42- Un gesto compassionevole

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16 maggio

Nauplia era un paesino affacciato sul mare che sapeva di salsedine e serenità. Gli studenti si erano dispersi tra le stradine, pavimentate da piastrelle così lucide da sembrare bagnate, sulle quali si affacciavano piccoli negozi di souvenir e artigianato locale e ristoranti dall'aria casalinga, con i tavoli apparecchiati fuori. Sui muri delle case c'erano intrecci di edere e piante dai fiori colorati, simili alle decorazioni di una festa.

Il gruppo di amici era diviso e sparpagliato. Alessia e Denisa si erano allontanate per parlare di quanto accaduto il giorno precedente, Federico, Ruben e Simone si erano seduti in un bar sul porticciolo a fare aperitivo, mentre Elia e Andrea sembravano essersi volatilizzati nel nulla.

Emilia era rimasta sola con Rebecca e, dopo una breve passeggiata, si erano sedute su una panchina in piazza a mangiare un gelato.

Rebecca era silenziosa. I primi tempi Emilia provava disagio a stare in sua compagnia in momenti di quel tipo, aveva paura che la propria presenza le fosse di disturbo, ma col tempo aveva imparato a conoscerla: era una persona introversa e a volte aveva bisogno di chiudersi in sé stessa, per poter ricaricare le energie.

La ricciolina le rivolse un sorriso ed Emilia ricambiò. Si chiese che cosa le stesse passando per la mente; era un'anima empatica e intelligente, ma anche molto enigmatica. Emilia era convinta che, se solo avesse parlato di più, sarebbe stata in grado di rimettere al proprio posto molte delle teste calde, lei compresa, che componevano il loro gruppo.

"Ti posso fare una domanda, Rebi?".

"Certo che sì" rispose la ragazza, con un sorriso così bello da sembrare angelico.

Emilia distolse lo sguardo e lo lasciò vagare sulla piazza, al centro della quale due bambini correvano e ridevano.

"Come si fa a recuperare il rapporto con qualcuno che ti ha provocato un grande dolore, ma che al contempo anche tu hai fatto soffrire?".

Rebecca parve un po' confusa, ma non indagò nelle questioni personali dell'amica.

"Secondo me la cosa giusta che dovrebbero fare due persone che si sono fatte tanto male a vicenda è allontanarsi l'una dall'altra" rispose, dopo aver riflettuto alcuni istanti.

Notando inappagamento nell'espressione di Emilia, aggiunse: "Prendere le distanze è un gesto compassionevole, anche se può sembrare crudele".

Emilia annuì, sollevata da quelle parole sagge. Sapeva di dover trovare il coraggio di parlare ad Andrea, anche se era difficile. In quei due giorni, anche solo incrociare il suo sguardo durante le visite guidate l'aveva fatta sprofondare nel disagio, ma era consapevole che, se lo avesse evitato per sempre, sarebbe rimasta nel petto di entrambi una ferita aperta.

Guardò l'orario sul telefono.

"Mi sa che ci tocca andare, tra cinque minuti dobbiamo essere tutti al punto di ritrovo".

"Certo, andiamo".

Le ragazze lasciarono la panchina e attraversarono la piazza, dirette al porto. Era ora di cena e dai locali arrivava il chiacchiericcio degli ospiti, per lo più eleganti coppie di mezz'età in attesa di gustare un piatto di pesce fresco.

Così abituate ai ritmi frenetici di Torino, vennero abbracciate dalla pace in cui i luoghi della Grecia che stavano visitando erano immersi. Luoghi dalle basse velocità, in cui sembrava che un solo istante potesse protrarsi all'infinito.

Grazie alle basse velocità

La Grecia è l'unico Paese

Dove il crepuscolo

In direzione di Sunio, o all'inverso,

Si può protrarre per un'intera vita.

- Sotirios Pastakas

-C'è un festino improvvisato in un bar, venite tutti!! I drink costano un cazzo.

Alessia lesse ad alta voce il messaggio, arrivato sul gruppo della classe, e le altre si guardarono l'un l'altra stupite e divertite.

"Sembra un paesino tutto tranquillo e poi scopri che ci sono delle specie di rave" esclamò Denisa, ridendo. "Comunque che dite, andiamo?".

"Ovvio". Alessia era su di giri. "C'è tutta la scuola e noi vogliamo restarcene in 'sto baretto a fare le vecchie?".

Denisa sollevò le braccia, festosa. "Infatti, se c'è una festa queste quattro regine non possono mancare. Su, muovetevi a finire 'sti drink, così andiamo".

Emilia e Rebecca si scambiarono un sorriso d'intesa. Erano entrambe felici di rivedere le loro amiche di nuovo complici ed esuberanti.

Lasciarono il tranquillo bar della piazza seguendo su Google Maps le indicazioni date dai loro compagni di classe. Il paesino era immerso nel silenzio e la maggior parte dei locali iniziava ad abbassare le saracinesche. Sembrava impossibile immaginare una festa in un luogo del genere.

"Fede e gli altri vengono?" domandò Alessia, in testa al gruppo.

Denisa aveva lo sguardo fisso sul telefono. "Mi stavo giusto chiedendo che cazzo di fine avessero fatto. Comunque sì, Fede mi ha appena risposto".

Emilia finse di non seguire la conversazione, guardandosi attorno con aria trasognata. Ogni volta che Federico era nei paraggi o veniva anche solo citato, aveva l'impressione che le si potesse leggere in faccia tutta la verità.

Le ragazze non ebbero bisogno di affidarsi a Google Maps fino a fine percorso. Quando imboccarono il vicolo segnato sull'indirizzo, trovarono un unico locale aperto, da cui provenivano musica e schiamazzi. Emilia e Rebecca avevano percorso quella stradina durante la visita del tardo pomeriggio, ma in quel momento, con le luci fioche e la festa in corso, aveva perso tutto il suo fascino fiabesco.

Entrarono nel locale a fatica; la sala era minuscola e tutti se ne stavano ammassati. Lo spazio per ballare non c'era e le persone si muovevano come potevano.

"Eccovi, finalmente" urlò Denisa, cercando di sovrastare la musica e i chiacchiericci. Si lanciò in direzione di Federico, che era in piedi con un drink in mano, insieme a Ruben e Simone.

"Non potevamo mancare, lo sai". I due si scambiarono un bacio a stampo ed Emilia finse di guardare altrove.

"Ma che cos'è questa festa?" domandò Alessia, dando voce a un dubbio che affliggeva tutte.

Federico scoppiò a ridere. "Guarda laggiù".

Indicò nella direzione del bancone, dietro il quale c'era Filippo Dotta che smanettava con un computer portatile.

"Quel pazzo di Filippo ha chiesto ai baristi se poteva collegare il cellulare e mettere la propria musica, poi la situazione è degenerata".

Alessia ed Emilia si guardarono sconvolte.

"Al suo diciottesimo ha avuto culo perché gli sono capitati due caramba tranquilli" esclamò Alessia. "Ma con la polizia greca mi sa che non gli andrà così bene".

Ruben sventolò una mano per aria, come se stesse scacciando un moscerino. "Dai, non fare il gufo, goditi 'ste vibes".

Le si avvicinò ballando ed ella lo seguì, muovendo i fianchi e la testa.

"Io vado a prendere da bere". Denisa sollevò un braccio e guardò uno ad uno gli altri, con quel suo sguardo affilato che in uno sconosciuto avrebbe sicuramente trasmesso soggezione. "Emi, tu vieni?".

"Sì, sì". La risposta della ragazza fu incerta, ma, come trascinata dagli eventi, seguì l'amica in mezzo alla folla.

Subito prima di avviarsi, si voltò di scatto. Incrociò lo sguardo di Federico, che, immobile con il suo drink in mano, i riccioli disordinati come sempre e una t-shirt bianca, teneva gli occhi fissi su di lei. Si contemplarono l'un l'altro per alcuni istanti e un sorriso complice comparve sul volto del ragazzo. Emilia ricambiò, poi si girò.

Poteva ancora sentire gli occhi di Federico sulla sua schiena e in quel momento si sentì spaccata a metà: davanti a lei c'era Denisa, la sua amica, una delle persone più leali e affettuose che avesse mai conosciuto. Dietro di lei il ragazzo che le piaceva da tre lunghi anni e per il quale i sentimenti che provava si facevano più forti ogni giorno di più.

"Tu che prendi?".

Emilia era persa nei suoi pensieri.

"Emi?".

La ragazza parve svegliarsi da un sogno.

Il barista, un ragazzo giovane con il viso spigoloso e i capelli neri raccolti in un codino, si sporse verso di loro.

"Per me un Gin Lemon" esclamò Emilia, senza neanche pensare.

"Ok" rispose Denisa, con un pizzico di esasperazione nella voce. "One Gin Lemon and one Long Island".

Abile come un giocoliere, il ragazzo compose con rapidità i loro drink, annuendo ad altri studenti che già gli chiedevano i prossimi.

"Oh, è arrivato Elia". Denisa sollevò la mano per aria per salutarlo ed Emilia sentì il cuore arrivarle in gola. Si voltò verso l'uscita del locale ed egli le fece segno di raggiungerlo.

"Regala il drink ad Ale" esclamò di getto la ragazza, cacciando nelle mani di Denisa il Gin Lemon, e, prima che l'amica potesse farle domande, si precipitò da Elia, sgomitando tra la folla.

Il ragazzo era sulla soglia, il volto addolcito da un'espressione di sincera preoccupazione. Era solito indossare spavalderia, orgoglio, arroganza, rabbia e in quel momento i suoi stessi lineamenti sembravano diversi.

Non si salutarono nemmeno.

Emilia si tuffò tra le sue braccia e lui la strinse a sé con forza, come un fratello maggiore.

"Mi state facendo morire di preoccupazione, cazzo" esclamò il ragazzo, dopo alcuni istanti di silenzio.

Emilia, rimanendo aggrovigliata in quell'abbraccio, sollevò lo sguardo.

"Cosa ti ha detto Andrea?". La voce era tesa e carica di aspettative, ma Elia scosse il capo.

"Niente, ed è proprio questo che mi sta facendo uscire di testa, poi in questi giorni ho visto che ti isolavi, che eri sempre triste". Si interruppe, inciampando nelle sue stesse parole, e strinse a sé la ragazza così forte da farle quasi mancare il respiro. "Cristo, odio vedervi entrambi così".

Se Emilia non avesse consumato tutte le proprie lacrime con Alessia, la sera precedente, in quel momento sarebbe scoppiata a piangere. Tuttavia, aveva fatto una promessa a sé stessa e non poteva sprecare il proprio tempo a disperarsi: la sua priorità era parlare con Andrea e mettere un punto fermo a quella storia.

"Lui dov'è?" domandò con tono grave, lo sguardo fisso negli occhi di Elia.

"È rimasto al porto, mi ha mandato via. Mi ha detto che per stargli dietro mi stavo rovinando la gita, ho insistito per rimanere con lui, ma poi si è messo a piangere e non sapevo che cazzo fare, così sono corso a cercarti. Ti ho anche chiamata, ma non rispondevi".

"Scusami".

"Non importa". Le carezzò il viso con le sue dita spesse e ruvide. "Ma cos'è successo? Sto male a vederti così, ti giuro, poi c'è Andrea che dice che lo odierai per sempre, che cazzo è successo tra voi, che ti ha fatto?".

Emilia trasse un profondo respiro.

"È complicato e non ho le forze per spiegarti. Però, ti prego, gli devo parlare, perciò portami da lui".

Elia non se lo fece ripetere due volte. Si precipitò in strada ed Emilia lo tallonò come un segugio. Corsero per tutta Nauplia e solo quando raggiunsero il porticciolo rallentarono il passo.

Sul molo, seduto per terra di fronte al mare, c'era Andrea, un Leopardi solitario di fronte all'infinito.

Emilia si sentì morire.

Nel silenzio della notte, gli unici rumori percepibili erano l'incresparsi delle onde e i respiri affannosi di lei ed Elia.

"Puoi lasciarci soli" mormorò la ragazza, senza distogliere lo sguardo dalla schiena di Andrea.

Elia annuì e le lasciò un bacio sulla nuca. "Se hai bisogno chiama".

I passi del ragazzo si fecero sempre più distanti. Quando Emilia non poté più udirli, si sentì più sola che mai.

Camminò incerta verso Andrea, accumulando, passo dopo passo, sentimenti burrascosi e in contrasto tra loro.

L'agitazione, la vergogna, la rabbia, il senso di colpa si mescolavano con la speranza e con un rassicurante senso di liberazione imminente.

"Ciao Andrea".

Il ragazzo non sobbalzò quando sentì la voce di Emilia alle sue spalle e non batté ciglio quando ella gli si sedette accanto.

Restarono in silenzio per un po', fingendosi ammaliati dal mare. In realtà si spiavano di sottecchi ed entrambi potevano scorgere nello sguardo dell'altro il proprio riflesso: un unico volto triste che si specchiava e aveva paura di quello che vedeva.

"Non ti do la colpa di quello che è successo" disse Emilia, interrompendo l'opprimente silenzio. "È stata una brutta esperienza per entrambi".

"E invece dovresti". La voce di Andrea era sottile come quella di un bambino. "Mi sarei dovuto accorgere che non volevi, ma sono stato uno stupido".

"E come avresti potuto? Io ti avevo detto sì, più di una volta".

"Me ne sarei dovuto accorgere dai tuoi gesti, dai segnali che mi mandava il tuo corpo, eri così tesa, ma dentro di me speravo fosse solo perché era la prima volta".

Emilia abbassò lo sguardo e sentì di nuovo il bisogno di farsi piccola piccola, di scomparire inghiottita dal cemento. Ricordare quel contatto così intimo con il corpo di Andrea le dava la nausea. Aveva voglia di piangere.

"Tu non mi vuoi, questa è la verità" mormorò il ragazzo. "Non ti piaccio, non ti sono mai davvero piaciuto. E io... Io sento di averti in qualche modo violata".

Emilia schiuse la bocca e guardò negli occhi Andrea.

Violata era la parola che descriveva appieno il modo in cui si era sentita quella notte. Si era costretta a fare qualcosa contro la propria volontà e il suo corpo aveva rigettato quel contatto indesiderato, fino a farle provare un dolore fisico atroce, che poi era solo un riflesso di quello che si portava dentro.

"Mi rattrista tantissimo dirlo solo ora e così". Trasse un profondo respiro e riuscì a trattenere una lacrima insidiosa che protestava per uscirle dall'occhio e colarle lungo la guancia. "Ma è vero, io non provo per te quello che tu provi per me. Mi sento così in colpa per non avertelo detto prima, ma non ne avevo il coraggio. Sono stata una vera merda".

Il ragazzo annuì, il viso corrucciato e gli occhi lucidi. "In realtà ciò che mi addolora più di qualsiasi altra cosa è sapere di aver fatto del male a una persona che credevo di amare".

Emilia scoppiò in lacrime.

"Ti perdono, Andrea. Davvero, io ti perdono".

Piansero insieme, in quella notte quieta che metteva un punto fermo alla loro relazione. In mezzo alla tristezza, un senso di conforto germogliò nei loro cuori, innaffiato e nutrito da quelle lacrime liberatorie.

In quel preciso momento, seppero che la loro storia era davvero finita.


Spazio autrice:

Ehilà lettori, grazie per aver letto questo capitolo! Cosa ne pensate? Siede soddisfatti di come si è conclusa la storia tra Emilia e Andrea o vi aspettavate qualcosa di diverso? Fatemi sapere, sono curiosa✨

Piccola chicca: le vicende sono ovviamente frutto della mia fantasia, ma la tappa a Nauplia e la successiva festicciola in un bar sono accadute realmente durante la mia gita. I professori ci concessero una serata libera in questo paesino e a un certo punto alcune mie compagne hanno fatto partire una festa in un buco di culo di bar, attaccando i propri telefoni alle casse. Qualcuno si è ubriacato, ma i prof hanno preferito chiudere un occhio e riderci su...

E niente, detto questo vi saluto, il prossimo sarà un capitolo... Ahh, non so nemmeno come descriverlo, ma fa sciogliere anche me, che non sono proprio la queen del romanticismo, perciò preparatevi.

Un abbraccio, a martedì❤️

Baby Rose

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