Capitolo 7. The Narcissist - Blur

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Non potevo sottrarmi dal destino che me la faceva portare sempre con me. Lei era continuamente con me. Ovunque andassi, ovunque decidessi di vivere, Nicla era sempre sulla bocca di chi mi parlava. Quella sera non faceva eccezione. Mi dissi che la cosa era inevitabile, che dopo tanti anni dovevo finalmente accettare di essere quella che appellano sempre come figlia di. È che, in un certo senso, speravo che una qualsiasi serata in compagnia di persone diverse dai miei soliti amici, dalla mia famiglia, non portasse necessariamente l'argomento al centro. Non amavo stare al centro dell'attenzione come un Fabio, una Nicla, o una qualsiasi altra stella del mondo. Soprattutto, non avevo nessuna voglia di affrontare quella parte della mia vita con Dino.

"Va tutto bene?" mi sentii bisbigliare, un soffio caldo sulla pelle della mia guancia, appena accaldata. Mi voltai verso di lui, facendo frusciare le lenzuola contro le mie gambe, che si attorcigliarono al suo torace in una gradevole confusione.

Annuii, strofinando il viso contro il suo: "Bene."

"Ti sarai annoiata un po', stasera."

Mi scostò leggermente per allungare la mano sul comodino, dove aveva lasciato la sua maglietta nera arrotolata. La annusò, prima di tirarla di nuovo lontano da sé, sul pavimento, davanti a noi.

"Non dire cazzate." Mi sollevai a sedere, portando un paio di cuscini dietro la mia schiena e cercando l'astuccio per prepararmi una sigaretta. "Siete semplicemente fantastici. Ma non avevo dubbi su questo. Non farmi dire cose che conosci già."

"Già." Mi imitò lui, sedendosi accanto a me, e arrotolandosi una mia ciocca tra le dita.

"Mi piacerebbe sentirti suonare i tuoi pezzi."

"Un giorno, forse. Se te lo meriti..."

Continuai a prepararmi la sigaretta, mentre mi lasciavo accarezzare da lui. Poi, di colpo, si fermò, come per riafferrare un pensiero. Tornò sdraiato, lasciandomi le ciocche dei capelli, e fissò il soffitto: "Quelli li ho scritti di getto, così. Per me stesso, soprattutto."

"Sono sicura che siano bellissimi. Come gli altri che ho sentito stasera, del resto." Tenni la sigaretta ancora spenta, stretta tra l'indice e il medio, mentre gli giravo il volto verso di me: "Lo so che sei tu a scrivere la musica. E Fabio i testi."

"Siamo un'ottima squadra." Confermò lui guardandomi dal basso, sbattendo una volta le ciglia e mordendosi il labbro.

"Ma lui fa credere a tutti di essere una specie di guru della musica, e si prende tutti i meriti. Anche quelli che non ha."

"Questo non è vero." Deviò lui, scendendo dal letto per cercare i suoi vestiti. Si grattò la testa, affondando la mano nella sua matassa di riccioli, confuso. Non riuscivo a trovare un ordine io stessa, figuriamoci lui nella mia camera. Scossi la cenere nel piattino da caffè che tenevo sul comodino, e ci lasciai la sigaretta ancora accesa. Mi infilai una maglietta e dei pantaloncini morbidi di cotone, cominciando a sentire dei piccoli brividi di freddo addosso, nell'aria notturna.

"Perché non mi hai detto che lo conoscevi?" perseverò lui, tastando alla cieca sotto il letto alla ricerca delle sue scarpe.

"Chi?"

"Fabio."

"Te l'ho detto. Non ci conosciamo."

Dino si buttò a sedere sul letto, dandomi le spalle. Piegò la sua lunga schiena per infilare i piedi nelle sue scarpe da ginnastica. "Non ti ho fatto questa domanda. Ti ho chiesto il perché non dirmi che sapevi chi fosse. E viceversa. Va meglio così?"

"Non c'è un vero motivo. Sai quante persone conosco? Mille, centomila, un milione! Se devo farti un elenco per farti stare più tranquillo dimmelo, così la prossima volta te lo preparo."

"Ma io sono tranquillo."

"Non mi pare."

"Ti ho solo fatto una domanda, Emilia."

"E io ti ho risposto." Non avevo risposto come avrebbe voluto. Lo so. Ripresi la mia sigaretta per finire di fumarla.

E Dino cambiò totalmente argomento: "Tua madre..." cominciò, non sapendo bene come continuare.

Balzai fuori dal letto, sfilando davanti a lui. Raggiunsi velocemente la cucina per versarmi un bicchiere d'acqua ghiacciata. Sentii i passi pesanti di Dino alle mie spalle. E due zampe pelose poggiarsi sulle mie gambe. Kobe si era strusciato a me, chiedendo qualche merendina, di sicuro.

"Cosa vuoi sapere?"

"Niente, così. Non mi hai mai parlato di lei, perciò..."

"Mi sembra un po' prematuro presentarti i miei genitori, non credi?" mi voltai a guardarlo, cercando un qualsiasi pretesto per smorzare quella conversazione. Aveva questo sguardo fisso che ti scavava dentro. Sentivo delle fitte alla pancia ogni volta che mi guardava così.

"Non intendevo questo." scosse la testa.

"Dino, non c'è niente di cui parlare, ok? Perché dovrei perdere tempo a parlare di lei, invece di fare altre cose con te?"

"Perché così ci conosciamo meglio?" cantilenò: "Davvero pensi che sia una perdita di tempo? Aspetta un attimo." Mi bloccò, sollevando le mani davanti a me: "Stiamo litigando, per caso?" gli afferrai le mani, riabbassandogliele di colpo.

"No, certo che no."

"Bene, perché stavo per cantarti una canzone."

"Vuoi un bicchiere d'acqua prima di andare via?"

"Vorrei un bacio, quello sì."

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