8- Futuro Presidente del Consiglio

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2 marzo- mattino

Nei corridoi del Massimo D'Azeglio l'aria era elettrica. I rappresentanti d'istituto avevano indetto un'assemblea straordinaria e gli studenti erano in fibrillazione nell'attesa di essere convocati in palestra.

"Ciao ragazze, verrete alla serata artistica del liceo?".

Filiberto Oggero, della Terza B, sbucò dalla folla di studenti, brandendo dei volantini colorati.

Le quattro amiche si scambiarono un'occhiata incerta.

"Non sappiamo ancora, in realtà" rispose Denisa, abbozzando un sorriso.

"Dai, venite, sarà una bella serata". Il ragazzo consegnò loro quattro inviti. "Non potete mancare".

"Ma certo, Fil, ci saremo di sicuro" intervenne Emilia.

Il ragazzo si sistemò i grossi occhiali rotondi, che continuavano a scivolargli sulla punta del naso. "Grandi, sarà uno spasso".

Quando fu lontano, Denisa scoppiò a ridere. "Quand'è che la fanno?".

"20 marzo" rispose Alessia.

"Mi metteranno una verifica il giorno dopo, sicuro come la morte".

Emilia tirò una gomitata nel fianco dell'amica. "Allora, come va con 'sta matura?".

"Non voglio sentir parlare di maturità" strillò Denisa. Tra le quattro, era l'unica in quinta superiore.

"100 giorni" ribadì Emilia sorniona, agitando le dita come se stesse compiendo un incantesimo.

"Non mancano ancora 100 giorni, stronza".

"Non sei un po' triste di lasciare il liceo?" domandò Alessia, giocherellando con l'invito alla serata artistica. Lo aveva accartocciato, poi disteso, piegato, disteso di nuovo ed era così raggrinzito che le scritte non si leggevano più.

"In realtà no". Denisa guardò fuori dalla finestra. "Nella mia classe sono un po' tutti stronzi e poi non vedo l'ora di andarmene da Torino".

"Dove vuoi andare?" domandò Rebecca. Aveva una voce dolce e calda.

"Milano". Sul volto della ragazza si dipinse un sorriso. "È una città così viva, non può competere con Torino".

"A me Torino piace molto" rispose Emilia. "La trovo bellissima".

"Ma non ti dà le opportunità che ti dà Milano".

"E cosa faresti?". Alessia provò a centrare il cestino con la pallina di carta, ma lo mancò.

"Lettere antiche" esclamò Emilia, ridendo.

"Sicuro, guarda". Denisa portò i capelli dietro le spalle, scoprendo il collo sinuoso. "Comunque non ho ancora deciso, in realtà. Forse biologia. Ma tanto per i test c'è ancora tempo".

Si rabbuiò tutto d'un tratto. Emilia avrebbe voluto indagare le ragioni di quell'improvviso cambio d'umore, dal momento che Denisa aveva una media molto alta e sembrava portata per qualsiasi corso universitario esistente, ma capì che non era il momento giusto.

"Comunque" esclamò la ragazza, tornando apparentemente serena "Tu, Emi, non ci racconti nulla?".

La ragazza aggrottò la fronte. "In che senso?".

Rebecca e Denisa si scambiarono un'occhiata complice.

"Denisa ha ragione" insistette Rebecca. "Con Andrea?".

Alessia, a conoscenza di tutto, trattenne le risate.

"Dai Ale, parla tu ché se aspettiamo Emilia ci vuole l'anno prossimo". Denisa non stava più nella pelle, aveva un sorriso a trentadue denti.

"Allora, 'sti due continuano a limonare come sanguisughe".

Denisa cacciò un urletto e Rebecca scoppiò a ridere, mentre Emilia tentava invano di tappare la bocca all'amica. "Stanno continuando a uscire e chi li ferma più".

"Allora, chiariamoci, le cose non stanno andando esattamente così".

"Davvero?" domandò Alessia, sarcastica.

"Ale, piantala". Le proteste di Emilia fecero ridere a crepapelle le altre.

"E continui ad avere la sensazione di una lumaca in bocca?" esclamò Denisa.

"Siete tre stronze, vaffanculo".

Emilia sollevò il mento e incrociò le braccia sotto il seno, sforzandosi di sembrare indispettita, ma non riuscì a trattenere le risate, alimentando così anche quelle delle altre.

Denisa si schiaffò una mano in fronte. "Vi giuro, non so come sia riuscita a sopravvivere a cinque anni di liceo senza voi idiote".

"Carissimi compagni".

Le risate vennero interrotte da una voce tonante proveniente dal cortile.

Le ragazze aprirono la finestra e si affacciarono curiose, mentre altri studenti si accalcarono dietro di loro. Tutta la scuola osservava Federico del Boca, in cortile con un megafono; attorno a lui si era radunata una piccola folla e chi non si trovava giù era affacciato alle finestre come le quattro amiche.

"Come avrete visto dalla comunicazione che abbiamo mandato nelle vostre classi, in qualità di rappresentanti d'istituto, abbiamo indetto un'assemblea straordinaria". In barba al freddo, Federico indossava soltanto una camicia. Il leggero vento gli scompigliava i capelli e le gote erano rosse, in netto contrasto con la pelle candida. "Il motivo di questa decisione è molto semplice: ci siamo stancati di come le istituzioni trattano la scuola e gli studenti. Il sistema è marcio e non possiamo più accettarlo".

Guardava ora gli studenti attorno a lui, ora quelli affacciati alle finestre. Sembrava li stesse scrutando uno ad uno.

"Tre settimane fa uno studente dell'Istituto Tecnico di Alba è morto durante l'alternanza scuola-lavoro. Aveva sedici anni. L'anno scorso la stessa drammatica sorte è capitata a un altro ragazzo ad Empoli, di diciassette. Due vite spezzate per colpa dell'inettitudine delle istituzioni, che, invece di garantirci un'istruzione di qualità in luoghi sicuri e accessibili, ci obbligano a lavorare senza nemmeno darci una retribuzione. Sapete come si chiama questo? Sfruttamento".

Restò in silenzio per alcuni istanti, mentre alcuni studenti esprimevano in coro la loro approvazione. Emilia lo osservò, indignata per le tragedie che aveva menzionato e al contempo stregata dall'ardore con cui Federico parlava, come fosse un grande oratore, e dalla capacità che aveva di catalizzare tutta l'attenzione su di sé.

"Trascorriamo le nostre mattinate in edifici fatiscenti, fuori norma, e seguiamo una didattica che non valorizza l'individualità degli studenti, ma si limita a giudicarli in maniera punitiva. Viviamo in condizioni di disagio umano e psicologico intollerabili e non possiamo accettare che le cose vadano avanti in questo modo. Per questa ragione, abbiamo deciso di proporre l'occupazione della scuola. Vogliamo dimostrare ai politici e alle istituzioni che siamo stanchi di essere trattati come numeri, di non sentirci al sicuro, di morire. Stanchi e incazzati".

Dal cortile e dalle finestre si levarono grida di rabbia e assenso. In tutta Italia gli studenti si stavano mobilitando per i loro diritti, occupando gli edifici scolastici anche per giorni, ed era la prima volta dopo un decennio che un rappresentante d'istituto proponeva un'occupazione al liceo Massimo D'Azeglio.

Federico prese fiato e si accarezzò il collo con la mano libera. "Nelle prossime due ore verrete convocati in palestra per discutere insieme dell'occupazione. Potrete, anzi, dovrete esprimere la vostra opinione, perché il confronto è l'arma più potente che possediamo: senza confronto non si crea gruppo, e senza gruppo non si cambiano le cose. Al termine dell'assemblea voterete in anonimo se siete d'accordo o no che la scuola venga occupata. Se coloro che voteranno saranno il 50% +1 degli studenti iscritti, procederemo con l'occupazione".

Il ragazzo terminò il discorso con un sorriso, accolto da applausi scroscianti e grida. Emilia e Denisa avevano il cornicione nella finestra piantato nello stomaco, a causa dei ragazzi che, da dietro, spingevano per poter vedere meglio e far sentire la propria voce all'esterno.

"No vabbè" esclamò Alessia, quando la folla si fu diradata. "Questo sarà un futuro Presidente del Consiglio. Io vi ho avvisate".

Emilia era distratta. Affacciata ancora alla finestra, non riusciva a staccare gli occhi da Federico, intento a chiacchierare con un gruppo di ragazzini del secondo anno. Più si sforzava di toglierselo dalla testa più egli faceva cose che complicavano il suo obiettivo.

"È quello che gli dico sempre anch'io, secondo me dovrebbe iniziare a far politica anche fuori dalla scuola" rispose Denisa. "Ha una capacità di muovere le masse incredibile e delle idee davvero brillanti".

Alessia sollevò le sopracciglia, stupita. "Conosci Federico del Boca?".

Emilia avrebbe preferito continuare ad alienarsi dalla conversazione, piuttosto che ascoltare la risposta di Denisa. Quando ella aprì bocca, il mondo le crollò addosso.

"Certo che lo conosco". Denisa scoppiò a ridere, come se le fosse stata rivolta la domanda più assurda e scontata al mondo. "Federico è il mio fidanzato".


Spazio autrice

Signore e signori, Federico del Boca è ufficialmente tornato! Non posso anticiparvi quello che accadrà, ma posso solo suggerirvi una parola: disagio, disagio e ancora disagio.

Grazie per aver letto questo capitolo, ci vediamo venerdì!

Un bacio❤️

Baby Rose

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