Chapter 27

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"Signorina Murphy?!" Domandai, ponendo la frase più come esclamazione che come quesito.

"Vedo che ti ricordi ancora di me, mia cara Crystal." Rispose con un sorriso la donna, nascondendo di nuovo la testa con il cappuccio e porgendoci due occhiali da sole. "Metteteli, non vi nasconderanno totalmente, ma almeno non attirerete l'attenzione come state facendo adesso."

"Crystal, tu conosci questa donna?" Mi chiese leggermente preoccupato Jonathan, lanciando un'occhiata alle sue spalle.

"Ti spiego tutto quando saremo al sicuro, ma adesso devi fidarti di me." Accettai entrambi gli occhiali, indossandone un paio e allungando l'altro a lui. "Fidati di me." Gli sussurrai al suo primo cenno di titubanza e insicurezza. Nonostante i dubbi iniziali, fece la cosa giusta: afferrò l'accessorio che avevo in mano e lo indossò frettolosamente.

"Bene, ora seguite me." La signorina Murphy ci fece segno di seguirla, inoltrandosi successivamente nella folla frenetica. Afferrai la mano di Jonathan e la seguii, affrettandomi nel tentativo di non perderla di vista tra la gente. A dir la verità, quel continuo serpeggiare tra le persone non durò molto a lungo, perché la macchina su cui dovemmo salire si trovava a soli venti metri dal vicolo in cui eravamo nascosti; tuttavia a noi sembrarono degli anni, continuamente sotto pressione e con la paura di essere riconosciuti. Una volta che io e Jonathan fummo saliti sui sedili posteriori - e lei al posto di guida -, la signorina Murphy accese il motore, mise la prima marcia e si immise nel traffico. Solo dopo circa cinque minuti espirai fortemente, rendendomi conto solo in quel momento di star trattenendo il respiro.

"Crystal, mi vuoi spiegare la situazione?" Mi domandò sottovoce il ragazzo di fianco a me, indicando in particolar modo la donna seduta al posto di guida.

Ero ancora frastornata a causa del sollievo che mi si stava diffondendo per tutto il corpo, che ci misi un po' a realizzare che cosa aveva detto. Al mio posto, rispose la signorina Murphy: "Oh beh, io sono Josephine Murphy;" cominciò, lanciandomi uno sguardo veloce. "L'ex insegnate di Crystal Walker."

Sentii Jonathan inspirare violentemente, mentre io guardavo di fronte a me la strada.

"Era la mia insegnante d'inglese in prima superiore." Spiegai ulteriormente, guardandolo finalmente negli occhi: in essi vi leggevo stupore e confusione. "Non la vedo da quell'anno, perché dopo le vacanze estive ci avevano detto che aveva ottenuto la cattedra a Memphis." Questa volta rivolsi il mio sguardo alla diretta interessata, aspettando io una risposta alla domanda implicita che avevo fatto.
"Intanto, chiamatemi Josephine entrambi e datemi del tu, non sono più una tua insegnante Crystal." Specificò lei subito, rivolgendomi attraverso lo specchietto retrovisore un sorriso cordiale, accogliente.

"In secondo luogo, a mia discolpa, posso dire che credevo anch'io fortemente di dover andare in Tennessee." Fece una piccola risata, scuotendo la testa mentre quel ricordo le tornava alla mente. "Quando poi, al giorno della partenza, un uomo d'affari si presentò di fronte a casa mia per portarmi personalmente in aeroporto, allora lì cominciarono a sorgermi alcuni dubbi." Il suo sorriso si spense con la stessa velocità con cui era apparso. "La strada era diversa da quella che avrei dovuto fare per andare a prendere l'aereo, quindi ho avuto la conferma che volevo: non stavo andando a Memphis." Svoltò a destra, cominciando a percorrere una strada perfettamente liscia e cementificata, che si perdeva nell'orizzonte; in fondo a essa, delle figure si ergevano alte e luminose contro il sole che stava ormai tramontando, anche se dal punto in cui ci ritrovavamo erano figure irriconoscibili. "Quando provai a chiedere spiegazioni mi fu detto di tenermi le domande per dopo, l'unica cosa che dovevo sapere era che la mia persona serviva per migliorare il genere umano." Scosse la testa e fece una piccola risata. "Non saprei neanche dire per quanto durò il viaggio: cinque minuti? Quattro ore?" Alzò le spalle. "So solo che quando finalmente potei mettere piede a terra, un uomo e una donna mi stavano attendendo, accogliendomi in una città che non avevo mai sentito prima."

Eravamo rimasti ad ascoltarla tutto il tempo, né io né Jonathan avevamo avuto il coraggio di fiatare. Sentivamo come una voce che ci diceva che la signorina Murphy ci avrebbe potuto dare tutte le risposte che stavamo cercando, per questo decidemmo silenziosamente di non aprire bocca, sperando che lei continuasse. Una volta capito che non sarebbe andata avanti, Jonathan disse, un po' irritato: "E poi? Ti hanno detto perché sei qui? Perché hanno scelto te?"

"Sì." Rispose semplicemente Josephine, nel frattempo che sul suo viso compariva un sorriso gentile.

"E?" Insistetti impazientemente io, non capendo perché ci tenesse così tanto sulle spine.

"E il resto ve lo racconto a casa mia, tanto siamo arrivati ormai." Indicò di fronte a sé, cominciando a rallentare. Le figure alte che avevamo visto in lontananza altro non erano che ampie case moderne di forme diverse, sempre composte dagli stessi materiali degli altri edifici che avevamo visto in precedenza, ma questa volta di vari colori diversi, dal nero al rosa pastello. Josephine si fermò di fronte a una casa verde chiaro pastello, somigliante a una baita, ma un po' più grande.

"Adesso scendo, apro la porta e voi correte immediatamente dentro; a quest'ora non dovrebbe esserci nessuno, ma non si è mai troppo prudenti." Ci spiegò, non dandoci la possibilità di replicare o dire se avevamo capito.

Scese velocemente dal veicolo, si guardò attorno e si diresse verso la porta. Girò la chiave tre volte prima che si aprisse, per poi farci segno di entrare. Scendemmo anche noi dall'automobile, e senza vedere se qualcuno ci stesse osservando, corremmo entrambi nell'abitazione seguiti a ruota dall'altra, che chiuse immediatamente la porta dietro di sé.

"Qua sarete al sicuro." La signora Murphy si tolse il cappotto mentre diceva ciò, sistemandosi meglio gli occhiali che le erano leggermente caduti sul naso.

Diede veloce un'occhiata fuori dalla finestra, per poi chiudere tutte le tende.

"Si può sapere che cosa sta succedendo?" Domandai stizzita, alzando probabilmente un po' troppo la voce; Jonathan, infatti, mi fece segno di abbassare il tono, afferrandomi una mano e stringendola per tentare di farmi calmare.

"Adesso ve lo spiego con calma, toglietevi la giacca e sedetevi pure sul divano, io vado a prendere qualcosa da bere." Ci invitò lei, nello medesimo momento in cui si dirigeva verso una stanza dietro a me e Jonathan.

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