16 - Prove

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Samuel arrotolò l'asciugamano attorno alla vita e mandò il messaggio a Gabriele: un selfie allo specchio appena uscito dalla doccia, gocciolante, una mano reggeva l'asciugamano a coprire giusto l'inguine.

«Che fai? Ti pensavo»

La risposta non si fece attendere:

«Stavo lavorando e ora mi sono distratto. Ho paura che l'asciugamano cada, sarebbe terribile ricevere una foto così. Terribile!»

«Che scemo», con un ghigno, Samuel lasciò cadere l'asciugamano a terra, ma posizionò il flacone di sapone liquido per le mani sul lavandino a coprire le nudità e scattò un altro selfie.

«Tipo così?»

«Stupido sapone»

Samuel ridacchiò. Aveva voglia di rivederlo.

 «A che ora finisci domani?»

«Verso le 18. Perché?»

Sospirò, si fidava abbastanza di lui per mostrargli quella parte di sé stesso?

«Ti va di venire da me ad aiutarmi per una cosa? Poi rimani a cena, magari»

Trattenne il respiro, anche se Gabri non aveva idea di quello che attendeva.

«Volentieri. Vorrà dire che devo saltare la palestra di nuovo. Oh, no! Che disgrazia!»

Samuel accennò un sorrisino e rilasciò l'aria dalla bocca. Come lo avrebbe giudicato?

«Vorrà dire che dopodomani andiamo insieme in palestra e ti farò recuperare! 😛»

Doveva solo aspettare e sperare. Almeno, se proprio gli avesse fatto schifo, avrebbe potuto farsi perdonare sculacciandolo un po'. Buon piano.

«Dopodomani... dopodomani... non riesco proprio. Peccato, ci abbiamo provato»

Che scemo.

«😆»

***

Samuel gli mostrò il divano e piegò il busto verso terra, in un inchino esagerato. «Prego, prego, accomodati.» Si lisciò all'indietro i capelli corti, un paio di volte. Era arrivato. E con lui anche il momento della verità.

Gabriele si slacciò il bottone della giacca color caffè del completo di tweed e si sedette in punta, un sopracciglio aggrottato e un sorriso trattenuto sulle labbra. «Ok, grazie...»

L'ansia lo divorava. Era solo Gabriele, mica un regista teatrale! Doveva riprendersi. «Devo provare una scena, ti va di leggere l'altra parte?» Samuel gli porse alcuni fogli sparsi e stropicciati e si torturò il labbro inferiore con i denti. «Tieni, tu sei Grimaldi.»

«Cos'è?» Gabriele prese i fogli, il sopracciglio ormai era arrivato all'attaccatura dei capelli.

«Come, cos'è? È la tua parte da leggere.» Samuel fece due passi in mezzo alla stanza e inspirò a fondo. Era pronto a diventare Vasquez!

«La mia parte di cosa? Samuel, per favore, non ho capito niente.» Gabriele si allentò la cravatta a righe orizzontali blu scuro e si sistemò all'indietro sul cuscino.

Era possibile che non lo sapesse? In effetti, erano usciti solo un paio di volte e ci stava che il discorso non fosse mai uscito prima. «Non ti ho mai detto che sto provando a diventare un attore?»

Entrambe le sopracciglia di Gabriele scattarono verso l'alto. «No», mormorò, abbassò lo sguardo sui fogli. Era incredulo? O non voleva farsi vedere mentre rideva?

Samuel riportò l'attenzione su quelli che aveva in mano. «È un testo teatrale di John Ford, c'è un provino a cui voglio partecipare.» Piegò un ginocchio a terra davanti a lui e imbronciò la bocca. «Mi daresti una mano a ripassare, per favore?»

«Non saprei...» Gabriele accavallò le gambe e vi appoggiò le mani strette a pugno attorno ai fogli. «Nemmeno un bacio da quando sono arrivato e già mi metti al lavoro.» Vagò con lo sguardo nel salotto e sospirò.

Samuel posò le mani sulla seduta, ai lati del compagno, e si allungò fino al suo viso. Abbassò la voce fino a un sussurro roco. «Uno ora e uno alla fine?»

Gabriele gli catturò la bocca e premette, insistente, gli lambì il labbro inferiore. «Ok», mormorò senza scostarsi, «ma quello dopo dovrà essere degno di questo nome.»

Il profumo di spezie e fiori, le labbra morbide e calde, doveva davvero studiare? Non era meglio continuare a baciarlo?

Dalla gola di Samuel provenne un mugugno di protesta. Si tirò su in piedi e scosse i pantaloni chino grigio scuro. «Va bene, ma solo perché sei te.» Si schiarì la gola e sollevò la mano destra stretta a pugno verso di lui. Com'era la battuta? Rilesse la frase sul foglio. La voce gli uscì gracchiante e monotona: «"Avanti, signore, su con l'arma"», mosse la mano per aria, abbassando il tono e rileggendo la battuta, «"in pugno. Se vi mostrate vile, vi farò correre ancor più lesto."»

Gabriele lesse la battuta successiva. «"Non sei un avversario per un pari mio."»

Samuel scrollò il braccio teso per aria. Perché non si ricordava niente? «"Certo, io"», girò il foglio, non la trovava più, «"non mi sono mai recato"», avanzò di un passo verso il divano, «in guerra per portar notizie a casa.»

***

«Allora, cosa ne pensi?» Samuel si lasciò cadere sul divano accanto al compagno e posò un braccio sullo schienale, sfiorandogli le spalle.

Gabriele mantenne lo sguardo sul foglio, l'indice e il pollice tiravano il labbro inferiore. «Ahm...», si schiarì la gola e si rivolse verso di lui, «vedo tutto l'impegno che ci metti e quanto ti faccia piacere.» Gli posò una mano sulla gamba all'altezza della coscia, un sorriso gentile gli decorava la bocca a cuore. «E sono molto orgoglioso di te.»

A quanto pare l'avvocato era un campione di diplomazia, i clienti lo adoravano di sicuro.

«Ti ringrazio.» Samuel piegò un ginocchio e posizionò la caviglia sotto la coscia dell'altra gamba. «Faccio schifo, quindi, anche se detto in modo molto carino per non ferire i miei sentimenti.»

Gabriele si portò una mano al petto. «Non l'ho mai detto!»

«Ok, fa niente, tanto lo so di essere un cane.» Samuel lanciò i fogli per terra e incrociò le braccia. «Sai quanti soldi ho fatto spendere a Edoardo tra scuole di recitazione e insegnanti privati? Tutto inutile.»

Il compagno gli accarezzò una spalla e gliela strinse. «A Edoardo?»

«Sì.» Samuel sospirò, inclinò la testa e gli posò una guancia sulla mano. «Lui è il mio... come si può dire... mecenate?»

Mecenate aveva un bel sapore antico da artista rinascimentale.

«Ma parli del proprietario del Confessionale?» Gabriele si sdraiò sulla schiena e gli fece cenno di seguirlo.

Samuel si tirò su in ginocchio e gattonò fino a distendersi sul suo petto. «Sì. E di un sacco di altri posti, grazie a me.» Intrecciò le braccia sul petto e vi posò il mento sopra. «Vuoi sapere a cosa sto lavorando, in questi giorni?»

«Prima voglio il bacio che mi devi, poi puoi raccontarmi tutto quello che ti pare.» Gabriele arricciò il naso e lo abbracciò.

«Che si deve fare...» Samuel sospirò e scosse la testa. Convincente quanto il suo Vasquez di poco prima. Si sistemò meglio tra le gambe del compagno e sciolse l'intreccio delle braccia. «Ti ho già detto quanto sei stupendo, oggi? Perché altrimenti devo rimediare immediatamente.»

«Non ricordo, ma mi sa di no.» Gabriele fece lampeggiare il suo solito sorriso dispettoso, la bocca sfiorò quella di Samuel. «Solo oggi?»

Bastava il calore del suo abbraccio, il suo odore, le sue labbra morbide che lo cercavano per farlo sciogliere. Samuel si appropriò del labbro inferiore, infilò la lingua e cercò, disperato, quella di Gabriele. Era leggero, fluttuava e sarebbe volato via, se il compagno non lo avesse stretto forte contro il proprio petto.

Gabriele insinuò le mani nei pantaloni e gli palpeggiò le natiche, le strizzò, strusciò il bacino contro quello di lui.

Samuel gli accarezzò il petto, da sopra la camicia. «Sei fantastico, splendido, incredibile», si sollevò sulle braccia, «e impaziente. Avevamo detto un bacio.» Si tirò su a sedere, pur rimanendogli in mezzo alle gambe.

«Dai, Samu...» Gabriele si coprì la faccia con le mani. «Mi fai morire, ogni volta.»

«Oh, mi scusi, quello che faccio non è di suo gradimento?» Samuel buttò le gambe giù dal divano e si alzò in piedi. «Ha delle lamentele?»

Il compagno tirò su la schiena e si appoggiò sui gomiti. «Avrei un reclamo da presentare, in effetti. Saprebbe indicarmi l'ufficio più adatto, gentilmente?»

«Ma certo, signore.» Samuel si slacciò i pantaloni e li tirò giù. «Se vuole seguirmi.» Si liberò anche del maglioncino verde militare e dei calzini e rimase solo con un paio di boxer attillati grigio scuro. «Credo che troverà ciò che cerca.» Si avviò verso la camera. «A suo rischio e pericolo.»

Come avrebbe potuto punirlo? Aprì un'anta dell'armadio e fece scorrere una mano sulle diverse corde appese. Prima la presa per il culo sulla sua recitazione e dopo pure lamentarsi? Meritava una bella ripassata.

Gabriele lo raggiunse e si sedette sul letto. «Ho l'impressione che mi accadrà qualcosa di brutto.» La voce gli trepidava di eccitazione.

«Impressione corretta, cucciolo.» S. prese una corda di gomma nera spessa un dito e gliela mostrò con un ghigno. «Vuoi giocare a "Gabriele scopre cosa succede quando rompe il cazzo a Dom S.?"»

«Dipende», il sub era ancora vestito come lo aveva lasciato in salotto, «mi lascerai dei segni? Perché lunedì in tribunale avevo la faccia gonfia e domani-»

«Taci.» L'ordine lo fece immobilizzare, cancellando ogni suono dalla stanza, compreso il suo stesso respiro. «Spogliati, non voglio sentire una parola da parte tua che non sia "Sissignore".»

«Sissignore.» Gabriele sfilò la cravatta e prese a sbottonarsi la camicia. Il collo e le guance avevano assunto un intenso color porpora, S. avrebbe potuto giurare che si stesse trattenendo dal dirgli qualcosa. Stupido brat, una piccola provocazione e avrebbe disobbedito di sicuro. Bisognava solo buttargli l'amo giusto.

«Sbrigati, non ho tutta la sera», sibilò S. e raggiunse il letto, fece schioccare la corda per aria. «L'ho scelta a posta per non lasciarti i segni, ma questo tuo continuo rispondermi mi fa pensare che forse sono troppo buono con te.»

Il sottomesso si fece scivolare la giacca e la camicia lungo le braccia e le lasciò sul letto, insieme alla cravatta. «Sissignore.» Gli occhi gli brillavano.

Come riusciva a eseguire gli ordini e a sembrare sfrontato nel farlo?

«Sì, cioè sono troppo buono?»

«S-sissignore.» Gabri ebbe un attimo di esitazione, la confusione gli offuscò lo sguardo e rimase immobile, con i pantaloni slacciati e un rigonfiamento che lo tradiva.

«Quindi dovrei farti più male e lasciarti i segni?» S. allungò una mano e gli toccò una guancia. Amo buttato.

Gabriele aveva le palpebre spalancate e la mascella stretta, cosa avrebbe deciso? Disobbedire e venire punito o venire punito e basta?

Il sub abbassò lo sguardo e deglutì. «Non lasciarmi segni, per favore, dom.»

Un mormorio lugubre e profondo quanto ingiusto. «Cosa ho appena detto? Qual è l'unica cosa che voglio sentirti dire?» S. gli afferrò i capelli e lo trascinò giù dal letto. «Ti faccio passare la voglia di disobbedirmi.»

Dalle labbra di Gabriele sfuggì un singhiozzo soffocato, si aggrappò al suo braccio.

S. lo buttò con la faccia a terra e gli mise un piede sulla schiena. Lo avrebbe legato come un salame e lo avrebbe divorato.

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