Capitolo 33

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Chinatown, Londra, 18 Dicembre 2005

Hermione lo cullò a lungo, stringendo a sé quel corpo forte che aveva imparato ad amare, accarezzando i capelli sudati e le spalle scosse dai singhiozzi, lasciandolo sfogare. Permettendogli di lasciar andare per quanto possibile attraverso le lacrime i pesi che lo avevano oppresso per anni, e di uscire coi suoi tempi dallo spazio mentale del masochista, del sottomesso.

Senza che lui nemmeno se ne accorgesse, l'aveva liberato del dildo e ripulito con un colpo di bacchetta e poi aveva tirato addosso a entrambi la coperta dopo averla resa di nuovo soffice, per creare un nido caldo e accogliente in cui lui potesse sentirsi al sicuro.

Inalò l'odore pungente del lubrificante e del sudore e del sesso, e si lasciò andare anche lei, rilassandosi in quello stesso abbraccio e abbandonando pian piano il mindset della mistress, per tornare a essere semplicemente Hermione.

Hermione, che era sempre più legata e affezionata a Severus, e che avrebbe voluto prendere su di sé tutti i pesi che gli ammorbavano lo spirito, per liberare lui. Senza avere ancora il coraggio di dare, a quel sentimento, il nome che gli spettava.

Pian piano i singhiozzi si calmarono, e il respiro di Severus tornò alla normalità.

«Come ti senti?» gli chiese alla fine.

Lui scostò la testa quanto bastava per guardarla in faccia. Aveva le guance chiazzate di rosso e di lacrime, le pupille ancora dilatate negli occhi lucidi.

«Dolorante. Svuotato. Pulito. Leggero.» L'ultima parola la mormorò con stupore. Perché era vero. Era come se tutto ciò che l'aveva oppresso fino al momento in cui lei l'aveva legato fosse svanito. Non sapeva se sarebbe durato o quanto, ma... era meraviglioso. «È per questo motivo che hai fatto... tutto questo?»

«Sì. Ma mancano ancora gli ultimi due step.»

«Cioè?»

«Cioè un bel bagno caldo e profumato e la cena.» Sapeva che sarebbero arrivate molte domande, ma voleva posticiparne il momento a quando fossero stati entrambi puliti e con la pancia piena. «Posso lasciarti qualche minuto, mentre preparo la vasca?»

«Non ho due anni, Granger.»

Lei sorrise. Riecco il suo Severus sarcastico.

«Lo so, ma è importante che tu ti senta coccolato, ora.» Lui inarcò un sopracciglio. «Ti spiego tutto dopo, promesso.»

«D'accordo, ma allora... sbrigati.»

Quando lei lo aiutò a immergersi, Severus sentì sulla pelle ancora irritata il morso dell'acqua calda e sibilò.

«Se vuoi un consiglio, aspetta domattina a far svanire i bruciori.»

«Perché?»

«Perché sentirli ti aiuterà a ricordarti che è stato tutto vero. A prolungare il silenzio mentale... e a imprimerti nella mente la sensazione di liberazione che hai provato.»

Lei si lavò in fretta, poi lo lasciò a rilassarsi in mezzo alla schiuma e a riflettere su quanto successo e su quello che gli aveva detto, mentre lei infornava la pizza e apparecchiava il tavolino davanti al divano, avvolta nella vestaglia che era tornata blu, e di felpa.

Cenarono accomodati tra i cuscini, coscia contro coscia, con lei che a volte lo imboccava scherzosamente, ma che non smetteva neanche per un istante di controllare che stesse bene. Di toccarlo, di fargli sentire la propria presenza.

Alla fine del pasto bevvero in silenzio un bicchiere di whisky incendiario, con il fuoco che ardeva nel caminetto, la neve che fuori cadeva più fitta e un album dei Dire Straits in sottofondo.

Infine si misero più comodi, Hermione semiriversa sulla chaise longue, Severus steso su un fianco sul divano con la testa in grembo a lei che gli carezzava dolcemente i capelli. Lui aveva lo sguardo rivolto in su, oltre le pieghe della vestaglia, e osservava il viso sereno di quella donna dalle risorse inaspettate.

Si sentiva ancora bene, maledettamente bene. Forse perfino troppo, in quella casa, tra le braccia di quella ragazza che...

Si rese conto con un moto di panico che una parte di lui desiderava che quel momento si estendesse all'infinito. Per tutta la vita.

«Non è la prima volta che fai questa... cosa, vero?» chiese, cercando di sviare i suoi stessi pensieri e dando la stura a una delle tante domande che premevano per uscire.

«No, non è la prima volta.» Hermione prese l'ultimo sorso di whisky, se lo rigirò in bocca, lo buttò giù e infine iniziò a raccontare. «Ho incontrato Adam all'inizio del 2001 a Cambridge, nel periodo in cui stavo facendo quel master in chimica applicata all'università babbana. Una sera avevo appuntamento in un bar con una delle mie compagne di corso, ma lei ha avuto un contrattempo e non è potuta venire. Io stavo finendo la mia birra da sola al bancone quando il tizio accanto a me, un babbano, mi ha rivolto la parola. Era molto bello, affascinante e siamo finiti a pomiciare nella sua auto. Era un periodo piuttosto... licenzioso, per me, quello, per vari motivi.
Per farla breve, abbiamo iniziato a vederci a casa sua, nel Surrey. Aveva trentotto anni, all'epoca – come vedi, non ho mai avuto problemi a frequentare uomini più vecchi di me – e un lavoro pesante dal punto di vista psicologico: era un tagliatore di teste.»

«Che cosa?!» sussultò Severus.

Lei rise.

«Non in senso letterale. Lavorava per uno studio che rimetteva in sesto le aziende sull'orlo del fallimento e lui era quello che doveva decidere chi veniva licenziato e chi no. La maggior parte delle persone reggono lo stress di dover rovinare la vita al prossimo per pochi anni, o addirittura pochi mesi, lui era un decennio che faceva quel mestiere, perché era molto redditizio e lui aveva bisogno di soldi per il suo altro lavoro, una startup che aveva messo insieme e dirigeva tutto da solo, con tutto lo stress che ne consegue. Aveva bisogno di una valvola di sfogo. Un luogo sicuro dove non dover pensare. Qualcuno di fidato cui cedere il comando di tutto, comprese le sue reazioni fisiche. Qualcuno che lo punisse per il male che era costretto a fare alle persone che venivano licenziate su suo suggerimento.
Il BDSM era la sua valvola di sfogo.»

«BDSM?»

«Bondage e Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sado-Masochismo. Il tutto fatto con delle regole ben precise, per la sicurezza e il benessere psicofisico di tutti i partecipanti.»

«È quello che abbiamo fatto noi stasera? Questo BDSM?»

«Sì. Ho imparato da Adam come prendermi cura del mio... sottomesso. Come legare affinché non si faccia male, che strumenti usare per massimizzare il piacere e il dolore senza infliggere veri e propri danni. Cosa fare prima e soprattutto dopo. La fase di cura è molto importante per il benessere di chi è stato dominato»

Lui sembrò ponderare quelle parole, ma quando parlò, fu per seguire il filo precedente.

«Lo vedi ancora?»

«No. Alla fine lui era un sottomesso e un masochista, nel senso che quello era parte fondante della sua identità. Ma io non sono una vera dominatrice, non sul serio: è un ruolo che mi piace ricoprire una volta ogni tanto, e che a quanto pare mi riesce anche bene, ma non fa parte della mia identità. Non so se mi riesco a spiegare.»

«Eppure tutti a Hogwarts ti davano della dispotica» scherzò lui, inarcando un sopracciglio.

«È diverso. È vero, mi piace che le cose siano fatte come dico io, ma... fino a un certo punto.»

Lui annuì e lei proseguì.

«Adam aveva bisogno di qualcosa di diverso, quindi a un certo punto abbiamo smesso di vederci. In seguito ho frequentato una dungeon, un club BDSM qui a Londra, ma non era la stessa cosa: ho capito che non mi piaceva dominare tizi a caso, senza alcun coinvolgimento emotivo, e che non avevo voglia di avere un sottomesso a tempo pieno. Ho provato anche l'altro lato della barricata, ed è stato divertente e istruttivo, ma anche quello non è ciò che sono. Alla fine ho chiuso i miei attrezzi in una scatola e l'ho messa sopra l'armadio. Era un pezzo che non la toccavo più.»

«Però stasera l'hai tirata fuori.»

«Il tuo bisogno ha risvegliato quel mio piccolo lato dominatore.»

«Pensi che io sia un... sottomesso?»

Lei scosse la testa, sorridendo di un piccolo sorriso consapevole. Senza smettere per un istante di carezzargli i capelli, di avvolgerlo col suo calore.

«No. Credo che sia una situazione contingente, non il tuo modo di essere. Penso che tu soffra per il senso di colpa che ti porti dietro. Che non sei capace di perdonarti, anche se gli altri ti hanno perdonato. E che sia questo a spingerti a cercare il dolore, sotto diverse forme.»

C'erano tanti di quei sottintesi, dietro quell'ultima affermazione... e una capacità incredibile di comprendere, che gli riempì il petto di calore.

Chi era quella donna, e perché faceva tutto quello per... per lui?

«Mi piacerebbe che fossero sufficienti le parole, una conversazione razionale e affettuosa per aiutarti a lasciar andare ciò che ti opprime» proseguì lei, tracciando la linea della mascella dove iniziava a sentirsi la ruvidità della ricrescita della barba, e poi quella del naso. «Ma mi sono resa conto che le tue ferite sono troppo profonde e allora... ho provato a mostrarti un tipo diverso di catarsi.»

Lui sospirò, sentendo il corpo pulsare e dolere dove lei l'aveva colpito. Una pulsazione che gli ricordava gli attimi in cui si era sentito finalmente libero.

«Non so se durerà, ma per ora ha funzionato.»

Il sorriso luminoso che Hermione gli rivolse gli fece mancare un battito, e una nuova ondata di panico lo avvolse.

Non poteva restare lì. Non poteva illudersi.

Ciò che era successo non significava che lei sarebbe rimasta con lui. Era solo un'amica che aiutava un amico.

«Ne sono felice» rispose lei, inconsapevole del fatto che la maschera era tornata al suo posto. «Credo però che... non arrabbiarti, ok? Se vuoi possiamo rifarlo, se ne senti il bisogno, però penso che sarebbe più efficace rivolgerti a un terapeuta come quella che ha aiutato me, per imparare ad accettare. Ad accettarti.»

Lui si rimangiò una risposta salace. Se da quel pomeriggio era emerso qualcosa di utile, era che la sua visione del mondo e di sé poteva essere scossa. Mutata. Forse... in meglio.

Avrebbe avuto il coraggio?

Si tirò a sedere, anche se la sua pelle pianse per la perdita del contatto col calore di lei, col suo corpo morbido. Col suo profumo che gli legava lo spirito con tentacoli di fumo resistenti come acciaio.

«Ho bisogno di pensare a tutto ciò che mi hai detto, a quello che è successo. Da solo.»

«Severus...»

Lui si alzò e solo quando fu abbastanza lontano da essere circondato solo dall'aria fredda le rivolse di nuovo la parola.

«Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto, Hermione. Non ho parole per esprimere cosa abbia significato per me. Però devo andare.»

Lei rimase immobile sul divano, guardandolo sparire in camera da letto e riemergere poco dopo vestito di tutto punto.

«Ci vediamo domani» sussurrò lui, chinandosi a sfiorarle le labbra. Poi si chiuse la porta d'ingresso dietro le spalle e solo l'eco dei suoi passi giù per le scale rimase a farle compagnia, ancora per qualche istante.

Solo quando anche l'ultima eco sparì, lei si alzò e si versò meccanicamente un altro bicchiere di whisky incendiario.

Si sentiva svuotata e arrabbiata e... risentita. Sì: risentita.

Severus non si fermava mai oltre una certa ora. Non avevano mai dormito nello stesso letto, nella stessa maledetta stanza nemmeno una volta.

Non andavano mai a casa di lui, anzi: non sapeva nemmeno dove stracazzo abitasse. Non si era mai degnato di connettere i loro camini con la Metropolvere, preferendo camminare fino al Paiolo Magico sotto la pioggia e la neve e nella merdosissima nebbia londinese piuttosto che rivelarle il suo indirizzo.

Come se lei fosse solo la scopata di una sera anziché...

"Anziché cosa, Hermione?"

Le tornarono alla mente le parole che lei stessa gli aveva detto solo un mese e mezzo prima, la sera di Halloween.

"So che al cuore non si comanda e il tuo appartiene a lei. Io sono semplicemente la donna che stuzzica la tua libido e occupa il tuo letto. Forse sono quella che ti sta traghettando verso una vita più completa e appagante, ma non ho la pretesa o l'illusione di rubare un posto che è già occupato."

Peccato che iniziava a non essere più vero già nemmeno allora.

E adesso... adesso si rendeva conto che voleva qualcosa di più e che forse, in fondo, l'aveva voluto fin dall'inizio.

Fino da Fez, e dall'istinto di protezione che aveva iniziato a sviluppare nei suoi confronti quando l'aveva visto malato. Quando lui le aveva permesso di entrare nella sua mente, accordandole una fiducia inimmaginabile.

Voleva qualcosa di più, ma lui non sembrava essere dello stesso parere, anzi. E lei era gelosa da morire. Di Lily Evans Potter e di tutte le donne più adulte di lei, più belle e interessanti, che lui avrebbe sicuramente incontrato sul suo cammino. Donne che avrebbe potuto guardare con occhi diversi, ora, più consapevole del proprio potenziale.

Chiuse gli occhi, ricacciando indietro il groppo che le si era formato in gola.

Perché era una stupida, e non riusciva a mettere a tacere il desiderio che, anche se in condizioni normali sarebbe stato troppo presto, lui le chiedesse di sposarlo, in modo che la stupidissima legge matrimoniale non interferisse col sentimento che sentiva svilupparsi in fondo al cuore.

Si era innamorata.

Come una stupida.


** Oooh, là. Finalmente almeno una dei due si è decisa a guardare in faccia la realtà :D **

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro