28 - Tutti i nodi vengono al pettine

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Dovunque tu vada, devo andare anche io

Nash

Oggi non vado a scuola, perché ho l'appuntamento dallo psicologo.

Dopo aver scoperto della sindrome di cui soffro, il dottore ha lo scopo di scoprire il trauma che ha provocato la mia scissione e quindi la nascita di Malek. Da quel giorno, continuo a fare incubi, ma soprattutto uno si ripete sempre uguale: una stanza buia che m'inghiotte, la fame e la sete che mi divorano, i topi che marciscono insieme a me, unghie sporche di terra e urla da far male alla gola. Mi sveglio da quei terribili sogni con il pianto di un bambino che mi rimbomba nelle orecchie. È terribile.

Una mattina, appena ho aperto gli occhi, ho addirittura chiesto: «Chi è che piange a quest'ora?» Solo dopo essermeli stropicciati e non aver visto nessuno mi sono reso conto che era solo frutto della mia immaginazione.

Prima di andare alla visita, mi fermo in un negozio di fiori perché ho un'idea in mente.

«Buongiorno, ha per caso dei fiori color celeste polvere?» chiedo alla commessa.

«Abbiamo delle ortensie di quella tonalità!» esclama lei con gentilezza.

«Sì, sono perfette, mi faccia un bouquet con fiori bianchi nel mezzo e un nastro color argento, per favore. Lo passo a prendere oggi pomeriggio. Le serve un acconto?»

«Sei il figlio del signor Rainbow, no?»

«Sì, sono io» rispondo un po' perplesso. E allora?

«Pagherai direttamente alla consegna, con te faccio un'eccezione. Tuo padre viene spesso da noi, è nostro cliente» sorride la ragazza, cordiale.

«Ok... grazie, allora.» Meglio così.

Prendo l'autobus e mi dirigo all'appuntamento, scendo alla fermata più vicina a Lion Street. Durante il viaggio accendo l'iPod e clicco play su una canzone che s'intona al mio stato d'animo:

Truth - Jungle

Τell yοu for the first time

When yοu say you wanted prοοf

Νοw you wanna be mine

Yοu're looking fοr that instant truth

Una volta sceso dal mezzo, mi dirigo verso l'edificio dello studio del mio psicologo. Suono al campanello e, come sempre, all'apertura del cancello e del portone, entro. Il Dottor Dilon mi attende fuori dalla porta della stanza dove faremo terapia. Mi saluta con una ferrea stretta di mano.

«Ehi, campione!» mi da una pacca sulla spalla.

«Sì, ciao...», abbasso gli occhi, imbarazzato. Non posso dimenticare il fatto di averlo quasi strangolato, mi crea ancora un certo disagio. Ma è stato Malek, non sono stato io, cerco di convincermi.

«Nash?»

«Ovvio.» In realtà non è così ovvio, penso subito dopo. Mi dimentico ogni volta che potrei essere anche Malek. Tutti devono sempre chiedermelo. È pazzesco.

«Siediti» mi dice, serio in volto. «Hai niente da raccontarmi?»

«È stato il compleanno di Lucy e le ho fatto una festa a sorpresa» gli faccio un sorriso di circostanza, perché so anche che l'altro me ha rovinato tutto, litigando con Moon. «Purtroppo però sono andato via senza salutarla. Avrei voluto passare la notte con lei, ma... Malek ha cambiato i piani.»

«Malek, eh?» chiede lui, affranto.

«Già. Sempre lui» acconsento, rammaricato.

«Cosa ha combinato stavolta?»

«Ha litigato con l'alter-ego di Lucy, Moon»

«Increscioso, mi dispiace.» Afferra un blocchetto e una penna dal cassetto della scrivania. «Hai altro da dirmi che potrebbe essere importante da sapere?» continua lui.

Prendo un respiro e decido di dirgli dei sogni che mi tormentano. «F-faccio... certi incubi che mi fanno paura.»

«Di che tipo? Raccontami di più.» Il dottore piega le braccia sul petto e si appoggia del tutto allo schienale della sedia da ufficio, poi picchietta la penna sul mento.

«Ogni volta c'è tanto buio, è un luogo tetro. Sento l'oscurità inghiottirmi completamente, avvolgermi come un mantello. Ho sete e fame e le mie unghie sono sporche di terra.»

Lui annuisce in silenzio; sembra pensieroso. «Sdraiati sul lettino, voglio raccontarti una storia» afferma poi, deciso.

Seguo le sue indicazioni e faccio leva sul materasso bianco, per sedermici sopra. Poi gli lancio un'ultima occhiata e mi stendo, poggiando la testa sul cuscino soffice. Chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi, controllando il mio respiro.

Il dottor Dilon inizia a parlare con la sua voce calda, che emana tranquillità.

«Ti trovi di fronte a una distesa d'acqua, è un lago. Ti avvicini alle sponde e immergi i piedi nel liquido freddo e trasparente.L'acqua è gelata, la peluria delle braccia si rizza immediatamente: hai la pelle d'oca. Li senti affondare nella sabbia scura di origine vulcanica, i granelli ti solleticano la pelle. Fai qualche passo, e t'immergi lentamente fino al petto, addentrandoti sempre più in profondità, lontano dalla sponda. Cammini, cammini, avanzando sempre di più al suo interno. Sotto i piedi percepisci delle alghe che te li solleticano un pochino»

Sento il corpo intorpidito. Mi sto forse addormentando?

Lo psicologo si siede accanto a me su una poltrona e sento che scrive, perché percepisco un rumore chiaro di penna su un blocchetto. Ricomincia a raccontare e io avverto la mia coscienza allontanarsi da me.

«Un ragazzo stava tornando da scuola con un gruppo di amici, quando vide un cavallo, che era sicuramente fuggito da qualche fattoria, entrare nel campo di un contadino per cercare un po' d'acqua. Quest'ultimo non si accorse dell'animale, così il giovane e i suoi compagni lo catturarono. Il ragazzo gli saltò in groppa e, prendendo le redini, lo spronò: "Hop-hop", indirizzandolo verso la strada. Non sapeva in che direzione andare, ma era certo che il cavallo avrebbe ritrovato la via di casa. A quattro miglia da dove lo aveva trovato, s'infilò nel recinto di una fattoria e un contadino, vedendoli arrivare, gli si avvicinò. "Dunque è così che è tornato questo scemo! Ma dove l'hai trovato?" gli chiese. E il giovane rispose: "A circa quattro miglia da qui". "E come hai fatto a sapere che direzione prendere per tornare?" "Non lo sapevo..." rispose lui, poi continuò: "Lo sapeva il cavallo, io non ho fatto altro che mantenere la sua attenzione sulla strada". Dopo questa avventura, lentamente nuoti verso la riva e senti i piedi poggiare di nuovo a terra. Così cammini fuori; cammini, cammini e torni alla coscienza, poi apri gli occhi.»

Di soprassalto, spalanco le palpebre, e mi alzo con il busto eretto, come uno zombie appena tornato in vita, perché ho avuto come la sensazione di cadere nel vuoto e il cuore ha perso un battito, risvegliandomi.

«Come ti senti, Nash?» Il dottore è cauto; mi scruta con attenzione.

«Perso...» aggrotto le sopracciglia.

«Spiegati.»

«Solo.»

«Racconta cosa è successo.»

Ripercorro con gli occhi della mente quello che ho visto, e mi rendo conto che si tratta proprio del mio incubo, ma stavolta lo ricordo tutto. «Mi trovavo in una stanza buia, più precisamente una cantina. Mio nonno mi aveva trascinato per l'orecchio fin là sotto, mi aveva messo a sedere su una sedia rotta, sulla quale mancava un pezzo della spalliera. In effetti sembrava più uno sgabello. Una volta seduto lì, mi aveva detto: "Adesso stai zitto e fai il bravo, perché sai benissimo che è proprio questo che ti meriti, razza di moccioso. Hai rotto il mio posacenere preferito, cazzo!", sputandomi in viso del fumo bianco appena aspirato da una sigaretta. Sentivo dal suo alito l'odore terribile di alcol. "Quel pallone farà una brutta fine, e anche tu se non la pianti di fare cazzate. È ora che diventi un uomo." Non mossi un muscolo per non tradire nulla di ciò che provavo.»

Interrompo il mio "monologo" con un commento che non riesco a trattenere: «Uomo, pfff! Avevo poco più di cinque anni», dico, passandomi una mano tra i capelli. «Mi lasciò lì, solo e abbandonato; pensavo mi avesse dimenticato, perché iniziavo ad avere sete e fame. Mio nonno è sempre stato burbero con me, non mi ha mai trattato bene, ma quella volta andò oltre la semplice ramanzina. Aveva bevuto molto di più. L'aria in quella cantina era consumata; respiravo umidità e percepivo l'ossigeno diminuire, pensavo di soffocare. L'agitazione si fece strada dentro di me. Non potevo gridare, o avrei peggiorato la situazione. Mi alzai e, raccogliendo i miei sentimenti, mi diressi alla porta; provai ad aprirla, ma era chiusa a chiave, allora bussai con forza, ma quell'uomo spregevole alzò il volume della televisione per non sentirmi. Avvertii con estrema chiarezza il mio cuore strapparsi in due. Ero solo un bambino!»

Anche adesso, mentre rivivo quel ricordo a lungo sopito, mi sento affannato, come se non possa ingollare aria. «A malapena respiravo e avevo paura, una fottuta paura. Seppellii il viso tra le braccia e piansi ogni lacrima in corpo; urlai, cominciai a grattare la terra sotto di me per trovare una via di fuga. Lo squittio di alcuni topi mi fece trasalire, non ero solo. Continuai a urlare finché la voce non si affievolì e le corde vocali non mi abbandonarono. Poi, dopo un tempo che mi parve infinito, lui venne ad aprire la porta e mi domandò con un ghigno stampato in faccia: "Hai finito di piagnucolare, adesso? O vuoi rimanerci tutta la notte in questo scantinato?" Mi asciugai il viso e risposi, colmo di rabbia: "No". Fu a quel punto che alzò il braccio e mi stampò un ceffone in pieno viso, con la sua mano enorme, troppo grande per la mia guancia di bambino. Non dissi mai nulla ai miei genitori perché mi vergognavo, credevo di aver commesso per davvero qualcosa di sbagliato. Ricordo perfettamente i suoi occhi iniettati di sangue che mi fissavano e il puzzo di alcol che mi riempiva le narici. Cinque anni dopo quell'episodio, lui morì.»

«Nash,» il dottor Dilon mi poggiò una mano sulla spalla, «ecco il motivo della tua scissione, ce l'abbiamo fatta.»

Buio.

Malek

Luce.

«A fare cosa?!»

Sono dallo psicologo, perché la faccia di Dilon è esattamente davanti alla mia. Ennesima amnesia... Non ricordo come ci sono arrivato, né tantomeno di avere un appuntamento.

«Malek?» chiede il dottore, con una punta di apprensione. Mi fingo confuso, quando in realtà so benissimo perché sono lì: Nash vuole farmi fuori.

«Sì.» Rispondo brevemente con una chiara nota di disprezzo, mentre arriccio le labbra.

«Benvenuto...» il suo sguardo si addolcisce.

«Sì, certo. Piantala con questa gentilezza! È una stronzata, e lo sai meglio di me! Abbiamo fatto cosa?» Non sono stupido, ho capito che non vuoi dirmi la verità. «Mi vuoi rifilare delle balle?» Sento il cuore strapparsi in due; il sorriso tirato che mi rivolge mi colpisce come un pugno nello stomaco.

«No, mi sono solo confuso...»

«Non sei confuso, sei un coglione, è diverso; e mi fai pena.» Il dolore si arrampica nel mio cuore. Gli rimando di riflesso un sorriso sprezzante, poi inghiotto un groppo di saliva e sento il cuore inarcarsi. Vedo il suo sguardo e capisco all'istante: ho perso, è la fine per me.

Buio.

Nash

Luce.

Mi sento scombussolato. Sono ancora da Dilon? Il cambio di personalità è durato poco stavolta, lo noto dall'orario segnato all'orologio sul muro; l'ultima volta che lo avevo osservato erano le sedici e trentacinque, adesso solo le diciassette.

«Kevin, sono Nash.» Lo guardo e gli sorrido debolmente.

Lo vedo rilasciare l'aria in un sospiro sollevato. «Bentornato, campione.»

«Quanto sono stato via?»

«Dieci minuti al massimo; è poco, molto poco, è la prima volta! Forse stiamo prendendo la strada giusta.»

«Dici che non avrò più amnesie?» chiedo con anima speranzosa.

«No, ne avrai ancora, ma diminuiranno, vedrai. Ora che sappiamo la verità, tutto cambierà, credimi! Adesso so su cosa devo lavorare... non abbiamo ancora finito, ragazzo.»

Ci salutiamo, dandoci la mano. Scendo al piano terra e trovo mio padre che mi sta aspettando in macchina, proprio davanti al cancello d'ingresso. Salgo a bordo e lui mi saluta con un lieve sorriso.

«Be'?»

«Cosa?»

«Raccontami com'è andata!»

Non posso dirgli niente sul mio incubo. Non ho il coraggio di demolire l'immagine che ha di suo padre. Sapere quello che mi ha fatto... lo distruggerebbe.

«Tutto come sempre» mento. «Lasciami in centro, devo fare una cosa» dico poi, cercando di mascherare il nervosismo.

Cinque minuti dopo, si accosta al marciapiede e mi fa scendere. «A dopo, giovanotto» sorride.

«Sì... ci vediamo più tardi» borbotto, senza neanche guardarlo negli occhi e sfuggendo dal suo sguardo.

Raggiungo il negozio di fiori "Il giardino segreto", dove prima ho prenotato il bouquet. Appena supero la soglia un profumo intenso di fiori mi investe, è una magia, tutte quelle fragranze e quei colori ripuliscono il mio olfatto e la mia vista dagli odori di asfalto e polvere e le sfumature bianche e grigie degli edifici.Entrando, trovo una giovane commessa, non la stessa della mattina; mi viene incontro chiedendomi: «Come posso aiutarti?»

«Ho fatto fare un mazzo di fiori con delle ortensie dalla sua collega.»

«Oh, sì. È pronto» cinguetta, e si avvia dietro il bancone. «Scommetto che la ragazza alla quale lo regalerai ha gli occhi azzurri.»

«Bingo» affermo, abbassando lo sguardo e arrossendo leggermente.

«Eccolo!» Me lo passa e lo tengo tra le mani come se io fossi la sposa che deve essere celebrata.

Imbarazzato, vado alla cassa e lei mi fa pagare. «Ti piace?» mi chiede, estasiata.

Lo guardo e faccio finta di rifletterci. «Uhm, sì, non è male.»

«Questa ragazza è molto fortunata!» Mi sorride, diventando paonazza.

«Lo sono io ad avere lei» ammicco e sento una stretta al cuore.

Porto i fiori a casa e li metto in un vaso per tenerli freschi fino al giorno dopo. Quel profumo di celestepizzica le corde del mio cuore.

La mattina seguente mi alzo presto, come al mio solito, e il mio primo pensiero balza a Malek e Moon: Devono fare pace. Una volta pronto, mi dirigo alla fermata proprio sotto casa e salgo sull'autobus, ma stranamente Lucy non c'è. Prendo il cellulare per scriverle, ma scorgo un SMS proprio da parte sua. Appoggio il mazzolino sul sedile accanto a me.

- Oggi analisi del sangue, entro a scuola un'ora più tardi. Lu. -

Ecco spiegato il dilemma. Una volta a scuola, noto Karin e Markus chiacchierare all'entrata dell'edificio. Lei mi vede arrivare e il suo sguardo cade subito sul mazzo di fiori che tengo in mano. Saluto lei con un sorriso, senza sfiorarla perché so che non vuole, poi porgo il pugno a Markus aspettando lui faccia lo stesso.

«Che c'è, la rosa non era di suo gradimento giovedì?» mi prende in giro.

«Ho pensato che Malek volesse chiedere scusa a Moon» rispondo sogghignando.

«Vuoi fare il Cupido della situazione con te stesso?»

«E cosa ci sarebbe di sbagliato?» La sua espressione rimane dubbiosa e stupita. «Farò fare loro pace, credimi.»

«Se ne sei tanto sicuro...» replica la ragazza scettica.

«Al cento per cento» le dico con un occhiolino. «Ora, scusatemi, vado al suo armadietto.»

«Si dà il caso, che io sia l'unica a sapere il suo codice» afferma la rossa con aria soddisfatta.

«Non ne ho bisogno» le faccio una linguaccia, mentre lei rotea gli occhi.

Una volta di fronte all'armadietto, prendo un nastro del mazzolino, composto da ortensie color polvere, rose bianche e Gypsophila, e lo lego alla maniglia del mobiletto. Le lascio un biglietto attaccato all'anta:

- Scusami. Mal. -

Karin mi raggiunge ed esclama: «Patetico! E tu pensi davvero che il tuo piano possa avere successo?»

«Magari se due folletti si offrono di aiutare questo povero ragazzo imbranato...» Mi esibisco nella mia migliore faccia da cucciolo e Karin alza gli occhi al cielo.

«Se lo chiedi così, lo faranno sicuramente» dice, verso Markus. «Hai un'idea di cosa possiamo fare?»

«Fai arrabbiare Lucy, non m'importa come, ma falla incazzare poco prima della pausa.»

«E a cosa dovrebbe servire?»

«A portare allo scoperto Moon.»

«Non ci dormi la notte per ideare queste cretinate?»

La ignoro. «Markus, tu fai lo stesso con me. Sono certo che vi inventerete qualcosa.»

Karin

Siamo alla seconda ora ed ecco Lucy varcare la soglia della classe; indossa dei jeans azzurri e una t-shirt gialla, è Lucy, posa la giustificazione sulla cattedra, mostrandola alla professoressa Blanche.

Mi sorride, mentre l'insegnante comincia a spiegare Baudelaire e a leggere alcune poesie tratte da "I fiori del male". L'ora sembra non passare mai, ma poi guardo sull'orologio e vedo che mancano cinque minuti alla ricreazione. È ora di entrare in azione!

«Psss» mi giro verso la mia amica.

Lei alza gli occhi dal suo quaderno con aria interrogativa. «Che c'è? Sto cercando di concentrarmi...»

«Markus ti ha accennato qualcosa?»

«Riguardo cosa?»

«Al regalo di scuse che ti ha fatto Nash.»

«Per cosa dovrebbe scusarsi?»

«Dai, lo hanno visto tutti! Si sbaciucchiava con una ragazza stamani, con quella Matilde...»

Lucy mi guarda per un paio di secondi, con gli occhi fissi nei miei, e poi scoppia in una risata fragorosa. Tanto che la professoressa se ne accorge e, arrabbiata, la folgora con uno sguardo.

La mia amica scuote la testa e mi fa la linguaccia.

Non è Moon, non ha funzionato, ho fallito miseramente.

Markus

È appena suonata la ricreazione, e io e Nash usciamo dalla classe.

Raccolgo il coraggio necessario e gli dico, con sguardo triste: «Lucy mi ha detto che ha scopato con Malek e che è molto più bravo di te. Non aveva il coraggio di confessartelo, e così...»

«E tu pensi davvero che una cazzata del genere faccia uscire Malek? Inventati qualcosa di più intelligente!» esclama lui, interrompendomi.

Ok, ho fallito, non sono capace a far arrabbiare il mio migliore amico, e forse non voglio neanche. Ma come faccio a innervosire una persona che sa già del mio tentativo?

Suona la campanella della ricreazione e raggiungo Karin, che trovo a un angolino del corridoio a sorseggiare un caffè. «Allora, come ti è andata?»

«Male, e a te?» Sembra scoraggiata, mentre seppellisce il viso tra le braccia.

«Peggio che mai.» Faccio un sorriso tirato.

«Non siamo capaci a far incazzare i nostri amici, siamo inutili!» Mette il broncio, afflitta.

Eppure deve esserci un modo... «Seguimi!» Le dico, afferrandola per il braccio e dirigendomi verso gli armadietti.

«Aspettami qui» la informo.

Intravedo Lucy avvicinarsi al suo e noto Nash poggiato alla finestra vicino al bagno. Vado da lui e faccio cadere degli spiccioli sul palmo della sua mano.

«Vammi a prendere della caffeina» ordino con un buon presentimento.

«Perché, hai perso l'uso delle gambe? Non mi pare!»

«Vammi a prendere questo benedetto caffè!»

«Ok, ok» risponde lui, alzando le mani in segno di resa. «Ma sei un disastro, non ha funzionato niente. Quella non è Moon e io sono sempre io...»

«E io ti ripeto: procurami quel fottuto caffè!» dico di nuovo, adesso leggermente innervosito.

Nash va alle macchinette e fa come gli ho ordinato, poi lo vedo avvicinarsi a Lucy con il bicchierino fumante in mano: è ancora lei e si trova proprio davanti al suo armadietto.

Corro per raggiungerlo, do una spinta a un ragazzo del quinto anno che s'innervosisce e mi urta a sua volta, inciampo nel piede del mio amico e gli faccio volutamente lo sgambetto, prendendo la palla al balzo ; il mio amico mi osserva con ribrezzo e con un'espressione di puro odio.

È Malek! Capisco che non è più Nash, perché mi folgora con lo sguardo.

Il caffè che aveva in mano si riversa sulla t-shirt di Lucy, che, appena si volta, fissa Malek con occhi sprezzanti. Bingo. Ecco anche Moon!

«Ma che ca...!» Si guarda prima la maglietta, che ha una vistosa chiazza di caffè sulla spalla, poi si volta e vede lui. «Che cazzo vuoi tu? Non ci siamo detti già abbastanza?»

Karin fa un cenno con il viso al mio amico verso il mazzo di fiori.

«Toh, hai uno spasimante adesso? Hai fatto presto a trovarne subito uno nuovo!» sbotta lui.

«Lasciami in pace, pazzo!»

«Sono belli... a quel ragazzo devi piacere davvero tanto.»

«Levati di torno, mi fai schifo.»

Karin cerca di salvare la situazione, e urla: «Uuuh, ma che belli, Malek! Ti ho visto mentre li appendevi alla maniglia!» Gli strizza un occhio.

«Davvero?» Moon si rivolge a lui.

«Io...» Malek guarda la rossa per cercare manforte, e lei gli fa cenno di continuare. «Sì, pensavo ti potessero piacere e poi... hanno gli stessi colori della luna.» si gratta dietro al capo impacciato.

Karin mi fa ridere, li guarda con occhi a cuoricino e ha stampato in faccia uno sguardo da ebete. Decido d'intervenire e la porto via da lì per lasciarli soli. Una volta in disparte, li vediamo fare un passo avanti e abbracciarsi.

Ha funzionato. Io e la mia ragazza battiamo il cinque, sorridendo. Mi ha toccato la mano!

Malek

Era questo che mi aspettavo: una felicità infinita, come l'amore che provo per questa ragazza.

Mi avvicino ancora di più a lei e accosto le labbra alle sue orecchie. «Scusami, in realtà non sono stato del tutto sincero l'altra sera» affermo.

«Ovvero?»

«Ovvero...» Elimino quel poco di distanza che ci separa e la bacio, imprimendo le mie labbra sulle sue. Si fondono.Lascio scivolare le mie mani sulle sue natiche avvolte nei jeans. Il suo sguardo mi intrappola, non lasciandomi più scampo. Il cuore comincia a sorridermi. Solleva l'angolo della bocca in un sorriso malizioso.

«Malek, non possiamo qui...»

«Non me ne frega un cazzo di dove siamo» la prendo per mano e la porto al bagno delle ragazze, che pulula di studentesse, lui le guarda in modo tagliente, per farle zittire:

«Be'? Non avete mai visto un ragazzo bello come me?

«Entra! Coglione...» mi apre la porta dello scompartimento nella toilette e non fa in tempo a chiudere la porta, che le mie mani, lavate poco prima, sono dentro di lei. Le muovo con voracità. Lei comincia a respirare in modo spezzato. So quello che faccio, finalmente, conosco cosa le piace adesso.

Entro ed esco adagio con l'indice. Meno male che ho tagliato le unghie ieri sera! Successivamente passo il dito, umido dei suoi ormoni sul suo clitoride. Adesso ansima sfacciatamente. Le metto una mano sulla bocca per non farci sentire, ma le mi morde il dito.

«Cazzo, Moon!» Ridiamo, ed è ovvio ormai che ci abbiano sentiti, ma a noi non interessa perché lì, in quel momento, esistiamo solo noi due.

«Pregami di farti venire» le sussurro nell'orecchio sogghignando.

«No.» Passo di nuovo il dito sulla sua intimità per ricordarle il piacere che le provocavo.

«Malek, fallo.» Prova a ordinarmi inutilmente

«Cosa, Moon? Spiegati» Faccio il finto tonto e i nostri respiri si sfiorano. Il suo sguardo supplichevole mi accarezza il viso, ma io aspetto delle parole.

«Sei un dannato imbecille, Rainbow» Ecco, non esattamente queste... Le sue parole lacerano il silenzio fatto di respiri affannati.

«E tu sei la vipera più adorabile che esiste» Incateno lo sguardo al suo e le passo la lingua sul labbro inferiore

«Non ti arrendi mai, tu?!» mi spintona leggermente, facendomi quasi inciampare nel water.

«Mai, non con te» dico con un ghigno in volto, poi la spingo alla porta e premo il mio corpo sul suo, sono dannatamente eccitato.

«Ma quanta voglia, Arcobaleno! Sei tutte le sfumature di desiderio!» mi prende in giro con un sorrisetto sghembo.

«Te le faccio vedere io le sfumature.... ma di sesso» replico guardando nolente la mia erezione.

«Dai, non sei messo così male, una boccata d'aria fresca e tutto tornerà alla normalità»sghignazza senza filtri

«Sei crudele, Laiden, lo sai?» Tiro fuori il labbro inferiore per fare un finto sguardo triste da bambino.

«Sì, lo so» mi sorride con una deliziosa cattiveria

«E io ti adoro così come sei» le sfioro la guancia con la mano.

«Perché mi- ami» sorride

«Perché ti amo» ribadisco, fiondandomi sulle sue labbra.

È l'ennesima collisione; ci scontriamo ripetutamente e all'infinito, perché siamo come due calamite che gravitano nello stesso campo magnetico. Lei fa parte di me, ormai. È entrata nel mio cuore e l'ha plasmato; mi ha permesso di imparare ad amare.

Si dice che è sbagliato cambiare per qualcuno. Ma farlo per amore non è un errore, mai.

Markus

Sono accanto a Karin e osserviamo i due fare pace e baciarsi. «Dai, andiamo, lasciamoli soli» dico, e sto per andarmene, quando una mano si aggrappa alla mia, stringendola con dolcezza.

Mi ha stretto la mano!

Mi giro verso di lei e la guardo sbigottito, con aria interrogativa, mentre le faccio una semplice domanda: «Perché?»

E lei risponde e sembra sincera, anche se le trema la voce: «Mi manchi...»

«T... ti manco?»

«Sì, ti rivoglio accanto a me.» Mi pare stia per piangere, ma si sta trattenendo con difficoltà, ha gli occhi lucidi, ma nessuna lacrima esce dai suoi occhi.

Sento nascere sul mio volto un sorriso enorme, che si allarga ogni secondo di più. Questo è più di quello che avrei potuto sperare.

Nash

È un pomeriggio di fine primavera, fa caldo e l'estate si sta avvicinando. Siamo usciti in quattro a prendere un gelato; ci siamo: io, Markus, Karin e Moon.

Ci prendiamo dei coni e ci sediamo sulle panchine in spiaggia. Moon sa che non sono Malek, tuttavia non credo si senta a disagio, la vedo ridere e sembra serena e felice.

«Ohhh, ma dai, ti ricordi quando Jason prese la stecca da biliardo e se la ruppe sul ginocchio perché diceva di voler picchiare Morgan? Non puoi dirmi che hai amici sani di mente!» esclama Karin, rivolgendosi a Markus, mentre Moon ride con le lacrime agli occhi.

Nel frattempo sono andato a testare a piedi nudi la temperatura dell'acqua; non è ancora calda da poterci fare il bagno.

«O quando Nash prese una sbornia così terribile da addormentarsi sotto una quercia e risvegliarsi il giorno dopo con un colpo di bastone in testa. Una signora anziana che portava a spasso il cane l'aveva scambiato per un senzatetto ubriacone!»

La ascolto parlare a qualche metro di distanza e mi sento pervadere dall'imbarazzo. «Ragazzi, smettetela di parlare di me mentre sono lontano e non posso difendermi dalle provocazioni!» ironizzo, avvicinandomi a Markus con un sorriso smagliante. «Ricordiamoci del gentile ragazzo accanto a me, che quella notte di un anno fa, di ritorno da una festa, venne fermato dalla polizia con un amico diciottenne. Una volta che gli restituirono la patente, il compagno rimise in moto e tempo due metri Markus aprì la portiera e vomitò.»

«Non sono bei ricordi, Nash...»

«No, ma sono divertenti e fanno ridere» ammicco alle due ragazze di fronte a me, sedute sullo schienale della panchina in pietra.

«Tocca a me!» urla Moon. «La nostra principessa rossa, per avere una "A" in disegno, ci provò con il professore, spalmandosi quasi sulla cattedra. Ovviamente si beccò un'insufficienza.» Lancia a Karin uno sguardo di sfida, facendole una linguaccia.

«Cazzo, come fai a ricordartelo?»

«Ero presente... ho visto tutta la scena.»

«Eri tu quella?»

«Sì, quella ero io.»

Karin sorride, beffarda. «E allora, la signorina occhi azzurri che pur di vedere il fantomatico ragazzo dallo sguardo color del cielo, volle passare per la palestra per andare al piano superiore anziché prendere la scorciatoia!»

«Karin, non ero io quella.»

«Ops!»

Moon scoppia a ridere. «È bello potersi prendere in giro senza offendersi, e io... io vi voglio davvero bene, amici miei.» Fa per abbracciarci e ci uniamo in quella celebrazione di affetto, tutti congiunti l'uno all'altra.

Moon

«Tutta questa dolcezza mi ha fatto venire voglia di una sigaretta!» esclamo, prendendone una dal pacchetto e mettendomela tra le labbra.

Il tempo necessario per afferrare il mio accendino verde pistacchio dalla borsa che Nash mi prende alla sprovvista e me la sfila dalla bocca, tenendola tra le dita, in alto, in modo tale che io non possa arrivare a recuperarla.

«Oggi t'impedisco di fumare, ragazzina!» sghignazza. Mi prende in braccio e mi carica sulle sue spalle, a testa in giù. Si avvicina all'acqua e urla: «Ti ordino di smettere con questa "droga"! Mi ascolterai?»

«Mai!»

Mi scaraventa nelle gelide acque del lago, senza troppi complimenti.

Karin e Markus si guardano allibiti per un attimo e subito dopo dicono, all'unisono: «Malek!»

«Dai, piantala di darle fastidio!» gli urla Markus.

«Ok, ok, la pianto.» Recupera la sigaretta che mi aveva sottratto e se la mette in bocca.

Bastardo!

Esco dall'acqua e, in silenzio, li raggiungo; corro dietro le spalle di Malek e faccio un gesto ai miei due amici, spostando lo sguardo da lui all'acqua. Afferro il mio ragazzo cingendogli la vita da dietro; lui cerca di divincolarsi, ma siamo tre contro uno, poiché anche Karin e Markus lo stanno spingendo verso il lago.

Finisce con i piedi in acqua e mi guarda con aria di sfida. «L'hai voluto tu! La pagherai cara!»

«Prego, dopo di lei» rispondo prontamente.

Mi corre dietro e con un braccio mi stringe forte, mentre con la mano libera mi fa il solletico. Cerco di sciogliermi dalla sua presa, scalcio.

«Basta! Mi arrendo!» urlo con tutto il fiato che ho in gola.

«Hai imparato la lezione?»

«No» dico, seria. Poi alzo la mano e, con un sorriso malizioso, gli sventolo davanti agli occhi il suo pacchetto di sigarette. A quel punto domando: «E tu, spilungone?»

Lo lancio lontano; in un primo momento galleggia, poi affonda nelle acque fredde del lago.

«Ma che cazz- Moon!» strabuzza gli occhi, incredulo.

Faccio spallucce. «Hai imparato a non far innervosire la ragazzina, verginello

«Sai, vero, che sei in pericolo di vita adesso?»

«Non mi sentirai gridare aiuto.»

«Pensi davvero di sopravvivere al solletico che ti farò?»

«Sopravvivo a tutto, dovresti averlo capito ormai.»

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