Chapter 42

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

I gesti, come l'ultima volta, furono più veloci della mia mente: afferrai il braccio di Jonathan nello stesso tempo in cui la scienziata con il cane gridava: "Avanti, prendeteli!"

Lo trascinai dietro di me, muovendomi il più velocemente possibile. La porta per andare nell'altro vagone aveva un sensore, in modo tale che si aprisse non appena qualcuno si fosse posto di fronte a essa; mi sembrava, però, ci mettesse troppo tempo ad aprirsi, quindi premetti il pulsante rosso di emergenza posto a lato, facendo spalancare di colpo entrambe le porte dei due vagoni. Attraversai velocemente i pochi metri che ci separavano dal bagno, infilando la porta con scritta la medesima parola; l'attraversamento da un vagone all'altro fu più semplice, dato che il treno non era in movimento. Una volta dentro chiusi la porta a chiave e feci segno a Jonathan di fare silenzio, il respiro che accelerava sempre di più. Fui grata che almeno i bagni si potessero chiudere a chiave, non come le abitazioni, soprattutto dopo la pessima esperienza che avevamo vissuto.

"Crystal, Jonathan, sappiamo che siete lì dentro! Apriteci immediatamente!" La voce della scienziata si sovrastò agli abbai furiosi del cane, che sentii anche grattare contro la porta; dubitai fortemente che uno dei nostri inseguitori umani stesse grattando con le unghie sul metallo che ci stava separando, di sicuro si erano limitati a continuare a bussare insistentemente.

Jonathan mi afferrò una mano, stringendola forte, come a dire che ce l'avremmo fatta anche quella volta, che non dovevamo arrenderci; non l'avevamo mai fatto, e non l'avremmo fatto di certo quella volta.

"Se non uscite dovremmo buttare giù la porta!" Ci gridò uno dei poliziotti, la rabbia che si mischiava al trionfo nella sua voce, crescendo entrambi nello stesso istante.

"Che cosa facciamo?" Domandai sottovoce al ragazzo di fianco a me, indietreggiando di un altro passo.

"L'unica cosa che possiamo fare è restare qua. L'unica nostra speranza è che i passeggeri comincino a lamentarsi per il troppo tempo fermi." Sperai tanto che quella sua supposizione si avverasse, e anche il prima possibile.

Fu in quell'attimo che ebbi come il colpo di genio: mi inginocchiai di fronte al cesso, per quanto lo spazio angusto del bagno me lo lasciasse fare, e indicai a Jonathan di fare la stessa cosa vicino a me, afferrandomi i capelli e tenendomeli indietro. Lui capì immediatamente il mio piano, ma prima che io posassi le mani sulla ciambella del cesso, mi porse un paio di pezzi di carta da sotto il lavandino; non mi ero minimamente resa conto della loro esistenza lì, altrimenti li avrei presi fin dal principio. Iniziai a fare dei versi, come se stessi vomitando, fatto che non mi risultò difficile, dato che l'odore nauseabondo che veniva dallo scarico mi rivoltata lo stomaco, disgustandomi sempre di più; eppure dovevo resistere perché il tutto andasse a buon fine. Le urla dalla parte opposta si placarono, pure il cane fu zittito.

"Oh Shelley, ti avevo detto che non dovevi mangiare quella roba ieri!" Mi rimproverò per finta Jonathan, alzando la voce apposta e rendendola più grossa, tentando di camuffare il suo vero tono; probabilmente stava funzionando, perché non stavamo sentendo più niente dall'altra parte, se non i respiri affannati dei nostri tre inseguitori.

"Ma ne avevo troppa voglia, non ho saputo resistere!" Mi giustificai, fingendo subito dopo un altro rigurgito; tentai di rendere la mia voce più acuta, seguendo l'idea che aveva avuto Jonathan.

"Ma era scaduto, ti ripeto!" Il battibecco improvvisato tra me e lui sembrava funzionare; per fortuna che non potevano vedere l'espressione sulla nostra faccia quei tre, altrimenti avrebbero capito che stavamo fingendo, traditi dai grossi sorrisi che avevamo in volto. "A volte mi sembri proprio una donna incinta con le sue voglie!"

Quella fu l'ultima frase di senso compiuto che dicemmo, altrimenti saremmo scoppiati a ridere e mandato così a monte tutta la nostra idea; per il resto ci furono solo versi, come se stessi ancora vomitando l'anima.

Rimanevo continuamente all'erta, l'orecchio teso a sentire qualsiasi rumore fuori dalla porta. Probabilmente avevano provato a tenderci un'imboscata, perché - dopo quelli che a me parvero dieci minuti - percepii dall'altra parte il cane che ricominciava ad abbaiare, interrotto subito, però, da uno dei due poliziotti che lo rimproverava di non fare rumore. Non seppi per quanto tempo rimanemmo là, in ginocchio in uno squallido e angusto bagno di un treno, ma a un certo punto sentimmo delle voci che stavano reclamando, tutti che chiedevano la stessa cosa: il controllo ci stava mettendo troppo tempo, erano ancora fermi quando sarebbero dovuti essere partiti da già quindici minuti. Sarebbero tutti arrivati in ritardo a lavoro, e nessuno di loro si sarebbe addossato la colpa; proprio per niente, avrebbero fatto i nomi dei poliziotti e della scienziata che li avevano trattenuti, indicandoli come la causa del loro ritardo. A quanto pare i loro nomi erano conosciuti, perché uno dei due poliziotti gridò: "Va bene, va bene! Adesso finiamo il giro, poi potrete ripartire!" Percepii delle parole poco positive da parte di colui che aveva appena urlato, l'uso di appellativi poco lusinghieri rivolti a tutti i passeggeri del treno. Noi inclusi.

Sentii dei passi allontanarsi sul duro pavimento di ferro, molto probabilmente alla fine si erano arresi. Eravamo riusciti a convincerli che non eravamo chi credevano che noi fossimo? Che non eravamo i due ricercati per l'esperimento, ma semplicemente una coppia che stava litigando per l'ennesima cavolata?

Dissi a Jonathan di rimanere lo stesso in silenzio, perché non sapevamo se fossero potuti tornare indietro con un'altra idea, trovando quindi il modo di farci uscire. Sperai fino alla fine che tutto avesse funzionato come doveva, che fossimo salvi, scampando così alle loro grinfie.

Passarono di nuovo di fronte alla porta del bagno dove eravamo noi, lo capii non solo perché sentii i passi, ma anche perché percepii le unghie del cane grattare contro la nostra porta, come se volesse entrare; era l'unico che sapesse veramente che noi eravamo là dentro. Trattenni il respiro in quegli istanti, chiudendo gli occhi e cercando di calmare i battiti irregolari e veloci del mio cuore; per fortuna la scienziata lo rimproverò, dicendogli di smetterla di disturbare le persone sul treno. Solo quando percepii il rumore delle ruote che scivolavano sulle rotaie capii che eravamo partiti, tirando un sospiro di sollievo; ce l'avevamo fatta.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro