Capitolo 13: Rivelazioni

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Halo theme - Lindsey Stirling

«Che cosa succede?» Domandai allarmata indietreggiando.

«Devi sapere come stanno le cose!» Luke era sconvolto.

«No Luke!» Joan e Matt lo trattenevano.

«Quante sciocchezze! Sai come la penso!» Mark aveva le braccia incrociate ed era imbronciato.

«E quale è questa verità? Cosa mi state nascondendo?» Domandai sempre più nervosa, spostando lo sguardo su di loro per poi tornare a Luke che si stava trascinando dietro gli altri due avvicinandosi sempre di più a me.

«Luke per favore non farlo!» Joan non sapeva più come fermarlo. «Pensa al resto della sua vita!»

«Se non facciamo qualcosa non ce l'avrà una vita! Non possiamo proteggerla se non sa la verità!» sbraitò lui in tutta risposta provando a scansarla.

«Vi state comportando come dei pazzi. Non vi riconosco e mi state spaventando.» dissi alternando lo sguardo su di loro.

Il moro riuscì finalmente a scrollarsi di dosso batterista e bassista avvicinandosi poi a me. «Hope tu devi sapere la verità. Abbiamo cercato quel bastardo ma non l'abbiamo trovato.» sembrava che non avesse voluto arrivare a quel punto. «Quel tipo non è chi dice di essere. Non è un critico o un maestro di musica o qualunque altra cosa ti abbia detto.»

«Ma che stai dicendo? Lo conoscono tutti al conservatorio, come fai a dire una cosa simile.» risposi incredula. «Non ha senso quello che dici.»

«Luke ripensaci! Sei ancora in tempo!» Joan lo stava supplicando attaccata al suo braccio ma lui la scansò di nuovo bruscamente.

«Low ha molte identità diverse, le cambia a seconda dell'occasione e della vittima. Non sta tentando di aiutarti. Quel tipo è conosciuto come "il mietitore" ed è a caccia di Nephilim!»

Lo guardai scossa scuotendo il capo. «Ma di che cosa stai parlando?» Domandai spaventata iniziando a guardare gli altri cercando di capirci qualcosa.

Non capivo cosa stesse succedendo e non riuscivo a capire soprattutto loro. Non mi sembrava neppure di riconoscerli, c'era qualcosa di diverso nei loro volti, nel loro atteggiamento e nei loro sguardi che non avevo mai visto.

«Luke così la spaventi solo! Non serve a niente! Ha ancora il sigillo di Michele!» Joan cercava di opporsi con tutta sé stessa.

«È il momento di infrangere quel cazzo di sigillo!» Luke non era propenso a ragionare. «Hope tu sei una Nephilim e il mietitore dà la caccia a quelli come te, non sei sua allieva, sei sua preda!»

Scossi il capo senza capire. «Cos... cosa? Preda? Nephilim? Cos'è una Nephilim?»

«Per favore! Non sono questi gli ordini!» Joan spostava lo sguardo allarmato tra me e lui.

«Al diavolo gli ordini! Michele sperava di nasconderla ma l'hanno trovata lo stesso! A questo punto non ha più senso seguire le sue disposizioni.» tornò su di me. «Hope tu sei figlia di un angelo e di un essere umano.»

Lo guardai ad occhi sgranati per poi ridere nervosamente. «Siete impazziti per caso?»

«Hope non sto scherzando! Sei figlia di un angelo e di un'umana. Low dà la caccia a quelli come te appena sviluppano il loro potere angelico. Michele ti ha nascosta mettendoti un sigillo ma nonostante tutto il tuo dono si è manifestato e lui ti ha trovata.» era serio.

«Tu sei impazzito!» Dissi scuotendo il capo. «Non ha senso quello che mi stai dicendo. Non ha senso! Non capisco cosa vuoi ottenere con questo ma non ti credo. È assurdo!» Dissi voltandomi e salendo poi di corsa le scale per il piano superiore con lui che tentava di starmi dietro. «Hope aspetta!» era preoccupato.

Ma io ero completamente nel panico. Erano impazziti. Non poteva esserci altra spiegazione.

Angeli, figlia di un angelo, un mietitore che mi dava la caccia? Come poteva essere possibile o anche solo credibile una cosa simile?

Mi fiondai in camera da letto chiudendo la porta alle mie spalle a chiave, rapidamente e con il fiato corto.

Mi fermai un istante con le spalle contro la porta mentre cercavo di pensare a cosa fare. Non potevo restarmene lì, i miei amici erano impazziti e stavano farneticando. Afferrai la custodia del violino correndo verso la finestra. La aprii di slancio per cercare di scivolare di sotto.

La camera da letto che adesso dividevo con il mio fidanzato, ormai del tutto impazzito per la gelosia, si trovava proprio sopra la tettoia e fortunatamente il salto da fare per scendere non era particolarmente alto.

Sentivo Luke battere contro la porta. «Hope ti prego apri!» aveva un tono dolce e triste al contempo.

Ma non mi voltai indietro. Scesi dalla finestra e mi calai di sotto con il cuore che mi martellava nel petto. Erano dei folli non c'era altra spiegazione e non era solo Luke ma anche Joan, Matt e Mark sembravano sapere tutto e sembravano anche loro della stessa idea.

Erano dei fanatici! Non poteva essere altrimenti.

La loro ossessione per il divino adesso mi era più chiara e per un attimo mi passò alla mente che tutte le loro argomentazioni sulla religione fossero legate a qualcosa di ben più grande.

Ma come era possibile che fossimo arrivati a questo?

Mi infilai nella prima stradina che mi capitò davanti e iniziai a correre come una forsennata con l'adrenalina che mi scorreva nelle vene. Ero spaventata, scossa, sconvolta e incredula. Doveva essere un incubo.

Presto si sarebbero accorti che ero scappata e sarebbero venuti a cercarmi. Non potevo tornare al mio appartamento e non avevo altri posti dove andare. Loro erano stati da sempre i miei unici amici, conoscevano tutti i posti che frequentavo di solito.

E in quel momento mi domandai quanto quei legami fossero dettati dalla mia volontà o dalla loro.

Il conservatorio era chiuso, non avevo neppure soldi per potermi pagare una stanza d'albergo.
Non avevo nessun luogo dove poter andare.

Camminai stringendomi le braccia intorno al corpo, anche se non faceva freddo, ancora sotto shock per quanto successo. Dalla polizia non potevo recarmi, sarei risultata una pazza quanto i miei amici e non sapevo quanto aiuto mi avrebbero dato. Inoltre non avevo con me neppure il cellulare per poter chiamare qualcuno dei miei colleghi musicisti.

L'unico posto davanti a cui mi fermai fu una delle chiese della città. La più piccola e più gotica delle altre. Avevano parlato di angeli e di demoni, ed anche se in quel momento non avevo minimamente voglia di averci a che fare di nuovo, fu l'unico posto che mi venne in mente per nascondermi e stare al sicuro, riparata dal fresco della sera che stava calando.

La chiesa era quasi vuota. Percorsi tutte le navate e lì davanti lo vidi, per i fatti suoi, seduto in quarta fila, con lo sguardo rivolto all'altare. Mi fermai ad osservarlo per qualche istante per poi fare due passi indietro. Non era possibile che proprio adesso incontrassi anche lui, non dopo le parole di Luke e dei ragazzi, non in quel luogo. Mi voltai, intenzionata ad abbandonare la chiesa sperando che lui non mi avesse vista, ma i miei passi rimbombavano sul pavimento di marmo della chiesetta vuota, risultando impossibile che non mi sentisse entrare ed adesso andare via. Ero quasi all'uscita quando mi voltai a guardarlo per capire se mi stesse seguendo ma era ancora fermo al suo posto, non si era neanche voltato nella mia direzione.

Continuò a starsene per i fatti suoi, completamente assorto nei suoi pensieri, ignorandomi proprio come faceva al conservatorio. Arrivai a sfiorare le porte con le dita, convinta di lasciare la chiesa per tutto quello che stava succedendo.

Ero convinta che si trattasse di un sogno, o meglio di un incubo, non c'era altra spiegazione. Poi mi fermai, incerta, tornando a voltarmi verso di lui ancora una volta.

Non poteva essere un caso incontrarlo proprio lì. Mi avevano detto che lui cercava me perché ero la sua preda ma non mi stava dando la caccia. Era lì, fermo, neppure si era voltato a guardarmi. Mi girai di nuovo, seria in volto e ancora in preda all'ansia, all'agitazione e scossa da quanto successo. Facevo fatica a ragionare lucidamente.

Scappare voleva dire credere ai ragazzi e alle loro farneticazioni su angeli e mietitori ed io non credevo in tutte quelle sciocchezze. Dovevo pensare lucidamente. Magari Low era un abitudinario ed il nostro incontro era stato solo un caso. Non era pericoloso, non mi aveva mai fatto niente né detto nulla di strano.

Quelli davvero fuori di testa erano i miei amici ed io mi stavo lasciando suggestionare da loro. Anzi, forse la presenza del mio maestro d'eccezione era addirittura provvidenziale, poteva aiutarmi e rispondere alle domande che mi stavano facendo impazzire.

Tornai ad avvicinarmi a lui, entrando poi nella fila alle sue spalle per sedermi su una delle panche di legno. Non dissi nulla, restando semplicemente a fissare a mia volta l'altare.

Dopo un certo tempo si voltò appena. «Che ci fai qui a quest'ora? Non dovresti essere a casa? Le strade di Los Angeles sono pericolose per una ragazza sola.» tornò a voltarsi verso l'altare. «Fammi indovinare, hai detto al tuo ragazzo dello spettacolo e lui non è stato così comprensivo come immaginavi.»

«Tu cosa ci fai qui?» Domandai mentre mi stringevo le gambe al petto. «Non dirmi che è per caso!»

«Vengo qui tutte le sere.» continuò a non guardarmi. «Perché ogni volta che ci incontriamo mi incolpi di qualcosa? Soffri di manie di persecuzione, lo sai?»

«Non può essere un caso. Sta diventando tutto troppo assurdo. Tutto.» Dissi a denti stretti.

Rimasi in silenzio per un attimo, tremando per poi rivolgermi nuovamente a lui. «Low. Quale è la verità? Che cosa ha portato quella ragazza a uccidersi?» Sussurrai.

Si voltò. «Fragilità emotiva ed una verità che non riusciva a gestire.»

«Quale era questa verità?» Dissi sospirando pesantemente. «Cosa nasconde Luke? Dimmelo! Ho bisogno di saperlo!»

Sbuffò un sorriso. «Non sei una religiosa vero?»

«No! Non ci ho mai creduto. Cosa c'entra questo?»

«Perché in genere qui si viene a pregare e meditare, non è il luogo adatto per certe domande.» continuava a sorridere.

«Non me ne importa niente. Vuoi rispondermi o no?» domandai prendendo un altro lungo respiro per cercare di calmarmi.

Si alzò intenzionato ad andar via. «Vieni.»

«Dove vuoi andare?» domandai alzandomi a mia volta iniziando a seguirlo ma tenendomi a distanza.

«Vuoi spiegazioni, no? Allora seguimi, non ho intenzione di turbare la pace di questo luogo parlando di una ragazza che si è tolta la vita.» si mise le mani in tasca al lungo cappotto nero e si incamminò verso l'uscita.

Lo seguii fuori dalla chiesa guardandomi attorno. Non dissi nulla limitandomi a stargli dietro in silenzio e senza avvicinarmi troppo. Poco distante avvertii il suono di un'auto che si sbloccava. Un'auto sportiva nera molto costosa. «Sali!»

«Cosa? No... non se ne parla!» dissi bloccandomi e indietreggiando.

«Come vuoi. Io ho da fare, quindi o mi segui o tornatene a casa.» mi voltò le spalle aprendo la portiera del passeggero ed indicandomi di salire.

Guardai l'auto poi lui. Scossi la testa facendo qualche passo indietro. «No. Non ci vengo con te!»

Ero appena fuggita dai miei amici. Andare con lui che era un perfetto sconosciuto, per giunta a detta loro pericoloso, mi sembrava decisamente fuori luogo.

«Non mi interessa più sapere di Luke!» dissi voltandomi per allontanarmi.

«Come vuoi.» chiuse la portiera tranquillo. «Ci vediamo, Hope. Sempre se deciderai di tornare in conservatorio e prendere parte allo spettacolo, come una qualunque professionista che ha preso un impegno dovrebbe fare.» girò intorno all'auto e aprì il lato del guidatore. «Fatti venire a prendere dal tuo ragazzo. Queste strade sono pericolose.» salì in macchina.

«Non so se lo sia ancora!» Dissi lanciandogli un'ultima occhiata prima di camminare dalla parte opposta rispetto alla macchina.

Sospirò. «Sei sicura di non volere un passaggio? Sei il primo violino, se ti succede qualcosa ad una settimana dallo spettacolo manderesti tutto in malora?»

«Non credo che suonerò. Non so neanche se resterò qui.» Dissi voltandomi a guardarlo. «Non posso più restare.»

Scese nuovamente dall'auto. «Si può sapere che cosa ti prende? Dopo tutto il lavoro fatto vuoi buttar via tutto? Vuoi rinunciare all'occasione di essere il primo violino di Los Angeles? Ma che diavolo ti passa per la testa? Solo perché hai discusso con il tuo ragazzo vuoi rinunciare ai tuoi sogni ed alla tua carriera? Ma ti ascolti quando parli? Hai del potenziale, non dovresti permettergli di manipolarti a questo modo. Se lui a te ci tiene sul serio capirà e ti sosterrà nelle tue scelte.» continuava a mantenere un tono calmo e freddo, sebbene percepissi una nota di irritazione.

Non gli risposi, mi limitai solo ad abbassare la testa. Aveva ragione, la musica era la mia vita ma io amavo Luke e non potevo rinunciare neanche a lui così su due piedi. Non avrebbe capito.

Il mio ragazzo, con la complicità dei miei migliori amici aveva tirato fuori una storia strampalata su angeli e demoni pur di convincermi a non suonare più al conservatorio ed io non sapevo davvero cosa fare, sentivo solo che andare via con il mio maestro, in quel momento, era la cosa più sbagliata che potessi fare.

«Fa come vuoi! Sono stufo di questi tuoi colpi di testa. Da domani ti sostituisco, non sei affidabile.» tornò all'auto fermandosi davanti allo sportello aperto. «Però, Hope... a prescindere dallo spettacolo, qualunque cosa ti serva, puoi trovarmi all'ultimo piano del grattacielo.» mi osservò un'ultima volta, indeciso se fosse o meno una buona idea lasciarmi tutta sola di notte per le strade della città. Tuttavia non poteva certo obbligarmi a seguirlo e vedendo che non avevo intenzione di accettare il suo aiuto, risalì in macchina e mise in moto, lanciandomi di tanto in tanto qualche sguardo mentre faceva manovra.

Lo osservai mentre la macchina partiva e si allontanava. Attesi qualche istante prima di guardare in direzione del grattacelo che aveva indicato, stringendo a me il violino e tremando lievemente nella frescura che la notte aveva portato con sé. Ero uscita di fretta dalla finestra e l'unica cosa che mi ero preoccupata di prendere era stato il violino di mia madre, di certo non avevo pensato a soldi e felpe ed il risultato era che non sapevo dove andare, né come fare a non congelare.

Non credevo alle parole dei ragazzi, tuttavia mi avevano allarmata abbastanza. Non era possibile che Low fosse un mietitore, o qualsiasi cosa loro credevano fossero, ed io di certo non ero un angelo.

Eppure poteva anche esserci qualcosa di fondato nelle loro accuse, magari il ragazzo dagli occhi grigi era davvero un uomo pericoloso che aveva avuto parte nella morte prematura di quella ragazza di cui Luke mi aveva raccontato e tanto bastava a mantenermi a distanza.

Mi sentivo scossa e stanchissima, sopraffatta e stremata da quella serie di eventi cominciata con il razionalizzare che il mio maestro avrebbe assistito allo spettacolo facendo infuriare Luke. Ero ancora spaventata per quanto successo ed incrociare Low proprio lì dentro mi era sembrato irreale. Ma i ragazzi non potevano in alcun modo aver ragione, insomma io non credevo al divino, ma anche ammettendo che mi stessi sbagliando e che loro avessero avuto ragione allora cosa ci faceva un pericoloso mietitore dentro ad una chiesa? Non avrebbe dovuto bruciare o qualcosa di simile?

Stavano farneticando e lo stavo facendo anche io e tutto solo per un'immotivata gelosia.

Camminai per più di un'ora fino ad arrivare nella zona più in di Los Angeles, da dove partiva l'enorme grattacelo di vetro. Ero indecisa e rimasi parecchio tempo nascosta in un angolo al buio per evitare di incrociare qualcuno. Non sapevo cosa fare, se fidarmi di lui o meno.

I miei amici erano impazziti quando lo avevano visto, eppure quelli davvero pericolosi mi erano sembrati loro e non lui. Si era comportato con distacco e professionalità e non mi aveva mai dato modo di dubitare, anche se non lo conoscevo chissà quanto. Era stato gentile, mi aveva valutata con oggettività nonostante il comportamento mio e dei miei amici, mi aveva aiutata a migliorare la mia musica, spronandomi a non mollare e a perseguire i miei sogni. Nonostante gli evidenti trascorsi con Luke mai ne aveva parlato male o mi aveva in alcun modo suggerito di lasciarlo. Ed anche questa stessa sera non aveva provato a rapirmi o farmi del male o a prendersi la mia anima. Aveva invece cercato di capire se avessi qualche problema offrendomi il suo aiuto. Forse lui era davvero l'unico di cui potessi fidarmi in quel momento.

Inoltre che altra scelta avevo? Stavo gelando, con addosso un paio di shorts ed una maglietta, con il violino come unica difesa. Era notte inoltrata e in giro non c'erano sicuramente facce amiche.

Presi un grosso respiro e mi diressi verso il grattacielo entrandovi.

Incrociai il portiere che mi squadrò da capo a piedi. Non avevo certo gli abiti tipici delle donne che frequentavano quel posto. «Si? Come posso aiutarla?»

«Mi scusi...» dissi incerta. Non avevo di certo un bell'aspetto, non solo per gli abiti ma anche per la mia espressione stralunata. «Il... signor Harrison mi ha detto che potevo trovarlo all'ultimo piano del grattacielo.» spiegai quasi con un filo di voce stringendo il violino.

Non ero affatto abituata a quel genere di luoghi.

Mi squadrò da capo a piedi, probabilmente chiedendosi se non fossi una barbona o comunque una mentecatta. «Certo.» mi rispose in tono sarcastico e diffidente come se stentasse a credere che Low avesse mai potuto rivolgere la parola a qualcuno come me.

Ma poi si soffermò sul violino che stringevo convulsamente «Capisco.» sembrò collegarmi al conservatorio. «Non mi ha detto di aspettare visite. Vuole che lo avvisi che è qui?»

«Si, ve ne sarei riconoscente!» dissi annuendo.

«Di chi devo riferire?» mi chiese componendo il numero.

«Hope! Mi chiamo Hope!» dissi in un sussurro, sospirando appena.

«Signor Harrison scusi se la disturbo. C'è qui la signorina Hope che chiede di lei.» mi osservò di nuovo. «Va bene.» chiuse il telefono. «Il signor Harrison la aspetta all'ultimo piano. Può usare l'ascensore.»

«Grazie!» dissi mostrandogli un sorriso tirato prima di avviarmi nella direzione che mi stava indicando per poi salire in cima al grattacielo.

Per me era tutto nuovo. Non avevo mai messo piede in un posto simile. Ero in ansia ed avevo paura.

Appena le porte si aprirono mi trovai in un lussuosissimo attico dai toni cupi. Doveva essere costosissimo. Lui mi venne in contro. «Hope, santo cielo, sei un pezzo di ghiaccio! Non dirmi che sei rimasta da sola in strada fino ad ora? Vuoi farti venire una congestione?» era vestito con un completo classico scuro ed una camicia bianca, gli stessi che portava in chiesa sotto il soprabito.

«Non sapevo dove andare.» dissi faticando a rimanere lucida e non scoppiare a piangere. «Non posso tornare da Luke.»

Ed invece ero andata da lui. L'uomo che lui odiava. A quel pensiero mi si strinse il cuore e abbassai lo sguardo sentendomi in colpa.

«Che cosa è successo?» mi fece accomodare sul divano andando a trafficare al bar.

«Forse i miei amici non sono chi credevo.» dissi stringendomi il violino tra le braccia.

Mi stavano venendo i dubbi su che cosa loro fossero stati per me fino a quel momento ed io per loro. Se davvero credevano fossi una mezza creatura celeste allora la loro amicizia era stata reale? Ero sempre stata con loro perché non avevano mai fatto avvicinare nessun altro?

Cosa c'era di reale in quello che era stato il mio rapporto con loro? E soprattutto con quello che avevo avuto con Luke?

Eppure mi mancava tremendamente, anche se ogni volta che ci pensavo ricordavo le sue folli parole.

«Credo che Luke sia impazzito. Gli ho detto di te e lui... ha sbottato, dicendo poi cose assurde.»

Era assurdo che si fosse inventato una cosa simile solo per evitare che io lo vedessi ancora.

Mi pose tra le mani un bicchiere trasparente con un liquido ambrato. «Luke è un idiota.» concluse sedendosi vicino a me. «Che cosa ti ha detto?»

«Che io sono un mezzo angelo. Ha detto anche il nome ma non ricordo, e che tu sei un cacciatore di quelli come me, un mietitore, e che in realtà vuoi uccidermi.» dissi alzando lo sguardo su di lui per poi guardare il bicchiere. Bevvi, senza neanche pensarci. «Si, lo so che è assurdo!» aggiunsi poi.

«E suppongo si sia limitato solo a fare queste chiacchiere prive di senso.» mi guardò curioso.

«È entrato in casa con gli altri come una furia dicendo che dovevo sapere la verità, rompere il sigillo di Michele e altre cose simili.» Dissi poggiando il bicchiere vuoto e sprofondando nel divano.

«Il sigillo di Michele?» mi chiese sollevando un sopracciglio come se stessi farneticando e al contempo incuriosito dal mio racconto.

Annuii e dalla mia espressione si capiva chiaramente che fossi la prima a credere che fosse tutto un delirio.

«Grazie per la tua ospitalità. Me ne andrò via, non voglio approfittarne.»

«E dove andrai? Tornerai per strada a passare la notte?» scosse la testa con apprensione. «Non posso permetterlo. Se non te la senti di tornare a casa allora lascia che ti offra la mia ospitalità, puoi restare quanto vuoi. Voglio aiutarti.» andò a recuperare la bottiglia.

«Dimmi di Luke per favore. Voglio sapere cosa è successo.» Mormorai guardandolo di nuovo.

«Più o meno lo stesso che è successo adesso. Luke non sa gestire certe situazioni.» mi disse calmo.

«Che cosa vuoi dire?» Domandai senza capire, osservandolo stranita. «Ha fatto la stessa cosa anche all'altra ragazza?»

«Già. Io e lei eravamo diventati piuttosto... vicini... e lui le disse grosso modo quello che adesso ha detto a me. Quando venne da me era in condizioni decisamente peggiori delle tue, era molto fragile, aveva avuto una vita difficile e non poteva sopportare anche quel colpo. Non riuscì a reggere la situazione. È saltata da un ponte, proprio sotto gli occhi di me e di Luke.» riempì due bicchieri e me ne passò uno vuotando l'altro. «Vuole proteggerti, voleva proteggere anche lei.» disse con un sospiro. «Solo che lo fa male.»

«Vorrei tornare da lui, ma non capisco che gli sia preso. È folle quello che mi ha detto!» dissi mentre prendevo il bicchiere tra le mani. «Proteggermi... Ma da cosa?»

«Pensa che se mi starai lontana non subirai lo stesso destino dell'altra ragazza.» mi spiegò calmo senza guardarmi.

«Io non intendo buttarmi da un ponte perché lui dice cose assurde.» risposi bevendo. «Non è che hai una coperta? Non riesco a scaldarmi» ero rimasta troppo tempo fuori al gelo.

Si alzò senza rispondere, scomparendo, per poi tornare con quanto gli avevo chiesto. «Tu cosa pensi, Hope? Credi che io sia un mostro da cui guardarsi?»

«Non lo so.» dissi avvolgendomi nella coperta. Mi dava in un certo senso una sensazione di protezione. «Credevo di conoscere i miei amici ma oggi mi sono sembrati dei pazzi fanatici religiosi.» spiegai bevendo di nuovo. «Tu potresti essere chiunque. Eppure sono qui!» osservai tornando a guardarlo. «Se mi volessi fare del male non me lo avresti già fatto?»

Mi osservò per qualche istante scuotendo il capo. «Non voglio farti del male, Hope. Voglio solo liberare il tuo potenziale, con la musica.» spiegò. «Voglio mostrarti ciò di cui sei veramente capace e di cui non ti rendi neanche ancora conto.»

«Non posso più suonare. Non qui! Il conservatorio è il primo posto dove mi cercherà.» spiegai sospirando. Avevo voglia di tornare da lui ma ero combattuta. «Se tornassi da lui non mi farebbe più suonare vero?»

«Non credo te lo vieterebbe, ma non vorrebbe che tu frequentassi il conservatorio. Questa è una scelta solo tua, Hope. Hai talento, è innegabile, e puoi fare molta strada, ma se non è questo quello che vuoi allora dovresti rinunciare e tornare da lui.» mi puntò gli occhi addosso. «Io credo che faresti un grave errore, un errore di cui finiresti per pentirti. La musica è la tua vita e chi dice di amarti dovrebbe capirlo.»

«Lui lo sa. Lo capisce, ma per lui il problema sei tu, non la musica. Non mi ha mai impedito di suonare o fare ciò che volevo.» dissi sospirando. «Io... Non lo so cosa fare.» Volevo da un lato tornare da Luke ma dall'altro ne ero terrorizzata.

«Puoi restare qui fino a quando non avrai le idee più chiare. Sempre meglio che per strada al freddo.» a differenza di quanto avrebbe fatto Luke andò a posare la bottiglia. «Immagino che tu sia anche a stomaco vuoto.»

«Low ti ringrazio ma sono senza niente. Non posso stare da te come una parassita.» dissi osservando la bottiglia per un attimo e tornando poi a guardarlo. «Non sono neanche abituata a tanto lusso.» io vivevo in un buco, e rispetto a quell'attico Luke viveva in una casetta.

Alzò un sopracciglio. «Non ti sto dando la residenza, ti sto dicendo che puoi restare fino a quando non capisci cosa fare o dove andare.» prese il telefono e compose un numero. «Portate su qualcosa per cenare, ho un'ospite.» attaccò e tornò da me. «Puoi usare la stanza degli ospiti. C'è tutto quello che possa servirti.» in effetti sembrava il tipo abituato alla compagnia femminile. Diede un'occhiata al mio violino, come se si fosse reso conto solo in quel momento che me lo fossi portato dietro. «Siamo all'ultimo piano, suona pure quanto vuoi.»

«Grazie. Non so come ringraziarti per la tua disponibilità.» dissi sorridendo. «Evidentemente i ragazzi si sbagliavano su di te.»

Non mi rispose. Si limitò ad andare ad aprire la porta al servizio in camera. Entrarono due ragazzi, uno dai capelli rossi ed uno con brillanti occhi verdi che spingevano il carrello con la cena. «Posate sul tavolo e sparite.»

«Sì, Signor Low.» rispose il ragazzo dai capelli rossi mentre il ragazzo dagli occhi verdi posizionava i piatti sul costoso tavolo di vetro e toglieva la cloche da ciascuno di essi.

Li guardai alternando lo sguardo tra i due. Avevano qualcosa di familiare ma non mi spiegavo cosa. La fame però mi fece desistere dal pensare a cosa potessero ricordarmi e la mia attenzione rimase sul cibo appena portato. Sembrava cucinato da uno chef raffinatissimo, di sicuro stellato. Quel cibo era un vero orgasmo culinario. Avevo già l'acquolina in bocca e al solo guardare quei succulenti piatti il mio stomaco gorgogliò appena. Mi alzai titubante dal divano avanzando verso il tavolo e prendendo posto. Avevo decisamente fame, non riuscivo a trattenermi dalla voglia di assaggiare quelle pietanze.

Aveva fatto portare la cena solo per me. Lui si stava dedicando al fuoco per riscaldare l'ambiente visto che avevo freddo. Aveva fatto portare anche del vino che ora se ne stava sulla tavola vicino a me.

«Hai già mangiato?» domandai lanciandogli un'occhiata e sospirando dal piacere dopo aver assaggiato il primo boccone, un piacere quasi erotico.

Oltretutto, appena lo guardai, mi sentii avvampare e distolsi lo sguardo, non avevo mai provato qualcosa di simile.

Era decisamente un uomo bellissimo e non mi stupiva se di solito in casa sua si accompagnasse con altre donne. Era stato gentile e disponibile con me e sembrava davvero interessato a portarmi a suonare nel modo migliore.

«Ho già cenato, ma ti consiglio il dolce, vale ogni cucchiaiata.» sebbene casa sua fosse organizzata come un open space, c'era comunque una suddivisione grossolana delle varie zone. Sparì dalla mia vista e dopo poco iniziai a sentire musica di pianoforte ed una strana fragranza nell'aria, entrambe piuttosto piacevoli e rilassanti, perfettamente armonizzate con ciò che stavo assaporando.

Iniziai a mangiare, godendomi quell'atmosfera, lasciandomi inebriare. Era rilassante e lasciva allo stesso tempo e mi diede una strana sensazione. Rimasi a mangiare godendomi ogni boccone e mangiai poi anche il dolce come lui mi aveva proposto. Presi il vino e ne bevvi un bicchiere prima di riempirlo di nuovo e alzarmi, dirigendomi verso la musica.

Non avevo più freddo e tutto il mio corpo era scosso da un piacevole formicolio. Iniziavo a rilassarmi dopo tutta quella tensione e sia il fuoco, il cibo, il vino, la sua musica, il profumo nell'aria stavano facendo il loro effetto sciogliendo tutta la tensione che avevo accumulato in quegli ultimi due giorni.

Seguii la composizione, alla ricerca della sua fonte, terribilmente attratta da essa.

Era lui, al pianoforte, che muoveva agile le dita sui tasti bianchi e neri creando della più che piacevole melodia di sottofondo. «Com'era il dolce?» sollevò lo sguardo su di me per qualche momento prima di tornare a concentrarsi sulle sue dita che scorrevano agili e sensuali sui tasti, un movimento quasi ipnotico.

«Buono!» ammisi osservandogli a mia volta le dita e non potei fare a meno di pensare a quelle stesse mani passare sulla mia pelle, carezzandomi e sfiorandomi come stavano facendo con la tastiera del pianoforte.

Scossi la testa, perplessa del mio stesso pensiero e della mia immaginazione. A cosa diavolo stavo pensando?

Dopo quello che era successo ero lì a guardare quell'uomo che suonava in maniera impeccabile. «Sei bravo!»

Accennò un sorriso. «Non potrei dare consigli agli altri se non sapessi cosa sto facendo.» sollevò lo sguardo su di me e per la prima volta mi resi conto di quanto affascinanti fossero quegli occhi grigi. «Ti va di suonare con me, Hope?» anche la sua voce mi sembrava una vera e propria tentazione, più calda e sensuale del solito, più invitante, una voce a cui non si poteva rifiutare niente.

Deglutii distogliendo l'attenzione. «Si...» dissi senza neanche pensarci.

Andai a prendere il violino tornando poi da lui. «Non ho proprio gli abiti adatti.» borbottai lanciandomi un'occhiata prima di mettermi il violino al collo, come se quella fosse una cosa importante di cui preoccuparsi. «Cosa suoniamo?»

Era tardissimo e un attimo prima avevo solo voglia di andarmene a dormire, ma dopo il cibo e la musica mi sentivo completamente diversa e soprattutto completamente presa da quello che chiedeva il mio maestro.

«Vuoi cambiarti?» mi chiese affabile con quel tono stordente che sembrava entrarti dentro. «C'è una stanza piena di abiti. Se vuoi rinfrescarti fa pure con comodo, mi troverai ancora qui.» la sua voce era così seducente che era difficile non assecondarlo.

«Va bene.» dissi mentre poggiavo il violino dirigendomi nella stanza degli ospiti.

Anche lì a farla da padrone erano toni cupi e luci soffuse, oltre che un enorme letto circolare con lenzuola di seta nere. Le pareti, una vetrata sulla città degli angeli. Il guardaroba era una gigantesca cabina armadio con abiti e vestiti di ogni sorta. Il bagno una spettacolare sala con candele e fiori ed una vasca nera in pietra. Tutto lì dentro era seduzione e tentazione, persino il profumo stordente che avvertivo ovunque e si insinuava nella mia mente, avvolgendo e accendendo i miei sensi.

«Cazzo!» Mormorai guardandomi attorno e avvampando di nuovo di fronte a quel letto di seta nera.

Non potei fermare l'immaginazione di me e Low sopra quel letto, con le mie dita che stringevano quel nero tessuto, le sue mani che scorrevano sulla mia pelle nuda, i suoi muscoli contratti, le sue labbra su di me mentre lui...

Cosa diavolo stavo pensando? Che diavolo mi stava succedendo? Scossi la testa cercando di riprendere il controllo di pensieri e sensazioni. Non avevo mai avuto fantasie così lascive, tranne che con Luke e a quei livelli solo dopo che c'ero già andata a letto la prima volta. Perché improvvisamente mi trovavo in una situazione simile? A pensare a Low in quel modo?

Entrai in bagno per sciacquarmi il viso con l'acqua fredda, cercando di dominare quegli istinti assurdi. Poi andai a vedere gli abiti per sceglierne uno di appropriato. Non facevo in tempo a riprendere la lucidità che subito la mia mente andava nuovamente alla deriva, come se fossi sotto l'effetto di qualche droga che mi portava a pensare solo al mio maestro e mi faceva desiderare di compiacerlo e di averlo.

Anche quella questione era strana. Non ero tipo da abiti eleganti eppure volevo vestirmi con un abito che non stonasse con il suo. Un abito lungo magari, qualcosa di elegante ma al tempo stesso seducente, un po' come lui. Magari qualcosa con uno spacco laterale e che lasciasse la schiena nuda. E ovviamente c'era qualcosa di simile, nero.

«Cosa sto facendo?» Mormorai mentre lo prendevo, accarezzandone il tessuto.

Sospirai, era tutto irreale e incredibile. Quello che stava succedendo aveva dell'assurdo. Mi vestii per poi scivolare a piedi nudi verso la sala del pianoforte.

Lui sollevò gli occhi dal piano, senza però smettere di suonare. «Sei meravigliosa, Hope. Hai l'aspetto della violinista che sei destinata ad essere.» la sua voce era calma e calda. «Adesso ti va di suonare?» mi chiese affabile dandomi i brividi.

«Si!» Risposi annuendo mentre prendevo il violino, rossa in viso.

Forse suonando potevo svuotare la mente da quei pensieri.

«Tira fuori quello che hai dentro, Hope.» avrebbe seguito la mia musica condividendo i miei sentimenti, un modo strano di entrare in connessione, un tentativo di entrare in me senza neanche sfiorarmi che aveva un qualcosa di terribilmente erotico.

Sospirai tra il nervoso e l'eccitato. Tutto lì trasudava seduzione e lussuria e io ne ero completamente stordita. Iniziai a suonare, perdendomi nella musica e lasciando che si insinuasse in me come al solito. Suonai sensuale, sia nei movimenti che nella melodia. Non pensavo, suonavo e basta senza curarmi delle note o altro, concentrandomi solo sulle sensazioni che provavo in quel momento.

«Brava Hope, suona quello che senti, suona la tua anima, quello che provi, tutto quello che hai dentro. Suona con me, Hope. Mostrami la tua vera essenza.» disse seducente accompagnando la mia musica e guidandola.

Chiusi gli occhi lasciandomi cullare dalla musica, dalla sua e dalla mia. Non pensavo, suonavo e basta, senza regole e pensieri, solo ciò che sentivo e provavo. Senza accorgermene avevo già il respiro ansante, come se davvero stessi facendo con lui quello che fino a poco prima avevo solo pensato nella mia mente. Ero stordita dal suono, dalla melodia e da lui senza che me ne rendessi conto.

«Cosa senti, Hope?» la sua voce suadente si avvicinava, mi sentivo ebbra.

«Confusione. Troppe cose... Assieme.» Dissi con il respiro irregolare. «Desiderio, libertà, è come se tutto questo... mi stesse lacerando!»

«Concentrati, Hope. Una sensazione alla volta, suonala per me.» la sua voce era sempre più vicina.

Sospirai di nuovo, muovendo l'archetto sul violino.

«Desiderio ...» Dissi suonando sinuosa come un pezzo orientale e lascivo. «Confusione e incertezza» cambiai la musica, il ritmo e la cadenza. Le mie dita correvano sulle corde come se non fossero le mie. «Voglia di libertà, di liberare me stessa.» E cambiai di nuovo danzando senza neanche rendermene conto. «Paura...» E di nuovo tutto mutò fino alla prossima nota. «Tristezza... Abbandono... Rammarico...» dissi in tono più basso mente alla mente mi tornava il ricordo di Luke. «Amore e sofferenza!» 

Ebbi l'impressione di avere le guance umide ma non mi preoccupai di scoprire il perché.

«Molto bene, Hope, questo è il tuo capolavoro. Coraggio! Concentrati su una sola cosa alla volta. Torna sulla libertà.» non sentivo più il piano, lui si era alzato e adesso era alle mie spalle.

Mi concentrai, cercando di seguire le sue parole, liberando tutte le sensazioni che percepivo. Era avvolgente, forte ed assordante, come se il mio stesso corpo vibrasse con la musica. Avevo le dita sulle corde che correvano veloci quasi a sanguinare ma non percepivo il dolore o la tensione, come se si muovessero di vita propria.

«Bene così, Hope, brava, stai andando bene, continua così.» sussurrava al mio orecchio e la sua mano si era poggiata sul mio fianco accarezzandomi. Non riuscivo a resistere alla sua voce.

Ed io continuai, respirando sempre più affannosamente, piangendo e delirando in quella musica. Suonando come non avevo mai suonato.

La sua mano avanzava verso la mia pancia. «Senti quest'energia dentro, Hope? Non trattenerla... lasciala esplodere! Liberati, Hope!» sussurrava suadente al mio orecchio.

La musica era diventata veloce, ansiosa e quasi disperata esattamente come lo ero io. Ero immobile e suonavo disperatamente, senza sosta, come se avessi dentro di me qualcosa che volesse furiosamente uscire. Qualcosa di cui liberarmi e che nel contempo mi avrebbe donato la libertà e una consapevolezza che non riuscivo a razionalizzare. Ero troppo fuori di me per pensare e ormai l'istinto aveva preso il sopravvento.

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