Capitolo 9. Rescued - Foo Fighters

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"No, vabbé!"

"Due imbecilli proprio!"

"Ma come si fa a convocare una riunione di venerdì pomeriggio?"

"All'uscita da scuola ci parlo io, dai."

"Brava, sei la delegata, almeno ti ascoltano."

"Lo scrivo sul gruppo dei genitori, anche."

Mentre le due mamme risolute varcavano la soglia, me ne stavo dietro il bancone del negozio, contando i soldi del fondo cassa. Con una fuggevole occhiata, ogni tanto guardavo il telefono, sforzandomi mentalmente di proseguire quel dialogo con Dino che si era fermato alle prime due battute.

"Il bimbo grande domani inizia il corso di chitarra e mi hanno mandato lo screenshot delle cose da comprare, non ti dico, mi partirà uno stipendio, stamani."

"Eh lo so, ma poi per cosa."

"Già hanno tanto da studiare, ora che sono alle medie. Ci manca anche studiare musica, che nella vita non servirà mai."

"Lo chiediamo alla signorina."

"Sì, tanto non sta facendo niente." Le sentii borbottare, mentre si avvicinavano. Abbandonai per un attimo impercettibile le pupille all'indietro, sotto le palpebre, sfoggiai il più incoraggiante dei sorrisi e mi preparai a servirle, ignorando il leggerissimo impulso di lanciare il telefono contro la fronte di una delle due.

Passai il resto della mattinata a servire clienti, riordinare la vetrina, spolverare strumenti e lavare i vetri del negozio. In un momento di relativa calma, uscii sul marciapiede davanti alla soglia per accendermi una sigaretta, in pausa. Mi convinsi che fosse solo un saluto, un buongiorno, una cosa innocente, magari un po' stupida. Dino si era sicuramente riaddormentato, e ci saremmo sentiti dopo. Mi affrettai a scrivere a Emma e ad Alex. Volevo sapere subito cosa ne pensavano dei nostri Ciao, avevo bisogno di un loro commento a caldo. La risposta di Alex non si fece attendere:

Ciao: la più comune forma di saluto amichevole e informale in italiano. "Ciao", è anche un'espressione metaforica e informale per indicare la fine sicura di qualcosa (es. "si è stancato della moglie e ciao")

Lo ringraziai con l'emoticon del dito medio alzato, mentre buttavo la sigaretta e, contemporaneamente, vedevo Ignazio entrare in negozio scompigliandomi la cipolla di capelli arruffati che avevo in testa.

Poco dopo, il messaggio di Emma:

Io mi maledico ogni volta che interrompo il mio lavoro per queste cazzate. Non sei tu, sono io quella con i problemi mentali più gravi ☠️

"Buongiorno, Ignazio! Che bella camicia, è nuova?" esclamai, rientrando in negozio. Lo sentii borbottare da dietro il bancone, col sigaro acceso in bocca, intento a rimestare tra i cassetti.

"Con questi telefoni sempre in mano..."

"Posso aiutarla? Sta cercando qualcosa?" mi sbarazzai del telefono, infilandolo nella tasca posteriore dei jeans e raggiungendo Ignazio per aiutarlo a riordinare dei documenti sparsi sulla scrivania. Mi guardò, piegando gli angoli della bocca in un sorriso sbieco, ancora più deformato dal sigaro che stringeva tra i denti e strizzò gli occhi marroni e lucidi, lisciandosi le basette che incorniciavano il suo viso emaciato e magro.

"Faccio io, tranquilla, Emilia. Tu continua pure il tuo spippolamento."

"Non era un vero e proprio spippolamento." Mi discolpai, togliendo velocemente la pila di vecchi fogli di giornale e il Quasar dalla superficie liscia del banco. Lo riposi nello stipetto all'ingresso del magazzino sul retro.

"Peggio ancora! Non solo voi a fatica riuscite a parlarvi faccia a faccia, ma anche con i messaggini non riuscite nemmeno a fare conversazioni complete!"

Con il voi, credo si riferisse alla mia generazione. Detta Millennials, o Generazione Y. E non potei fare a meno di dargli ragione, dato gli ultimi sviluppi.

"Magari siamo solo un po' timidi?" Ignazio non accolse il mio suggerimento e si limitò a grugnire.

"Sì, sì. Timidi." Ripeté. Poi inforcò gli spessi occhiali a goccia, che fungevano sia da occhiali da sole che da vista, e si avviò di nuovo all'uscita della bottega, con i fascicoli che gli servivano sotto il braccio. Mi dette una pacca sulla spalla: "Buona giornata, figlia mia. Fai a modo. E metti un po' di musica allegra. Questi gorgoglii mi mettono solo angoscia." I Muse.

Non appena restai sola, sfilai di nuovo il cellulare e aprii direttamente Instagram. Nei primi post capeggiava la foto pubblicata da Fabio, un selfie che lo ritraeva, sprezzante come al solito, con l'I-qos in bocca e l'altra mano dietro il collo di Bea, che scattava il selfie, e che a sua volta sorrideva alla fotocamera facendo una linguaccia. Lessi: "Potrebbe andare peggio! #seratebelle #friends #topperia #Fabio's #JerryThomas® @Jerrythomas @Therealbea" contornato da emoticon con pugni alzati e mani con il tipico gesto rock 'n' roll. Zoommai alla sua destra e alla sua sinistra in cerca dell'unico ragazzo di cui mi interessasse qualcosa, e di cui non vi era nessuna traccia, facendo attenzione a non mettere il cuore sulla foto tenendo premuto con il polpastrello un istante di troppo. Niente atteggiamenti strani, niente apprezzamenti, niente commenti. Emilia, tu non esisti. Tu visualizzi e non rispondi. Quasi.

Erano appena passate le dodici, quando finalmente il telefono cominciò a vibrare:

Ti penso

Dino. Mi strinsi il telefono contro il petto, continuando a imprecare contro me stessa per come questo messaggio mi facesse sentire piena, accaldata e impaziente di rivederlo. Mi asciugai la fronte con un sorriso incredulo stampato in faccia e finalmente mi preparai ad affrontare un'altra settimana senza di lui.

Ci stavamo avvicinando al weekend e quel giovedì sera era il momento perfetto per uscire senza i fastidi della folla tipica del fine settimana. Emma era davanti a me, con la sua birra artigianale ai friarielli ormai agli sgoccioli e la ciotola di patatine sbriciolate tra le sue mani. Stavo finendo di bere il mio gin tonic proprio nel momento stesso in cui Simone ci portava via il tagliere del nostro aperitivo e prendeva i nostri nuovi ordini, senza una parola di troppo che potesse incrinare il suo ghigno facciale abituale.

"Scusate il ritardo. Ho promesso a Melanie che l'avrei aiutata con le faccende mentre a lei tocca addormentare Giò, fra poco." Alex si sedette al nostro tavolo con un tonfo, scostando Emma con una culata per farsi posto sulla panca davanti a me. "Allora?" mi sfilò il gin tonic dalla mano roteando il bicchiere e facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio rimasti.

"Fai pure." Gli dissi, scambiandomi un'occhiata con Emma, che si limitò a sbuffare.

"Una mamma pancina stressata, stai diventando, Alex." Gli disse, ruggendo.

"Ho bisogno di alcol." Si giustificò lui.

"Lo vedo." Mormorai: "Va tutto bene?"

Alex poggiò il suo smartphone sul tavolo, mentre si toglieva il giubbino di pelle, scuotendolo leggermente dalle goccioline di pioggia: "Sì, certo. Le solite cose. E non sono una mamma pancina, vecchie zitelle acide. Sono un papà lavoratore e marito schiavizzato. Con tutto il rispetto per tua sorella." Si affrettò ad aggiungere, poi, guardandomi con un mezzo sorriso. "Ho bisogno di distrazioni fatte di alcol nei giorni feriali."

"Sei messo male." Asserii.

"Hai bisogno di una bella scopata, ho capito." Aggiunse Emma. Alex le dette un leggero scappellotto sulla nuca, facendola ridere. Poi gli occhi neri e indagatori di lei sfrecciarono nella mia direzione: "Anche questa qui ne avrebbe bisogno, secondo me."

"Parla per te, Emma!" ribattei poco convinta, riprendendomi il bicchiere dalle mani di Alex e succhiando con la cannuccia gli ultimi rimasugli di gin aspirabili.

"Guardala! È in astinenza! Basta, io cambio amici." Emma incrociò le braccia al petto, buttandosi contro lo schienale della panca e scoppiando di nuovo a ridere.

Emma non aveva un partner fisso, e, a essere sincera, non aveva un genere fisso a cui si accompagnava. Amava sia gli uomini sia le donne, amava semplicemente ciò che lei reputava bello e consumabile nel minor tempo possibile. Non si poneva la questione di affrontare i sentimenti, anche se ne riconosceva la complessità e l'intrigo: semplicemente, lei si godeva la sua vita cercando soddisfazioni corporali dall'uno e dall'altro sesso. A ognuno il suo, mi ritrovai a pensare. Con i sentimenti, prima o poi, ci facevamo i conti tutti. Ma allo stesso tempo, tutti ne eravamo così intimoriti da non avere mai il coraggio di esternarli. Né io né Alex ne eravamo immuni, quindi un po' la capivo, Emma.

Mentre la nostra serata andava avanti con gossip essenziali, sguardi torvi verso gli abiti degli altri avventori del pub, con il sottofondo musicale che passava da Tracy Chapman ai Måneskin senza un vero filo logico, notai Alex a un certo punto fermarsi a metà di una frase, con il pollice sullo schermo del suo smartphone smettere di scrollare.

"Dicevi?" Emma gli dette uno schiaffetto sulla spalla col dorso della mano, poi si girò verso di me, alzando le spalle e tenendo sollevata la birra reggendola per il collo della bottiglia. Lo guardò di nuovo: "Pianeta Terra chiama Alex?"

"Emilia." Mi disse lui, con voce incerta.

Mi misi subito eretta sulla schiena, osservando la sua espressione strana e portandomi indietro i capelli.

"C'è una cosa che dovresti vedere." Alex continuava a tenere il telefono davanti a sé, mentre Emma si era avvicinata a lui per fissare lo schermo con un'espressione di pietra.

"Mh." Aveva solo detto, lei. Poi mi aveva guardato, seria.

"Ragazzi, datemi quel cazzo di telefono." Sentenziai, allungando il braccio verso Alex, che si era ritirato il più lontano possibile da me.

"C'è una cosa che devo dirti, prima di mostrarti il telefono." Mi disse lui, tenendo il telefono stretto tra le mani: "Non l'ha pubblicata lui, ok? È del Jerry Thomas, il locale dove era con la band. Sono nella pagina del cocktail bar. E nella gallery l'ho visto. È di qualche sera fa. Probabilmente una festa. Probabilmente un momento creato ad hoc per pubblicizzare il locale." Dentro di me sentii una specie di scarica di scintille roventi.

"Fammi vedere questa foto e basta." Allungai la mano. Alex mi tese il telefono con la mano incerta e, prima di osservare l'immagine immortalata su quei pixel, sospirai, e trattenni il fiato.

Dentro l'esclusivo locale del Jerry Thomas, potei osservare un bel primo piano in bianco e nero di Dino, guardare oltre la fotocamera, forse il fotografo che l'aveva chiamato, mentre una ragazza non bene identificata se non come puttana tatuata, taggata Josie-Ann, si avvinghiava a lui con tutto il suo corpo sinuoso fasciato da un tubino nero senza spalline, mostrando il profilo netto, decisamente nordeuropeo, capelli biondi, sciolti, buttati all'indietro, nasino all'insu, occhi socchiusi e ammiccanti, lingua di fuori pericolosamente vicina al collo di lui. Allargai le dita sulla foto per vedere dove fossero le mani di Dino. Potevo vedergli solo mezzo busto, la mano sinistra che teneva un bicchiere pieno di un liquido rosso, unica nota di colore della foto, e l'altra mano poggiata con naturalezza sul fianco della sconosciuta Josie.

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