Capitolo 18: Il nero cancello

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Underground - Lindsey Stirling


Arrivammo in salotto, dove vidi Mark e Joan posizionati ai lati opposti della stanza, senza rivolgersi la parola, né guardarsi.

Sospirai, osservando Luke e poi loro due.

«Ragazzi. Credo che dovremmo parlare.» dissi prendendo coraggio.

«Parlare di cosa?» Mark era sul piede di guerra e Joan non osava guardarlo.

«Di quello che è successo e di quello che è necessario fare adesso.» suggerì Luke.

«Se vogliamo risolvere questo casino, bisogna prima risolvere le cose tra di noi. In questa situazione stiamo solo facendo il loro gioco!» dissi, lanciando un'occhiata al mio angelo e poi agli altri.

«Non c'è proprio niente da risolvere! Un mezzo caduto che va a letto con una Nephilim, una donna vittima delle proprie pulsioni e un sodomita che ha seguito un demone all'Inferno per poter dare sfogo alla loro depravazione! C'è un solo modo per risolvere e non penso ti piacerebbe!» sbottò Mark, furioso e scandalizzato. Non tollerava neppure che bevessimo, tutto questo per lui doveva essere insostenibile.

«Penso che una soluzione si possa trovare. Siamo stati tutti vittima dei poteri dei demoni.» risposi risoluta. «Non puoi dare la colpa di quanto successo all'ira di Dio per la debolezza delle nostre anime. Io non lo conosco bene quanto voi, non mi sono mai chiesta nulla perché non ci credevo, ma non può essere che tutto quello che sta succedendo sia dovuto alla sua delusione nei nostri confronti.»

«Questi peccatori non sono degni delle ali che portano!» continuò però lui. C'era sofferenza nella sua voce. Riuscivo a percepirla nitidamente.

«Smettila Mark. Avere istinti non è peccato!» intervenne Luke.

«Infatti! Siamo umani e in quanto tali imperfetti, ma non riuscire a superare le prove, cedere alle tentazioni, questo è il peccato e in quel palazzo abbiamo peccato tutti.» concluse Mark, lanciando occhiate di fuoco a tutti i presenti, nessuno escluso.

«Non era una situazione normale. Parliamo dei demoni legati ai peccati capitali. Era una prova impossibile da superare.» dissi scuotendo il capo, ricordando bene l'effetto stordente di cui io stessa ero stata vittima. «Perché Dio ci ha resi così? Per quale motivo se poi dobbiamo cercare di annullarci?» scossi il capo. «Siamo ciò che siamo. Non è lo stesso Dio ad averci creati in questo modo? Perché adesso dovremmo essere sbagliati?»

«Ci ha creati così per metterci alla prova!» spiegò Mark, risoluto.

«Sei assurdo! Sei rimasto con la stessa mentalità di allora, ancora non hai capito che in duemila anni le cose sono cambiate? Hope ha ragione, Dio ci ha creati così perché voleva che lo fossimo, non c'è nessuna prova!» Luke condivideva il mio punto di vista.

«Disse il mezzo caduto!» lo rimbeccò il ragazzone.

«Adesso sei ingiusto Mark!» intervenne Joan, difendendolo.

«Guardate le vostre ali, sono ancora bianche.» insistette Luke. «Essere voi stessi non è un peccato. Sopprimendo la vostra natura finirete solo col cedere all'influenza dei demoni e voltare le spalle a Dio, l'unico modo per essere in comunione con lui è accettarsi per come ci ha creati e non per ciò che vorremmo essere.»

«O per ciò che noi crediamo che Dio volesse che noi fossimo!» aggiunsi contortamente, stringendomi a Luke. «Sentite, c'è qualcosa di ben peggiore di quello che avete fatto, o non fatto: lo sapete anche voi che stanno radunando e organizzando qualcosa all'Inferno. Quindi adesso qual è la priorità? I nostri peccati o cercare di capire che succede?» feci una pausa guardando poi Luke. «Se devo essere giudicata da Dio per ciò che faccio allora lo valuterà lui stesso. Nessuno di noi può giudicare l'operato dell'altro. Neanche tu Mark.»

«Matt è perduto comunque.» disse quello che fino a qualche giorno prima era il mio pianista. Non capii se la sua affermazione fosse un dato di fatto o se in fondo sperasse che fosse perduto.

«Mi rifiuto di pensarlo fino a che non vedrò le sue ali completamente annerite!» si impose Luke.

«Matt è nostro amico, dobbiamo salvarlo.» ammise anche Joan, lanciandomi un'occhiata, sapeva che anche io tenevo a lui.

«Il fatto che sia stato debole non è una condanna. Mi ha protetta e mi vuole bene. Non posso fare finta di nulla.» dissi alzando le braccia. «Non cambia ciò che è, né mi interessa se sia gay.»

«Dio non lo perdonerà.» osservò Mark, questa volta piuttosto tristemente. In fondo voleva bene a Matt, ma probabilmente neanche lui sarebbe mai riuscito a perdonarlo e ad accettarlo.

«Noi non siamo Dio, noi siamo i suoi amici, da duemila anni, e non gli volteremo le spalle così.» spiegò Luke. «Gli vogliamo bene, non lasciamolo cadere.»

«Credi che Dio sarebbe d'accordo a non cercare di salvarlo e lasciarlo andare? Credi sia questo che lo renderebbe felice del tuo operato? L'abbandonare un amico?» domandai avvicinandomi a Mark. «Sul serio questi sono i tuoi valori?»

«No...» ammise «non sono questi, ma ci sono degli ordini che non possiamo in alcun modo ignorare.»

«Riportiamolo a casa, poi penseremo al da farsi e a come affrontare i nostri peccati.» suggerì Joan.

«Come lo recuperiamo? Lui è all'Inferno adesso.» osservai, guardando lei e poi Luke. «Non voglio restarne fuori. Voglio imparare a combattere e se i poteri che ho possono essere utili li voglio utilizzare!»

«Non possiamo scendere all'Inferno, gli ingressi sono sigillati per quelli come noi, come per loro lo sono le porte del Paradiso.» spiegò il mio angelo custode dai capelli neri. «Dobbiamo attirare Matt fuori.»

«E come possiamo fare ad attirarlo fuori da lì? Loro non credo lo lasceranno andare!» dissi io avvicinandomi a Luke.

«Andrò fino alle porte dell'Inferno... per me verrà fuori di sicuro.» spiegò lui, ma quel piano mi suonava piuttosto rischioso.

«Io verrò con te!» intervenni, risoluta. Per nulla al mondo volevo perderlo e non avevo assolutamente intenzione di lasciarlo imbarcare in una missione suicida da solo.

«Sei l'ultima persona che può scendere là sotto.» non voleva mettermi in pericolo. «Kora e il mietitore ti stanno dando la caccia ed io non ho intenzione di consegnarti di mia spontanea volontà, dovranno passare sul mio cadavere cancellato se vorranno averti.»

«Cosa pensi che succederà se tu dovessi morire o se ti succedesse qualcosa, Luke?» insistetti, inarcando un sopracciglio. «Credi davvero che me ne starei qui con le mani in mano?»

«Meglio che fare una consegna a domicilio all'Inferno.» mi rimbeccò lui, anche se sapeva che restare lì senza di lui sarebbe stato pericoloso.

«Luke, ho più possibilità stando assieme a te che senza. Lo sai anche tu.» osservai, afferrandogli un braccio. Ero preoccupata per lui, non per me. «Non voglio che ti accada qualcosa mentre io sono qui a torturarmi con il pensiero di cosa possa esserti successo nel frattempo.»

Mi guardò senza sapere cosa fare, correvo pericoli ovunque mi trovassi. Il mietitore aveva abbondantemente dimostrato di potermi avvicinare in qualunque luogo senza che loro nemmeno se ne rendessero conto.

«Vedremo cosa fare quando sarà giunto il momento.» mi rispose lui, forse più per mettermi a tacere e chiudere la discussione.

«Stasera pensiamo solo a recuperare le forze. Sono stanchissima e ho bisogno di riposare.» dissi guardandolo e sorridendo. «E voglio averti accanto a me.» mi era mancato davvero tanto e adesso avevo solo bisogno della protezione e del calore delle sue braccia.

Passarono tre giorni senza avere notizie o attacchi da parte di demoni.

Eravamo intenzionati ad andare a riprenderci Matt e più il giorno si avvicinava più mi sentivo nervosa.

Avevo seriamente paura di quello che sarebbe successo.

Avevamo passato tutto il tempo a curare le ferite, che sembravano essere stranamente persistenti, e a metter su un piano. Alla fine ne avevamo elaborato uno, abbastanza semplice quanto scarsamente dettagliato e decisamente poco convincente, ma era il solo che avevamo. Dovevamo raggiungere l'ingresso dell'Inferno e a quel punto Luke sarebbe entrato a cercare Matt, mentre noi lo avremmo aspettato all'uscita.

Il nero cancello, così come quello dorato, aveva un sistema di sicurezza: non lasciava passare gli angeli dalle ali bianche, ragion per cui il solo a poterlo attraversare era Luke. Una volta dentro, avrebbe cercato Matt senza farsi scoprire e lo avrebbe convinto a tornare da noi.

L'ingresso agli inferi si trovava in una chiesa sconsacrata. Chi aveva le corna o un paio di ali corrotte attraversava senza problemi il cancello, varcandone le porte, per trovarsi nel regno di Kora, tutti gli altri sarebbero semplicemente entrati in una normalissima chiesa.

Arrivammo alla cattedrale di Santa Vibiana, con la decappottabile di Mark, che era ormai notte, cosicché le strade fossero deserte. L'ex cattedrale dell'arcidiocesi di Los Angeles si trovava proprio al centro della città, nell'angolo sud-est tra la Main e la Second Street. Ispirata all'architettura barocca italiana, venne consacrata nel 1876, e rimase tale per oltre cento anni, fino a che non venne gravemente danneggiata dal terremoto del '94. Dopo una lunga battaglia legale, sul se demolirla o preservarne il significato storico, fu deciso di ricostruirla poco distante, battezzandola "Nostra Signore degli Angeli", nel 2002, e sconsacrando il vecchio sito, nel quale Luke si accingeva ad entrare.

Era incredibile come le porte del Paradiso e quelle dell'Inferno fossero a così poca distanza le une dalle altre, rispettivamente all'entrata della nuova e della vecchia cattedrale.

Il ragazzone fermò la macchina e spense i fari, tirando un sonoro respiro. Eravamo tutti un po' tesi. Ci stavamo imbarcando in un'impresa veramente pericolosa, specialmente per Luke. Se qualcosa fosse andato storto lui sarebbe stato da solo e nessuno di noi avrebbe potuto aiutarlo.

«Non dovresti andare. Per come sono ridotte le tue ali rischi seriamente di cadere. Abbiamo già perso Matt, non è il caso di perdere anche te.» Mark guardava il suo capitano dallo specchietto retrovisore.

Era seduto vicino a me e mi aveva stretta per tutto il viaggio. Non lo aveva detto, ma anche lui temeva che quello fosse un addio tra noi e, esattamente come me, voleva approfittare di quegli ultimi momenti di certezza per tenermi tra le sue braccia.

«Neanche io vorrei che andassi.» mormorai.

Ero terrorizzata all'idea di quello che gli sarebbe potuto capitare. Poteva non tornare ed il solo pensiero mi faceva mancare l'aria.

Ne avevamo parlato ma non si era risolto nulla. Da qualunque prospettiva la si guardasse, quella era l'unica soluzione possibile.

«Non posso abbandonare Matt.» spiegò, tranquillo ma risoluto. «Lui al posto mio avrebbe fatto lo stesso.» mi accarezzava il braccio, lentamente, continuando a tenermi stretta. «Non abbiate paura, non sono ancora un caduto, l'Inferno non può trattenermi. Tornerò e lo farò insieme a Matt.» mi lasciò per prepararsi a scendere dall'auto.

Sembrava lo stesse dicendo solo per tranquillizzarmi, o forse era la mia ansia a non farmi credere alle sue parole.

Lo guardai scendere con il cuore stretto in una morsa. Avevo fatto una gran fatica a staccarmi da lui e ancora speravo ci fosse un'alternativa al lasciarlo andare da solo nel regno delle tenebre, nella tana di colui che già una volta aveva provato a cancellarlo.

Per l'occasione aveva indossato una felpa con cappuccio, in modo da coprirsi testa e viso per non farsi riconoscere. Non ne sapevo molto di quel mondo ultraterreno ma dubitavo seriamente potesse bastare.

«Luke, sta attento.» Joan si voltò a guardarlo, era molto preoccupata. «E riportaci Matt. Digli che qualunque cosa sia successa troveremo una soluzione, la risolveremo insieme.»

«Se ti scoprono, il fatto che tu possa essere un caduto è irrilevante. Possono ucciderti.» dissi in ansia attaccandomi a lui. «Se tu muori io che cosa faccio?»

Per un attimo mi sembrò vedere vacillare la sua convinzione, per un solo istante mi aggrappai alla speranza che non mi lasciasse, che non andasse. Mi dispiaceva per Matt, ma perderli entrambi non sarebbe servito a niente. Durò solo un momento, poi il suo sguardo tornò a farsi determinato, non avrebbe abbandonato Matt, qualunque cosa gli avessi detto.

«Vai avanti con la tua vita. Devi promettermi che non ti fiderai di nessuno e farai di tutto per sopravvivere, qualunque cosa questo dovesse significare. Hai capito, Hope?» fissò gli occhi verdi nei miei.

«Luke!» lo rimproverò Mark per il consiglio.

«Smettila di spaventarla. Tornerete, e poi penseremo a come fermare il mietitore.» intervenne Joan. Doveva aver visto la mia espressione atterrita.

«Come posso andare avanti con la mia vita? Come posso anche solo pensare di vivere senza di te? Cosa pensi che faranno i demoni una volta che tu non ci sarai più?» dissi senza lasciarlo. Non volevo, ero troppo terrorizzata all'idea di perderlo. «Io non so che cosa farei.»

«Non farti cancellare.» mi ordinò quasi.

«Luke, smettila.» Mark serrava le dita intorno al volante. Erano tutti frustrati dal non poterlo accompagnare.

Lui li ignorò, cingendomi in un abbraccio e baciandomi la fronte. «Tornerò da te, Hope. Qualsiasi cosa accada tornerò, te lo prometto. Aspettami e non smettere di avere fede. Non ti lascerò sola.»

«Ti aspetterò.» dissi stringendomi con forza a lui. «Torna da me. In qualsiasi modo.» mormorai sospirando, cercando di contenere il mio disagio e la mia paura. Mi spostai da lui a fatica alzando lo sguardo sul suo. «Stai attento, ti prego.»

Mi sorrise mostrando la fossetta e sperai con tutta me stessa che non fosse l'ultima volta che vedevo il suo meraviglioso sorriso.

Scese dall'auto e si incamminò verso l'entrata della cattedrale.

Lo osservai allontanarsi da noi, senza nessuna esitazione, mentre io, in ansia, stringevo le mani sul maglioncino che indossavo. Avremmo dovuto aspettare a lungo e non avevo idea di quanto tempo sarebbe passato prima di vederlo uscire di nuovo da quella chiesa.

«Quanto pensate resterà la dentro?»

«Non ne ho idea.» rispose Mark, che così come Joan non aveva staccato gli occhi dalla schiena del loro capitano, in ansia quanto lo ero io.

Si era fermato davanti alla chiesa per qualche attimo, poi si era calato il cappuccio in testa ed aveva preso a spingere la pesante porta.

Distolsi lo sguardo prendendo un lungo respiro. «Che facciamo se non tornano?» ero in ansia e non riuscivo a nasconderlo, anche se sapevo che i miei due amici erano nella mia stessa situazione.

«Andiamo via e cerchiamo un modo per nasconderti.» la freddezza di Mark era agghiacciante. Da quando era comparso il mietitore mi sembrava di avere a che fare con una persona completamente diversa, qualcuno che non conoscevo affatto e mi sembrava che, il suo cambiamento, con il passare del tempo non facesse altro che peggiorare.

Luke sparì dentro la chiesa ma la porta restò semi aperta.

«Che succederebbe se provassimo ad entrare anche noi?» domandai nervosa, muovendomi sui sedili posteriori, non riuscendo a stare ferma.

«Per noi angeli quella è solo una chiesa, proprio come per gli esseri umani.» spiegò Joan. «Le chiese, le cappelle, le cattedrali, i cimiteri, ogni edificio o terreno che porta il marchio di San Pietro è un cancello dorato che porta al Paradiso ed impedisce l'accesso a chi non ha le ali candide come le nostre. Al contrario tutti i luoghi sconsacrati o pagani, con il marchio infranto, sono accessi al nero cancello e sono attraversabili solo da demoni e caduti. Le porte non si manifestano a chi non ne è degno, sia in un caso che nell'altro.»

«Noi ci siamo transustanziati, ma restiamo comunque creature immortali, per cui possiamo varcare le porte in qualunque momento.» precisò Mark. «Tu sei in parte umana, non puoi entrare in nessuno dei due posti, a meno che non sia esplicita volontà del padrone di casa o che tu non muoia liberando la tua anima immortale.»

«È capitato pochissime volte che i cancelli venissero aperti ad un umano.» riflettè infatti Joan.

«Quindi non posso entrare in nessuno dei due luoghi.» dissi con un sospiro. «Sono già stanca di aspettare e stare qui a fare nulla.»

Avevo voglia persino di suonare pur di fare passare il tempo. Peccato che nella fretta avessi lasciato il violino di mia madre nel super costoso attico di Low, cosa che aumentava il mio malumore e la mia situazione di profondo disagio ed inquietudine.

Tamburellavo le dita ovunque dal nervoso.

«Non c'è niente che possiamo fare.» anche Joan era nervosa.

«Magari potreste approfittare per parlare, voi due, invece che pregare.» suggerii afflosciandomi contro lo schienale. Non mi piaceva vedere tutta quella tensione tra loro. Nonostante tutti i recenti accadimenti e la forte sensazione che quelli che avessi davanti fossero dei perfetti estranei, non potevo ignorare l'affetto che da sempre provavo per loro. «Così smettete di fingere di non guardarvi a vicenda e riprendete a parlarvi normalmente.»

«Non c'è niente di cui parlare, te l'ho già detto.» Mark appoggiò il braccio fuori dal finestrino.

Manteneva un tono duro e distaccato, eppure le aveva lanciato occhiate attraverso lo specchietto retrovisore per tutto il viaggio.

«Ma smettila! Non è vero che non avete nulla di cui parlare. Pensi che non veda che continuate a guardarvi e che siete entrambi scossi da questa situazione?» dissi sbuffando e incrociando le braccia. «Non è parlando che si risolvono le questioni? Non è questo quello che mi avete sempre detto? O anche quella era una bugia per i Nephilim?» era un colpo basso rinfacciarglielo, me ne rendevo conto, ma ero stufa di tutta quella indifferenza, volevo scatenare una reazione di qualche tipo.

«Hope, Mark ha ragione. Non c'è niente di cui parlare.» lei era calma e mi parlava con la stessa dolcezza che da sempre aveva usato con me, quasi fosse una sorella maggiore. «I demoni mi hanno costretta a confessare i miei sentimenti e lui ha provato ad uccidermi per questo, come qualunque angelo devoto dovrebbe fare con una peccatrice. Credo sia un chiaro segno che non li ricambi.» Joan si strinse le braccia intorno al corpo e si voltò a guardare fuori dal finestrino.

Mark le diede un'occhiata ma non rispose. Era evidente che avesse agito solo perché spinto dai demoni ed anche lui stesso aveva lasciato libero sfogo alla sua sete di potere.

Tra loro c'era sempre stato qualcosa, ma lui voleva farle credere il contrario. Era spaventato, era evidente. Lui era sempre stato molto ligio alle regole e al dovere, anche quando eravamo a scuola, faceva di tutto per essere impeccabile e ci rimproverava se eravamo noi a sbagliare. Con Luke, infatti, aveva sempre avuto qualcosa da ridire o di cui discutere. Non era difficile immaginare quanto quello che fosse successo fosse difficilissimo per lui da accettare. Lui non sbagliava, mai, eppure aveva provato ad uccidere Joan, una ragazza che conosceva da duemila anni, con cui aveva condiviso chissà quante cose assurde e pericolose, oltre che a gioie e risate e per cui provava palesemente qualcosa. Lo conoscevo fin troppo bene per non dubitare di quel suo atteggiamento, o almeno credevo.

«Quello che voglio capire è se non li ricambia perché fa il duro e puro, e quindi si comporta come un bambino, o se perché davvero non prova nulla.» sbuffai io imbronciata. «Fatto sta che questa situazione non fa bene a nessuno, e questa tensione tra di voi non fa bene neanche a noi!» sospirai. «Altro che amore incondizionato.»

«Non ha importanza. Le leggi del Paradiso sono chiare: sono vietati rapporti con gli esseri umani, con i demoni e tra angeli e tra noi ci sono già troppi ad aver disobbedito a Nostro Signore.» anche lui si stava sforzando di non guardarla. «Non perderò le ali per questo... e non lascerò che le perda lei.» aggiunse con quasi un tono di dolcezza.

«Smettila di fingere che lo fai per me. Volevi cancellarmi! A te interessa solo fare carriera nei cori angelici.» Joan si voltò verso di lui con le sopracciglia aggrottate.

Non avevo visto quasi mai Joan arrabbiata, era la calma fatta persona, eppure in quel momento era quanto mai irriconoscibile, trattenendo a stento millenni di soprusi, proibizioni e ipocrite falsità.

«Ti sto proteggendo ma tu non te ne rendi conto. Vuoi fare la fine di Luke? O di Matt?» le diede appena un'occhiata nervosa.

Lei non gli rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo e voltarsi.

«Luke non ha perso le ali, Mark. Non perché stiamo insieme o andiamo a letto assieme, comunque.» Intervenni io inserendomi tra i sedili davanti. «Eravate sotto l'influenza dei demoni. Non ti voleva cancellare.» aggiunsi poi, cercando di difendere il mio amico. «State ancora facendo il loro gioco: non capite che il loro obiettivo era mettervi l'una contro l'altro, in modo che vi distruggeste a vicenda?»

«Solo perché Dio fino ad ora si è voltato dall'altra parte, ma cosa credi che succederà quando tornerà a guardare?» domandò Mark, girando la testa di lato per rivolgersi a me. «Non ti sei mai chiesta perché i tuoi genitori se ne siano lavati le mani di te? Credi che tuo padre ammetterebbe che sei sua figlia se ti avesse davanti? No, Hope, non lo farebbe. E sai perché? Perché gli angeli temono Dio.»

«Mark! Come puoi dirle una cosa del genere?!» Joan lo guardò torva.

«Non è più una bambina, è il momento che sappia la verità e che prenda coscienza delle conseguenze.» tornò a rivolgersi a me. «Credi di amare Luke? Tu non lo ami affatto o non lo incoraggeresti, sei solo una ragazzina che crede di vivere una bella favoletta. Luke sta rischiando le ali! Rischia di cadere o di essere cancellato da altri angeli o demoni. E se Dio dovesse voltarsi nella sua direzione non ci sarà preghiera che lo salverà o che salverà te. E chi pensa che non accadrà è solo un illuso! Sei abbastanza umana da poter concepire e abbastanza angelo da sopravvivere all'esperienza e metterne al mondo uno vero. Solo Dio crea angeli, quando saprà che un'umana ne ha generato uno si volterà e sarà la fine per tutti.»

«Mark smettila!» Joan era indignata e preoccupata al contempo.

Io ero raggelata, letteralmente, dalle sue parole. Non mi aveva mai parlato in quel modo, con una simile freddezza e crudezza. Lo avevo fissato impallidendo di più ad ogni parola, sentendomi come se mi stessero risucchiando le energie.

«Non è vero.» fu tutto quello che riuscii a mormorare. «Io amo Luke. Lo amo davvero.» dissi, con il respiro che si faceva più rapido. «E tu sei solo un ipocrita e un falso moralista che si nasconde dietro belle parole!» sbottai quasi rabbiosa aprendo poi la portiera della macchina e uscendo.

«Hope.» sentii gridarmi dietro da Joan per poi sentire il rumore dello sportello che si apriva e richiudeva, probabilmente mi stava seguendo.

«Non me ne vado, sta tranquilla.» le dissi fermandomi, voltandomi poi a guardarla. «Ho già avuto esperienza di cosa potrebbe succedere.» risposi secca, girandomi verso la macchina, per poi tornare a guardarla. «Che cosa succederebbe se io morissi?»

«Dipenderebbe dalle tue ali.» mi rispose lei nervosa, come se non le piacesse la domanda.

Era palesemente dispiaciuta per come stessero andando le cose e per come mi aveva trattata Mark. Mi voleva bene e voleva proteggermi, ma nella gerarchia angelica probabilmente lei non era molto alta in grado.

«Bianche... le mie sono bianche e non ho intenzione di farle diventare di un altro colore.» me lo aveva detto Luke di non farlo ed ero fermamente intenzionata a seguire le sue istruzioni.

«Quando ci transustanziamo e veniamo uccisi con mezzi mortali viene liberato l'angelo che racchiudiamo e torna alla casa celeste da cui proviene.» si guardava intorno piuttosto nervosa, come se si aspettasse da un momento all'altro che orde di demoni sbucassero dal nulla per farci a pezzi, e chissà che nel passato non le fosse capitato davvero.

«E cosa mi succederebbe? Sono un essere che non dovrebbe esistere. Dubito che mi accoglierebbero cori angelici e felicità.» dissi respirando a fondo. «E chi è mio padre? Mia madre è morta dandomi alla luce, di certo non è lei che era un essere angelico.» ipotizzai. Feci una pausa fissando poi Joan attentamente, assottigliando lo sguardo. «Che vuol dire che io sono abbastanza angelo da sopravvivere se dovessi concepire?» domandai, infine, con tono cupo.

«Le donne umane non sopravvivono al parto di un Nephilim, tutti in Paradiso lo sanno, già da diversi millenni.» alzò lo sguardo su di me. «Non lo so chi sia tuo padre, non ci è stato detto quando ci sei stata affidata. In genere non è una cosa che un angelo ci tiene a far sapere.» le dispiaceva dirmi quelle cose.

«Mia madre è morta a causa mia, quindi?» domandai stringendo le labbra. «Non hai risposto alla mia domanda. Io posso entrare in Paradiso?»

«Non è colpa tua, Hope, non prenderti questa responsabilità, tuo padre sapeva che stando con tua madre, e facendola concepire, l'avrebbe condannata a morte certa.» evitava di rispondermi.

«Non lo volevo, certo! Eppure è morta perché sono nata.» mormorai avvicinandomi a lei. In circostanze normali mi avrebbe già abbracciata, ma ora sembrava quasi spaventata all'idea di toccarmi. «Perché eviti la mia domanda, Joan?»

«Perché non so rispondere, Hope.» vedevo il dispiacere sul suo viso. «Non ho mai visto un Nephilim entrare in Paradiso e corrono voci su cosa accada loro... per opera dello stesso Michele.»

«Già... chissà perché, lo sospettavo.» mormorai prendendo un grosso respiro prima di voltarmi, tornando verso la macchina a passo veloce, diretta verso la portiera da cui ero scesa.

«Hope... mi dispiace. Non era così che volevamo andassero le cose, volevamo solo darti la possibilità di vivere una vita normale e tenerti al sicuro.» disse alle mie spalle con un sospiro seguendomi.

Mark ci aveva osservate per tutto il tempo ma non era sceso dall'auto. Anche se ultimamente stentavo a riconoscerlo, non poteva essere una persona tanto diversa dal fratello maggiore che era sempre stato e che mi portava in giro in spalla quando ero solo una bambina. Eppure era quello che era stato più diretto e che mi aveva detto la verità senza mezzi termini.

Aprii la portiera fissandolo incerta per un attimo e guardando poi verso la chiesa. «In Paradiso non ci sono Nephilim. Ci sono solo all'Inferno?» domandai tornando a guardarlo. «Che razza di fine farò io?»

«Non so che razza di fine farai tu. I Nephilim non vengono accettati in Paradiso: o vengono corrotti e nascosti all'Inferno o vengono cancellati appena giungono alle porte del cancello dorato.» ancora una volta fu sincero. «Ma non so quali siano i piani per te. A nessun Nephilim è stata messa una scorta dalla nascita, con l'ordine di proteggerla, ed un sigillo per tenerla nascosta. Noi quattro non abbiamo un rango abbastanza alto per essere messi a conoscenza dei piani celesti, ma non credo che sia un caso che tu sia ancora viva.» sospirò passandosi una mano tra i capelli, anche per lui doveva essere difficile quella conversazione. «Devi capire che Michele sapeva di te dalla nascita, avrebbe potuto cancellarti subito ma non l'ha fatto, al contrario, ti ha messo un sigillo perché i tuoi poteri non si manifestassero una volta compiuti i diciotto anni. È solo merito di quel sigillo se sei ancora viva. È piuttosto ovvio che ci siano dei piani per te in Paradiso.» in fondo anche a lui dispiaceva dovermi dire quelle cose.

Lo guardai qualche istante per poi sospirare, chinando il capo e stringendo le labbra.

«Mi dispiace per tutto quello che vi sto facendo passare.»

«Non dispiacerti, Hope. Non sei solo un ordine che ci è stato impartito. Noi ti vogliamo bene. Sei pur sempre la nostra sorellina.» provò a sorridermi e mi sembrò il sorriso del ragazzone che avevo da sempre conosciuto.

Sorrisi, anche se con difficoltà. «Davvero Luke rischia così tanto?» domandai, tornando a guardarlo. «Non voglio gli accada qualcosa di male per colpa mia. Che cosa dovrei fare?»

«Luke è un adulto.» Joan si era avvicinata a noi. «Sebbene sia un po' incosciente. Ma ha quasi duemila anni, ha il diritto di scegliere per contro proprio, qualunque siano le conseguenze delle sue scelte.» Mark la guardava, non proprio d'accordo. «Se così è felice chi siamo noi per contraddirlo?»

Mark abbassò lo sguardo, si vedeva chiaramente che non voleva perdere nessuno di noi, la sua era solo paura.

«Forse ci sono cose che vale la pena di vivere.» dissi alternando lo sguardo tra i due, tornando poi su Mark. «Amo Luke. Non voglio che gli accada nulla ma non posso negare i miei sentimenti per lui, qualsiasi sia il mio destino.» mormorai, guardando verso la porta della chiesa.

«Quel testone direbbe esattamente lo stesso.» commentò il ragazzone scuotendo il capo, come faceva quando bevevamo, doveva considerarci proprio senza speranze.

«Non ci resta che aspettare il suo ritorno.» anche Joan si voltò a guardare in direzione delle porte.

Tornai in macchina e mi rannicchiai sul sedile, per poi sospirare guardando la porta.

Credevo che non sarei riuscita ad addormentarmi ma letteralmente crollai.

Non so quanto tempo passò. Iniziai a riprendere conoscenza lentamente, sentendo le voci di Joan e Mark bisbigliare per non svegliarmi.

«È dentro già da un po'.» Joan era preoccupata.

«L'Inferno è grande, non deve essere facile trovare Matt.» Mark aveva un tono molto rassicurante.

«E se non tornasse? Come lo diremo a Hope?»

«Tornerà, non preoccuparti, aspettiamo ancora.» non vedevo cosa stesse succedendo tra quei due ma le loro voci mi sembravano diverse da prima, appena un po' più complici, forse si erano chiariti mentre dormivo.

Rimasi in silenzio, ascoltando i rumori fuori dall'auto e i due ragazzi seduti avanti a me.

Solo dopo qualche minuto mi rimisi eretta e mi stiracchiai.

«Quanto tempo è passato?» domandai.

«Quasi tre ore.» rispose Mark.

«Come ti senti?» investigò Joan voltandosi a guardarmi. «Scaricata un po' di tensione?»

«Tre ore?» domandai un po' più nervosa. «Non molto meglio di prima, a dire il vero. Speravo fosse già uscito dopo tutto questo tempo.» dissi guardando Joan senza nascondere l'ansia.

«Starà cercando di non dare nell'occhio. Vedrai che tra non molto sarà qui.» ma il tempo passava e lui non tornava.

Dopo un'altra ora iniziavo davvero a sentirmi tesa e nervosa oltre ogni misura. «Siete sicuri che vada tutto bene?»

Non avevo idea di come fosse l'Inferno ma ormai erano passate quattro ore e iniziavo a non sopportare più quell'attesa.

Non sapevano cosa rispondermi, erano preoccupati anche loro, sebbene cercassero di non darlo a vedere.

«Dobbiamo fare qualcosa!» dissi iniziando a mordermi le unghie. «Non ce la faccio più ad aspettare!»

Iniziavo ad essere divorata dall'ansia.

«Non c'è niente che possiamo fare, non possiamo entrare.» anche Joan tamburellava con le dita sullo sportello.

Dopo circa un'altra ora, la porta della cattedrale iniziò ad aprirsi.

Sentii l'adrenalina scorrermi nelle vene, sperando di vedere apparire Luke e Matt.

«Sta tornando!» dissi certa che fosse lui, prima di aprire la portiera della macchina, intenzionata a corrergli incontro, sperando non fosse ridotto troppo male.

Vidi un'ombra, poi una seconda accanto alla prima, spingere la pesante porta per spalancarla.

«Hope, aspetta, c'è qualcosa che non va.» mi fermò Mark, con già la mano pronta a girare la chiave e mettere in moto.

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