teniamo un'andatura sostenuta e non ci scambiamo molte parole, entrambi immersi nella natura. Mi piace molto stare in silenzio per sentire i suoni di ciò che mi circonda e scoprire che anche lui è sulla mia stessa lunghezza d'onda mi sorprende. Acquista dei punti a suo favore.

Superiamo tratti immersi nella penombra dei pini e altri in cui la lava ha sommerso la vegetazione. Elia procede davanti a me con passo costante, anche se noto le occhiate che mi lancia per accettarsi che non sia in difficoltà. Impieghiamo diversi minuti per arrivare sul punto di osservazione che dà il nome al percorso, ma la leggera fatica è ricompensata da ciò che ci circonda: la valle del Bove alla mia destra, con le diverse stratificazioni laviche distinte per colore, e i paesini alle pendici del vulcano dall'altro lato, giungendo fino al blu limpido del mare.

Prendo un profondo respiro e l'aria pulita mi penetra dentro, insieme a una sensazione di libertà che mi fa sentire viva.

Mi volto a guardare Elia che, dopo aver scrutato attentamente l'orizzonte, tira fuori dal suo zaino una coperta rossa che stende su un punto del terreno pianeggiante. Si sdraia con le braccia incrociate dietro la testa e abbassa le palpebre.

Noto che il pullover e il giubbotto sono leggermente sollevati, tanto che riesco a vedere le fossette dei suoi fianchi.

«Ti piace quello che vedi?» chiede con un sorriso sulle labbra mentre rimane con gli occhi chiusi.

Giro il capo verso il mare, sperando che non si sia accorto del mio sguardo puntato su di lui.

«Sì, il panorama è straordinario.»

Lui ridacchia e si siede, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.

«Già» afferma scrutando dritto davanti a sé. Trascorrono alcuni attimi prima che porti le sue iridi nocciola sul mio viso. «Anche tu sei bellissima.»

Il suo commento schietto e diretto mi fa arrossire e mi imbarazza tanto da torturarmi il labbro inferiore.

«Per quanto tu dica di conoscermi, non è affatto la verità. Conosci mio fratello, non me» affermo con voce pungente. Sulla difensiva.

«Probabile, ma i miei occhi funzionano perfettamente. Sei bellissima, è un dato di fatto.»

Stringo il pugno della mano destra e rimango in silenzio, distogliendo lo sguardo dalla sua figura.

«Qual è il problema?» mi chiede perplesso.

Sospiro mentre do un calcio a un sassolino. «I complimenti mi mettono a disagio. Non so cosa rispondere.»

«Potresti dire semplicemente grazie» ribatte con un tono quasi dolce.

«Grazie» sussurro mentre riporto i miei occhi su di lui.

«Bene, adesso che abbiamo rotto il ghiaccio, puoi sederti accanto a me» afferma, tamburellando con la mano lo spazio libero sulla coperta.

«Perché? È quasi ora di pranzo, dovremmo scendere...»

«Non essere così restia nei miei confronti. Siamo in un luogo pubblico, non ti salterei mai addosso» decreta con un ghigno sfrontato che smentisce le sue parole.

Una coppia di escursionisti ci supera, salutandoci prima di proseguire verso la Torre del filosofo.

«Visto? Se pensi di essere in pericolo puoi chiedere aiuto.»

Sbuffo esasperata dalla sua insistenza, ma alla fine cedo. In fondo mi ha chiesto semplicemente di sedermi accanto a lui, non di fare sesso sfrenato in alta quota. Soddisfatto dalla mia resa, si sdraia e abbassa le palpebre. Mi siedo accanto a lui per poi imitarlo per qualche istante, ma la sua presenza mi rende nervosa e apro gli occhi per voltare il capo verso di lui.

Il suo petto si alza e si abbassa con ritmo regolare e il suo volto è disteso e rilassato. La perfezione del suo profilo è quasi surreale, tanto che mi sento quasi pervadere dal sollievo quando noto una piccola cicatrice vicino al sopracciglio sinistro. Un elemento così piccolo che rende la sua bellezza più concreta.

«Ho superato la tua analisi?» domanda divertito mentre apre gli occhi e si volta verso di me. Il colore delle sue iridi sembra più chiaro per via della luce, ricordandomi il caramello fuso.

«Non ti stavo analizzando, ti stavo guardando» affermo con una calma apparente prima di alzarmi. «Dobbiamo tornare indietro. Sono le dodici e mezza e prima di tornare a casa voglio mangiare un arancino al rifugio» dico, iniziando ad avviarmi lungo il sentiero.

L'escursione sta andando bene, meglio di quanto mi aspettassi se devo essere sincera, e ciò mi rende stranamente più nervosa e a disagio. Avevo fantasticato ieri sera sui possibili sviluppi che avrebbe avuto questa giornata, però tutte le ipotesi si concludevano con me che andavo via indignata dal suo comportamento. Invece Elia si sta rivelando tutt'altra persona.

Ripercorriamo il percorso tracciato e raggiungiamo il rifugio Sapienza dopo un'oretta di camminata. Entriamo nel locale e scegliamo un tavolino per due persone nella veranda. Quando il cameriere ci raggiunge, ordiniamo due arancini: uno al pistacchio per lui e uno al ragù per me.

«Bene. Adesso che sai che non sono un serial killer, posso invitarti per un vero appuntamento?» Ha il mento appoggiato sulla mano sinistra e i suoi occhi non hanno smesso di guardarmi neanche un secondo da quando ci siamo seduti.

«Potrebbe essere una trappola. Ho letto molti romanzi gialli e il colpevole è, quasi sempre, quello che sembra il più innocente» ribatto sia per stuzzicarlo che per prendere tempo. Non mi aspettavo che passasse all'attacco così presto.

Lui si sporge verso di me e il suo volto si ferma a una distanza ravvicinata dal mio, ma non così tanto da turbarmi. Come se Elia avesse capito che c'è un limite che non deve superare.

«Non ho mai detto di essere innocente.»

Percepisco delle emozioni contrastanti invadere ogni centimetro della mia pelle. Rimaniamo a fissarci fino a quando lui ritorna seduto composto sulla sedia. Toglie il cappellino di lana e i ricci della sua chioma schizzano in ogni direzione. È così buffo che scoppio a ridere, allentando così l'atmosfera che si era creata pochi minuti prima.

«Perché ridi?» mi chiede mentre addenta l'arancino caldo appena arrivato.

«Hai i capelli un po' in disordine.»

«Se vuoi puoi domarli tu» afferma, facendomi l'occhiolino.

Alzo gli occhi al cielo e assaggio anche io il mio pranzo. Lo osservo con attenzione mentre mi racconta della sua decisione di cambiare squadra; a quanto pare non si trovava più bene con il suo allenatore.

«Vuoi un morso?» mi chiede sorridendo, allungando il cibo verso di me, ma dal suo sguardo capisco che mi sta semplicemente stuzzicando.

Mi alzo dalla sedia e mi sporgo per mordere la pietanza, molto più lentamente di quanto dovrei.

«Così è giocare sporco» afferma mentre mi fissa con uno sguardo ardente.

«Sei tu che continui a stuzzicarmi.»

La suoneria del mio cellulare ci interrompe e leggo il nome di mio fratello sullo schermo.

«Matti.»

«Carla, dove diamine sei? Sono le due e mezza» chiede mio fratello con voce preoccupata e furiosa allo stesso tempo.
Mi sono dimenticata di mandargli i messaggi.

«Sto mangiando un arancino al rifugio.»

Mentre sono al telefono, il cameriere chiede a Elia se gradiamo qualcosa e lui gli chiede il conto.

«Carla, con chi sei?» domanda mio fratello con una voce affilata.

Lancio uno sguardo omicida al ragazzo davanti a me e mento a Mattia dicendogli che sono da sola; ha solo sentito la voce di uno accanto al mio tavolo. Dopo un attimo di silenzio, mio fratello mi ordina di tornare a casa e chiude la chiamata.

«Perché non puoi dirgli che sei con me?»

«Sei matto? Ti taglierebbe la testa.»

Non solo a lui, ci ucciderebbe entrambi.

«Dunque, accetti il mio invito?»

«Vedremo» affermo prima che un timido sorrido spontaneo compaia sulle mie labbra.

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