Capitolo 31: Fiamme d'Inferno

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Dying for you - Otto Knows ft. Lindsey Stirling and Alex Aris


"Preferisco governare all'Inferno che servire in Paradiso!" aveva urlato mio padre a Dio, diversi millenni fa, prima di cadere.

La faceva facile lui. Intanto, molto probabilmente, era chissà dove a fare aperitivi già da diversi secoli, mentre io, da sola, reggevo sulle spalle l'intero peso della divina punizione. Non era facile gestire quel posto e i suoi abitanti, soprattutto di recente.

Avevo perso il mio mietitore, si era nascosto chissà dove con quella dannata Nephilim per giorni, illudendosi di potermi sfuggire, ma alla fine li avevo trovati. Il problema era che non potevo entrare in territorio Sioux.

Di certo era abbastanza furbo da ricoprire di rune magiche sia se stesso che quella mocciosa non appena fossero usciti da quelle terre sicure. Per sua sfortuna non ero nata ieri ed ero già all'opera per rovinare la festa ai due piccioncini. Non avevo la minima intenzione di rinunciare al mio mietitore, a meno che non ci fosse stato un sostituto.

Il caso aveva voluto che uno degli evangelisti piombasse dritto dritto in casa mia, e anche se era stato un idiota a pensare di potere uscire di lì, di certo la cosa mi aveva incuriosita. Lo avevo fatto portare in una cella della dannazione, incatenato con metallo demoniaco, impossibile da distruggere per un angelo, anche per un quasi caduto. Gli avevo dato un assaggio di quello che provavano le anime dannate, facendogli rivivere in un loop senza fine l'inferno che era stata la sua vita. Poi avevo provato con le lusinghe, le promesse, gli incoraggiamenti, il sesso, con qualunque cosa, ma ancora non ero riuscita a piegarlo, fatto che mi metteva alquanto di malumore.

Dulcis in fundo, avevo un piccolo caduto gay che scalpitava dal bisogno di vedere l'amore della sua vita e una guerra celeste ormai alle porte.

Era in quei momenti che avrei voluto gettare tutto all'aria e fare come mio padre, lasciare che Inferno e Paradiso collassassero su se stessi, ma era impossibile. Anche se nessuno poteva vederlo ero incatenata al nero trono, non potevo lasciare l'Inferno se non per brevi momenti e c'era solo un modo per cambiare le cose: rovesciare il Paradiso, Dio e tutti i suoi angeli, portare finalmente la giustizia che a lungo ci era stata negata. Nessuno lo capiva però, nessuno poteva, ero la sola a portare quelle catene e quel fardello. Avevo sperato di condividere la mia eternità con il mietitore, ma anche questo mi era stato negato e ancora una volta la colpa era di un dannato angelo!

Lanciai la coppa di vino che avevo tra le mani e appoggiai la fronte alla punta delle dita della mano aperta.

«Nervosa, mia regina?» domandò una voce melliflua e divertita al mio orecchio. «Vi direi che siete ancora più meravigliosa quando siete arrabbiata, ma credo risulterei piuttosto banale.» sussurrò il mio demone dagli occhi blu, scivolando di fronte a me, accarezzandomi una gamba mentre si chinava, osservandomi con le labbra tirate in un ghigno sarcastico e arrogante.

«Spero non sia venuto anche tu a portare cattive notizie, ti avverto che non è la giornata giusta!» Ci mancava solo che il pulcino che stava tenendo d'occhio avesse creato qualche problema o che ci fosse qualche catastrofe.

«Nessuna cattiva notizia.» ridacchiò, accarezzandomi lascivo la gamba con le dita, fino al ginocchio. «Avevo solo voglia di cercare di sollevare l'animo nero della mia regina. C'è qualcosa che posso fare per te?»

Puntai gli occhi su di lui e mi venne un'idea. «Da quanto tempo il mio piccolo adorato Cerbero non si fa una mangiata come si deve e non si sgranchisce le zampe?» chiesi con il mio solito sorriso sarcastico.

Lui tirò su gli angoli delle labbra, maligno e bellissimo, come se avesse capito perfettamente quello che avevo in mente. Poggiò una mano sul mio ginocchio, spostandomelo appena lateralmente così da infilarsi tra le mie gambe pur restando inginocchiato di fronte a me.

«Da molto tempo, mia signora. Sarebbe interessante far uscire dalla tana il cucciolo, si sa che soffre negli spazi chiusi e sì... è da parecchio che non si mangia un angelo.» Sghignazzò divertito. «Inoltre, ha un olfatto molto fine e trova sempre la sua preda!» Aggiunse infine, dandomi un bacio appena sopra il ginocchio, prima di tornare a guardarmi.

«Lo sai che soffro nel vedere il mio cucciolo di cattivo umore, forse sarebbe il caso di lasciargli prendere un po' d'aria fresca. A nessuno piace starsene in una gabbia, soprattutto qui sotto.» Il segugio infernale avrebbe seguito la pista e mi avrebbe portata da quei due. Low poteva nascondersi dove voleva, ma Cerbero lo avrebbe trovato ovunque.

«Lo so, mia signora» Ridacchiò lui. «Propongo di mandare subito la bestiola, non ci vorrà molto prima che trovi quel piccolo angioletto sperduto.» Sghignazzò leccandosi le labbra «Spero solo che non la mangi intera, non mi dispiacerebbe affatto portare le ali bianche e immacolate della ragazza qui all'Inferno e sbatterle di fronte al nostro nuovo ospite. Potrebbe essere un bel modo per farlo cadere del tutto, non credi?»

«Non so se la morte di quella ragazzina possa far cadere l'evangelista. Ma arrivati a quel punto tanto varrebbe porre fine anche alle sue sofferenze. Un grosso spreco, purtroppo.» Si sarebbe arrabbiato, certo, forse sarebbe anche impazzito dal dolore, ma non so se sarebbe bastato a farlo cadere. «Più che altro mi chiedo se le ali di quella mocciosa siano ancora così immacolate, ma immagino di sì o il mietitore l'avrebbe già spedita qui reclamando la propria libertà.»

«Credi che avesse ragione? Che sia incorruttibile?» domandò lui ridacchiando. «In ogni caso, il mio piccolo giocattolino potrebbe provare a cercare di farlo cadere, secondo me sarebbe divertente vederli parlare.» Sghignazzò, continuando a sfiorarmi delicatamente le gambe con la punta delle dita. «Si conoscono da così tanto tempo e io stesso non ho avuto modo di giocare con l'evangelista» osservò ridacchiando «Sai che so essere persuasivo.»

«Non credo che tu possa fare molto con lui. Però, l'idea di farlo parlare con il pulcino con è poi così malvagia. Potremmo prendere due piccioni con una fava, letteralmente.» Sempre che il quasi caduto non fosse riuscito a convincere Matt. Le sue ali si stavano scurendo, ma il processo non era ancora terminato, era ancora reversibile. «Ma è rischioso» osservai pensierosa.

Lui rise. «Il pulcino ormai è sotto la mia influenza, non può essere convinto dal "grande amore", sapendo, oltretutto, che non lo potrà mai avere.» Ridacchiò, passandomi le mani sui fianchi e rialzandosi verso di me. «Sa che non può tornare con i suoi amici, non lo accetterebbero mai. Inoltre, se non lo farai parlare con Luke spontaneamente, cercherà di andarci lo stesso, prima o poi. Dimostragli invece che lui è libero di fare ciò che desidera, che abbia una parvenza di libertà che in cielo non ha mai avuto.»

Distolsi lo sguardo per riflettere. Aveva ragione, avrebbe cercato comunque di vederlo e impedendoglielo avrei solo fatto più fatica poi per tenerlo buono. «D'accordo. Quando lo vedrai digli che ha il mio permesso di vedere il caduto.» acconsentii, accompagnando le mie parole con un superfluo gesto della mano.

«Dopo glielo dirò sicuramente.» Sghignazzò, mentre mi portava una mano dietro il collo passando le dita tra i miei capelli. «Ho anche voglia della mia regina, adesso.»

Era diventato sempre più sicuro e pieno di iniziativa. Non osava mai più del dovuto, muovendosi sul filo del rasoio e restandoci bene in equilibrio, provocando e giocando, ma senza mai esagerare.

«Sei diventato molto audace, Astaroth, demone della superbia. Non temi il mio malumore?» Gli altri demoni tremavano quando ero nervosa, lui era l'unico a riuscire in un qualche modo a capire quando non rischiava davvero di essere incenerito.

«Un rischio che intendo correre, e che in questo momento mi eccita eccome.» Sibilò contro le mie labbra, stringendo le dita tra i miei capelli, mentre l'altra mano scivolava lungo il mio fianco fino a raggiungere il bordo del mio vestito.

«Mi piace questa intraprendenza, solo chi osa può raggiungere ciò che desidera.» Sfiorai appena le sue labbra con i denti ed iniziai ad aprire lentamente le gambe, seguendo le intenzioni della sua mano. «E tu cosa desideri, Astaroth?»

«Lo sai già, mia regina.» disse con un tono arrogante, mordendosi le labbra.

Mi tirò appena indietro la testa, stringendomi i capelli per mordermi il collo. Il sorriso sfacciato ben stampato su quella faccia da schiaffi.

Era a petto nudo, come al solito da quando aveva iniziato a venire da me, praticamente in ogni occasione che gli era possibile.

Sollevai la testa per lasciargli spazio. «E se ti dicessi di no? Ti fermeresti?» Stavamo giocando e a me piaceva un sacco giocare.

«In questo momento oserei!» rispose mordendomi la spalla, rispondendo alle mie provocazioni, stuzzicandomi e provocandomi a sua volta. Scivolò con la mano sotto il bordo del mio abito nero risalendo poi fino alla natica per stringerla. «Vuoi sapere cosa desidero, mia signora?»

«Sì. Voglio saperlo.» stavo beandomi di quelle attenzioni, passando le mani sul suo corpo statuario. I miei demoni erano fatti proprio bene e lui non scherzava affatto in quanto fisico e fascino.

«Voglio avere la Dea dell'oscurità!» rispose alzando lo sguardo su di me, fissandomi con quei suoi occhi color zaffiro. «Voglio aiutarla a ottenere ciò che vuole, aiutarla a realizzare i suoi piani, vederla trionfante sopra cumuli di angeli, vederla varcare le porte del Paradiso da vincitrice e in quel momento voglio essere con lei, al suo fianco.» Sibilò, facendomi indietreggiare fino alla parete alle mie spalle, bloccandomi contro di essa.

«Adesso non mi stai forse avendo?» Gli chiesi con il respiro affannato, scendendo con la mano sui suoi pantaloni. Eppure avevo la sensazione che non si riferisse al mero sesso e all'essere in prima linea durante l'assalto alle porte dorate. Che stesse tentando di dirmi altro? O forse ero io a sperare che ci fosse un significato recondito?

«Sì, ti sto avendo.» Ammise, assottigliando lo sguardo. «Ma di te non avrò mai abbastanza, mia regina.» sussurrò prima di baciarmi con foga, tornando con la mano libera ad afferrarmi una gamba per sollevarla fino al suo fianco, mentre finivo di liberarlo dai pantaloni. «Dimmi che vuoi essere mia!» Ringhiò sulle mie labbra, provocandomi.

Gli restituì uno sguardo fatto di fiamme e gli morsi le labbra, liberandolo definitivamente degli impedimenti tra noi. Ero l'essere più potente di quegli Inferi eppure era tremendamente eccitante cedere le redini a qualcun altro, anche solo per un breve attimo.

Lui non attese oltre, fu brusco e diretto come al solito, baciandomi quasi con rabbia e senza trattenersi minimamente, come sempre.

Alle volte giocava, prendeva tempo per stuzzicarmi e provocarmi fino all'esaurimento. Dopo secoli di servizio, ormai sapeva benissimo cosa mi piacesse.

Era in grado di farmi impazzire come pochi e provava particolare piacere nel farlo, dopotutto era nella sua natura, doveva essere il migliore. Doveva essere insuperabile e lo era, dannazione se lo era.

Apprezzavo particolarmente quei momenti con lui, perché mi consentivano di non pensare, di dedicarmi solo a quell'attività. Un piacere effimero che durava solo il tempo di quell'atto, come tutto giù all'Inferno. Ma non per questo riuscivo a farne a meno. Bramavo quasi con disperazione ogni cosa che potesse in qualche modo rompere la mia millenaria monotonia e darmi un brivido.

Mi aggrappai a lui quasi con disperazione, cercando di stordirmi e inebriarmi, perdendomi in quell'antica danza di cui ero ormai maestra.

«Dì il mio nome, demone!» La mia voce risultò quasi una supplica. Erano pochissime le creature a cui era concesso, serviva per mantenere la scala del potere, per sottolineare la distanza tra me e loro, ma ne avevo bisogno, avevo bisogno di sentirlo, avevo bisogno che lo pronunciasse mentre mi faceva sua, avevo bisogno di illudermi che non sarebbe finito tutto raggiungendo l'apice.

«Kora.» sussurrò lui al mio orecchio, lambendolo poi tra le labbra e mordendolo fin quasi a incidere la pelle con i denti. «La mia Kora!» ringhiò con rabbia accelerando i movimenti con più forza e foga, volendo darmi di più.

Se desideravo qualcosa che fino a quel momento non avevo avuto, lo stesso doveva valere per lui, con la sola differenza che io volevo qualcosa che mi facesse sentire viva, mentre lui qualcosa che soddisfacesse la superbia di cui era al tempo stesso portatore e vittima. Doveva essere il migliore, doveva darmi quello che volevo, perché doveva a tutti i costi convincere se stesso e me che ne valesse la pena, che fosse davvero il migliore, che meritasse davvero di essere il portatore della superbia. Aveva la necessità di dimostrare in ogni singolo momento che tra tutti i demoni non ci fosse qualcuno suo pari.

«Dì che sei mia, Kora. Voglio sentirti dire che mi appartieni!» ordinò, con un tono che non lasciava spazio a repliche.

Sentirgli pronunciare il mio nome mi diede i brividi, oltre che una fortissima scarica di piacere che mi fece desiderare solo di raggiungere l'apice. Iniziavo ad avere difficoltà a mantenere la lucidità, come se l'aver pronunciato il mio nome gli avesse dato la possibilità di stregarmi, di acquisire potere su di me, di annebbiarmi la mente, che andava sempre più alla deriva gemito dopo gemito. Non riuscivo a concentrarmi, non riuscivo a tenere i pensieri, non riuscivo a mettere insieme la frase che mi aveva chiesto. «Io... io... oh diavolo!... sono... sono...»

«Dimmelo! Rispondimi, Kora! Dimmelo!» ringhiò con maggiore rabbia azzannandomi la spalla e stringendo le dita su di me, continuando con quel ritmo frenetico. Non riuscivo a rispondergli, a dirgli ciò che voleva sentire, per cui mi riafferrò per i capelli, tirandomi indietro la testa per fissare di nuovo gli occhi ai miei, senza smettere si possedermi. «Dimmelo! Voglio sentirtelo dire!» Sibilò autorevole sulle mie labbra.

Dovetti fare uno sforzo sovrumano per riuscire a racimolare gli ultimi brandelli di lucidità che mi restavano e rispondergli.

«SONO TUA!» Urlai, artigliandogli la pelle della schiena e graffiandolo, lasciando che la mente andasse definitivamente alla deriva, completamente stordita da lui.

Non volevo altro se non perdermi in quel piacevole oblio che, almeno per pochi minuti, liberava le mie spalle dal peso gravoso del creato e dalla posizione di potere che ero obbligata a ricoprire.

Lui mi baciò come sentì le mie parole e lo sentii fremere e tremare, mentre continuava a un ritmo insostenibile per qualsiasi altra persona che non fossi stata io. Mi portò all'apice del piacere dopo poco, troppo poco per conto mio.

Chinò il capo, ansante e stanco, lasciando che i capelli castani scivolassero sul mio collo e la mia spalla. Fremeva, con il fiato corto, tenendomi ancora contro il muro, senza nessuna intenzione di spostarsi.

Io invece tremavo, tremavo come una foglia tra le sue braccia. Scossa da tutte quelle sensazioni e parole. Chi l'avrebbe mai detto: la potente regina degli Inferi in quello stato pietoso e sottomesso a un demone. Avevo il fiatone e mi sentivo stordita, se non mi avesse sorretta mi sarei afflosciata a terra.

Lui sembrava scosso quanto me e non mostrava alcuna intenzione di lasciarmi andare. Portò un braccio attorno alla mia vita stringendomi a sé con forza, strofinando il viso sulla mia spalla, come a voler assaporare il mio odore e il sapore della mia pelle. Mi diede un bacio leggero, quasi gentile e affettuoso.

Quel gesto inatteso mi fece fremere di nuovo, più di quanto fosse riuscito a fare l'orgasmo. Un brivido mi scosse, non ero abituata alla gentilezza. Mio padre lo era stato con me in passato, ma lo era come poteva esserlo un padre e non lo vedevo da secoli.

Portai le dita tra i suoi capelli in una carezza, volevo restituirgli quella sensazione, ripagandolo per quanto in realtà avesse davvero fatto per me.

Lo sentii irrigidirsi un attimo, come se non si aspettasse affatto quella carezza, ma dopo qualche istante serrò maggiormente la sua stretta su di me contro di lui. Forse avevamo in comune più di quanto pensassimo, sembrava condividessimo quello stesso vuoto, che nessuno dei due riusciva in nessun modo a colmare, e quel bisogno di affetto e tenerezza, in un luogo che di tenero aveva davvero poco.

Lo sentii ridacchiare, mentre mi lasciava un altro bacio sul collo. «La mia signora è soddisfatta. Ho fatto bene a osare per appagarla, nonostante il suo furore.» mormorò, arrogante come sempre, ma con un tono lievemente diverso che non riuscivo a decifrare.

«Dì ancora il mio nome...» bisbigliai con il viso accanto al suo. Volevo sentirlo ancora.

Lui rimase in silenzio e immobile qualche istante, non aspettandosi probabilmente quella richiesta da parte mia. «Kora» sussurrò al mio orecchio, prima di spostare il volto di fronte al mio, cercando il mio sguardo con il solito sorriso sarcastico stampato in faccia. «Kora!»

Lo osservai attentamente, mentre ripeteva il mio nome, volevo capire cosa provasse nel dirlo, se fosse solo la soddisfazione della conquista da parte della superbia o se ci fosse davvero altro, come mi era sembrato di percepire poco prima.

Lo diceva con trasporto, come se lo stesse gustando lettera per lettera. Forse per la soddisfazione di avermi avuta in quanto incarnazione di uno dei peccati capitali, eppure sentivo che qualcosa mi stesse sfuggendo. Sembrava trattenersi dal dire o fare qualcosa, come fosse combattuto, quasi come se non avesse voluto rendermi partecipe dei suoi pensieri. Infine, allargò il sorriso, tornando a chinare il capo accanto al mio.

Lo lasciai fare, cercando di dare un senso a quella strana situazione, provando a capire cosa stesse succedendo, cosa ci fosse di diverso.

Rimase fermo, fino a tornare ad avere il respiro normale prima di spostarsi da me con un lieve sospiro, che non mi sfuggì, tornando a guardarmi con il solito ghigno da schiaffi. «Hai un aspetto meraviglioso, mia signora!» Ridacchiò, osservandomi di nuovo languido. «Mi fai tornare così facilmente la voglia che potrei volerti subito un'altra volta.»

Sembrava sempre lo stesso. Forse mi ero sbagliata. Gli sorrisi di rimando, caricando di sarcasmo la mia espressione. «Di già?» dinanzi a me avevo solo la superbia, nient'altro. «Credo che sarebbe meglio tornare a lavoro. Il Paradiso non si conquista da solo.» Era quello il mio destino, brevi momenti di effimero piacere che svanivano in fretta, per lasciare di nuovo quell'incolmabile senso di vuoto. Erano queste le fiamme di cui si componeva l'Inferno: fortissime sensazioni che bruciavano in fretta e lasciavano solo fredda e pallida cenere. Ciò che lui voleva da me era solo ciò che la superbia gli suggeriva.

«Come desideri, mia signora.» Disse lui con la solita ironia, chinando il capo. «Andrò ad occuparmi del pulcino, ma tornerò da te molto presto!» Sghignazzò, mentre si sistemava i pantaloni di fronte a me. «Farò tutto il possibile perché tu abbia due angeli caduti alla tua mercé, mia signora.»

«Libera Cerbero.» dissi con tono freddo e distaccato, prima di sistemarmi il vestito e superarlo. Sentivo qualcosa di strano dentro, simile alla delusione, ma non era questa, perché non avevo voglia di farlo a pezzi, volevo solo stare da sola.

«Va bene!» Lo sentii rispondere a sua volta freddo e privo della sua solita ironia, completamente diverso dal tono usato prima. «Come desiderate, mia signora.» Il suo tono era diventato di colpo gelido. Si voltò, iniziando ad allontanarsi.

Cosa avrei potuto aspettarmi da un demone? Cosa potevo aspettarmi da chiunque, lì dentro?

«Demone della superbia.» lo richiamai voltandomi a guardarlo. «Se tu non dovessi prendere ordini da me, cosa faresti adesso?»

Si fermò, tornando a guardarmi, inarcando un sopracciglio. «Mi chiedi se non dovessi seguire obbligatoriamente i tuoi ordini?» Domandò lui, accigliato.

«Sì. Se fossi libero, cosa faresti adesso?» Sollevai i miei occhi neri su di lui.

Si voltò a guardarmi, sogghignando. «Sarei esattamente dove sono adesso e farei esattamente quello che sto facendo.» Ribatté, inclinando il capo di lato.

«E cos'è che stai facendo adesso?» Gli chiesi, muovendo qualche passo nella sua direzione.

«Sono qui, assieme a te.» rispose, mantenendo lo sguardo su di me, mentre mi avvicinavo. «Faccio ciò che vuoi e che desideri. Voglio soddisfarti e appagarti. Lo sai.»

«Anche se dovessi chiederti di fare una cosa che non vuoi fare?» gliene chiedevo tante e non si erano mai lamentati o ribellati, a parte Low ovviamente.

«Per te sì!» Rispose lui risoluto. «Perché me lo stai chiedendo?»

«Niente, mi era sembrato di percepire qualcosa di strano, devo essermi sbagliata.» Mi dispiaceva fosse così. «Sei solo uno dei tanti demoni che esegue qualunque cosa io gli chieda e che cerca di ottenere qualcosa. Nel tuo caso specifico accontenti la tua superbia andando a letto con la regina degli Inferi.» lasciai trasparire dalla mia voce più delusione di quanto in realtà volessi. Possibile che quello che era appena successo mi avesse toccata così tanto nel profondo da farmi perdere il controllo? Possibile che il mio desiderio di calore e la mia insofferenza per la solitudine mi avessero portata a mostrarmi debole con un demone?

Lui serrò le labbra. «Già. Tu invece accontenti la tua lussuria con il demone della superbia, sapendo che è il migliore.» Rispose con arroganza, anche se percepii una nota di fastidio nella voce, senza contare che aveva appena ribattuto alle mie parole, cosa che di solito non accadeva mai. Ma prima che dicessi altro distolse lo sguardo. «Vado a liberare il Cerbero!»

«Mi sbaglio, Astaroth? È questo che vuoi dirmi?» Se credeva di andarsene aveva capito male. «Non è forse la tua superbia a dettare le tue azioni?»

«Ha importanza?» Domandò con sufficienza e il solito ghignò stampato in faccia. «Tanto sono solo una pedina, esattamente come gli altri, mia signora. La migliore, senza dubbio, ma solo la vostra pedina!» Sbuffò lui in una mezza risata.

«Ti ho fatto una domanda!» Tuonai, chiudendo la porta alle sue spalle con un gesto della mano. «Ed esigo una risposta!» sibilai. Odiavo vedere di nuovo ribaltati i ruoli tra noi, la cosa mi dava quasi fastidio. «Ciò che ti spinge è solo la tua superbia?»

Lui tornò serio. «No. Non lo è solo la superbia.» Rispose secco.

Mi rilassai, come se mi avesse tolto un peso dalle spalle e mi avvicinai a lui fino ad averlo di fronte. «Ti ringrazio... Astaroth.»

Lui rimase in silenzio, osservandomi guardingo e sorpreso da quel repentino cambio di umore. Non si aspettava di certo un ringraziamento.

Passai un dito sul suo petto nudo e sul suo addome. «Apprezzo molto l'onestà.» Poi sollevai gli occhi verso i suoi.

Lui tornò a sogghignare, anche se ancora sospettoso. «Rara l'onestà all'Inferno, mia signora.» Osservò lui sarcastico.

«Molto rara, oserei dire.» Sollevai la mano e schioccai le dita per far accorrere un demone minore, senza mai distogliere lo sguardo dagli occhi blu della superbia.

«Avete chiamato, mia signora?» chiese lui inginocchiandosi.

«Libera Cerbero e recapita un messaggio a Matt, il nostro nuovo arrivato, digli che ha il mio permesso di vedere Luke. E fa in modo da non disturbarmi, se ci sono problemi avvisa i demoni della lussuria e della gola... io ho da fare con il demone della superbia.» Tirai fuori il mio solito sorriso provocante che lui ricambiò con il suo, arrogante e pieno di sé, quasi quella svolta non lo sorprendesse affatto.

«Posso fare altro per te, mia regina?» mi chiese il demone minore.

«No. Sparisci!» Appena se ne fu andato lasciai cadere a terra il mio vestito e mi rivolsi al demone della superbia. «Dicevamo?»

Lui non mi lasciò neanche finire la frase che si gettò su di me con foga, avvolgendomi con un braccio attorno alla vita e intrecciandomi le dita tra i capelli. Mi strinse a sé, baciandomi con trasporto.

«Astaroth... hai il permesso di usare il mio nome.» Gli dissi appena riuscì a riprendere fiato, tra un bacio ardente e l'altro.

Lui mi afferrò per i fianchi attirandomi a sé e portandomi verso la mia camera da letto, con un ghigno soddisfatto e maligno. «Non avevo dubbi, Kora!»

Passò un bel po' di tempo, tempo che passammo a rotolarci tra le lenzuola, in cui demmo sfogo a tutti i nostri istinti e che impiegammo per darci piacere reciproco. Alla fine eravamo veramente stanchi e distrutti, al punto da chiedermi come avrei fatto a sovraintendere alle varie questioni della giornata.

Lui, dal canto suo, non sembrava intenzionato ad alzarsi dal letto. Mi cingeva con un braccio, mezzi avvolti dalle lenzuola di seta nera, stando alle mie spalle, mentre cercava di riprendere lentamente il controllo del proprio respiro, ridacchiando sommessamente.

«Sei impegnativo, Astaroth.» Sorrisi, accoccolandomi meglio tra le sue braccia. Dopotutto, ero pur sempre la Dea degli Inferi, potevo anche tardare cinque minuti e godermi quel momento.

«Tutto ciò che è impegnativo dà più soddisfazione, o non ne varrebbe la pena. Io non sono capace di accontentarmi.» Ghignò, mordendomi la spalla. «Perché non guardiamo come se la sta cavando il pulcino con il mezzo caduto? Credo possa essere divertente.» Mi propose, forse per avere una scusa per non dover ancora lasciare le lenzuola.

«Avrei voluto presiedere personalmente all'incontro, ma credo di potermi accontentare di osservarli dallo specchio nero. Passerò da lui più tardi a fare una chiacchierata.» Mi sciolsi dal suo abbraccio e sgusciai fuori dalle coperte per andare a recuperare il mio specchio. Tornai a letto e mi sintonizzai sul piccolo pulcino, che in quel momento stava facendo ricorso a tutto il suo coraggio per andare dall'amore della sua vita.

Astaroth si mise alle mie spalle, circondandomi in un abbraccio e ridacchiando sommessamente nel vedere il suo giocattolo. Iniziò a mordicchiarmi la spalla, osservando lo specchio, ma continuando a darmi attenzioni continue.

Intanto Matt arrivò di fronte alla cella di Luke, evidentemente nervoso e teso come non mai.

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