XXXVIII. IL CORAGGIO DI ANDARSENE

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La vide quando tornò dalla colazione. La valigia se ne stava appoggiata vicino alla sua porta. Sembrava una donna abbandonata. Dorina aggrottò la fronte. Qualcosa le sfuggiva e lei odiava che le cose le sfuggissero. Lo stomaco le si gelò. Strinse i pugni. 

Andò a bussare alla porta di Kaas. Sapeva che dietro a quella storia c'era lui. E voleva affrontarlo. Non lo vedeva  dalla sera precedente. Dalla caduta del pavimento di vetro.

Si accorse a malapena che le unghie le avevano ferito i palmi. Si gettò contro la porta di Kaas che si spalancò con un cigolio. Dorina sussultò e barcollò in avanti. Non si aspettava che la porta fosse aperta. E forse ancora meno si aspettava di trovare Kaas a petto nudo, solo un paio di pantaloni neri addosso. La ragazza si aggrappò al muro, lo sguardo risucchiato dalla geografia del suo corpo. Montagnole e pianure. La gola le si seccò. Cosa...

-Dori! Che ci fai qua?- Kaas non si mostrò amichevole nonostante il loro avvicinamento degli ultimi tempi. E nemmeno si coprì. Si voltò verso di lei in tutta la sua presenza. Una gran bella presenza!

Dorina si costrinse a guardarlo in viso. Non che fosse meglio. Con quegli occhi che la facevano a pezzi senza neppure doverla toccare. –Ho visto la valigia, che vuol dire?-

-Quello che pensi- Kaas incrociò le braccia. Venuzze azzurre sulla pelle chiara.

-Voglio sentirlo da te-

-Domani parti-

-Io a Londra non ci torno- e non ci poteva nemmeno tornare. Non dopo tutto quello che era successo tra di loro. Sarebbe stato sbagliato.

-Non ti mando a Londra, ma a Parigi-
Fu come se l'avesse presa a schiaffi. –Parigi? Perché devo andare a Parigi?- gemette. Doveva essere un brutto scherzo.

-Perché la situazione qua sta diventando molto pericolosa e io non voglio che tu sia in pericolo-

-Non è una spiegazione- tremava.

Sperava che lui non se ne accorgesse, ma Kaas si accorgeva sempre di tutto.

-Hai rischiato di morire, Dori, te ne rendi conto? Io non voglio vederti agonizzare! Non voglio che tu mi muoia davanti e portare su di me il peso della tua morte- lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, abbassò le spalle, si diresse verso il letto. Trasmetteva un senso di tristezza. Un uomo profondamente infelice. Dorina sentì il cuore stringersele. Si portò una mano al petto.

-Tu ti senti responsabile della morte di mia zia- comprese. E fu come se una luce si fosse accesa del buio. Kaas non era mai stato indifferente. Lui aveva sempre tenuto alle persone che aveva accanto.

-Lo faccio per te, Dori, non capisci? Io distruggo quello che tocco, ma se tu mi starai distante... io sarò certo che starai bene-

-Io non starò bene lontana da te!- avrebbe voluto buttare all'aria tutti i mobili. Come poteva essere felice a Parigi se era lui la sua felicità?

-Sarai viva, Dori, questo è l'importante- continuava a darle le spalle. Come se non riuscisse a guardarla in viso.

-Sarò triste-

-All'inizio, ma Parigi è una bella città, piena di distrazioni, e poi ti sposerai, credimi, è facile dimenticare, soprattutto se si è giovani, tu riuscirai a rifarti una vita... avrai tutti i soldi che vorrai-

-Non voglio i soldi! Non m'importa nulla- un singhiozzo le si spezzò in gola  appuntito come una lama. –Io voglio solo passare il tempo con te- sembrava che un abisso si estendesse tra di loro. Un abisso nel quale avrebbe potuto cadere.

-Hai solo bisogno di tempo- irrigidì i muscoli.

Dorina cercò di controllare i tremiti. Lui se ne stava fermò là, con quella sua pelle bianca, quella postura sconfortante, quel dolore che il suo corpo urlava. La ragazza avrebbe voluto colpirlo, graffiarlo, abbracciarlo, stringerlo, baciarlo. Avrebbe voluto solo lui. Le ginocchia le tremarono.

-Andrà bene, giorno dopo giorno imparerai a essere felice, io posso solo farti soffrire-

Dorina non ragionò. Si lanciò avanti e si scontrò con quel corpo che disturbava i suoi sonni fin da quando era una ragazzina. La sua pelle la ustionò. Era calda. Tanto calda che avrebbe potuto essere il sole.

-Dori, no- ma non si mosse. Restò così. Immobile come una statua.

Dorina gli fece scivolare le mani sul petto. Sentì il calore sotto i polpastrelli, lo assaporò, lo gustò. Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro la sua spalla, il suo petto contro la schiena di lui. Lui era il sole e bruciava come il sole. Una giostra di sentimenti la scuoteva tanto forte da stordirla. Inspirò il suo profumo.

-Non puoi, Dori, non possiamo- le mani di lui si appoggiarono contro le sue. Dorina le serrò. Non lo avrebbe lasciato andare. Per nulla al mondo. Inspirò, espirò. Sentì lui fare lo stesso. Come se fossero stati un solo corpo. –Non cambierò idea, lo sai?-

-Baciami, fammi dimenticare qualsiasi cosa, ti prego, voglio solo dimenticare-

-Farà più male-

-Fa già male- e lui non poteva sapere quanto. Dorina aveva spine invisibili conficcate ovunque. Cocci di vetro le premevano in gola. Se si concentrava poteva sentire le ferite pulsare e il sapore metallico del sangue. Non si mosse. Non l'avrebbe lasciato andare, non gli avrebbe permesso di rendere tutto più facile.

-Dori- la voce si abbassò, roca. Dorina seppe di aver vinto. Per quella sera. Probabilmente sarebbe stata una vittoria amara, incapace di reggere per molto tempo. Non aveva importanza. Dorina, per una volta in tutta la sua vita, voleva vivere il presente. Solo il presente. Voleva un ricordo a cui aggrapparsi.

Kaas scivolò nel suo abbraccio. Lei aprì gli occhi e incontrò i suoi. Le diedero forza. E poi lui la baciò. Labbra calde, morbide, umide. Si abbandonò a quelle labbra come se non esistesse nulla al mondo di meglio di quelle. La testa le pulsava. Ogni cosa scompariva. Andava bene così però. Andava proprio bene così.

Dorina si rigirò nel letto. Le lenzuola erano tiepide e morbide. Seta. Avevano la consistenza della seta. E il profumo di tuberosa. Si trovò a sorridere al vuoto. E si passò una mano tra i capelli.

-Non avresti dovuto farlo- la voce di Kaas suonò cupa. Se Dorina non lo avesse conosciuto avrebbe pensato che fosse una minaccia. Si stiracchiò.

-Non dire così- si coprì uno sbadiglio con la mano.

-Sono solo obiettivo-

Dorina calciò il vuoto e le lenzuola si mossero. Si stava bene lì. Rimase a pancia in giù. Non voleva incontrare lo sguardo di Kaas. Non voleva perdersi in quell'abisso che sembrava fatto di ghiaccio e pioggia. Un abisso in cui affondare

-Partirai oggi pomeriggio-

-Cosa?- Dorina scattò di lato. E puntò i suoi occhi in quelli di lui. –No, non puoi mandarmi via, non dopo quello che è successo!- gemette.

-Te l'avevo detto, non puoi farmi cambiare idea, al contrario... partirai nel pomeriggio-

A nulla servirono le lacrime, le proteste, le urla, le minacce. Dorina fu caricata su un'automobile da Kaas, che fece giurare all'autista di non fermarsi fino a quando non fosse arrivata a Parigi.

Dorina pianse per gran parte del viaggio. Unica consolazione fu la lettera di Mr Lovecraft che era arrivata proprio quella mattina e che le faceva i complimenti per il racconto che gli aveva mandato. Una consolazione amara come arsenico.


L'alloggio era piccolo, ma confortevole. Dorina fece una smorfia. Non voleva stare lì. L'unica cosa che desiderava sarebbe stata quella di tornare al castello. Si chiuse in camera e non mangiò fino al giorno seguente, quando la fame le premeva lo stomaco come un coltello e decise che, beh, non aveva proprio il coraggio di lasciarsi morire d'inedia. Troppo doloroso.

I primi giorni trascorsero così avvolti nella nebbia. Scrisse alcune lettere per Nicalla. Voleva sapere cosa stava succedendo al castello, voleva capire se Kaas la stava pensando, se, forse, la rivoleva addirittura indietro. L'attesa la logorò. Non arrivò risposta.

Si dedicò quindi alla scrittura, ma dalla sua penna uscivano storie di amore strazianti e non di mistero. Forse aveva perso la sua abilità, sempre che l'avesse avuta.

Il settimo giorno di reclusione forzata qualcuno bussò alla porta. Stava leggendo un romanzetto gotico con protagonista una governante terrorizzata dai figli del padrone. Scattò in piedi e il libro cadde sul pavimento. Kaas. E se fosse stato lui? Tornato per lei? Il mondo esplose in mille scintille. Sì, doveva essere lui. Corse alla porta, le mani che volavano a sistemarsi i capelli, il cuore in gola, il cervello che fabbricava risposte gelide. Avrebbe fatto la difficile, ma non troppo, non voleva...

Quando aprì si trovò davanti una ragazza con lunghi capelli castani e un giovanotto dal naso aguzzo.

-Sono la vicina- la ragazza sorrise e mostrò i denti storti –mi chiamo Coraline, lui invece è mio fratello Charles- indicò il giovane alto al suo fianco.

Dorina annuì. Non era dell'umore di fare conversazione. Il dolore le soffocava le parole.

-Siamo felici di fare la tua conoscenza- Charles sorrise a sua volta –e volevamo invitarti a una mostra-

-Una mostra?- Dorina doveva fingersi cortese. Quei due non avevano nessuna colpa per il suo pessimo umore. E forse andare da qualche parte le avrebbe fatto bene.

-Charles dipinge- intervenne Coraline, i capelli biondo cenere che sferzavano l'aria.

-Sono un pittore piuttosto mediocre e alla mostra ci sono anche i dipinti del mio bisnonno, lui sì che era bravo-

-Una famiglia di artisti?- perché non le veniva nulla di meglio da dire? Nicalla o Caterina avrebbero mantenuto la conversazione senza problemi. E sarebbero state perfette. Non come lei. In bilico ovunque. Forse era per quello che Kaas l'aveva mandata a Parigi. Perché dopotutto non era all'altezza di lui. Non come Mirella, perfetta ovunque, perfino vestita di stracci.

Oh, Kaas. Il suo amato Kaas. Un singhiozzo le s'incastrò in gola. No, non doveva piangere. Se avesse pianto sarebbe stata la fine. L'avrebbero etichettata come problematica.

-Solo il nostro bisnonno a essere onesti- Coraline si fece avanti –allora? Vieni con noi?-

-Molto volentieri- mentì. Avrebbe solo voluto soffocare nelle lacrime, invece sorrise, perché doveva sorridere.

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