Capitolo 17: Ruby

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Beyond the veil - Lindsey Stirling


Avevo combattuto furiosamente contro il demone della superbia, credendo di poterlo sconfiggere e riprendermi quello che restava di Matt.

Non era accaduto niente e nessuno lo avrebbe saputo. Insieme saremmo andati a riprenderci Hope, come avevamo sempre fatto, come lui aveva fatto per me quella volta su quel ponte, quando una delle mie ali era stata recisa e l'altra aveva cominciato a scurirsi. Se non fosse stato per lui non so cosa sarebbe rimasto di me.

Glielo dovevo.

Mi ero battuto con ferocia e determinazione, molto più forte da quando venni sconfitto allora, allenandomi costantemente, cercando di diventare migliore, di non permettere al mietitore di falciare un'altra vita, lo avevo fatto per Matt e per i ragazzi, ma soprattutto lo avevo fatto per Hope.

Non volevo le accadesse ciò che era accaduto a Ruby.

Ero ad un passo dal cancellare quel maledetto demone, ma il mio fendente andò a vuoto grazie al suo maledetto talento nel diventare evanescente.

L'ultima cosa che fece fu ridermi in faccia e poi puff, scomparso.

L'ho cercato, l'ho cercato ovunque e poi sono tornato da Matt, temendo di trovare Astaroth lì con lui. Ma quella stanza era vuota e non c'era più neanche quello che consideravo a tutti gli effetti il mio migliore amico. Avevo fallito, avevo fallito ancora, di nuovo. Mi ero fatto trascinare nuovamente dalla rabbia e dall'istinto, completamente concentrato su Hope, ed ero caduto nella loro trappola. Avevano preso Matt ed era solo colpa mia, ma non lo avrei lasciato nelle loro mani, ero decisamente stufo di tutta quella situazione.

Digrignai i denti e mi lanciai per i corridoi diretto alla sommità del grattacielo, pronto a reclamare le persone a cui tenevo di più.

Lungo il tragitto mi imbattei in Mark e Joan, intenti a cercare di uccidersi a vicenda. C'era una puzza orribile di peccato capitale e di demone e non mi ci volle molto a capire cosa fosse successo per ridurli in quello stato. Non so quanto ci misi a separarli e farli tornare lucidi.

Stavo perdendo tempo, ad ogni secondo trascorso aumentavano le possibilità di perdere sia Hope che Matt.

Mi feci largo tra i demoni travolgendoli con la mia furia e falciandoli senza sosta. La mia ira si abbatté su di loro con la stessa ferocia di un tornado e finalmente fui alla porta dell'attico. Hope era lì, ne sentivo la presenza, la sua aura benevola, calda e avvolgente, la speranza e l'amore che emanava. Sapevo che le sue ali erano bianche, lo sapevo anche prima di vederle.

Spalancai la porta e la vidi, bellissima, pura e lucente come non lo era mai stata, con quella feccia delle tenebre che teneva le mani sul suo viso. Come osava toccare un essere tanto bello e tanto puro?

Mi sembrò di rivedere una vecchia scena, di rivivere una storia che non era finita affatto bene. I ricordi di quel tempo arrivarono tutti insieme, come una doccia gelida, in quello stesso istante in cui li vidi assieme, come, quasi un secolo prima, era accaduto con Ruby.

Erano giorni che mancava al club, ero stato uno stupido a non cercarla subito, credevo che avesse bisogno del suo spazio, di piangere e trovare il modo da sola di farsi una ragione dell'impossibilità della nostra relazione.

Lei aveva bisogno di me ed io di lei ma nonostante tutto l'avevo respinta.

Che stupido! Pensavo che un paio di ali valessero di più della felicità. Mi ero raccontato così tante storie, che lo stessi facendo per lei, per chiedere indulgenza a Dio, che sarebbe stata punita a causa mia, ma la verità era una ed una soltanto: avevo avuto paura, paura di tradire Dio, paura di perdere le ali.

Fu più facile allontanarla che riconoscere i miei sentimenti.

L'avevo spinta tra le sue braccia, e la colpa era stata solo mia. Lui le stava dando quello che io non avevo saputo darle. Ero così concentrato nei miei problemi da aver capito solo troppo tardi che lui l'avesse irretita con le sue parole.

Quando arrivai su quel ponte era troppo tardi. Lei, con la sua chioma fiammante e gli occhi pieni di lacrime se ne stava tra le sue braccia mentre lui le accarezzava il viso, proprio come stava facendo ora con Hope.

Non ci vidi più, ero folle di gelosia perché lui la teneva tra le braccia al mio posto, perché era riuscito laddove io avevo fallito, perché lei poteva essere sua ma non sarebbe mai stata mia.

«Toglile le mani di dosso!» tuonai come allora. Non avrebbe avuto Hope come aveva avuto Ruby, non avrei visto la sua luce spegnersi mentre saltava dall'ultimo piano di un grattacielo a causa sua, non avrei rivissuto tutto quello strazio un'altra volta.

Hope mi corse tra le braccia, la mia Hope, il mio angelo, la ragazza a cui avevo dedicato tutta la mia ultima vita mortale.

Lei era tornata da me, Ruby non lo aveva fatto. Avevo visto odio e delusione nei suoi occhi quella volta, su quel ponte. Low le aveva raccontato la verità sui nostri piani, su come avrei dovuto consegnarla a Michele per farla cancellare. Probabilmente il fatto che non potessi amarla era l'ultimo problema per lei in quel momento.

Hope mi amava, lo vedevo nei suoi occhi e vedevo fiducia, si fidava di me. Possibile che il mietitore non avesse vuotato il sacco? Che fossi arrivato in tempo? Non aveva importanza, non l'avrei consegnata, lei lo sapeva. Non avrei consegnato nemmeno Ruby, ma non glielo avevo mai detto, e se aveva maturato quella convinzione era solo colpa mia. Se avessi avuto il coraggio di amarla come meritava forse non ci saremmo trovati su quel ponte, forse non avrei combattuto contro il mietitore.

Avrei potuto dire la verità a Ruby in quel momento, decidermi a cambiare per lei e forse lo avrei fatto. Ma il mietitore non avrebbe rinunciato alla sua anima immortale, dovevo combattere, dovevo sconfiggerlo, dopo le avrei spiegato tutto, le avrei chiesto perdono e avrei trovato il coraggio di non lasciarla più.

Peccavo di superbia, non ero abbastanza forte, né fisicamente, né emotivamente. Mi rifiutavo di accettare il fatto che ormai avessi perso Ruby per sempre. Non sarebbe tornata con me, neanche se lo avessi battuto.

Hope era diversa, mi stava chiedendo di portarla via. Con lei ero stato diverso e forse era questo che aveva fatto la differenza. Tuttavia, anche dopo quasi un secolo la situazione non era affatto cambiata: non avevo scelta se non affrontare il mietitore e temevo l'esito di quello scontro, non per me ma per Hope e Matt.

L'ultima volta ero uscito vivo per miracolo, solo perché l'uomo che ora mi stava davanti mi aveva risparmiato. Non lo aveva fatto per bontà ma solo perché godeva della mia sofferenza. In una sola volta mi aveva portato via la donna che amavo e le ali per cui avevo rinunciato a lei. Ero più forte di quella volta, ma anche lui lo era ed aveva ancora entrambe le ali. Non sarei sopravvissuto.

"Perdonami, Hope. Perdonami se non ti ho detto che questo era un addio. Perdonami per non averti saputo proteggere. Perdonami se sto ignorando le tue suppliche. Perdonami se mi farò uccidere all'ultimo piano di questo grattacielo. Perdonami se dovrai vivere senza di me il resto della tua vita. Perdonami se non ho neanche il coraggio di dirtelo."

«Proteggi Hope!» ordinai a Joan. Avrei provato a tenere impegnato il mietitore quanto bastasse per dar loro la possibilità di fuggire. Tutto quello che mi importava era salvare la vita della donna che amavo.

Non era d'accordo, quando mai lo era. Sperai che i ragazzi riuscissero a contenere il suo altruismo e le impedissero di fare sciocchezze. Loro avevano capito di certo le mie intenzioni e la conoscevano fin troppo bene per prevederne la reazione.

Strinsi il cuore ed ignorai le sue suppliche, lanciandomi contro il mietitore ancora una volta, così come su quel ponte. Non evocai le mie ali o quello che ne restava, fintanto che avessi potuto ne avrei fatto a meno. La forza di un angelo è proporzionata ad esse, se le estrae è molto più forte, se gliene manca una è molto più debole. Ero in assoluto svantaggio, e quel che era peggio e che ne fossi cosciente, così come lo era anche il mio nemico.

«Cos'è stai provando a farti ammazzare? Vuoi batterti contro di me senza le tue ali?» mi ghignò in faccia, cercando solo di provocarmi. Lo trovava divertente, ma aveva ragione. Avevo paura di mostrarle e permettergli di completare l'opera. Le uniche persone ad aver visto lo stato della mia schiena dopo lo scontro erano state Matt e Michele, tutti gli altri avevano visto solo le cicatrici, invisibili al occhio umano.

Da quel giorno non avevo più estratto le ali, le preservavo come il tesoro più caro che avessi.

Provai a tenergli testa. Non ero al suo livello e non stava facendo sul serio, voleva giocare, allungare l'agonia e la tensione di Hope, voleva essere sicuro che cadesse dopo la mia morte, non glielo avrei permesso, avrei resistito, lo avrei fatto per lei.

Cercai di non guardarla, non sarei riuscito a restare lucido, dovevo fidarmi dei ragazzi, dovevo concentrarmi solo sul mio avversario e cercare di sopravvivere quanto più a lungo possibile. Sentivo gli occhi di Hope su di noi.

Dannazione! Perché non la portavano via? Perché ci stavano mettendo così tanto?

L'elsa della spada di Low mi colpii in pieno viso.

«Ti sei distratto Luke. Dopo un secolo commetti ancora gli stessi errori.»

Anche all'epoca non riuscivo a concentrarmi sullo scontro, ero distratto da lei, dalla preoccupazione, e questo mi era costato caro. Stavolta mi imposi di non farlo, di concentrarmi solo sullo scontro.

Un grido sovrastò la confusione. Hope! Mi voltai e la vidi attorniata da demoni, in difficoltà, che cercava di difendersi con una spada di luce che chissà come era riuscita ad evocare. Era in gamba la mia piccola.

Joan e Mark erano lontani, non potevano aiutarla e lei non poteva certo respingere un'orda. Dovevo aiutarla ma Low fu più veloce e caricò un fendente nella mia direzione.

I miei riflessi erano migliorati, lo scansai appena in tempo, ferendomi solo al braccio e approfittai per contrattaccare e ferirlo alle ali, sebbene superficialmente.

Un grido. Mi voltai e la vidi precipitare.

Fu un secondo, forse anche molto meno e davanti agli occhi apparve Ruby. Non eravamo più su un grattacielo pieno di feroci demoni ma su un ponte deserto, nel cuore della notte.

Era autunno ed iniziava a far freddo di notte. Avevo abbandonato il soprabito e la giacca da un bel pezzo, anche il cappello era ormai volato via. Sebbene la mia camicia fosse chiazzata di sangue non avevo freddo, lo scontro mi stava riscaldando.

Avevo sentito degli angeli atterrare poco distante, ci stavano cercando, erano lì per lei. Dovevo liberarmi in fretta del mietitore o sarebbe stato tutto inutile. Eravamo entrambi feriti. Lui era più forte di me ma io non ero affatto un ragazzino alle prime armi, ero il braccio destro dell'arcangelo Michele, l'unico tra gli angeli che poteva fronteggiare il mietitore dopo Michele stesso.

Ruby ci osservava combattere, nervosa e in ansia, anche se non riuscivo a capire per chi di noi. Era abituata alla violenza e alla morte, ne aveva vista tanta forse anche troppa durante la sua vita, ma veder morire le persone a cui tieni è sempre diverso.

Gli angeli presto sarebbero stati lì, dovevo velocizzarmi. Un passo falso. Mi colpii. Precipitai al suolo. Lui atterrò con grazia ed eleganza vicino a me.

«I tuoi amichetti sono arrivati, sono venuti a prenderla, come avevi programmato dall'inizio. Non hai avuto nemmeno il coraggio di cancellarla tu stesso, evangelista. Sei solo un codardo!» stava infierendo.

Avrei potuto rispondergli, dire a Ruby che l'amavo e che non doveva dargli retta, che avrei risolto tutto. Invece urlai per la rabbia e mi fiondai su di lui. Mi colpii ancora e di nuovo finii a terra.

«Dove eravate tu e i tuoi angeli quando lei pativa la fame per strada, quando doveva combattere con il freddo e la febbre? Dove eravate quando veniva picchiata e usata? Dov'era il tuo Dio? Te lo dico io: era a ordinare la sua cancellazione. È questo che vedi quando la guardi, è per questo che l'hai respinta: tu la consideri solo un abominio da eliminare!» non era vero, non era così, perché non riuscivo a dirglielo? «Ma io non te lo permetterò. Libererò la sua anima immortale e le darò tutto quello che tu le hai negato. Non si sentirà mai più sbagliata e non amata.»

Era bella Ruby, con quei suoi capelli fiammanti, sarebbe stata un bellissimo angelo. Se ne stava lì a guardarmi con quello sguardo deluso, tradito, ma ancora combattuto. L'amore che diceva di provare per me non era abbastanza, glielo leggevo negli occhi, non era sufficiente a scegliere la luce, e gli angeli che ormai le stavano addosso non aiutavano certo.

Se ne stava stretta nel suo soprabito. La moda degli anni '20 le donava terribilmente. Mi tenne lo sguardo addosso, aspettando che le dicessi qualcosa, che la convincessi che le cose non stessero così, ma io rimasi testardamente in silenzio. Cosa potevo mai dirle? Avrei dovuto mentirle e lasciare che gli angeli la cancellassero di lì a pochi minuti?

Strinse le labbra e mi diede le spalle avviandosi al parapetto, delusa e amareggiata. Scavalcò la ringhiera ed io feci una cosa che non facevo da tempo: invocai Dio, chiamai il suo nome e gli chiesi di fermare i suoi angeli ed impedire a Ruby di saltare. Lei mi sentii e si voltò a guardarmi. L'ultima cosa che vidi furono le lacrime che le rigarono le guance prima di lasciarsi andare. Quella era stata solo la prova che quanto le avesse detto Low fino a quel momento corrispondesse a verità.

Mi lanciai dietro di lei per salvarla, dando le spalle al mietitore senza riflettere. L'istante successivo sentii un bruciore lancinante e stordente attraversarmi la schiena. Il baricentro del mio corpo cambiò all'improvviso facendomi rovinare a terra. Vidi una delle mie ali atterrare poco distante da me mentre il sangue caldo mi inzuppava i vestiti.

Poco dopo l'impatto. Qualcosa mi si squarciò dentro.

«Lasciala andare, Luke. È la cosa migliore per tutti. Ma non preoccuparti, mi prenderò cura di lei e tu continuerai a vivere meditando su tutti i tuoi errori.» sentenziò Low, passandomi sfacciatamente accanto per poi saltare a sua volta verso il basso, verso il corpo di Ruby.

Nonostante il dolore e lo shock cercai di strisciare verso il parapetto. Mi affacciai, con la voce di Matt alle mie spalle, che insieme ad altri angeli cercava di raggiungermi. La vidi. Guardava verso l'alto con lo sguardo che andava sfocandosi. Un rivoletto di sangue le colava dalla bocca ed aveva perso una delle scarpe con il tacco. Non sapeva, non poteva sapere perché non l'avessi seguita. Quello sguardo, mentre il suo corpo iniziava a bruciare, non lo avrei dimenticato mai più.

Neanche mi accorsi dell'arrivo di Matt e della sua preoccupazione per le mie condizioni. Non mi accorsi di come l'ala che mi restava avesse iniziato a scurirsi mentre la osservavo morire impotente. Non mi importava più di niente ormai. Persi conoscenza con gli occhi di Ruby ben chiari nella mente.

Il ricordo di lei si dissolse lasciando posto all'immagine di Hope che perdeva l'equilibrio e precipitava. Non ci pensai neanche un attimo, non importava ciò che sarebbe successo da quel momento in poi. Estrassi la mia ala scura e mi precipitai come un turbine verso di lei. Stavolta le cose sarebbero andate molto diversamente.

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Qualcosa frenò la mia caduta. Due braccia forti mi strinsero, per poi farmi cambiare rapidamente direzione portandomi verso l'alto.

Mi aggrappai a colui che mi aveva salvata da morte certa, tremando in un totale stato di panico e shock per quello che era accaduto.

Non aprii neanche gli occhi raggomitolandomi contro quello che sembrava essere il mio salvatore.

«Hope, sei ancora intera?» mi domandò la voce ansiosa di Joan, ma percepii anche un'altra presenza accanto a chi mi teneva tra le braccia.

Solo dopo qualche istante riaprii gli occhi, per cercare di capire cosa fosse successo, riuscendo a riprendermi. «Si...» mormorai ancora tremante, aggrappandomi maggiormente e chi mi stesse tenendo, sospettando, ovviamente, si trattasse di Luke.

Era ferito ma era lui, il mio Luke. Serio e silenzioso ma pur sempre il mio Luke.

«Ci seguiranno!» Mark era di un umore stranissimo, quasi irriconoscibile.

«Si, ma non subito. La padrona ha richiamato i cani... hanno conquistato abbastanza...» aveva la mascella serrata dalla rabbia e dalla frustrazione.

Io tornai a stringermi a lui senza dire una parola, sentendo l'aria scivolare attorno a me mentre piano piano un po' della tensione si affievoliva.

Non avevo forze e ora che ci stavamo allontanando mi sentivo ancora più stanca, come se le energie mi avessero abbandonata.

Avevo mille domande per la testa, come ad esempio dove fosse finito Matt, ma non avevo neanche il coraggio di parlare, come se avessi paura che capitasse altro se lo avessi fatto, come se temessi la loro reazione. Dopotutto quello che era appena successo era solo colpa mia.

Mi limitai a stringermi ancora di più a lui.

Volammo fino a casa nostra, atterrando sul tetto tutti e quattro. Luke mi lasciò andare e mi guardò indossare l'abito da sera nero di Low con la schiena scoperta per lasciar libere due candide ali bianche.

Anche io potei vedere lui. Bello come sempre e ferito al braccio, ma quello che attirò la mia attenzione furono le sue ali.

In realtà ne aveva una sola, dell'altra non restava che un moncone. Quella che gli restava non era bianca come le nostre ma più scura, come se fosse sporca o macchiata di fango... tutta ingrigita.

Guardai quell'unica ala rimasta qualche istante, prima di tornare a fissare il suo volto preoccupato e accigliato, accennando un sorriso. «Stai bene?» mormorai accarezzandogli il volto.

Sentivo l'ansia e la tensione di tutti, non avevo idea di che fosse successo la dentro ma non potevo più ignorare l'assenza di uno di noi, di quello che a tutti gli effetti consideravo il mio migliore amico da sempre.

«Dov'è Matt?» domandai guardando anche gli altri.

L'espressione di tutti si fece triste. Luke si sottrasse alla mia mano ritraendo immediatamente le ali in modo che sparissero.

«Lo abbiamo perso...» si allontanò da me con sguardo cupo, entrando in casa. Facevo fatica a riconoscerlo, non sembrava neanche lui. «Organizzate la difesa.» ordinò ai ragazzi, e i due angeli si separarono, obbedendo, evidentemente felici di starsene da soli. Ma cosa era successo?!

«Luke...» dissi seguendolo. «Mi dispiace, è tutta colpa mia. Non avrei dovuto scappare.» dissi mortificata. «Io... non credevo che tutto questo potesse essere reale.»

«No, non dovevi scappare! E non dovevi correre dall'unica persona che ti avevo chiesto di evitare! Abbiamo perso Matt, ti sei messa in pericolo, potevi morire o essere cancellata!» si passò una mano tra i capelli frustrato, quasi devastato dalla situazione.

Avrei voluto ribattere ma non riuscivo a dire nulla. Ogni parola mi moriva in gola nel momento in cui cercavo di formare la frase.

Aveva ragione e non potevo dargli torto in nessun modo.

«Mi dispiace!» mormorai in tono triste trattenendo un singhiozzo.

«Hope, io... non so cosa avrei fatto se ti avessi perso... posso sacrificare qualunque cosa per te ma non c'è niente per cui ti sacrificherei... tu non hai idea di come mi sia sentito quando ho capito che eri con quel bastardo!» mi spiegò nervoso. Aveva perso tanto a causa di quell'uomo.

«Non è successo niente. Mi ha solo sbloccata. Ha provato a portarmi a letto ma non glielo ho lasciato fare. Tu sei l'unico che voglio. L'unico che amo con tutta me stessa.» dissi in lacrime. «Ho sbagliato, ho sbagliato tutto e non mi sono fidata di te. Ho avuto paura, ero spaventata e non capivo cosa stesse succedendo.» mi presi la testa tra le mani. «Ho combinato un casino!»

Se Matt non era con noi era solo colpa mia. Se non fosse venuto con gli altri a salvarmi adesso sarebbe stato qui a ridere e scherzare, a provare a consolarmi con quel suo dolcissimo e unico modo. Mi avrebbe parlato riuscendo alla fine a tranquillizzarmi e a convincermi che tutto si sarebbe sistemato. Ma lui non c'era ed era solo colpa mia.

Mi lasciai andare ad un pianto disperato, non riuscendo più a controllare tremori e singhiozzi.

Luke si avvicinò a me e mi strinse forte senza dire niente, baciandomi la testa.

Lo strinsi a mia volta affondando la testa contro il suo petto continuando a piangere disperatamente. Mi sentivo come se mi fosse caduto tutto quanto addosso e non riuscissi più a smettere.

Ero di nuovo con lui ma mi sembrava che il terreno ci franasse sotto ai piedi.

«Per fortuna siamo arrivati in tempo.» mormorò, cercando di calmarmi, accarezzandomi. Si sforzava di ritrovare la calma per non far agitare me, ma qualcosa in lui si era spezzato, lo percepivo. Mark e Joan erano strani, erano tutti a pezzi e Matt... lui non c'era.

Rialzai il volto verso il suo, fissandolo. «Non voglio più deluderti Luke!»

«Non mi hai deluso, angelo mio, mi hai solo spaventato.» mi accarezzò il volto.

«Mi dispiace... Mi dispiace tanto!» Avevo desiderato così tanto di rivederlo e tornare tra le sue braccia che adesso non mi sembrava reale.

Mi accarezzava e cullava per calmarmi, baciandomi la testa e la fronte. «Sistemerò tutto.»

«Come? È tutto così complicato. Io non so che cosa fare, che cosa pensare!» dissi accarezzandogli il volto.

«Cerca di stare lontana da lui e qualsiasi cosa accada cerca di mantenere le tue ali bianche. Finché avranno questo colore non ti faranno del male. Spero che Matt faccia lo stesso.» spiegò senza nascondere la sua preoccupazione.

«Non potrò più stare con te ora che sono così?» domandai con il cuore in gola, ricordando le parole di Low. Non volevo credere che lo stesse facendo solo per tenermi lontana dal mietitore. Volevo credere che anche lui provasse lo stesso per me, che mi amasse.

«Così come? Ora che indossi un abito da sera?» scherzò lui. «Mi dà un po' fastidio che te lo abbia dato lui ma devo ammettere che ti sta davvero bene.» abbozzò anche un mezzo sorriso nonostante dovesse essere preoccupatissimo per Matt. Lo faceva per me, per non agitarmi ulteriormente.

«Low mi ha detto che gli angeli non possono stare assieme e che io sono un ibrido.» spiegai mordendomi il labbro. Ero preoccupata per Matt ma anche per noi.

«Eri un angelo anche prima, Hope, lo sei sempre stata, solo che ti era stato messo un sigillo per far sì che i tuoi poteri angelici non si manifestassero, in modo che il mietitore non ti trovasse, ma a quanto pare erano troppo forti e nonostante il sigillo lui è riuscito a percepirli.» si sedette su quello che era il nostro letto. «Sei una Nephilim, figlia di un angelo e di un essere umano, per questo sei cresciuta senza genitori. Quello che fai con la musica... quello è il tuo dono angelico.»

Mi avvicinai a lui accarezzandogli il volto e il capo.

«L'ho capito. Ora so che cosa sia una Nephilim ma... Posso ancora stare con te? Non è vietato?»

«È vietato stare con gli angeli ed è vietato stare con gli esseri umani.» alzò il volto inchiodandomi gli occhi verdi in faccia.

Mi sentii andare in pezzi a quella spiegazione e abbassai lo sguardo stringendo le labbra. «Capisco!» riuscii solo a dire.

«Ma non me ne importa niente! Non ho intenzione di rinunciare a te!» era fermo e convinto della sua idea.

Tornai a guardarlo con un'espressione inizialmente sorpresa per poi sorridere, meno tesa. «Ma che ti succederà? Se ciò è vietato... Cosa comporta amarci?»

«Comporta la perdita delle ali e l'immediata espulsione sia da Paradiso che da Inferno, significa tutta l'eternità in un limbo.» Spiegò con voce piatta. Una cosa orribile.

Il mio sorriso svanì all'istante. «Che cosa?»

«Questo in teoria. In pratica tu sei qui, così come molti prima di te e non mi risulta che la punizione sia mai stata applicata. Nessun angelo ha mai perso le ali per una scappatella con un'umana. Dio, piuttosto che punire i suoi angeli, si è voltato dall'altro lato. Ha finto di non vedere quando venivate concepiti, quando le vostre madri umane morivano dandovi alla luce o quando un angelo dalle candide ali vi metteva al mondo. Si è voltato anche quando uno stronzo ha iniziato a darvi la caccia ed i suoi angeli morivano per proteggervi.» disse, anche se non era un discorso proprio da angelo. «Dio ha preferito fingere che non esisteste, così come i vostri genitori angelici. Se ne sono lavati tutti le mani. Per l'onnipotente Creatore voi non esistete e se non esistete non c'è ragione per proteggervi. In virtù dello stesso ragionamento non commetto peccato stando con te dal momento che non esisti.»

«Io non voglio condannarti a subire una punizione del genere!» mormorai guardandolo. Lo abbracciai di nuovo, chiudendo gli occhi. «Non voglio fare nulla che ti metta in pericolo.»

«Sono sicuro che non verrò punito ma anche se fosse non mi importa. Con te ho conosciuto il vero paradiso, ed anche se può essere considerata blasfemia preferisco pochi anni con te che tutta l'eternità nel regno celeste.» mi passò una mano dietro alla schiena stringendomi a sé. «Se per stare con te dovrò rinunciare alle mie ali o a quel poco che ne resta allora lo farò.»

Lo strinsi a mia volta sospirando prima di tornare a guardarlo, sedendomi poi a cavalcioni su di lui. «E dopo quei pochi anni che cosa succederebbe?»

«Dipende da come avrai vissuto la tua vita. Alla tua morte terrena la tua anima immortale verrà liberata trasformandoti in un angelo o in un caduto.» alzò le spalle come a volerne sottolineare l'ovvietà. «Ma non è il capolinea, puoi ancora cadere anche dopo la morte terrena.» spiegò. «Io sono morto duemila anni fa eppure sto cadendo, Hope.»

«Le tue ali...» Mormorai ricordandomi il loro colore e il fatto che gliene mancasse una. «Cosa ti è successo?»

Gli accarezzai il volto, passando le mani tra i suoi capelli. Sospirò abbassando la testa, non era un argomento di cui gli piacesse parlare. «È stata colpa di Low.» disse serio.

«Lo avevo sospettato!» mormorai accarezzandogli la nuca e parlando con più dolcezza. «Mi dispiace, qualsiasi cosa sia successa.»

«Non sei la prima Nephilim che proteggo.» spiegò lui. «L'altra ragazza mi fu affidata appena si manifestarono i suoi poteri. Aveva avuto una vita difficile, tra orfanotrofio, case famiglia, affidamenti vari. Aveva avuto la sfortuna di avere a che fare con gente poco raccomandabile. Era molto fragile. Lui la avvicinò e la corruppe convincendola che avrebbe avuto una vita migliore se avesse ceduto. La convinse a lanciarsi da un ponte. Saltai dietro di lei per afferrarla, come ho fatto con te poco prima. Low me lo impedì. Mi colpì alle spalle con la spada nera, recidendomi un'ala e segnandomi la schiena. Lei si schiantò al suolo e bruciò rendendo la sua anima all'Inferno.» sospirò stancamente. «Dopo quell'episodio ero in crisi, misi in dubbio Dio. Era assurdo che avesse lasciato vivere e morire in quel modo quella povera ragazza, lei non aveva colpe. Non ha fatto niente neanche per le mie ali. Ho lavorato per lui per duemila anni e quando ne ho avuto bisogno lui non c'era. Se Low mi avesse reciso entrambe le ali mi avrebbe lasciato fuori dal Paradiso, nonostante stessi lavorando per conto degli angeli. Dubitare di lui ha iniziato a farmi cadere.»

«Non ha senso però tutto questo!» dissi distogliendo lo sguardo. «Non sono gli stessi principi che Dio stesso ha dato? Non dovrebbe essere tutto basato sul bene?» gli accarezzai il volto dolcemente. «Dio non interviene mai. Neanche quando vengono tolte di mezzo migliaia di vite per guerre o disastri naturali. Io non sono mai riuscita a vedere il bene o il male ma solo l'equilibrio.» feci una pausa riflettendo.

«Low mi ha detto che c'è un progetto in corso. Che dovevo scegliere una fazione. Perché?»

«Gli angeli caduti stanno tramando qualcosa. Giù all'Inferno stanno radunando anime, anime di Nephilim, anime potenti. Non sappiamo cosa stiano complottando, ma è evidente che si stanno organizzando, per questo siamo stati mandati a proteggerti, per evitare che ti catturino.» accarezzò la pelle delle mie braccia delicatamente.

«Matt è ancora vivo?» domandai ricordandomi del mio amico. «Che è successo a lui?»

«Poco dopo il nostro arrivo ci siamo trovati davanti i tre principi demoni. Quei tre sono alle dirette dipendenze della Dea degli Inferi ed incarnano i peccati capitali di gola, superbia e lussuria.» continuava a passarmi le dita sulla pelle. «Quando sei in loro presenza i vizi che rappresentano si amplificano, sono in grado di tirarti fuori i peccati latenti con cui non vuoi fare i conti. Mark, Joan e Matt sono stati attaccati.»

«Per questo Joan e Mark non si parlano?» domandai scivolando con le mani sulle sue spalle. «Che cosa è successo a Matt?»

«Mark è stato intercettato dalla gola, Joan dalla lussuria e Matt dalla superbia... i loro peccati si sono scatenati.» continuava a sfiorarmi facendomi venire i brividi. «Joan ha dato sfogo ai suoi sentimenti per Mark, Mark ha reagito cercando di ucciderla e Matt... lui non ha ceduto alla superbia.» aveva lo sguardo basso. «Ma nascondeva altro che il demone è riuscito a tirargli fuori con l'inganno.» sollevò lo sguardo su di me per valutare se sapessi di cosa stesse parlando.

«Di che stai parlando?» domandai senza capire, scendendo con le mani lungo il suo petto ma senza togliergli gli occhi di dosso. «Che cosa nascondeva?»

«Matt è gay.» disse serio senza distogliere lo sguardo dal mio.

«È gay?» dissi accigliandosi per poi riflettere, annuendo. «Si... Lo avevo sospettato.» mormorai. «Ed è stato rapito?»

«No. È stato obbligato con l'inganno ad ammettere la sua natura. È andato via con i demoni in maniera volontaria. Avrà pensato di aver deluso Dio con ciò che è. Matt rischia di cadere.» disse preoccupato.

«È andato via di sua volontà? No... Non può essere!» dissi fissandolo allarmata. «Quindi adesso è all'Inferno?»

«Credo proprio di sì...» ammise, piuttosto frustrato. «Un angelo è un'entità pura e immacolata, il simbolo della perfezione e dell'obbedienza a Dio. Gli sono richieste caratteristiche precise.» cercò di spiegarsi. «Io, Matt, Joan e Mark non siamo sempre stati angeli, eravamo umani tempo fa, quasi duemila anni fa. Ci chiamavano evangelisti. A noi è dovuta la stesura dei vangeli. Per ovvi motivi Joan si firmava con un epiteto maschile. Abbiamo conosciuto gli apostoli e alcuni di noi lo sono anche stati. Alla morte fummo premiati per il nostro operato in vita e ci venne concesso di diventare delle muse, ma da quando Low è in attività le schiere angeliche si sono andate sfoltendo, così siamo stati promossi ad angeli custodi.» continuò a spiegare tutte quelle cose che per troppo tempo aveva dovuto tacermi. «Un angelo deve essere un modello di virtù e rettitudine, non può andare con le donne, figurati se può andare con gli uomini. Agli occhi di Dio Matt ha commesso un peccato gravissimo e imperdonabile, lo stesso Mark proverebbe a cancellarlo se dovesse trovarselo davanti. Matt si è smarrito ed è scappato, ma lo recupererò, non lo lascerò cadere.» serrò il pugno, stava soffrendo per quanto successo a Matt, lo conoscevo, si sentiva responsabile.

Già dai tempi delle elementari Luke aveva sempre protetto Matt da chi lo picchiava, insultava e bullizzava per quel suo lato più dolce e gentile. Si era sempre sentito responsabile per lui e adesso più che mai. Potevo capirlo bene perché provavo lo stesso.

«Io voglio aiutarti!» dissi dandogli un bacio. «Hai detto che ho dei poteri... dei doni! Ti prego lascia che vi aiuti! Anche io posso brandire quella spada... Insegnami!»

«Tu sei in pericolo, Hope. Posso insegnarti a combattere per difenderti, ma renditi conto di essere la preda e non la cacciatrice.» mi ammonì. Lo sapevo, ma volevo bene a tutti loro, Matt compreso, e volevo rendermi utile. «L'importante è che le tue ali restino bianche, questa è la più grande protezione a tua disposizione.»

«Credo che tu ti stia sbagliando. I demoni stavano attaccando me quando sono arrivati. Non voi. Cercavano di uccidere me.» spiegai scuotendo il capo.

«I demoni sono stupidi! Davano tutti per scontato che il mietitore ti avesse corrotta, non si sono nemmeno presi la briga di controllare.» sollevò un sopracciglio.

Abbassai lo sguardo prima di annuire alle sue parole. «Quindi ora che faremo?» domandai tornando poi a fissarlo attentamente.

Riprendiamo le forze, curiamo le ferite ed elaboriamo un piano.» avrebbero dovuto occuparsi delle ferite psicologiche oltre che di quelle fisiche.

«Va bene. Farò quello che è possibile.» dissi dandogli un altro bacio. «Ma credo che bisognerà risolvere anche tra Mark e Joan.» dissi per poi abbracciarlo con un sospiro. «Mi sei mancato tanto!»

«Non farmi prendere mai più uno spavento simile, Hope!» mi strinse forte cercando di scaricare tutta l'ansia.

«Non capiterà più!» dissi prendendogli il volto tra le mani. «Ora sono con te e ci voglio restare!» dissi sorridendo. «Tu non omettermi più nulla. Anche se capisco perché ovviamente tu non me lo abbia voluto dire.» sorrisi sarcastica prima di baciarlo con più decisione.

Mi baciò con trasporto, gli ero evidentemente mancata quanto lui era mancato a me. «Non ti importa delle mie ali?» chiese preoccupato, come se si vergognasse. «Sono un mezzo angelo.»

«E cosa mi importa, sei comunque più di quanto potessi immaginare, anche con un'ala sola!» ridacchiai. «Onestamente non mi importa delle ali. Cosa vuoi che cambi per me?» domandai con tono affabile, accarezzandogli il viso e premendomi contro di lui, chinandomi in avanti per farlo stendere sul letto.

«Non sono... completo... e non sono puro...» evidentemente per gli altri angeli quello era un problema.

«Beh io sono mezzo angelo e mezza umana. Non sono completa neanche io, né sono pura. Quindi spiegami... quale sarebbe il problema?» domandai accigliandomi.

«Non sono un buon partito per un angelo dalle ali immacolate.» sollevò un angolo della bocca mostrando la fossetta, steso, con me sopra di lui.

«Lascia scegliere a me se sei un buon partito oppure no!» dissi sorridendo. «Voglio stare con te, indifferentemente da tutto e tutti!»

Mi attirò a sé per baciarmi. «Togliti quest'abito, non sopporto più di vedertelo indosso.» non era un ordine, solo una richiesta.

Lo assecondai senza pensarci un attimo e me lo sfilai rapidamente rimanendo solo in intimo. «Così va meglio?»

«Decisamente!» mi baciò di nuovo accarezzandomi la schiena. «Il pensiero di te e lui mi stava facendo impazzire.»

«Non è successo niente. Mi sono rifiutata. Non volevo tradirti.» spiegai passandogli le dita sotto la maglietta.

«Ti amo, Hope.» mormorò guardandomi. Quegli occhi verdi mi erano mancati così tanto.

«Ti amo, Luke!» sussurrai prima di baciarlo.

Dimenticai tutto, o quantomeno cercai di farlo dimenticare a me e a lui. Volevo risaldare quel legame e al contempo renderlo più forte.

Peccammo insieme, amandoci, e nonostante questo, le mie ali continuarono a rimanere immacolate, perché ciò che provavamo l'uno per l'altra non poteva in alcun modo essere un peccato.

Essendo a casa nostra ci lavammo e vestimmo e Luke si ricucì il braccio, prima di decidersi ad andare a parlare con i ragazzi che, con ogni probabilità, avevano fatto lo stesso.

Io lo seguii, cambiando d'abito e sentendomi decisamente più leggera.

Bisognava sistemare le cose in una maniera o nell'altra.

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