Chapter 39

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Quando la mattina dopo ci svegliammo alle quattro per finire di prepararci prima della partenza, ringraziai chiunque potessi per non avermi fatto ricordare i sogni di quella notte, soprattutto dopo i pensieri che mi erano affiorati alla mente prima di addormentarmi. Il tutto fu molto calmo e placido: le cose per la colazione erano già pronte, il latte lo bevemmo caldo quella mattina, anche perché Josephine ce l'aveva appena scaldato questa volta. Rimanemmo in silenzio per tutto il tempo, l'unica volta in cui qualcuno parlò fu Josephine, quando ci diede un cambio di vestiti e dei soldi, spiegandoci che si chiamavano silvercoin e che era la moneta corrente, grazie agli enormi giacimenti di argento che c'erano sulle isole del triangolo. Quelle che avevano due colori, erano i mezzi silvercoin, chiamati così perché erano fusi con altri materiali più poveri, come il rame o lo stagno. Li accettammo ringraziandola, capendo finalmente come poter acquistare qualcosa in quel posto. Per il resto non proferimmo parola, finendo di organizzare i nostri zaini prima di partire.

Erano le quattro e un quarto quando partimmo, facendo attenzione che nessuno ci vedesse, anche se dubitavo che qualcuno potesse essere in piedi a quell'ora della mattina. Per sicurezza, sia io che Jonathan indossammo un paio di occhiali da sole, tirammo su il cappuccio della giacca, e io mi raccolsi i capelli in una coda, per quanto la loro lunghezza me lo permettessero. Il viaggio durò quasi fin troppo poco per i miei gusti, avrei voluto più tempo da passare tranquilla prima di dover scappare di nuovo. Entrati in stazione trovammo Christopher seduto su una delle sedie poste di fronte agli sportelli per acquistare il biglietto. Era vestito con un camice bianco sotto alla giacca beige che portava anche il giorno prima, gli occhiali in bilico sul naso. Continuava a muovere le gambe in modo frenetico, nervoso, nel frattempo che si mordeva le unghie. Quando ci vide ci corse subito incontro, la preoccupazione che provava avremmo potuto toccarla se solo fosse stata reale, talmente forte e intensa che era. Ci salutammo freneticamente, arrivando subito alle questioni importanti: i biglietti e cosa fare una volta arrivati a Laboratory.

"I biglietti li ho qua, teneteli voi, ci sono sempre i controlli alle stazioni di rifornimento." Ci porse i biglietti per il treno che aveva preso dalla grande ventiquattrore nera che aveva con sé, raddrizzandosi poi gli occhiali sul naso; avrei giurato che non l'avesse quando era seduto, ma a quanto pare era stata solo una svista, uno sbaglio.

"Allora," Iniziò lui, asciugandosi le mani probabilmente sudate sul camice che spuntava. "Dovremmo scendere tutti e tre a Laboratory, per fortuna capita che dei civili ci vadano per fare dei giri turistici nel laboratorio di ricerca, quindi non sarà un problema confondervi con loro." Si fermò per fare un respiro profondo, dato che stava parlando a ruota senza mai fermarsi, come se fosse in apnea. "Vi nasconderò nel mio ufficio, ma fate attenzione: dovrete fare in modo di non essere visti dalle telecamere, altrimenti il nostro piano sarà fallito già in partenza." Si guardò intorno, per vedere se qualcuno ci stesse osservando. Tuttavia, non c'era quasi nessuno in stazione: rispetto alle volte in cui ci eravamo stati io e Jonathan, in cui le persone andavano e venivano in gruppi e in quantità quasi esagerate, in quel momento non c'era quasi nessuno, l'avrei considerata deserta se non fosse stato per gli impiegati che lavoravano agli sportelli e nei vari negozi e bar.

"Da lì mi dovrete aspettare perché, per vedere quale barca potrete usare, devo andare nella stanza principale, sono scritte lì; ce ne sarà una come minimo, la prepariamo sempre per ogni situazione di emergenza." Diede un'occhiata veloce all'orologio che portava al polso, sperando di non essere troppo in ritardo. "Da lì vi farò uscire dalla porta dei magazzini posteriori, dandovi una bussola per indirizzarvi verso la direzione giusta." Rivolse il suo sguardo a Josephine, afferrandole una mano. Mi accorsi solo in quel momento del tenero e della chimica che volava tra i due, sentendomi quasi una stupida; il motivo per cui lei si fidava così ciecamente era perché era innamorata di lui, e lo stesso valeva per l'altro. Sorrisi istintivamente quando Christopher le raccomandò di fare attenzione, allargando il sorriso quando lei gli si buttò tra le braccia.

Jonathan, vedendo quel gesto dolce, mi afferrò la mano e me la strinse, guardandomi. Incontrai subito i suoi occhi, stavano cercando di rassicurarmi, dirmi che andrà tutto bene, che nonostante quello sembrasse un periodo abbastanza difficile, mancava poco alla fine di tutto.

"Mi raccomando, fate attenzione." Ci disse la signorina Murphy non appena si fu staccata dal suo 'amico', abbracciandomi forte. Il gesto fu talmente improvviso che non me l'aspettavo minimamente, infatti dovetti aspettare che passasse la sorpresa prima di riuscire a realizzarlo e a poter ricambiare. Sprofondai in quell'abbraccio, lasciandomi trasportare per un attimo dai ricordi: finsi, anche se per pochi secondi, che ella fosse mia madre, lasciandomi cullare dalle sue braccia e da quel gesto d'affetto. Le lacrime mi affiorarono agli occhi insieme ai ricordi: mi venne in mente quando a sei anni avevo preso la broncopolmonite, a quanto tempo e attenzione mia mamma mi avesse dedicato, arrivando ad attirare la gelosia di mio fratello. Mi misi a ridere a quel ricordo, scuotendo la testa e premendo un'ultima volta il viso contro la spalla di Josephine.

Dopo di me abbracciò anche Jonathan, che risultò più stupito di me; molto probabilmente la chiacchierata della sera prima aveva fatto bene a entrambi, convincendo il ragazzo finalmente a fidarsi completamente della donna, perché dopo qualche minuto di elaborazione ricambiò l'abbraccio.

"Fate attenzione, mi raccomando ragazzi, e lavorate in gruppo." Mi rivolse totalmente lo sguardo, sussurrandomi a fior di labbra: "Ricordati ciò che ti ho detto ieri sera, i tuoi riflessi vi salveranno sempre."

Io annuii, guardando di sottecchi il ragazzo di fianco a me; sapevo che quel discorso era un tasto dolente, nonostante non avesse dovuto sentirlo. Per questo motivo gli afferrai una mano e la strinsi, come a promettergli che d'ora in poi sarebbe stato tutto più facile, e che non avremmo più dovuto preoccuparci di chi avesse più probabilità di sopravvivere e chi meno.

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