Capitolo 45: Brucia

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Mi fu detto che la ragazza era stata portata a casa sua e che il reverendo stava assistendo la famiglia nel difficile momento. Rose era con loro, come avevo ordinato, intenta a mantenere in vita quella fragile anima per conto mio, in modo da tenerla lontana dalle grinfie del Paradiso.

Li raggiunsi senza difficoltà, facendomi indicare la strada dai paesani ancora turbati per quanto accaduto con l'inquisitore e le tre presunte streghe. Ci sarebbe voluta qualche ora prima che fosse tutto pronto per processare quel bastardo e spedirlo nel posto che lo reclamava con impazienza.

Avevo il tempo per andare da lei a cercare sollievo per il mio spirito tormentato dall'oscurità, che in quelle ore lo sentivo volermi divorare dall'interno.

Di solito non frequentavo gli umani, avevo rapporti con loro quanto bastava per i miei scopi. Sapevo bene quanto fosse inutile legarsi a esseri così fragili e dalla breve esistenza. 

C'è un motivo se gli esseri immortali come noi non dovrebbero mai affezionarsi a niente o nessuno, o almeno non quando il rischio di perdere tutto diventa inevitabile.

Sara abitava in una piccola casetta con i suoi genitori e un fratello che era appena un bambino.

La sorella intermedia era stata portata via da una violentissima febbre tifoidea che aveva mietuto molte vite, forse troppe, qualche anno prima. 

Sua madre era fuori, sciolta in una inconsolabile valle di lacrime. Una donna cicciottella e terribilmente emotiva, al punto che le avevano impedito di assistere al processo; quando aveva visto il reverendo e Rose trasportare la ragazza in quelle condizioni era svenuta e non era riuscita a fare altro se non restarsene fuori a piangere e singhiozzare. Difficile a dirsi se per il timore di poter perdere un'altra figlia o per l'orrore che potesse sopravvivere in quelle condizioni dopo essere stata accusata di stregoneria. Suo padre era un uomo magro e anziano, aveva sposato sua moglie dopo essere rimasto vedovo. Se ne stava fuori anche lui, con il cappello in mano, cercando insieme al reverendo di dare conforto all'inconsolabile donna.

Dentro con lei c'era Rose, che probabilmente stava percependo la mia oscurità avvicinarsi.

Lungo la strada avevo appreso che le altre due ragazze erano tornate sane e salve alle loro famiglie, sebbene piuttosto scosse, ma la notizia non mi aveva dato la benché minima emozione, confermandomi ulteriormente quanto la ragazza che mi accingevo a visitare fosse diversa e speciale e quanto mi stesse ossessionando.

Guardai il reverendo e i genitori di Sara senza dire nulla, mantenendo il mio cipiglio freddo e distaccato.

«Come sta?» chiesi solamente con tono neutro quando la loro attenzione si spostò su di me, mentre a stento tenevo a bada le tenebre che mi divampavano dentro.

«Eccellenza» sentii dire da Rose alle mie spalle, accorsa dopo aver percepito l'animo oscuro che mi cresceva dentro e che minacciava di riversarsi su Salem.

«Dobbiamo ringraziare che sia potuta tornare a casa» asserì il reverendo palesando la sua gratitudine e la sua affezione per la ragazza mentre la madre si lasciava andare a una crisi di pianto isterica.

«Sarebbe meglio se entraste» insisté la mia socia mentre la donna grassoccia si disperava.

«Perché il Signore l'ha salvata dal rogo per farla morire così?» chiedeva tra i singulti sua madre in preda a una crisi. 

Mi sono chiesto la stessa identica cosa per oltre quattrocento anni e tuttora, a volte, non posso fare a meno di domandarmelo.

«Ora la sua anima è salva, dobbiamo essere felici per questo e continuare ad avere fede.» Cercava di rincuorarla il reverendo.

Li ignorai completamente ed entrai in casa osservando la demone. «Che cosa c'è?»

«Gli umani sono insopportabili,» commentò in un borbottio, chiudendosi la porta alle spalle, «sanno solo piagnucolare senza rendersi mai utili.» Era piuttosto disgustata da quel quadretto che c'era fuori e, allo stesso tempo, intimorita dal mio essere. «Le ho pulito le ferite come avevi chiesto, ma non ha ripreso conoscenza; la schiena è uno spettacolo raccapricciante e sarà anche peggio nei prossimi giorni; l'ematoma sul fianco è notevolmente peggiorato e le è salita la febbre» mi spiegò incrociando le braccia. «Se tu ne fossi davvero capace, ti direi di darle l'estrema unzione perché non so se si sveglierà più, per lo meno non con quei tre rammolliti piagnucoloni che sono lì fuori a tenere le mani in mano» valutò con tono calmo e sarcastico.

«Esci e non farli entrare per nessun motivo» ordinai sospirando. «Vedrò se posso fare qualcosa o se toglierle la vita definitivamente. Come tu hai detto, se lei morisse, Kora non sarebbe affatto felice; Sara andrebbe dritta in Paradiso e non da semplice anima comune.»

Era pura e credente come poche persone, sarebbe stata un'anima molto potente e sebbene quella fosse una motivazione più che valida per salvarle la vita, la semplice realtà era che avevo ancora bisogno della sua luce, non volevo che si spegnesse definitivamente. Le avevo detto che non avrei fatto nulla per salvarla e solo in quel momento mi resi conto di aver mentito innanzitutto a me stesso, visto che non avevo nessuna intenzione di lasciarla morire.

«Cos'hai intenzione di fare?» mi chiese la demone, sospettosa. «Non starai pensando di guarire miracolosamente le sue ferite, vero?» domandò avvicinandosi. «L'hanno appena scagionata da un'accusa di stregoneria e se guarirà miracolosamente questi quattro contadini ignoranti non ci penseranno due volte prima di bruciarla viva!»

«Le impedirò di morire. Ovviamente non posso guarirla magicamente o sospetteranno anche di me» bisbigliai lanciandole un'occhiata. «Oppure credi sia meglio che muoia e ascenda in Paradiso?»

«Sta attento, mietitore, qui la gente non ragiona molto» mi ammonì aprendo la porta e uscendo fuori, lasciandomi da solo con lei.

Sara era sul letto, dietro un telo per separarla dal resto della casa. Era stesa a pancia sotto e con la schiena scoperta. Le avevano messo degli stracci bagnati che si stavano macchiando di sangue, rivelando il disegno che nascondevano e che io stesso le avevo impresso nella carne a frustate. Respirava a fatica, sia per la febbre che per le costole rotte, e il suo volto era arrossato dal male che la stava facendo bruciare, divorando a poco a poco la sua fragile vita e portando la sua luce sempre più lontana da me. Del suo sorriso non c'era più neanche l'ombra e questo era ciò che restava della ragazzina solare con cui avevo chiacchierato la notte precedente.

Mi passai una mano sul volto, stanco, prendendo una sedia e avvicinandola al letto. Mi sedetti per poi tendere una mano sulla sua schiena nuda, mi sarei permesso di toccarla per fare in modo da rimandare il suo appuntamento con la morte.

Ci avrebbe messo del tempo a rimettersi, mesi probabilmente, e forse non sarebbe mai tornata ad essere quella che era stata, sia nel corpo che nell'animo; con quello che le avevo fatto l'avevo distrutta, ma almeno sarebbe sopravvissuta.

Le sistemai immediatamente le costole, in modo che respirasse con meno fatica e dolore, per poi passare alle parti più gravi sulla schiena. Fermai le emorragie di sangue, pur lasciando le ferite aperte. Dovetti impegnarmi non poco per ritirare la mano dalla sua schiena devastata e non cancellare tutto il male che le avevo fatto.

Finii in fretta, anche se sembrava che non le avessi prestato nessuna cura, era necessario che sembrasse così se volevo salvarle davvero la vita. Ora dipendeva unicamente dalla sua voglia di vivere e dalla capacità del suo corpo e della sua mente di guarire e dimenticare.

Mi fermai a guardarla qualche attimo, domandandomi perché fossi lì ad aiutarla. Avevo lasciato morire centinaia di persone, eppure lei mi dispiaceva lasciarla andare. Era palese come stessero davvero le cose, ma non riuscivo ad ammettere a me stesso che dopo secoli c'era finalmente qualcosa a cui tenessi, era più semplice raccontare che avevo bisogno della sua luce per controllare le mie tenebre prima che mi consumassero.

Mi sentivo colpevole delle sue ferite, anche se erano servite allo scopo di catturare quel bastardo. 

Ci tenevo che vivesse. Ci tenevo a chiederle perdono per ciò che le avevo fatto, nonostante mi avesse detto che non dovevo pormi domande la riguardo. Volevo che me lo dicesse ancora.

Attesi ancora un po' prima di assicurarmi che il respiro si fosse fatto più tranquillo e avesse riacquistato un ritmo normale, mentre senza neppure rendermene conto le spostavo una ciocca di capelli dietro l'orecchio per soffermarmi su quel viso pallido e maltrattato.

Quando mi resi conto di quel gesto mi alzai quasi di scatto, sorpreso da me stesso, girandomi e uscendo quindi rapidamente dalla casa. Forse era davvero la strega che tutti credevano e io una vittima del suo sortilegio. Sentivo il bisogno di sottrarmi al suo potere che mi attirava come una fiamma tira a sè la falena se non volevo correre il rischio di perdere il controllo e venire consumato.

Gli abitanti della casa mi guardarono perplessi mentre Rose si affrettava a raggiungermi. «Eccellenza come è andata? Come avete trovato la ragazza?» Finse apprensione nel tono della sua voce quando in realtà il suo unico intento era sapere se fosse ancora viva.

«La ragazza è messa male e non so se supererà la notte, dipende solo da lei» risposi osservando la demone e poi la famiglia di Sara, cercando di tenere per lontani i pensieri di poco prima. «Per quanto possa valere, cambiategli le bende tenendole pulite, bollitele nell'acqua benedetta dal reverendo prima di metterle sulla ferita per purificarle dal male con cui l'inquisitore ha cercato di corromperla» spiegai pensieroso. «Ora dipenderà tutto da quanta voglia di vivere lei abbia.»

Nel dirlo mi tornò alla mente il suo desiderio di essere sepolta sotto l'albero vicino alla chiesa, ma non doveva accadere, non adesso, era troppo presto, c'erano ancora tante cose che doveva fare, lo aveva detto lei, avrebbe lottato, ne ero sicuro, o almeno volevo crederlo. Avrei potuto aiutarla un po' alla volta, accelerando il suo processo di guarigione, non troppo per non dare nell'occhio, ma abbastanza da farla sopravvivere e ristabilire. Dovevo solo imbrogliare quella gente e tornare ancora in quella casa, dovevo far credere loro che le preghiere e la morte del diavolo potevano aiutare Sara, al resto avrei pensato io. Se agivo con discrezione potevo salvarla senza dare nell'occhio e forse così avrei meritato davvero il suo perdono.

La madre, nel sentirmi parlare così, ebbe un'altra crisi di pianto che il reverendo si affrettò a consolare mentre Rose aspettava solo l'ordine di andarsene da quella casa lacrimosa. Ignorai l'intero quadretto, demone compresa, considerato che al momento Nancy era la sua miglior chance per sopravvivere.

«Rimani con loro» ordinai infatti alla demone accennando un sorrisetto. Immaginavo che avrebbe di gran lunga fatto una visita a Parris piuttosto che rimanere là. «Vado a terminare il lavoro» annunciai con un cenno del capo a mo' di commiato prima di tornare verso la cittadina e il palazzo dell'inquisizione.

La demone mi rivolse un'occhiata di fuoco e assottigliò lo sguardo, non voleva restare lì, ma non mi avrebbe disobbedito, dopotutto doveva mantenere la copertura e una serva di Dio deve trovarsi dove c'è bisogno di lei.

Tornato al palazzo appresi che quel maiale aveva urlato e farneticato per tutto il tempo, raccontando di Satana che era apparso con le sue ali nere per strappargli il cuore e controllarlo solo per salvare dal rogo la sua amante.

Un mezzo sorriso mi sfuggì nel pensare a quell'idiota, ormai completamente andato. Non serviva neppure torturarlo, finito il processo l'avrei direttamente fatto ardere sulla pira e al resto ci avrebbe pensato Kora.

Nel vedere Sara in quelle condizioni avevo completamente perso il desiderio di torturarlo, volevo solo che sparisse quanto più in fretta possibile, che non fosse più un pericolo per lei e che quella ragazza potesse avere la giustizia che meritava e che il Dio in cui credeva non le avrebbe mai dato.

«Preparate il rogo in piazza mentre facciamo il processo. Abbiamo già visto abbastanza male oggi» ordinai mentre entravo a recuperare Parris dalla sua cella, guardandolo con un sorriso sarcastico e maligno. «Sei pronto, piccolo verme strisciante?» domandai assottigliando lo sguardo.

Lui urlò, ritraendosi da me, grattando con le dita la parete come se potesse forarla per scappare, completamente in preda al terrore.

«Ecco, il verme del mondo che si mostra per ciò che è davvero» sospirai esasperato guardando le guardie. «Non vi farà nulla. Legategli le mani e portatelo nella sala dei processi. Verrò con voi, non vi preoccupate» spiegai per poi anticiparli.

«No! No! Non mi toccate! Non voglio seguire il maligno! Lasciatemi!» urlò cercando di divincolarsi dalla presa di coloro che una volta erano stati ai suoi ordini.

Le guardie dovettero trascinarlo per quanto si dibatteva urlando e io ne fui divertito oltremodo, visto che non poteva esserci una dimostrazione migliore di possessione demoniaca e stava facendo tutto da solo.

Tornai serio, anche se a fatica, mentre entravo nella sala dei processi sotto gli occhi curiosi e al tempo stesso spaventati dei paesani. Indicai alle guardie di legarlo al banco degli imputati e poi precedetti con l'inizio di quella che sarebbe stata la sua fine.

Chiamai a testimoniare le guardie, domandandogli cosa lui ordinava venisse fatto alle ragazze che accusava di stregoneria, oltre ai vari motivi per cui lui le sceglieva. Mi soffermai soprattutto sul capire se fosse stato sempre lui a suggerire che quelle povere ragazze fossero possedute.

Venne fuori molto marcio, offerte oscene, menzogne, ricatti, sia alle ragazze che alle loro famiglie; giovani di cui si era liberato perché annoiato o perché lo avessero rifiutato, una addirittura gravida forse di lui stesso. Ragazzi fatti dichiarare stregoni per ottenere la possibilità di avvicinarsi alle loro sorelle o alle mogli. Ricatti alle guardie e sevizie alle ragazze, eresia, corruzione, manipolazione, falsa testimonianza dopo aver giurato sul sacro testo e tanto, tanto altro.

Ascoltai tutto con soddisfazione per poi tornare a guardarlo sorridendo minacciosamente.

«Ammetto che vorrei deliziarti con torture che neanche immagini, ma dove andrai adesso non riusciresti neppure a sospettare cosa possa attenderti» gli dissi guardando poi le guardie. «La pira è pronta?»

«È pronta, eccellenza» mi confermarono. «Aspettiamo solo il vostro verdetto.»

«Dichiaro Parris colpevole di eresia, di essere un seguace del maligno e di aver portato a Salem solo morte, sofferenza, dolore e distruzione. Con la sua morte, grazie alle fiamme purificatrici, metteremo fine a tutto questo una volta per tutte» dichiarai stringendo le dita sul legno del tavolo, sporgendomi verso di lui. «Portatelo fuori e legatelo al palo» ordinai, osservandolo senza distogliere lo sguardo.

«No! No! Non sono io il diavolo! Vi state sbagliando! È Lui! È Lui!» Non aveva avuto pietà di tutte quelle donne, né di Sara, e io non ne avrei avuta con lui. Avrei reso Salem un posto sicuro dove quella ragazza avrebbe potuto vivere serena la vita che le avrei restituito.

Le guardie trascinarono fuori quel maiale urlante e scalciante e lo legarono al palo mentre ancora farneticava sulla vera identità del maligno.

Presi una delle torce avvicinandomi a lui. Ormai era già calata la notte e il riverbero della luce del fuoco dava al mio volto un aspetto ancora più inquietante e cupo. Non dissi nulla, nessuna parola di addio o commiato. Non ce ne era bisogno. Buttai la torcia sulla legna, guardando gli altri presenti che ne erano muniti, indicando la pira con le mani come a invitarli a fare lo stesso.

Uno dopo l'altro lanciarono le loro torce. Parris urlava, ma nessuno lo avrebbe salvato. Le fiamme iniziarono ad alzarsi così come le sue urla agonizzanti. Lo aveva fatto a così tante ragazze e lo avrebbe fatto anche a Sara se non lo avessi fermato, ora stava vivendo in prima persona quello che si provava. Gridò disperato a lungo, poi le urla si spensero e rimase solo il crepitio delle fiamme, festeggiato dalle grida gioiose del popolo convinto di essersi definitivamente liberato dal male che lo affliggeva. Kora gli aveva di certo preparato un benvenuto con i fiocchi e per una volta fui felice di lasciare un'anima alle sue cure.

Quella sera al villaggio avrebbero festeggiato la sconfitta del maligno, mentre Sara lottava ancora per non lasciare questo mondo.

Mi spostai dalla pira del fuoco e lasciai la gente a festeggiare, tra urla e grida di giubilo. Mi diressi verso la casa della ragazza che avevo salvato, con la scusa di andare da Rose, anche se l'intenzione era di assicurarmi delle sue condizioni. Dovevo dirle che poteva stare tranquilla, che quell'uomo non l'avrebbe più tormentata.

Quando Rose mi vide fu decisamente contenta, non ne poteva più di quel luogo e degli umani che la abitavano.

«Allora, quel bastardo è morto?» mi chiese la falsa religiosa, lontano da orecchie indiscrete. «Ho sentito la sua sudicia anima discendere. Spero che Kora non ci calchi troppo la mano prima del mio arrivo, voglio divertirmi anche io con lui.»

«Domani mattina potrai già andartene. Io continuerò a cercare altre anime da portare alla Nera Signora,» risposi con un'alzata di spalle «o un Nephilim, se avrò fortuna. Per ora possiamo definire chiusa la parentesi inquisizione; Parris era l'ultimo» affermai guardando la famiglia della ragazza. «Porta in piazza il reverendo e i genitori di Sara, che si svaghino un po'. Darò io un'occhiata a lei nel frattempo, non dovrebbe più essere in pericolo di vita» ordinai alla demone, volendo restare solo con la fanciulla.

«Ha riposato più tranquilla ma è ancora febbricitante.» Le diede un'occhiata prima di tornare a me. «Non vedo l'ora di lasciare questo posto e tornare ai miei svaghi. È terribilmente noioso essere una suora.» Si voltò per raggiungere il reverendo e i genitori della ragazza e portarli via, in modo da lasciarmi un po' di intimità come avevo chiesto.

Ora che era tutto finito mi sentivo stanco, ma sollevato. Ogni volta che portavo a termine una missione per gli Inferi avevo la sensazione di un cerchio che si chiude, assieme a una sorta di vuoto che aleggiava attorno. Gli umani festeggiavano la fine del male, ciò che per loro era stata una sciagura che aveva portato via i loro cari, i loro amici e le loro famiglie, mentre io, ogni volta che consegnavo un'anima, sentivo portarmi via un pezzo della mia umanità, ma non quella volta. 

A Salem era successo qualcosa di diverso. A Salem avevo incontrato Sara.

Mi sedetti di nuovo accanto al suo letto e controllai le bende e le ferite. La febbre era diminuita, sebbene l'avesse ancora e le lacerazioni sulla sua pelle erano aperte come le avevo lasciate.

Quella gente non era in grado di prendersi cura di lei, l'avrebbero di certo lasciata morire. Dovevo accertarmi che si riprendesse poi sarei potuto andare via. Avrei dovuto mentire a quei contadini zotici e ignoranti e dir loro che il pericolo non era debellato del tutto e che il maligno aleggiava ancora sulle nostre teste cercando di prendere possesso della ragazza ora che era debole. Avrei potuto convincerli a lasciarla alle mie cure finché non fosse stata abbastanza forte da rinnegarlo definitivamente.

Avrei detto qualsiasi cosa per avere un motivo convincente che mi consentisse di tenere accesa la fiamma della sua vita.

Il suo respiro era più regolare di quanto lo era stato al mattino e questo mi confortava. Aveva affrontato tutto quel calvario preoccupandosi di quello che poteva accadere a me, piccola sciocca, e ora era lei a essere ridotta così.

La colpa era mia, solo mia, l'avevo flagellata io e le guardie l'avevano picchiata per colpa mia.

Curarla era l'unica cosa che potevo fare per saldare il debito che avevo verso di lei. Non avevo altre alternative. Con i miei poteri avrei potuto farlo subito, ma non potevo fare miracoli davanti a quei contadini. L'unica possibilità era fargli credere che avessero ancora bisogno di me.

Le risistemai le fasciature e misi sulle ferite alcune erbe officinali per lenire il dolore e facilitare la guarigione. Quando finii tutto chiusi gli occhi chinando il capo, rilassandomi da tutta la tensione tenuta quei giorni e sentendo la stanchezza avvolgermi.

Non era mai stato un problema non dormire per giorni, ma ora che era tutto finito e con il tepore del fuoco assieme al senso di tranquillità dallo scampato pericolo mi fecero cadere rapidamente in un dormiveglia.

«Low.» Mi svegliò Rose qualche ora dopo. «Scusa se interrompo il tuo pisolino, ma il reverendo vuole sapere se è consigliabile che stiano loro con la ragazza o se è meglio che la assista tu. Nel caso, il reverendo ospiterà la famiglia della ragazza per stanotte e domani te la sbrigherai con lui.»

«Digli che è meglio che l'assista io» risposi, passandomi una mano sul volto. «Domani poi mi metterò d'accordo con loro per le sue cure» mormorai tornando a guardarla, quasi non volessi disturbare il sonno della ragazza. «Puoi dirgli però che è fuori pericolo, ma servono dei riguardi particolari e loro non hanno un medico o un cerusico capace di aiutarla.»

«Credono che le streghe esistano davvero, questi non sanno neanche cosa sia un medico» osservò sghignazzando. «Divertiti con quella ragazzina. Io penso che approfitterò della tua stanza al palazzo dell'inquisizione.» Mi strizzò l'occhio, felice di non dover badare più agli umani. Non giudicava, nessuno all'Inferno lo faceva e non credo le importasse quali fossero le mie reali intenzioni. Era decisamente semplice lavorare con i demoni da questo punto di vista.

«Sicuramente troverai più comodità che su una sedia» le risposi sogghignando. «Porta i miei saluti a Parris quando lo vedi.»

Non sapevo quando l'avrei rivista, né quando sarei sceso all'Inferno, sempre se non fosse stata impegnata sulla terra a portare discordia e problemi di varia natura, ma al momento mi premeva più la vita della ragazza che avevo di fronte, quella piccola e fragile creatura che si era attaccata alla vita con le unghie e con i denti.

«Passerò a salutarti domani prima di partire, mietitore.» Mi diede un'occhiata. «Fossi in te mi stenderei sul letto, le sedie sono terribilmente scomode e dubito seriamente che possa svegliarsi durante la notte.» Valutò dando un'occhiata alla pelle rossa e livida della schiena martoriata. «Francamente è meglio se dorme, non sarà affatto piacevole essere sveglia. Buonanotte, mietitore, è stato un piacere lavorare con te e chissà che in futuro non possa ricapitare» mi salutò andandosene in una nuvola di fumo nero e lasciandomi di nuovo solo.

Il letto era piccolo ma avrei potuto dormirci comunque assieme senza disturbarla, tanto mi sarei svegliato non appena avessi sentito qualche cambiamento da parte sua. Inoltre, ero il messo del diavolo, la personificazione stessa di morte e peccato, non aveva importanza se a lei desse fastidio o meno, o almeno era quello di cui provavo a convincermi.

Attesi qualche minuto prima di spostarmi dalla sedia al letto, stendendomi accanto a lei senza toccarla o farle del male. Aveva un profumo strano, diverso da molte altre donne con cui ero stato, ma lo trovai terribilmente piacevole anche se era ancora sporca di sangue e di sudore. Eppure quel suo particolare odore lo sentivo nitidamente più degli altri, doveva essere il profumo della luce.

Il suo respiro tranquillo mi rilassò più di quanto potessi immaginare, c'era una strana pace lì dentro, un senso di benessere. Il crepitio delle fiamme del focolare mi stava letteralmente cullando. Il male non era mai sembrato così lontano e per la prima volta da anni mi sentii davvero sereno. Non ricordavo neppure da quanto tempo non mi sentissi più così, da quanto non mi trovassi in un luogo tranquillo e privo di intrighi, male e oscurità, dove poter godere un momento di pace solo per me.

Ero sempre vissuto con il solo obiettivo di cercare la prossima anima e terminare il mio lavoro. Non mi ero mai fermato a pensare a cosa sarebbe successo dopo, una volta portato a termine al mio compito e posto fine al mio contratto. Non avevo niente e nessuno ad aspettarmi nel mondo dei vivi e all'epoca stavo seriamente prendendo in considerazione l'idea di accettare l'offerta di Kora e condividere con lei il Nero Trono e il potere sugli Inferi. 

Sara cambiò in un solo istante le regole del gioco e per la prima volta in tutta la mia esistenza mi diede un vero obiettivo, un ponte con il mondo dei vivi, qualcosa che potesse darmi una ragione per tornare alla mia vita mortale. Non mi importava neanche, in quel momento, cosa sarebbe accaduto dopo, a dire il vero, perché il presente era già qualcosa di straordinariamente strano e inatteso.

Mi addormentai vicino a lei e mi sembrò una delle cose più naturali che potessi fare. Dormii bene come non lo facevo da tempo, di solito sempre in dormiveglia e attento a ciò che mi stesse attorno. Da quando ero diventato il mietitore avevo smesso di avere un vero sonno in cui riposavo e, considerato chi ero, non ne avevo neanche poi così tanto bisogno. Ma, ora che ci ripenso, Salem è stato l'unico luogo in cui io mi sia mai sentito davvero in pace, dove non c'era pericolo; l'unico posto capace di far abbassare persino le mie difese.

Il mattino dopo ero perfettamente riposato e quando sollevai le palpebre incontrai un paio di occhi castano dorato piuttosto confusi e febbricitanti. Sara si era svegliata e mi stava osservando, probabilmente chiedendosi se fosse morta o se fossi solo il frutto di un delirio.

La guardai per un attimo, restando immobile senza fare assolutamente nulla. Per la testa non avevo nulla tranne che un enorme senso di sollievo. Neanche mi passò per la testa il fatto che non mi fossi resi conto prima che fosse sveglia. Ci misi un attimo a decidere di alzarmi e mettermi seduto sul letto, continuando a osservarla.

«Sei sveglia.»

Mi guardò aggrottando la fronte con una smorfia di dolore, cercando di capire se quanto ascoltato fosse reale e di mettermi a fuoco.

«Che cosa è successo?» Non riusciva ad alzarsi così ridotta, ma non sembrava arrabbiata, solo dolorante e febbricitante. «Mi fa male la schiena.»

«Lo so, resta ferma. Il dolore è dovuto alle ferite delle frustate» dissi alzandomi in piedi. «A quanto pare tra la vita e la morte hai scelto di continuare a vivere» osservai spostandomi alla piccola cucina per prendere un bicchiere di ceramica e riempirlo con dell'acqua, per poi portarglielo. «Devi bere! Cerca di muoverti il meno possibile» le consigliai, avvicinandole il bicchiere alle labbra screpolate.

«Sono ancora viva» affermò incredula lasciandosi aiutare. «Quando verrò bruciata?» Era rimasta incosciente tutto il tempo, non poteva sapere cosa fosse accaduto nel mentre.

«Non verrai bruciata. Ieri ho messo al rogo Parris e posto fine all'inquisizione qui a Salem» sentenziai, facendola bere lentamente. «Non hai nulla di cui preoccuparti.»

«Non verrò bruciata?» strinse le labbra e serrò le lenzuola tra le dita iniziando a piangere. Si era trattenuta a lungo in quei giorni di prigionia. «Grazie... grazie.»

Accennai un sorriso con uno sbuffo, distogliendo lo sguardo. «Sei ancora ferita e ci metterai del tempo prima di rimetterti» spiegai senza guardarla. «Mi prenderò cura di te finché non sarai fuori pericolo. Te lo devo.»

«Sono io ad avere un debito impagabile con voi.» Cercò di asciugarsi le lacrime. «Vi devo la mia vita.»

«Ti ho torturata e frustata a sangue per i miei scopi. Non mi devi nulla» risposi freddo tornando a guardarla.

«Mi avete salvato la vita» insistette lei semplicemente, cercando di asciugarsi gli occhi. «Se non mi aveste frustata lo avrebbe fatto qualcun altro e poi avrebbero frustato anche voi prima di bruciarci entrambi. Non sono in collera con voi.»

La sua schiena era irrimediabilmente segnata, ero sicuro che non sarebbe più stata dello stesso avviso una volta che se ne fosse resa conto.

«Come fai a non odiarmi. Quello che ti ho fatto ti rimarrà come una cicatrice indelebile sul corpo. Un ricordo che non se ne andrà mai. Sei segnata per sempre» spiegai, tornando nella cucina e spostando il separé per permetterle di vedermi e continuare a parlarmi, mentre aprivo uno dei miei involti con le erbe curative.

All'epoca non c'erano medicine e per quanto i miei poteri fossero in grado di curare qualsiasi malattia dovevo usare gli strumenti disponibili in quegli anni o avrebbero cercato di mettere su una pira anche me.
Presi varie erbe iniziando a preparare un decotto che l'avrebbe almeno in parte aiutata.

«Ti ho salvato la vita, ma non meritavi queste torture.»

«Non avevate altro modo per aiutarmi e meglio qualche segno sulla schiena che arsa viva. Dopotutto, non posso guardarmi le spalle e me ne dimenticherò presto.» Cercava di consolarmi.
Sara era fatta così, minimizzava sempre i suoi problemi per occuparsi degli altri, continuando a vedere il lato positivo. Sapeva bene che in quell'epoca ignorante e arretrata quello che le era capitato era una sciagura, nessuno l'avrebbe voluta in moglie così sfregiata e senza un uomo che si prendesse cura di lei non avrebbe avuto possibilità di cavarsela.

«Ti sarà difficile trovare marito adesso» osservai, mentre mettevo le erbe sul fuoco, tornando poi a guardarla. «Mi dispiace per quello che hai dovuto subire.»

«Su questo hai ragione, nessuno vorrà una ragazza sfregiata accusata di stregoneria.» Tentò di muoversi invano, ottenendo come risultato una fitta di dolore. «Non importa, si vede che non è questo ciò che Dio ha in serbo per me. Posso ancora essere d'aiuto al prossimo, è già qualcosa.»

«Confidi troppo in Dio. A lui importa poco di ciò che facciamo noi» risposi freddo, mescolando il decotto prima di prendere di nuovo il bicchiere e versarci dentro la tisana che avevo fatto. Con le erbe poi avrei fatto un impacco mettendoci anche un po' dei miei poteri per fare in modo che guarisse più in fretta. «Bevi questo. Ti farà passare il dolore. Più tardi dovrai mangiare, ma dovrai fare attenzione, il tuo corpo non è più abituato a ingerire cibo come prima.»

«Grazie.» Mi restituì un meraviglioso sorriso e solo in quel momento mi resi conto di quanto avessi sperato di vederla sorridere ancora. «In realtà non ho molta fame, mi sento la febbre, ma se dite che devo mangiare mi sforzerò. Voglio guarire e alzarmi da questo letto, non voglio sprecare la vita che mi avete dato.»

«Io non ti ho dato nessuna vita» risposi sedendomi sul letto mentre iniziavo a toglierle le bende. «Tu hai combattuto per continuare a viverla. Se sei viva è solo merito della tua volontà, non della mia» mentii.

Vederla viva e sorridente era più di quanto sperassi. Mi sembrava assurdo che dopo tutto quello che aveva subito fosse ancora tanto positiva.
Ero decisamente incredulo. Avevo visto gente che dopo essere stata torturata non era più tornata se stessa, ma quella ragazza aveva una forza di volontà invidiabile.

Lei rabbrividì quando le toccai la schiena, comprensibile, visto che il ricordo della frusta ci avrebbe messo un po' a sparire, però non si lamentò e non si ritrasse. Serrò la stretta sulle coperte quando le sollevai le bende sporche.

«Potevo combattere quanto volevo, ma se non mi aveste salvata dal rogo sarebbe stato tutto inutile.» Strinse le labbra per il dolore, cercando di non perdere di nuovo i sensi.

«Te l'ho detto che non ero qui per salvarti. Dovevo uccidere Parris. Se sei viva è anche perché hai combattuto per restare tale» insistetti io, senza volermi prendere meriti per la sua sopravvivenza, iniziando a metterle gli impacchi. «Con questi dovresti iniziare a sentirti meglio. Se poi vorrai andare alle latrine ti accompagnerò io, dovresti essere in grado di camminare.»

«Le mie gambe sono sane, mi serve una mano solo a tirarmi su.» Cercò di voltarsi a guardarmi. «Siete un brav'uomo, anche se non lo volete ammettere. Se davvero non vi importaste niente mi lascereste morire invece di prendervi cura di me.» Voleva incontrare i miei occhi. «Vi ringrazio.»

«Non sono affatto un brav'uomo, te lo garantisco» replicai, rimettendogli le bende sulla schiena. «Te lo dovevo» aggiunsi con un sussurro. «Senza di te avrei avuto più problemi a incastrare Parris» spiegai incatenando lo sguardo al suo.

Sorrise divertita dalla mia negazione. In tutta la sua breve vita non ha mai messo in dubbio il fatto che fossi un brav'uomo.
«Grazie per essere rimasto a vegliare su di me stanotte.» Chiuse gli occhi appoggiando la guancia al cuscino, esausta e dolorante.

«Te lo dovevo» ribattei, mentre finivo di sistemare le bende. «Cerca di non alzarti.»

Erano anni che non aiutavo più nessuno in quel modo. Un tempo lontano ero stato persino un medico; guarivo e aiutavo le persone, ma ormai quell'individuo era completamente scomparso.

«Quanto resterete?» mi chiese voltando il viso verso di me e cercando di non pensare alla sua schiena.

«Fino a quando ti sarai ripresa abbastanza da non aver più bisogno di me» la rassicurai voltando a mia volta il capo verso di lei.

«Mi dispiace farvi perdere tempo. Immagino abbiate di meglio da fare che star dietro a una ragazzina ferita» mi disse con un velo di tristezza che non faticai a notare.

«Per ora posso fare una paura dai miei impegni. Non ti preoccupare» risposi poggiandole una mano sul fianco senza toccarle la schiena per controllare ancora una volta le fasciature.

Rabbrividì. Aveva ancora un po' di febbre e la schiena scoperta. «Mi fa sentire meglio sapere che vi prenderete cura di me. Mi sento più al sicuro così.»

Non aggiunsi nulla a quelle parole. Ero l'angelo della morte e lei mi parlava di sicurezza, come se con me si sentisse protetta. Una cosa decisamente assurda per me.

«Ieri ti hanno tolto il grosso di sangue e sudore, ma possiamo vedere di fare una pulita in più. Farà bene anche alle tue ferite... Chiamami Low, non è necessario che tu sia così formale con me.»

«Non è piacevole sentirsi così appiccicosa e sudicia. Ti ringrazio... Low, stai facendo tanto per me.» Il visino aveva iniziato ad arrossarsi, segno che la febbre stava scendendo.

«Ormai ho iniziato, non posso certo abbandonarti adesso a metà del lavoro» risposi, accennando a mia volta a un mezzo sorriso, replicando con un tono sarcastico, sempre più a mio agio.

«C'è qualcosa che non sai fare? Sei un uomo di Dio, debelli il male, sai curare e ti prendi cura delle ragazze ferite» scherzò lei, appoggiando il viso arrossato alle coperte.

«Prima di fare l'inquisitore ero un cerusico, un medico, quindi conosco tutto quello che può aiutare la guarigione. Poi, beh, le cose sono decisamente cambiate» spiegai frettolosamente ritraendo la mano.

«Come mai hai cambiato strada? Hai avuto la chiamata da Dio?» mi chiese curiosa. «Però sei rimasto sulla stessa strada, continui ad aiutare le persone che ne hanno bisogno.»

«Io non aiuto le persone» ribattei aiutandola a sistemarsi sul letto e rivoltandole il cuscino in modo che fosse dal lato fresco. «Tu sei un'eccezione» aggiunsi, spostandomi nuovamente in cucina e mettendo acqua sul fuoco. All'epoca non conoscevano nulla di germi o simili, non capivano che significasse fare bollire le garze o altro nell'acqua, ma era decisamente indispensabile darle una pulita per evitare che si infettasse. «Dovrò pulire le ferite più tardi. Ti farò male, ma è necessario.»

«Mi fido di te, non sei come Parris, so che non vuoi farmi del male.» Si rilassò e chiuse gli occhi.

«Non ha senso. Non faccio quello che faccio per fare del male, ma neanche per fare del bene.» A parte forse il prendermi cura di lei ma ancora non me ne ero reso conto o comunque non volevo pensarci. Misi un panno di lino in acqua per poi voltarmi a guardarla. «Immagino che tu non abbia del sapone.» C'era già all'epoca, ma era poco usato e in genere solo da alti ceti sociali; dubitavo sapesse di che stessi parlando.

«Sapone?» mi chiese infatti perplessa. «Che nome buffo.» Sorrise, tenendo gli occhi chiusi, lasciando che l'infuso che le avevo dato le desse sollievo.

«Viene usato per pulirsi, ma penso che possa andare bene anche della semplice saponaria.» Ovvero una semplice pianta utilizzata per vari scopi, sia curativi che lenitivi e depurativi. «Cerca di riposare adesso. Tornerò tra qualche ora con quello che mi serve» le dissi togliendo poi il catino dal fuoco.

«Me lo prometti?» mi chiese già mezza addormentata. La tisana e le mie cure iniziavano a fare effetto facendola riposare.

«Te lo prometto» mormorai avvicinandomi a lei e passandole due dita lungo la linea dell'orecchio. «Non ti devi preoccupare di nulla.»

In risposta lei sorrise e si rilassò con un sospiro.

Ogni volta che mi allontanavo me lo chiedeva, sapeva sempre che sarei tornato, ma il sentirselo dire la tranquillizzava perché sapeva che non le avrei mai mentito e se le avessi promesso di tornare allora lo avrei fatto, a qualunque costo.

Anche l'ultima volta che la vidi stare bene lo fece e mi aspettò, fino alla fine.

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