Aprile 1668

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

La fatidica notte del 23 aprile stava infine arrivando. Galatea era rimasta tutto il giorno alla finestra, adducendo un malessere di stagione. La cara Bice era lì con lei, perché l'avrebbe accompagnata al momento opportuno. Era compito di Paolo trovare i due testimoni necessari; una volta insieme sarebbero andati da padre Saverio, il consacrato più facile da raggiungere, e davanti a lui avrebbero pronunciato i voti nuziali.

Al pensiero di comparire davanti al gesuita che tanto l'aveva amata, a modo suo, e di spezzargli il cuore con quell'atto di ribellione, Galatea si trovava a dover valutare quanto fosse disposta a sacrificare per il suo amore verso Paolo. Era davvero così decisa a lasciare la sua posizione, le aspettative della sua famiglia, la sicurezza di quel luogo e le amicizie, gli affetti che vi cullava? Come avrebbero reagito i suoi genitori alla notizia della sua fuga? E come avrebbe reagito la buona donna Pappa? E il gesuita? E la famiglia ducale, benché non la conoscesse così bene?

Bice arrivò a stringerle la mano, a rinfrancarla: «Ti vedo così preoccupata, Tea! Non immaginavo che fuggire per amore fosse così penoso...»

«E' l'amore che è penoso, Bice...»

Era ormai il crepuscolo ed entro poche ore sarebbero dovute sgattaiolare fuori dalla camera dirette verso il corridoio di padre Saverio, dove avrebbero trovato Paolo e i due testimoni. Galatea rimase alla finestra finché l'ultima vena viola del cielo si fu mescolata al blu della notte. Era una notte senza luna, quella, una notte in cui chi cova pensieri cattivi non riesce a prendere sonno. Il cuore di Galatea vacillava, ma era una ragazza testarda e non avrebbe ascoltato la volubilità dei sentimenti.

Arrivato il momento, si buttò una leggera mantella sulle spalle e uscì nel corridoio, mentre Bice chiudeva la porta a chiave. Si avviarono senza candele lungo la strada, confidando nella memoria. Giunsero in vista delle scale, salirono e ridiscesero, attraversarono saloni in penombra, sfilando silenziosamente sotto gli stipiti di marmo delle porte. Voltato l'ultimo angolo, Galatea scorse un gruppetto di tre uomini in attesa a metà del corridoio. Il suo cuore perse un battito e il suo respiro si mozzò, ma Bice ormai l'aveva superata e la guardava chiamandola dietro di sé.

«Forza, Tea. Non arrenderti adesso. Pensa a quanto sarai felice tra meno di mezz'ora» sussurrò, e Galatea richiamò tutte le forze che le restavano e riprese a camminare. Paolo l'aveva vista subito e ora le veniva incontro. Le prese la mano, la strinse forte. I suoi occhi brillavano di impazienza.

«Sei fredda, Tea. Hai paura?» le domandò, ma lei rispose scuotendo la testa. Poi alzò gli occhi e la vide lì: vide Fortuna proprio dietro a Paolo, e le sorrideva con espressione civettuola. Si sentì sbiancare senza sapere perché.

«Forza, figlia di mercante – le disse – Questa notte la tua vita è nelle tue mani. Avanti, vediamo come andrà a finire»

Aveva un che di strano, la sua voce. Aveva un che di tagliente, di aspro. Il sorriso, però, illuminava ancora il suo viso.

Paolo, vedendo che Galatea teneva lo sguardo fisso dietro di lui, pensò che osservasse i due giovani che lo avevano accompagnato: «Hanno accettato di farci da testimoni; sono due paggi come me, forse li conosci»

Galatea spostò lo sguardo da Fortuna a quei due uomini che attendevano ancora a metà corridoio. Sì, in effetti li aveva già visti aggirarsi a palazzo. Lentamente, quasi con fatica, riprese a camminare. Paolo le teneva la mano e Bice veniva subito dietro di lei e più volte si guardava alle spalle, assicurandosi che nessuno li avesse visti.

La camera di padre Saverio era proprio in fondo a quel corridoio. A Galatea parve infinito, ma alla fine si trovò davanti alla porta e a quel punto, solo allora, rialzò gli occhi su Paolo per domandargli poi: «Busso io?»

Paolo accennò un sì e si fece da parte abbastanza per lasciarla avvicinare all'uscio. Galatea, però, si fermò con la mano a mezz'aria.

«Cosa aspetti, tesoro? – sussurrò Fortuna al suo orecchio – Non hai tutto il tempo che vorresti»

Galatea tremò impercettibilmente e vagò con lo sguardo su tutta la superficie della porta.

«Cos'hai, Galatea? Non stai bene?» fremette Paolo, e bussò al posto suo. Bussò con insistenza, tanto che Bice gli intimò uno: «Shht!» per paura che qualcuno lo sentisse.

Ben presto si udirono passi aldilà della soglia e una pallida luce andò intensificandosi dalla fessura sotto la porta. Poi, una chiave fece scoccare la serratura. Galatea, a quel suono, chiuse gli occhi.

Ma li riaprì subito dopo, quando sentì i cardini che cigolavano leggermente. Incontrò lo sguardo assonnato di padre Saverio che si fece subito vigile.

«Voi...!» gli sfuggì. Aveva in mano una candela e a quella fioca luce Paolo recitò impeccabilmente il suo voto nuziale.

«Costei è mia moglie» ripeté, dando un colpetto a Galatea perché si affrettasse a completare il rito.

"Costei è mia moglie"... "E' mia"... "Mia"... "Moglie"...

Quelle parole rimbombarono nella mente di Galatea e lei rimase persa sotto gli occhi del gesuita che, colto alla sprovvista, tuttavia aveva preso un gran respiro e ora la fissava, senza reagire.

«Sbrigati, Galatea, o perderai l'occasione!» disse la voce alterata di Fortuna, che ora compariva, come levitando, alle spalle del padre. Galatea la guardava disgustata: i suoi occhi si facevano scuri e infossati tra occhiaie bluastre sul colorito insolitamente pallido del viso, i suoi denti annerivano mentre le parlava. Il suo sguardo era come allucinato, le pupille dilatate e le sopracciglia tese. Era come... cattiva.

«In fretta, figlia di mercante, presto!» rincarò, la voce gracchiante come quella di un vecchio corvo.

«No...» sussurrò Galatea, ma impercettibilmente, e nessuno la sentì.

Padre Saverio non distolse la sua attenzione da lei. Aspettava, aspettava come gli altri quattro presenti. Paolo pendeva dalle sue labbra, aveva il cuore in tumulto e avrebbe voluto intervenire. Fortuna fece una smorfia furibonda storcendo il naso, i suoi occhi avvamparono per un istante e subito dopo volse la testa dall'altra parte, svelando la nuca orribilmente calva; in quel frangente ecco sopraggiungere una pattuglia di guardia, messa in allerta dai rumori e dalle voci.

«Fermi! Non muovetevi!» tuonò la voce del comandante, e si udì lo scivolio delle lame sguainate di quattro spade.

Galatea crollò tremante contro il gesuita e lo abbracciò, scoppiando in lacrime. Paolo e gli altri due erano già stati arrestati e Bice si parava con le braccia affinché lo stesso non toccasse a lei. Padre Saverio accarezzò la testa di Galatea e chiamò vicina Bice, assicurò delle intenzioni degli altri e li fece rilasciare. Dopodiché, quando tutto fu di nuovo silenzioso, condusse le fanciulle alla loro camera e lì le lasciò con la promessa di tornare la mattina seguente.

«Non ditelo alla duchessina, per favore» bisbigliò Galatea prima che uscisse.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro