Capitolo 41: Il processo

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Grenade - Lindsey Stirling


C'era un lungo tavolo in legno con diverse sedie, destinato agli inquisitori. Vista la posizione che ricoprivo, mi era stato riservato il posto centrale, alla mia destra si sarebbe accomodato Parris e verso i lati esterni gli inquisitori di rango minore.

Una bella folla di paesani era venuta ad assistere al processo e venne fatta accomodare in piedi, dietro a due piccoli pulpiti, uno per la strega e uno per il testimone.

Appena fummo pronti, il capo inquisitore fece il solito discorso di apertura, pieno zeppo di sciocchezze su Dio e sul demonio, dando poi ordine di far entrare la prima strega; Sara sarebbe stata l'ultima.

Arrivata al suo posto, le furono tagliati i legacci con cui le avevano immobilizzato i polsi e Parris procedette a presentarla e a leggere i capi d'accusa. Era ovviamente sospettata di aver fatto sfoggio di stregoneria e a testimonianza venne chiamata una donna del paese, che raccontò di come le fosse venuto a mancare il latte dopo che l'accusata avesse fatto i complimenti a suo figlio; un maleficio, senza dubbio, almeno a detta della donna. La strega iniziò a difendersi dalle accuse infondate, ma fu zittita e portata prontamente via per far posto alla seconda.

Anche per lei l'imputazione fu pressappoco la medesima, ma non mostrai il minimo interesse nei suoi confronti né dissi nulla, lasciando al capo inquisitore l'onere e il piacere di condurre quel processo.

Quella farsa era tremendamente noiosa e palesemente artefatta, quasi patetica, se non fosse stata per le vite che stava portando verso la distruzione.

Poi entrò Sara.

Camminava lenta, ostentando dignità, tenendo la schiena ben dritta e immediatamente notai che qualcosa sul suo viso non andava: sebbene si fosse ripulita aveva il labbro spaccato e un accenno di livido sullo zigomo. Questo per quello che era visibile, da momento che era impossibile dire cosa potesse nascondersi sotto il semplice abito che le avevano dato per coprirsi.

Era comunque molto bella, nonostante tutto, e questo non deponeva a suo favore; attirare l'attenzione su di sé in quel modo era quasi sempre sintomo di un incanto in corso.

L'inquisitore Parris sembrò infervorarsi alla sua entrata. Tutto il processo era una messa in scena per punire lei per il suo rifiuto, era evidente. Lesse i capi d'accusa: esercizio di stregoneria, ovviamente, concubina del diavolo, istigazione alla perversione e all'omicidio e tanti altri a seguire.

Le liberarono i polsi, ma lei non disse neanche una parola, si limitò a starsene in silenzio e a capo chino, consapevole che, se avesse alzato lo sguardo su qualcuno dei presenti, ne avrebbero approfittato per accusarla di stare provando a incantare il malcapitato.

Venne chiamato il testimone: uno zotico, un uomo grosso e rude che la guardò con estremo disprezzo.

Restai in silenzio, sedendomi meglio sulla sedia per ascoltare cosa avesse da dire il mentecatto che avevano reclutato per convincere quella massa di ignoranti bifolchi della veridicità dei capi d'accusa.

L'uomo raccontò di come quella donna gli avesse fatto offerte lussuriose, cercando di persuaderlo a votarsi al suo padrone e offrendo in cambio il proprio corpo. Lui, da timorato di Dio quale era, aveva rinnegato il maligno e la strega lo aveva maledetto e poco tempo dopo sua moglie aveva perso il bambino.

Il testimone sputò su Sara per palesare la sua opinione di lei e l'unico motivo per cui non la colpì con la mano callosa fu l'impedimento del palchetto in cui si trovava.

La ragazza strinse le labbra, cercando di non piangere, ma non disse niente; a differenza delle altre due accusate non provò neanche a difendersi, consapevole di quanto fosse inutile. Reagire avrebbe solo aumentato l'odio dei cittadini nei suoi confronti e l'avrebbe messa di più in ridicolo oltre che più soggetta a punizioni corporali e percosse.

Lasciai che il processo arrivasse alla fine prima di prendere parola.

«Le tre donne sono colpevoli di fatti legati senza dubbio al maligno. Verranno giustiziate domani sera, con l'arrivo della notte, sperando che non piova» annunciai portando lo sguardo su Sara. «Ma prima verranno esaminate da un emissario del Vaticano, che si assicurerà della loro mancata purezza e troverà il marchio del demonio, segno indelebile della loro colpa. Domani verranno punite pubblicamente di fronte a tutti. In nome di Dio proveranno su loro stesse la croce di Gesù Cristo, nella speranza di salvare la loro anima. Sarò io stesso a cercare di redimere queste donne di fronte a voi, nonostante io sappia che l'unico modo per scacciare il maligno, dato il suo essere coriaceo, sarà la fiamma purificatrice» sentenziai gelido, senza staccare gli occhi da lei.

La ragazza chiuse gli occhi, ormai diventati lucidi e deglutì pesantemente, ma non si lasciò andare a scene teatrali, sapeva che era così che doveva andare e che nulla avrebbe potuto cambiare la sua sorte. Non mi guardò, neanche una volta, non guardava nessuno. Teneva lo sguardo basso e le mani strette in segno di preghiera: una preghiera silenziosa per trovare la forza di sopportare, di non cedere alla paura e alla disperazione, di non piegarsi al maligno, senza muovere le labbra; una strega non aveva il diritto di pregare, lo avrebbero scambiato per un maleficio di sicuro.

I paesani sembrarono soddisfatti per come era andato il processo e anche l'inquisitore Parris sorrideva serafico, guardandola con un ghigno crudele e compiaciuto.

Sogghignai anche io guardando l'inquisitore: se avesse saputo cosa avevo davvero in mente avrebbe fatto sparire quella smorfia divertita e vittoriosa dalla sua faccia molto velocemente.

«Portatela via e chiudetela assieme alle altre in cella. Questa notte date un ultimo pasto a tutte e tre; siamo tutti uomini di Dio e di fede, un ultimo pasto lo si concede a ogni nemico, in segno della nostra carità e senso di giustizia. Se lo rifiutano, sapremo che il maligno, incapace di accettare la grazia dell'onnipotente, alberga in loro» chiarì per poi lasciare la cattedra. «Abbiamo finito.»

La strega venne trascinata e sbattuta in cella in malo modo, assolutamente incuranti del fatto che potessero o meno farle male.

«Eccellenza, siete stato davvero grandioso, il vostro senso di giustizia è d'esempio e la vostra fede incrollabile.»

Quel viscido verme mi si mise alle calcagna per elogiare il mio operato, con l'unico risultato di alimentare la mia repulsione nei suoi confronti.

«A differenza della vostra, ma, dopotutto, ho vissuto situazioni molto peggiori di queste. Ho avuto modo di imparare a essere inflessibile con chiunque. Il mio unico scopo è quello di servire la volontà di Dio e sconfiggere il maligno» risposi senza guardarlo.

Se Kora mi stava osservando in quel momento attraverso il suo specchio, probabilmente si stava facendo delle grosse risate per tutte le sciocchezze che raccontavo su Dio. La immaginavo a sfregarsi le mani, impaziente di metterle sul maiale che mi seguiva.

«Che cosa fareste voi domani in pubblica piazza per punirle dei loro peccati e per mostrare a tutti che loro sono le serve del demonio?» domandai, fermandomi e voltandomi a guardarlo.

«Proverei con dei ferri roventi, eccellenza; è risaputo che le streghe non sentono dolore in alcuni punti. Oppure le farei frustare» mi rispose lui sornione, già pregustandosi la scena. «Sapete bene che non si può essere troppo cruenti con i cittadini, si impressionano facilmente, ma, al contempo, bisogna loro mostrare che non si ha pietà per chi vende il proprio corpo e il proprio spirito al maligno.» Non voleva rischiare una rivolta. «Inoltre, se ci si dimostra troppo drastici e severi nelle punizioni si rischierebbe di non arrivare al rogo e non vogliamo certo che quelle povere anime vadano perdute senza prima poter essere purificate dal fuoco.» Ciò che realmente voleva era solo soddisfare il proprio sadismo e i propri bassi e bestiali istinti.

«Le frustate penso che vadano bene. Mostrano il sangue al popolo ed è una punizione che la gente accoglie bonariamente.» Non avevo mai capito il senso dell'interesse per la carneficina che avevano alcune persone. Si eccitavano di fronte al sangue e alla violenza in maniera incontrollata. «La gente di Salem ha paura, è giusto che veda che ora non avranno più nulla da temere. Questa deve essere un'esecuzione che faccia capire bene a tutti che la menzogna, la corruzione, i peccati capitali, non sono accetti. Dio perdona, io no» precisai gelido.

«Dio perdona solo chi si pente, eccellenza, e quella ragazza, l'ultima in particolare, non sembrava affatto pentita delle sue azioni.»

Neanche lui, se per questo, e Kora ci teneva che le cose restassero così, in modo da poterlo avere tutto per sé. Lei aveva sempre odiato tutta la questione della redenzione, non le sembrava giusto che un uomo come l'inquisitore Parris potesse avere diritto al regno dei cieli solo perché si era pentito all'ultimo secondo. Dal suo punto di vista un uomo simile doveva pagare ed era mio compito far sì che lei potesse averlo.

«Siete un uomo devoto, in pochi sono come voi. Il mondo sarebbe un luogo migliore se seguissero tutti il vostro esempio» mentii senza guardarlo, sapendo quanto a un uomo del genere facessero effetto le lusinghe.

«Vi ringrazio, eccellenza, detto da voi significa molto.» Apprezzava la malvagità e il sadismo, chissà se avrebbe apprezzato ancora quando le parti si sarebbero invertite e fosse finito lui sotto le torture demoniche.

Lo lasciai alle sue faccende noiose, visto che doveva mettere a verbale quanto accaduto al processo e aggiornare il registro. Fu comunque un sollievo per entrambi allontanarci l'uno dall'altro.

Tornai dalle ragazze, entrando in silenzio senza farmi notare e vedere come stessero andando le cose.

Due di loro piagnucolavano, cercandosi a vicenda per darsi conforto. Non volevano morire e non volevano affrontare la tortura. Sara, invece, era silenziosa come sempre, nella sua cella, si stava togliendo lo sputo di dosso. Tirava su con il naso, sforzandosi di non piangere e sfregandosi furiosamente il braccio sugli occhi, come se la sua debolezza la irritasse.

«Avete dato loro l'ultima cena?» domandai alle guardie.

«Gliela stanno portando, eccellenza, una guardia è andata a prenderla, come avete ordinato.»

Proprio in quel momento fece il suo ingresso nel corridoio il preposto con tre scodelle di zuppa e tre pezzi di pane.

«Bene, sarò nella mia stanza, nel caso dovesse servire» dissi dirigendomi verso di essa senza degnarle di uno sguardo.

Non venni chiamato, che problemi potevano mai dare tre ragazzine spaventate? Così rimasi in attesa della mia collaboratrice, tuttavia si era ormai fatta sera e non si era fatta vedere. Con tutta probabilità si sarebbe fatta viva la mattina successiva e io quella notte avevo decisamente da fare con l'inquisitore.

Attesi che calasse il buio, in un orario nel quale fossi sicuro che dormissero tutti, per poi uscire dalla mia stanza utilizzando i miei poteri, in modo che le guardie non si accorgessero di nulla e fossero convinte che avessi passato tutta la notte nella mia cella.

Al sicuro, nel buio, mi recai di fronte alla casa dell'inquisitore, contando che stesse già dormendo e verificando che non ci fossero luci accese.

Ovviamente stava già riposando pesantemente tra le braccia di Morfeo, doveva essersi dato da fare con il vino quel maiale, visto come russava nel suo letto.

Sogghignai. Sarebbe stato divertente il giorno seguente vedere la sua reazione a quello che intendevo fare. Usai i miei poteri per avvicinarmi a lui, come un'ombra, e avvicinando la mano al petto che si alzava e abbassava iniziai a mormorare una sorta di incantesimo che si tramutò in una invisibile runa temporanea.

Lui non se ne sarebbe accorto, avrebbe continuato a dormire svegliandosi poi senza sentire la differenza. Russò appena un po' più forte ma di fatti non si svegliò. Appena finii arretrai di un passo, nascondendomi nelle tenebre della sua casa.

Rientrai nelle mie stanze, esattamente nello stesso modo in cui me ne ero andato, attendendo qualche istante per uscire dalla porta e andare a dare un'occhiata alle ragazze, premurandomi di farmi ben notate dalle guardie.

Le trovai a bere e gozzovigliare allegramente in prossimità delle celle. Erano tutti consapevoli che le streghe non esistessero davvero e che nessuno sarebbe andato a liberare le ragazze; era un compito semplice fare loro la guardia. Quando mi videro tuttavia misero giù i boccali e si affrettarono a raddrizzarsi e fingere un minimo di professionalità e contegno.

«Eccellenza!»

«State tranquilli, volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto» spiegai con tono cupo osservando poi le ragazze.

«Non hanno ricevuto visite.» Eppure al processo Sara aveva il labbro spaccato e un livido sullo zigomo e mi risultava difficile pensare che se lo fosse procurato da sola.

«Bene» risposi osservandole e celando i miei reali pensieri.

Non era solo l'inquisitore a essere rischioso per quelle ragazze, ma anche quelle guardie, visto che rispondevano agli ordini di Parris e che sembravano essere guidati dagli stessi bassi istinti animali. Per quanto non credessi fossero stupide, in preda all'alcol era facile perdere il controllo e non pensare alle conseguenze. Decisi, quindi, di restare a bere con loro, così da tenerli d'occhio di persona, per assicurarmi che non si accoppiassero come animali. Fino al giorno successivo dovevano restare illibate, almeno Sara.

«Posso unirmi a voi?» domandai indicando le brocche contenente il vino.

«Ma certo, eccellenza.» Si affrettarono a riempirmi un bicchiere, avevano paura di me e avrebbero fatto qualunque cosa per non contrariarmi e finire sulla pira insieme alle streghe.

Le ragazze dormivano, per loro era un grande miglioramento non dover stare all'aperto, sotto la pioggia battente.

Sara se ne stava sulla panca di legno, raggomitolata su se stessa, dando le spalle alla porta della cella.

Mi sedetti e iniziai a bere assieme a loro. Tanto sapevo che l'alcol non mi avrebbe fatto effetto quanto a loro, inoltre, avrei potuto ottenere qualcosa di interessante sull'inquisitore se li avessi fatti parlare.

Loro erano già parecchio in là con la sbronza, tuttavia, non erano a loro agio con me e non potevo dargli torto: una parola o un atteggiamento sbagliato e per loro si sarebbe messa molto male.

«Immagino che l'inquisitore sia felice di aver trovato altre streghe» osservai sarcastico mentre bevevo.

«Eccellenza, non è mai bello vedere giovani corrotte» mi rispose il primo con deferenza.

«L'inquisitore soffre molto per questa storia, soprattutto dopo la spiacevole vicenda di sua moglie e sua figlia» aggiunse il secondo.

«Sembra che il demonio si sia accanito contro di lui: prima la sua famiglia, poi si avvicina a quella ragazza e anche lei cade vittima del maligno.» Il primo diede un altro sorso, cercando nell'alcol il conforto.

«È ovvio, se passi tutta la vita a dargli la caccia lui coglierà ogni occasione per farti del male» lo giustificò il secondo.

«Che peccato però, una ragazza così giovane e graziosa, sarebbe stata una moglie perfetta, l'avrebbe sfoggiata più che volentieri con la comunità.» Il primo era decisamente più ubriaco del secondo che, a quelle parole, impallidì leggermente, guardandomi e temendo che considerassi il suo compare sotto l'incanto della strega.

«Voleva fare diventare la ragazza sua moglie?» domandai con disinteresse, come se stessi conversando amabilmente.

«Immagino di sì» mi disse la prima guardia. «Lui era rimasto vedovo da poco e le ronzava intorno. Certo lei è di umile famiglia, ma aveva altre qualità che avrebbero potuto compensare le sue origini. È un vero peccato che sia finita così, il maligno si porta via sempre le migliori.»

«Bhè almeno le fiamme la libereranno dal male che la opprime» constatò tristemente il secondo.

«Già, il maligno deve averle sicuramente detto di sedurlo» dedussi, lanciandole un'occhiata. «Un vero spreco.»

«Già, questo luogo è terrificante! Io lo dico sempre a mia sorella di evitare i boschi e di non parlare con gli sconosciuti, non si può mai sapere che faccia possa assumere il demonio; non voglio veder bruciare anche lei» ci confidò la prima guardia, continuando a tracannare. Di questo passo si sarebbero proprio addormentati.

«La cosa peggiore è che per purificarle bisogna arderle vive, sembra una morte orribile» riflettè il secondo.

«Urlano così tanto perché il maligno le abbandona» spiegò il primo, ormai sbronzo marcio. «Per fortuna mia sorella è brutta, è poco probabile che il maligno la scelga come amante, ma, parola mia, se fosse stata di bell'aspetto le avrei sfregiato il viso, così da tenerla al sicuro. Meglio così che arsa viva!»

Chissà se Sara ci stava ascoltando. Le altre due dormivano di certo, o si sarebbero lasciate andare a crisi isteriche; lei invece era sempre silenziosa, non avrei saputo dire se stesse dormendo davvero o se stesse solo fingendo.

«Se per voi questo luogo è così terrificante, sapendo che si tratta di uno dei posti più oscuri e tormentati, perché ci restate? Non vorreste portare i vostri cari lontano da qui? Al sicuro, altrove, dove il maligno non possa metterci le mani sopra?» domandai altalenando lo sguardo su di loro.

«Eccellenza, questa è casa nostra» mi disse il secondo.

«E poi a cosa servirebbe scappare? Il maligno ci seguirebbe e troverebbe comunque.» Il primo si sedette pesantemente, segno che l'alcol stava facendo il suo effetto.

«Il maligno è ovunque» ammisi. D'altronde ogni uomo aveva la sua parte negativa. «Ma ci sono posti più sicuri di questi.» Alzai le spalle con noncuranza. «Qui il male corrode e corrompe. Ci sono altre persone qui che sono devote al maligno, non solo loro» dissi guadando di nuovo Sara.

«Avete notato altre streghe, eccellenza?» chiesero un po' preoccupati, non tanto per la strega in sé, ma per l'identità dell'agnello sacrificale che avevo adocchiato, che poteva benissimo essere un loro caro o un loro conoscente.

Era facile prendersela con qualcuno che non significava niente per loro, tipo le tre ragazze in cella, discorso diverso quando si ha un legame con la vittima: sarebbero stati di sicuro meno propensi a spaccarle il labbro, anche se poco prima uno di loro aveva parlato di sfregiare il viso della sorella.

«Ho notato i segni del maligno su molti. Ho notato corruzione, paura e segnali» dissi bevendo. «Faccio questo lavoro da anni e so riconoscere chi si fa guidare dal male in persona.» Li osservai poi ad uno ad uno. «Ma non credo che i miei sospetti cadano su qualcuno della vostra famiglia.»

Volevo fargli credere che qualcuno nella comunità fosse il male, insinuare un dubbio che poi avrei concretizzato in un'accusa formale. Bastava dargli la giusta logica, il loro essere creduloni e la loro ignoranza avrebbe fatto il resto.

«In fondo qui ci sono state sempre streghe, non sono mai state debellare del tutto. Ogni volta che se ne uccide una o due sul rogo ne spunta un'altra. C'è qualcuno di più grande di loro che gestisce le cose dall'ombra, devo solo capire chi» dissi cupo assottigliando lo sguardo minaccioso.

«Vuole dire che il maligno è nella nostra comunità? Che non si avvicina alla nostra città solo per cercare concubine? Vive qui?» Li stavo spaventando ed era proprio quello che volevo.

Mi versai del vino, senza guadarli, stando in silenzio qualche istante per aumentare la tensione. «Per quale motivo credete che sia qui? Credete che mi sposti dal Vaticano per venire fin qui per tre banali streghe? Attraversando l'oceano e facendo un viaggio come questo?» Sbuffai una risata. «Vi posso assicurare che il maligno è qui. Magari non lui in persona, ma un suo emissario sta girando tra voi.» Tornai a guardarli, consapevole però che ciò che avevo appena detto era vero.

Mi guardarono a occhi sbarrati per poi vuotare i loro bicchieri e riempirli di nuovo. «Come possiamo riconoscerlo?» mi chiese il secondo piuttosto preoccupato.

«È molto difficile capirlo,» dissi bevendo «lo è anche per me. È scaltro e si nasconde bene. Dopotutto se non è mai stato scoperto è perché sa come confondersi tra la gente.» Il giorno dopo avrebbe saputo di quella discussione mezza comunità. Tutti avrebbero iniziato a sospettare di chiunque. «Ma non mi sfuggirà» Sorrisi assottigliando lo sguardo, soddisfatto per la riuscita dei miei piani.

Rivolsero un'occhiata alla cella di Sara. «Pensate che la messa a morte della sua amante lo attirerà allo scoperto?»

«Può essere, motivo per il quale dovete fare molta attenzione a lei» li avvertii tornando a guardarla. «È raro trovare donne a cui il maligno si leghi per davvero. Ovviamente con il rogo vengono purificate e non finiscono all'Inferno, quindi lui non può averle» spiegai tornando a guardare i ragazzi. «Provate a immaginare la sua rabbia e la vendetta su di voi.»

«Quella perfida strega!» sibilò uno dei due. «Ha attirato il maligno in mezzo a noi e la sventura su tutta la città! Ha ragione l'inquisitore Parris a volere che venga torturata, solo così possiamo mandare un chiaro messaggio al maligno e fargli capire che qui non è il bene accetto.»

Guardavano con odio e rabbia alla cella della ragazza. Se li avessi lasciati soli, Sara avrebbe passato di certo una pessima notte. Uno di loro sputò nella sua direzione.

«Vi sbagliate. Questo è uno degli altri errori che si fanno» intervenni, guardando la ragazza. «Ormai per la strega non c'è nulla da fare, ma non è stata lei a chiamare il maligno. Lui l'ha sedotta e lei ci è cascata, portando poi il suo marchio e il suo volere tra di noi. Chi ha davvero colpa è il messo del diavolo, lui l'ha corrotta» dissi tornando a fissarli con attenzione. «La conoscevate prima che diventasse la serva di Satana?» domandai lanciandole un'occhiata.

«L'abbiamo vista qualche volta, ma non si può dire che la conoscessimo bene.» Non mi sembravano convinti dalle mie parole, che lo avesse invocato lei oppure no restava pur sempre il motivo per cui il maligno frequentava la loro città.

«Non abitava nella comunità?» domandai inarcando un sopracciglio. «Salem è piccola, non ci sono molti abitanti, perché non la conoscevate?» chiesi incuriosito, tornando a guardarla.

«Era una ragazza molto riservata, aiutava in casa e dava una mano in chiesa, frequentava molto il reverendo» spiegò il secondo.

«Già, forse stava tentando di corrompere anche lui e non mi sorprenderebbe se fosse stata a letto anche con quel pover'uomo» malignò il primo.

«Non dire sciocchezze! Il reverendo è un timorato di Dio, è un uomo incorruttibile, non cederebbe mai alle profferte di una strega» lo difese il secondo. «Dobbiamo piuttosto stare attenti che non usi la sua stregoneria anche su di noi.»

«Non giacerei mai con una che è stata la puttana del diavolo» disse il primo disgustato.

«Vi consiglio di non avvicinarvi a lei: molto spesso possono chiamare il maligno per chiedere il suo aiuto, fate attenzione e non fidatevi mai di quello che vi dice» li avvertii, lanciandole un'occhiata. Mi sarebbe servito il giorno dopo che temessero di sentirla parlare. «Domani sentirò il reverendo, magari mi potrà dare qualche informazione in più su di lei» annunciai versandomi da bere.

«Non temete, eccellenza, sappiamo bene che le serpi sputano veleno!»

Sara si accovacciò di più su stessa e in quel momento ebbi la sensazione che fosse sveglia e che avesse ascoltato tutto.

«Non provocatela. So che lo avete già fatto, non sono uno stupido» dissi alzando lo sguardo su di loro. «Il mio è un suggerimento, poi se volete rischiare fate pure, ma non ve lo consiglio» li avvertii con un'alzata di spalle. «Sono qui per altre questioni e non ho voglia di star dietro a problematiche di maledizioni o quant'altro da risolvere» aggiunsi seccato.

«Cosa intendete con provocarla, eccellenza?» mi chiese il secondo.

«Dubito che un labbro spaccato e un livido sullo zigomo si siano fatti da soli. Non mi interessa chi o come l'abbia fatto, se lo merita dopotutto, ma non voglio trovarmi qualcuno che si svegli con un uccello vero tra le gambe. Non so se mi spiego» dissi lanciando un'occhiata a Sara.

Era risaputo nella credenza popolare che le streghe fossero capaci di trasformare il pene di un uomo in una testa di corpo vivo. Un'altra delle assurdità che gli inquisitori, o me in questo caso, spargevamo in giro.

«Eccellenza, l'abbiamo trovata già così al cambio del turno» si giustificò il secondo.

«Se dovesse azzardarsi a fare una cosa simile gliela spaccherei davvero la faccia.» Il primo, sbronzo marcio si portò la mano libera dal bicchiere alla patta per assicurarsi che fosse tutto in ordine come sempre, suggestionato dalla mia storia.

Ridacchiai divertito. «Non puoi lamentarti di essere morso da un cane se sei tu stesso che lo provochi, non credi? Basta lasciarla in pace, tanto domani riceverà quello che le spetta.»

«E se maledicesse la città prima di essere bruciata?» chiese il secondo spaventato. «Ho sentito di alcune streghe che hanno lanciato maledizioni mentre avevano il cappio intorno al collo.»

«Magari l'inquisitore potrebbe farle saltare i denti per evitare la possibilità» suggerì il primo.

«Non lo farà, se potessero avere un potere simile, di maledire le città intere, saremmo già tutti all'inferno. Inoltre ci sono io, può fare ben poco» chiarii con un'alzata di spalle. «Ho combattuto con demoni molto più potenti e pericolosi di lei.» Che di pericoloso in realtà aveva poco e niente. Erano solo un branco di creduloni.

«Mi sentirò meglio quando sarà diventata un mucchietto di cenere.» La guardia finì di scolarsi ciò che restava del vino per poi posare rumorosamente il boccale sul tavolino in legno e senza trattenere un rutto liberatorio.

«Anche io» dissi terminando a mia volta il vino. «Se volete farvi una dormita non vi preoccupate, fate pure. Io ho già dormito abbastanza e ormai è quasi l'alba» mi offrii, tornando a guardare le ragazze.

«Non so se possiamo...» alternavano lo sguardo tra me e le celle, ma non vedevano palesemente l'ora di andarsene a letto. Mancavano quasi un paio d'ore all'alba, quando ci sarebbe stato il cambio della guardia e loro si sarebbero risparmiati più che volentieri quelle due ore in presenza delle streghe, soprattutto dopo tutto quello che avevano bevuto e quello che avevano da me ascoltato.

«Credo di avere il più alto grado qui dentro da potervi dire che non ci sono problemi al riguardo. Se avessi voluto lamentarmi di voi lo avrei già fatto per il vino» osservai sistemandomi meglio sulla sedia, poggiando le mani intrecciate dietro la nuca. «Ma se volete restare a fare la guardia, per me è indifferente.»

I due si diedero un'altra occhiata, cercando di capire se fosse una qualche sorta di prova, ma evidentemente non era la prima volta che qualcuno chiedeva loro di essere lasciato da solo con le prigioniere per cui si risolsero ad accettare la mia offerta con un'alzata di spalle. «Buonanotte, eccellenza» mi salutarono, prima di andare via, portandosi via le bottiglie vuote e lasciandomi l'ultima piena a metà.

Aspettai qualche istante per poi avvicinare la sedia alla cella di Sara, continuando però a tenere d'occhio le altre due.

«So che sei sveglia.»

Erano state messe tutte in celle separate in modo che non unissero i loro poteri. Le altre due dormivano, erano esauste dopo quello che avevano affrontato, al punto che erano letteralmente crollate, ma lei era vigile, tuttavia non mi parlava, dopo quello che mi aveva sentito dire non mi stupiva.

«Sara» La chiamai con tono secco e autoritario. «Avvicinati, ho alcune cose da dirti» dissi incrociando le braccia al petto, cercando di dimostrarmi impassibile.

Voltò appena il viso umido, asciugandosi le lacrime sul braccio. Mi rivolse uno sguardo carico di risentimento e delusione e non fece assolutamente niente per nasconderlo. Lo avevo fatto per salvarla, ma in quel momento non poteva capirlo.

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